Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 68 (46.906) Città del Vaticano mercoledì 25 marzo 2015 . Volo della Germanwings si schianta sulle Alpi L’Annunciazione della Madre di Dio secondo Efrem il Siro Sciagura aerea in Francia Come un seme nel nostro giardino Centocinquanta morti tra passeggeri e membri dell’equipaggio PARIGI, 24. Un aereo di linea della Germanwings, compagnia low cost del gruppo Lufthansa, si è schiantato questa mattina contro una montagna nei pressi di Barcelonnette, un comune del dipartimento delle Alpi dell’alta Provenza, in Francia. L’Airbus A320 era partito alle ore 9.55 da Barcellona ed era diretto a Düsseldorf. L’aereo è scomparso dai radar intorno alle 10.40. Secondo «France Info», il velivolo avrebbe urtato contro una montagna. Aveva a bordo 150 persone (144 passeggeri e sei membri dell’equipaggio). Per il sito specializzato nel monitoraggio di voli «Flightradar24», la rotta era anomala. L’aereo sarebbe salito a 38.000 piedi per scendere in pochi minuti a 6.800 piedi quando il segnale è stato perso. Il luogo del disastro aereo è stato localizzato fra i 900 e i 1450 metri di altezza nel massiccio dei Trois Évêchés. Si tratta — dicono gli esperti — di una zona impervia e di difficile accesso. Circa 240 pompieri e tre squadroni della gendarmeria mobile sono partiti in direzione della zona. Il presidente francese, François Hollande, è in contatto con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, che ha cancellato tutti gli impegni. Hollande ha inoltre incontrato il re di Spagna Filippo VI, a Parigi per una visita ufficiale. Subito dopo l’incontro, quest’ultimo ha annullato la visita. Il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve, si sta recando sul luogo dell’incidente. Il ministro dei Trasporti, Alain Vidalies, ha annunciato che non ci sono sopravvissuti tra le 150 persone a bordo. Tuttavia il portavoce del ministero dell’Interno, Pierre-Henry Brandet, ha precisato poco dopo che «fin quando i mezzi terrestri non saranno arrivati, non si può dire con certezza se ci siano superstiti». La Moncloa, intanto, ha comunicato che le vittime spagnole sono 45. La compagnia Lufthansa ha espresso il suo cordoglio tramite l’amministratore delegato Carsten Spohr: «Non sappiamo ancora cosa sia successo al volo: la mia vicinanza alle famiglie e amici dei passeggeri e dell’equipaggio». All’insegna della cooperazione per la ripresa europea vertice tra Merkel e Tsipras Nessun duello Momento dell’incontro tra il cancelliere Merkel e il premier Tsipras (Ap) y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!%!?!,! In Afghanistan strage di innocenti KABUL, 24. Un duplice attentato sanguinario fa strage di innocenti in Afghanistan. Almeno sei bambini sono morti ieri nella provincia meridionale di Khost, quando un ordigno è esploso sul terreno su cui avevano appena cominciato una partita di cricket. Lo riferisce oggi l’agenzia di stampa Pajhwok, secondo cui altri dieci bambini sono rimasti feriti. Il vice capo della polizia di Ghazni, Asadullah Insafi, ha sostenuto che l’ordigno esplosivo era stato collocato su una bicicletta e che è stato attivato a distanza non appena il gruppo di bambini ha cominciato una partita di cricket. Secondo Insafi la responsabilità dell’attentato va attribuita ai talebani, per i quali il cricket non è compatibile con l’islam e quindi i giovani non dovrebbero giocarlo. Intanto, la notte scorsa un commando armato ha aperto il fuoco contro un autobus in viaggio nella provincia centrale afghana di Maidan Wardak, uccidendo 13 persone. Lo ha reso noto oggi il governatore ad interim della provincia, Ataullah Khugyani. Il responsabile ha precisato che l’attacco è avvenuto nel distretto di Sayeed Abad, lungo la statale fra Kabul e Ghazni. Il governatore non ha chiamato in causa direttamente i talebani per la responsabilità dell’attacco, lasciando aperta la possibilità, visto che i militanti avevano il volto coperto, che possa essersi trattato dell’opera di un gruppo legato al cosiddetto Stato islamico, che sta cercando di consolidarsi in Afghanistan. BERLINO, 24. Cinque ore. Un colloquio decisivo per il futuro dell’Europa. Ieri sera a Berlino il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il premier greco, Alexis Tsipras, si sono confrontati a tutto tondo su una serie di temi cruciali nel negoziato per la riqualificazione dell’economia greca. Il commento unanime sulle bocche dei leader al termine dell’incontro è stato «cooperazione». Atene è «pronta a rispettare gli impegni ma la condizione è che ci sia giustizia sociale» ha detto Tsipras. «Vogliamo che la Grecia sia forte economicamente, che cresca e che venga fuori dalla disoccupazione» ha spiegato Merkel. Resta aperto il nodo delle riforme che Atene ha promesso ai creditori alla fine del summit di tre ore svoltosi venerdì scorso a Bruxelles, a margine del Consiglio europeo su Ucraina e sul piano Juncker. La Grecia presenterà all’Eurogruppo entro lunedì prossimo la lista di riforme economiche che, se giudicata sufficiente dalle istituzioni europee, potrebbe consentire lo sblocco degli aiuti economici attesi da Atene. Come sottolineano gli esperti, le privatizzazioni saranno probabilmente uno dei principa- li ostacoli nel dialogo tra l’Ue e la Grecia. In effetti, le privatizzazioni dovrebbero contribuire per quattro miliardi di euro al bilancio solo quest’anno. Ma in passato le privatizzazioni sono state completamente disattese da tutti i tre precedenti Governi greci. Tsipras ora non vuole vendere beni dello Stato, anche se ha accettato, in linea di principio, di non bloccare le cessioni che erano state già avviate, come quelle cinesi del 66 per cento del Porto del Pireo. È stata invece bloccata la messa sul mercato della società per la produzione dell’energia elettrica, Dei, e della società di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica. Altro punto critico sarà la riforma del sistema pensionistico. Unione europea, Bce e Fmi sono preoccupati per i privilegi eccessivi ancora presenti in caso di prepensionamento e la necessità di collegare i benefici al sistema contributivo e non a quello retributivo. In base all’accordo tra l’Ue e il Governo Samaras, la Grecia avrebbe dovuto approvare una legge di fusione dei fondi di previdenza, e tuttavia su questo punto il Governo Tsipras resiste, perché ciò comporterebbe un ulteriore taglio delle pensioni, insomma un’altra stretta di austerità. Il presidente Hadi chiede aiuto al Consiglio di cooperazione del Golfo persico Offensiva degli huthi nel sud dello Yemen SAN’A, 24. Rischia di aggravarsi ulteriormente la crisi nello Yemen, dove i ribelli sciiti huthi — che già controllano il nord e San’a — hanno sferrato ieri un’offensiva nel sud contro le forze fedeli al presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, che è riuscito il mese scorso a fuggire dalla capitale e rifugiarsi ad Aden. Quest’ultimo ha chiesto un intervento militare del Consiglio di cooperazio- ne del Golfo persico e l’imposizione di una «no-fly zone» per fermare l’avanzata delle milizie sciite huthi. Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar sperano ancora in una soluzione negoziata della crisi, ma «prenderanno le misure necessarie, se ve ne sarà bisogno, per difendere la sovranità dello Yemen, che i ribelli sciiti huthi stanno cercando di conquistare inte- ramente» ha detto il ministro degli Esteri saudita, Saud Al Faisal, in dichiarazioni trasmesse dalla televisione Al Jazeera. Sul terreno si continua a combattere. Secondo fonti della sicurezza, dopo la presa dell’aeroporto di Taiz, terza città dello Yemen a 180 chilometri a nord di Aden, diverse migliaia di truppe huthi, assieme ai reparti delle forze armate legate all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, stanno avanzando verso la roccaforte di Hadi, fronteggiati da tribù sunnite locali. Fra gli obiettivi dei ribelli sciiti huthi vi è anche il controllo dello stretto di Bab Al Mandab, corridoio marittimo strategico che collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden, di fatto controllando l’accesso al canale di Suez: attraverso di esso passa quasi il quaranta per cento del traffico marittimo globale. NOSTRE INFORMAZIONI Provvista di Chiesa Proteste anti-sciite nella città yemenita di Taiz (Epa) Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Santo Domingo en Ecuador (Ecuador) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Bertram Víctor Wick Enzler, finora Vescovo titolare di Carpi e Ausiliare di Guayaquil. «Annunciazione» (evangeliario siriaco, XIII di MANUEL NIN a festa dell’Annunciazione della Madre di Dio è una delle poche che troviamo lungo la quaresima nelle tradizioni liturgiche orientali. Al suo sviluppo contribuì anche l’omiletica siriaca. Efrem la commenta nel secondo inno sulla natività del Signore, un testo dove il poeta canta il mistero dell’incarnazione del Signore e dell’annuncio fatto da Gabriele a Maria. Già nella prima strofa la parola di Efrem è una lode, unita a quella delle schiere celesti, per il mistero che redime il genere umano: «Del tempo illustre segnato per la redenzione mi rendo anch’io partecipe nell’amore e mi allieto. Voglio lodarlo con canti puri, rendere gloria a quel bimbo che ci ha redenti». Le profezie veterotestamentarie sono applicate a Cristo stesso che si manifesta come re, sacerdote e agnello, con riferimenti molto evidenti di carattere sacramentale al battesimo, al perdono dei peccati e all’eucaristia: «La cetra dei profeti che l’annunciarono, l’issopo dei sacerdoti che lo amarono, il diadema dei re sono di quel Signore dei vergini, la cui madre è anch’essa vergine. Poiché è re, ha dato a tutti la regalità; poiché è sacerdote, ha dato a tutti il perdono; poiché è l’agnello, distribuisce a tutti il cibo». Diverse volte Efrem fa riferimento alla vera divinità e vera umanità di Cristo con l’immagine della paternità divina e la maternità umana: «Degna di memoria la madre che l’ha generato, degno di benedizioni il seno che l’ha portato, come pure Giuseppe, per grazia chiamato padre del Figlio vero, il cui Padre è glorificato». Poi Maria stessa canta il mistero dell’incarnazione del Verbo: «Mi ha fatto gioire perché io l’ho concepito; mi ha magnificato poiché io l’ho generato. Nel suo paradiso vivente io sto per entrare e dargli lode nel luogo dove Eva fallì. Di me si è compiaciuto, al punto da essergli madre, poiché l’ha voluto, e da essermi figlio, poiché gli è piaciuto». E in un’altra strofa la lode della madre diviene anche quella della Chiesa: «Con la bocca dei miei martiri io rendo grazie per aver accolto il bimbo, figlio dell’invisibile uscito alla visibilità. Su una cima eccelsa mi sollevi con i miei santi, per rendere gloria a colui che si chinò e si fece piccolo nella mangiatoia». L secolo, monastero di Mor Gabriel Tur Abdin) Efrem presenta poi il tema dell’annuncio fatto dagli angeli agli uomini con l’immagine dell’unica sorgente che è Cristo stesso e delle dodici sorgenti, gli apostoli, che vi attingono: «Voci celesti ti hanno annunciato ai terrestri. Sorgente nuova che i celesti hanno aperto per i terrestri assetati di vita. O fonte non gustata da Adamo! Dodici sorgenti parlanti essa ha aperto, che hanno riempito di vita il mondo». Il poeta accosta poi le immagini di Cristo nuovo Adamo nato dalla vergine al primo Adamo fatto dalla terra vergine. Nella seconda parte dell’inno Efrem introduce il tema dell’annunciazione e si sofferma sull’atteggiamento di preghiera con cui Maria accoglie l’annuncio di Gabriele: «Cosa faceva colei che era casta nel momento in cui Gabriele, il messaggero, volando discese presso di lei? Lo vide nel momento della preghiera, perché anche Daniele aveva visto Gabriele durante la preghiera. Preghiera e buona novella, sua parente, è giusto che esultino vicendevolmente, come Maria ed Elisabetta sua parente». Segue una serie di esempi biblici del rapporto tra preghiera e annuncio di salvezza: la fine del diluvio, la preghiera di Abramo, la preghiera del centurione. Quindi anche quella che è la più grande delle notizie trova Maria orante: «Tutte le buone notizie giungono al porto della preghiera. La notizia delle notizie, causa di tutte le gioie, trovò Maria in preghiera». E quasi per pudore presenta l’arcangelo come un vegliardo il cui aspetto non doveva turbare Maria: «Gabriele, come un vecchio nobile e grave entrò e la salutò, affinché lei non tremasse, affinché la giovane modesta, alla vista di un volto giovane, non si rabbuiasse». Infine Efrem, con immagini molto belle, presenta i tre personaggi — Daniele, Elisabetta e Maria — cui Gabriele viene mandato: «A due casti vegliardi e alla vergine, solo a essi fu mandato Gabriele con le buone notizie. Uno generò la rivelazione della parola di Dio, l’altra la voce del deserto e la vergine il Verbo dell’altissimo». E l’inno si conclude con il tema della kènosis del Verbo di Dio che «restrinse se stesso fino a riempire il piccolo grembo di Maria. Poi come un seme nel nostro giardino e un piccolo raggio per la nostra pupilla, sorse, si diffuse e riempì il mondo». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 25 marzo 2015 Militare colombiano durante un’operazione di sminamento Intervento della Santa Sede L’AVANA, 24. Il Governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno cominciato ieri all’Avana la prima riunione tecnica per finalizzare lo storico accordo annunciato il 7 marzo per lo sminamento del territorio. Una delegazione tecnica del Governo, composta principalmente da alti ufficiali militari, è giunta a Cuba per sostenere con i negoziatori un ciclo di colloqui che si terrà in parallelo e nel luogo delle trattative di pace avviate nel novembre 2012. È la prima volta — sottolineano gli analisti — che le due parti si siedono al tavolo per definire la tabella di marcia per l’attuazione del programma di sminamento che dovrebbe iniziare entro sei settimane, stando al ministro del Dopoguerra, il generale a riposo Óscar Naranjo. La delegazione governativa comprende il direttore dell’organizzazione Acción contra Minas della presidenza della Repubblica, generale Rafael Colon, il delegato del Ministero della Difesa e delle Forze Armate per lo sminamento, il generale di brigata Néstor Robinson, il comandante del Battaglione per lo sminamento umanitario (Bides), colonnello Willington Benítez, e la consigliera Marisol Peñaloza. In difesa dei diritti delle donne Pubblichiamo la traduzione italiana dell’intervento pronunciato il 13 marzo scorso dall’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a New York, in occasione della 59ª sessione della Commissione sulla condizione delle donne (New York, 920 marzo 2015). Signora Presidente, La mia delegazione è lieta che la Commissione abbia scelto di riflettere sulla Dichiarazione e sulla Piattaforma d’azione di Pechino, nella prospettiva di presentare l’avanzamento e l’uguaglianza delle donne in un’Agenda di Sviluppo post2015. Ci sono stati progressi notevoli a favore della causa delle donne in molti Paesi, specialmente negli ambiti dell’educazione, della rappresentanza politica e della partecipazione economica. Le donne, sempre più, stanno anche guidando importanti sforzi pubblici e privati per portare rimedio alla discriminazione, alleviare la povertà e affrontare una miriade di altre sfide con le quali oggi si confrontano le donne. Tra Farc e Governo colombiano Colloqui sullo sminamento Il conflitto tra le Farc e il Governo colombiano ha causato, secondo le stime ufficiali, la morte di almeno 220.000 persone. Come detto, dal 2012 sono in corso negoziati tra le parti, condotti dapprima a Oslo e successivamente all’Avana. Basato su un’agenda negoziale composta da cinque punti — riforma agraria e Aprirà tra un anno il nuovo Canale di Panamá PANAMÁ, 24. Da 4.400 fino a 14.000. È la capacità di container delle navi che potranno attraversare il Canale di Panamá quando, tra circa un anno, l’opera sarà completata e inaugurata. Una rivoluzione per il commercio marittimo mondiale, con il Panamá che vedrà raddoppiare fino a cinque miliardi di dollari annui i suoi ricavi lordi. L’opera alla fine costerà circa 5,8 miliardi di dollari, una cifra maggiore dei 3,3 stimati inizialmente. Anche di questi costi extra — al centro di un contenzioso che si preannuncia lungo — potranno parlare direttamente in queste ore in un incontro ufficiale il presidente panamense, Juan Carlos Varela, e l’amministratore delegato della Salini Impregilo, Pietro Salini, dopo un primo vertice tenuto a Roma tre settimane fa. Il gruppo italiano è infatti il leader operativo di un grande consorzio internazionale. sviluppo rurale, partecipazione politica, fine del conflitto armato, blocco della produzione e della vendita di stupefacenti, rispetto dei diritti umani — il dialogo tra Governo e guerriglieri prosegue in direzione di una tregua bilaterale, come auspicato anche dal presidente colombiano, Juan Manuel Santos. Visite all’Avana di Lavrov e Mogherini Missioni internazionali a Cuba L’AVANA, 24. Nuovi passi si segnalano nel processo di disgelo internazionale con Cuba, avviato a dicembre dall’annuncio della fine del contrasto con gli Stati Uniti — e più in generale con l’Occidente — durato oltre cinquant’anni. Alla luce di tale sviluppo può essere letta anche la visita nell’isola che vedrà oggi impegnato Serghiei Lavrov, ministro degli Esteri della Russia, tradizionale principale alleata di Cuba. Il Governo di Mosca è infatti deciso a non far mancare il suo sostegno in questa fase a quello dell’Avana. Nel contesto della mutata situazione causata dal disgelo annunciato dai presidenti cubano Raúl Castro e statunitense Barack Obama si iscrive a maggior ragione la missione che conduce sempre oggi nell’isola l’alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza co- mune dell’Unione europea, Federica Mogherini. In parallelo a quelli con Washington, il Governo cubano ha proseguito in questi giorni anche i negoziati con l’Unione europea avviati un anno fa per giungere alla firma di un accordo politico e di cooperazione. La scorsa settimana, il capo negoziatore europeo, Christian Leffler, ha riferito di «progressi sostanziali». Fermata e rilasciata la figlia di Ledezma CARACAS, 24. Antonieta Ledezma, la figlia del sindaco di Caracas antichavista, Antonio Ledezma, è stata liberata ieri dal Servizio Bolivariano di Intelligence (Sebin) che poche ore prima l’aveva fermata all’aeroporto internazionale Maiquetia della capitale venezuelana. Tuttavia gli agenti hanno sequestrato il passaporto della ragazza. Il deputato oppositore Richard Blanco, che era stato il primo a denunciare l’arresto della figlia ventenne di Antonio Ledezma, ha confermato la notizia, scrivendo su Twitter che Antonieta «è uscita dalla sede del Sebin, ma le hanno trattenuto il passaporto». Esponente dell’opposizione, Ledezma è stato arrestato lo scorso febbraio con l’accusa — sostenuta dal presidente Nicolás Maduro — di far parte di un presunto piano per far cadere il Governo con il sostegno di Washington. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Il presidente cubano Raúl Castro (Ap) Mosca critica Washington per l’invio di armi a Seoul MOSCA, 24. La Russia, tramite un comunicato del ministero degli Esteri, ha avvertito oggi gli Stati Uniti che l’invio di sistemi di difesa antimissile alla Corea del Sud potrebbe minacciare la sicurezza nella regione. L’Amministrazione di Washington ha fatto sapere di voler dispiegare sistemi a lungo raggio Thaad in Corea del Sud come deterrente alle provocazioni militari del regime di Pyongyang. «Un tale sviluppo può solo causare preoccupazione per l’influen- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va la lotta per l’uguale accesso delle ragazze all’educazione, specialmente a un’educazione di qualità, sia un elemento indispensabile nella lotta per il progresso delle donne. Signora Presidente, Domenica 8 marzo Papa Francesco ha inviato il suo saluto a tutte le donne nel mondo, sottolineando che “[u]n mondo dove le donne sono emarginate è un mondo sterile, perché le donne non solo portano la vita ma ci trasmettono la capacità di vedere oltre”, in altre parole “ci trasmettono la capacità di capire il mondo con occhi diversi”. Il contributo delle donne a un mondo migliore comprende la generosità di servire in modo gratuito e di accogliere, piuttosto che escludere. La mia Delegazione ribadisce la disponibilità di Papa Francesco a lavorare con tutti coloro che cercano ogni giorno di costruire un mondo che tratti concretamente le donne come uguali, nella diversità dei doni e delle forze, per il bene comune più grande di tutti. Grazie, Signora Presidente. Forum marittimo tra Giappone e Indonesia za distruttiva della difesa missilistica globale degli Stati Uniti sulla sicurezza internazionale», si legge in una dichiarazione del ministero degli Esteri russo. «In una regione dove la situazione è già estremamente complicata in termini di sicurezza, questo potrebbe servire come nuovo impulso a una corsa agli armamenti nell’Asia nordorientale e complicare ulteriormente ogni soluzione della questione nucleare nella penisola coreana», aggiunge la nota pubblicata dal ministero degli Esteri russo. Servizio vaticano: [email protected] Tuttavia, nonostante gli ammirevoli sforzi e gli importanti progressi ancora troppe donne continuano a doversi confrontare con la discriminazione e con molte forme di violenza per il solo fatto di essere donne. Pertanto, tutti gli attori devono continuare a dedicare il massimo sforzo per ovviare a tali violazioni. Signora Presidente, l’obiettivo di sradicare la povertà, in particolare la povertà estrema, è al centro delle preoccupazioni della Santa Sede. La Chiesa cattolica ha un’esperienza quasi senza eguali per quanto riguarda i bisogni dei poveri, grazie al suo impegno bimillenario e alle centinaia di migliaia di programmi e istituzioni che servono le donne e gli uomini poveri in tutto il mondo. Papa Francesco non si stanca mai di esortare i leader mondiali e tutti noi a dare la priorità alla piaga della povertà e a usare la ricchezza per servire l’umanità, e non il contrario. La promozione di economie inclusive ed eque ha un impatto profondo sul miglioramento dello status delle donne. Di fatto, le donne vivono disagi economici unici legati a politiche d’impiego ingiuste, stipendi diversi per lo stesso lavoro, negazione dell’accesso a crediti e a proprietà, vittimizzazione nelle situazioni di conflitto e migrazione. Sebbene le donne costituiscano la maggioranza dei poveri e siano colpite dal fardello della povertà in modi molto specifici, esse sono però coraggiosamente in prima linea nella lotta per sradicare la povertà estrema. Da questa prospettiva, la lotta per l’avanzamento delle donne deve anche significare che si assicuri loro uguale accesso alle risorse, ai capitali e alla tecnologia. Tenendo conto di questi svantaggi che molte donne devono ancora subire, occorre formulare le risposte alla povertà con obiettivi coraggiosi e attuarle con mezzi sufficienti, di modo che possano avere un impatto concreto sulla promozione delle donne. Diversi studi hanno dimostrato che strutture familiari fragili e il declino del matrimonio tra i poveri sono collegati in modo molto stretto alla povertà tra le donne. Le madri single vengono lasciate sole a crescere i bambini. Molte madri in situazioni di difficoltà non riescono a mandare i figli a scuola, facendoli così entrare nel circolo vizioso della povertà e dell’emarginazione. Sebbene i governi e la società non creino famiglie, hanno però ruoli fondamentali da svolgere nel sostenere famiglie sane e favorire il ruolo genitoriale. Numerose relazioni della Segreteria Generale hanno sottolineato la centralità della famiglia per lo sradicamento della povertà e lo sviluppo sostenibile. La Santa Sede prende nota della relazione dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani sui problemi e gli attacchi che le ragazze continuano a subire nell’accedere all’educazione. La mia Delegazione è convinta che TOKYO, 24. Giappone e Indonesia hanno lanciato un Forum marittimo bilaterale per la cooperazione e la sicurezza, rafforzando con l’aiuto nipponico infrastrutture portuali e potenziamento della guardia costiera indonesiane. Lo hanno concordato ieri il premier nipponico, Shinzo Abe, e il presidente indonesiano, Joko Widodo, in Giappone per una visita di Stato di quattro giorni. Le parti hanno convenuto pure sulla cooperazione bilaterale in missioni di pace e nello sviluppo di attrezzature per la difesa. I due leader Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale hanno inoltre concordato un’iniziativa congiunta su commercio e investimenti, con Tokyo che ha offerto 140 miliardi di yen (1,1 miliardi di euro) in prestiti a tasso agevolato per un sistema di trasporto rapido di massa a Giakarta. Il Forum marittimo è maturato nell’ambito del progetto indonesiano di fungere da collegamento tra gli oceani Pacifico e Indiano e dare priorità allo sviluppo di infrastrutture marittime, alla costruzione di porti in acque profonde e alle reti logistiche per sostenere trasporto via mare e turismo. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Arrestati duecento cristiani in Pakistan ISLAMABAD, 24. La polizia pakistana ha arrestato oggi circa duecento persone a Youhanabad, quartiere cristiano di Lahore, per il linciaggio di due persone avvenuto il 15 marzo scorso in seguito agli attentati talebani contro due chiese. Le forze dell’ordine — riferisce l’agenzia Asia News — non hanno reso noto dove hanno portato gli arrestati. Per il momento ai familiari è stata negata la possibilità di mettersi in contatto con i loro cari. La situazione nel quartiere è tesa e molte persone iniziano ad abbandonare la zona. Leader religiosi e attivisti politici hanno chiesto che le persone arrestate siano rilasciate. Il 15 marzo scorso due talebani si sono fatti esplodere all’ingresso di due chiese, causando la morte di 19 persone e il ferimento di oltre settanta. In risposta agli attentati la folla ha ucciso due persone, sospettate di essere coinvolte nelle esplosioni, ma poi rivelatesi estranee ai fatti. Impegno indiano per le minoranze religiose NEW DELHI, 24. L’India si impegna a proteggere le minoranze religiose nel Paese, in particolar modo i cristiani vittime di svariati attacchi. Questo il messaggio lanciato ieri dal ministro dell’Interno indiano, Rajnath Singh, nel corso di una funzione religiosa nel Punjab. «Nel momento in cui ci sarà un attacco a un tempio, a una moschea o a una chiesa — ha detto — allora prenderemo tutte le misure necessarie e in maniera decisa». Non bisogna «avere paura: le minoranze religiose fanno parte di questo Paese» ha aggiunto. Anche il capo del Governo indiano, Narendra Modi, ha più volte sottolineato nelle scorse settimane l’impegno del suo Esecutivo nel contrastare le violenze contro le minoranze religiose. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 25 marzo 2015 pagina 3 Il luogo di un attentato nella capitale irachena (Epa) Sulla questione palestinese Sempre più distanti le posizioni di Israele e Stati Uniti TEL AVIV, 24. «L’unico modo per salvaguardare a lungo termine la sicurezza di Israele è una pace globale con i palestinesi» sulla base della soluzione dei «due Stati per due popoli, che vivano uno a fianco all’altro in sicurezza e pace». Con queste parole Denis McDonough, capo dello staff del presidente statunitense Barack Obama, ha definito ieri la posizione di Washington dopo le recenti elezioni politiche in Israele vinte dal Likud di Benjamin Netanyahu. La Casa Bianca ha espresso inoltre dure critiche nei confronti di alcune dichiarazioni di Netanyahu, rilasciate prima del voto, nelle quali il leader israeliano si diceva contrario alla costituzione di uno Stato palestinese. Washington — ha ribadito il capo dello staff della Casa Bianca — «sostiene e ha sostenuto i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi». Le parole di McDonough sembrano dunque prospettare un nuovo raffreddamento delle relazioni tra i due storici alleati, Israele e Stati Uniti. E infatti, come sottolineano le agenzie internazionali, i toni della Casa Bianca sono stati particolarmente duri: «Un’occupazione che dura da circa cinquant’anni deve finire». Il popolo palestinese — ha aggiunto McDonough — «ha il diritto di vivere e di governare se stesso in un suo Stato sovrano». L’impegno per la soluzione dei due Stati «è fondamentale per la politica america- na; è stato l’obiettivo per i presidenti repubblicani come per quelli democratici e resta il nostro obiettivo oggi». D’altronde, che l’atteggiamento di Washington nei confronti del leader del Likud sia particolarmente critico è cosa nota. Pochi giorni fa, in un’intervista all’«Huffington Post», il presidente Obama aveva confermato che la Casa Bianca sta studiando «nuove opzioni» che evitino il «caos nella regione mediorientale». Obama aveva inoltre espresso dubbi sulla possibilità di una ripresa tempestiva dei colloqui diretti tra israeliani e palestinesi. Intanto, le forze armate israeliane hanno rafforzato la loro presenza in Cisgiordania, considerando concreta la possibilità di un’insurrezione nei prossimi mesi. Lo riferisce il quotidiano israeliano «Haaretz», secondo cui anche i vertici dell’Autorità palestinese starebbero cercando di rafforzare le misure di sicurezza per evitare violenze. Il Comando centrale delle Forze di difesa israeliana (Idf) ha confermato che sta completando una serie di manovre ed esercitazioni per preparare le proprie forze «a uno scenario di confronto con i palestinesi», scrive «Haaretz». Nelle attività sono impiegate sia unità dell’esercito regolare che riservisti. Le manovre — stando a quanto riferiscono le stesse fonti — serviranno ad aumentare le capacità nella zona e sono parte di un programma annuale. Tra Sudan, Egitto ed Etiopia Intesa per la diga sul Nilo Attacco dell’Is respinto dai peshmerga curdi Raffica di attentati a Baghdad BAGHDAD, 24. Il cosiddetto Stato islamico (Is) risponde con il terrorismo e la propaganda, ma anche con tentativi di controffensiva, alle difficoltà in cui è stato posto dall’avanzata in Iraq delle forze governative. All’Is, nonostante l’assenza di rivendicazioni, vengono attribuiti una serie di attentati e attacchi che hanno colpito ieri Baghdad, provocando secondo fonti di polizia quindici morti e trentacinque feriti. Le prime vittime sono stati sette civili uccisi dall’esplosione di un’autobomba vicino a una moschea sciita nel quar- tiere di Habibiya. Subito dopo, un’altra autobomba ha provocato tre morti e nove feriti nell’area di Maamel. Infine, cinque morti e otto feriti sono stati causati da un bombardamento con razzi katyusha compiuto da miliziani non identificati sull’area di Baladiyat. Al tempo stesso, l’Is ha tentato un attacco notturno contro le basi dei peshmerga curdi sulle montagne di Bashik, a sud-est di Mosul, ma è stato respinto. Nel riferirlo, il comandante dei peshmerga, Qadir Badeli, ha aggiunto che i cacciabombardieri della coalizione internazio- nale guidata dagli Stati Uniti continuano a martellare le postazioni del gruppo jihadista che sta cercando di riorganizzare le forze nella città di Hawija, a sud ovest di Kirkuk. Proprio ai curdi è esplicitamente indirizzato l’ultimo video di propaganda diffuso ieri dall’Is, che mostra l’ennesima feroce uccisione di un prigioniero. Nel frattempo, l’esercito iracheno, sostenuto da almeno ventimila miliziani, in maggioranza sciiti, ma anche sunniti, stringe d’assedio Tikrit, capoluogo della provincia di Salahuddin, dove a rallentarne le Colloqui con i responsabili dei due Governi rivali L’inviato speciale dell’O nu a Tobruk e a Tripoli TRIPOLI, 24. L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Bernardino León, ha incontrato nelle ultime ore i responsabili dei Governi rivali libici a Tobruk e a Tripoli per discutere «alcune idee per accelerare i colloqui in Marocco». Al primo posto della soluzione proposta da León c’è «un Governo di unità guidato da un presidente e un Consiglio presidenziale composto da personalità indipendenti, non appartenenti ad alcun partito o affiliate ad alcun gruppo e che siano accettabili per tutte le parti e tutti i libici». Nonostante la guerra sul terreno tra le diverse fazioni in Libia — nelle ultime ventiquattro ore si sono registrati scontri nei pressi della capitale e raid contro l’aeroporto di Zintan e a Tarhuna, a circa 80 chilometri a sud-est di Tripoli — si respira un certo ottimismo attorno al dialogo. Tanto che l’inviato speciale dell’Onu ha ieri azzardato l’ipotesi di un accordo per un Governo di unità nazionale già in settimana. Nel frattempo l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, ha dichiarato che i libici devono «smettere di sprecare energie combattendo tra di loro», piuttosto devono «unire le forze contro l’Is e le altre reti terroristiche» che si muovono in Libia, ne va del futuro del Paese e della sicurezza in Europa. Quando lo faranno, l’Ue «sarà pronta ad aiutarli» ma si deve sapere che «siamo a un punto di svolta», nel senso che «o la Libia riparte ed è in grado di affrontare unita la sfida della sicurezza e del terrorismo, o tutto andrà peggio». Come strumento di diplomazia parallela, a Bruxelles sono stati convocati ieri sindaci «di tutte le parti della Libia». Fra i 34, anche rappresentanti di Tripoli, Bengasi, Tobruk, Misurata, Zintan e Az Zawiyah, con l’idea di trovare un’intesa per aiutare il negoziato di Rabat. Azzerati i vertici della polizia tunisina TUNISI, 24. La strage al museo del Bardo di Tunisi poteva, forse, essere evitata. Dopo l’ammissione da parte del presidente Beji Caïd Essebsi che ci sono state falle nella sicurezza prima e durante la strage, le autorità tunisine hanno deciso ieri di azzerare i vertici della polizia. Un segnale forte a quasi una settimana dall’attentato costato la vita a 21 persone di varia nazionalità. A pagare per non aver salvaguardato i visitatori del Bardo sono stati il capo del distretto della sicurezza di Tunisi, il direttore della polizia stradale e quello per la sicurezza dei turisti. E mentre ieri si sono svolti a Torino i funerali di due delle quattro vittime italiane, il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, è giunto oggi in missione in Tunisia. E mentre per motivi si sicurezza è stata rinviata la riapertura del museo del Bardo, il titolare della Farnesina ha visitato le due italiane ferite e ancora ricoverate a Tunisi. Ma la sua permanenza sarà anche l’occasione per incontrare le alte cariche istituzionali, prima il presidente Beji Caïd Essebsi, e poi il ministro degli Esteri, Taïeb Baccouche. operazioni concorrono sia le residue sacche di resistenza dell’Is, sia soprattutto le mine disseminate in tutta la città. «Quando vedremo che è il momento giusto, entreremo il prima possibile», ha dichiarato ieri il ministro della Difesa iracheno, Khaled Al Obeidi, spiegando che l’esercito sta cercando di minimizzare le perdite. Sul versante politico, intanto, la Casa Bianca ha annunciato che il primo ministro iracheno, Haider Al Abadi, sarà ricevuto a Washington il 14 aprile dal presidente Barack Obama. Secondo gli osservatori, la visita precederà di poco la prevista offensiva contro l’Is che dovrebbe concentrarsi su Mosul. Il comunicato della Casa Bianca fa riferimento a colloqui incentrati sulla messa a punto della strategia per passare alla seconda fase della lotta all’Is e sulla necessità, caldeggiata fortemente da Washington, che il Governo iracheno rafforzi la cooperazione tra tutte le comunità del Paese. Smantellata cellula terroristica in Marocco RABAT, 24. Le autorità marocchine hanno smantellato ieri una cellula radicale armata che voleva colpire il Paese e voleva creare uno Stato islamico nel regno. Una operazione condotta in diverse zone del Paese, comprese Marrakesh e Agadir, due delle città marocchine più turistiche, ha portato all’arresto di tredici persone che, secondo gli investigatori, avevano giurato fedeltà al leader del cosiddetto Stato islamico, il califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Nel corso dell’operazione sono state sequestrate pistole e munizioni in un nascondiglio nei pressi di Agadir. «La cellula pianificava attacchi contro politici e membri delle forze di sicurezza» ha rivelato il capo dell’intelligence interna, secondo il quale 1.354 marocchini combattono con gruppi armati in Siria e Iraq, 220 sono tornati in patria e arrestati, 286 sono stati uccisi. A cinque mesi dalle elezioni Torna politico il confronto in Costa d’Avorio di PIERLUIGI NATALIA Il presidente egiziano, a sinistra, con il premier etiope (Reuters) KHARTOUM, 24. I presidenti di Sudan ed Egitto, Omar Hassan el Bashir e Abdel Fattah Al Sissi, e il primo ministro dell’Etiopia, Hailemariam Desalegn, hanno firmato ieri a Khartoum un accordo preliminare relativo al funzionamento della diga del Rinascimento, un impianto in costruzione sul Nilo Azzurro finora all’origine di tensioni soprattutto tra i Governi del Cairo e di Addis Abeba. La diga, in fase di realizzazione in territorio etiopico, dovrebbe essere in grado di erogare seimila megawatt di energia. Il contenzioso internazionale riguarda i diritti di utilizzo delle acque del Nilo sanciti da un trattato di epoca coloniale, risalente al 1929, che ne assegna all’Egitto la parte più rilevante e gli riconosce diritto di veto su tutti i progetti che possano ridurla. Il trattato è da decenni contestato dagli altri Paesi del bacino del più grande fiume africano. Per tutto il Novecento, la posizione egiziana è stata assolutamente rigida. D all’inizio di questo secolo, invece, il Governo del Cairo ha più volte partecipato a tavoli negoziali, pur senza mai fare passi indietro sul punto cruciale, cioè il suo diritto di veto. Un ritorno alla politica si segnala in Costa d’Avorio, uscita da meno di quattro anni da un conflitto civile segnato da stragi e gravi violazioni dei diritti umani. Per la prima volta dall’inizio di questo secolo, infatti, il pericolo di un rigurgito di violenze non sembra incombere sulle elezioni presidenziali in programma tra cinque mesi. L’esito del voto non appare del tutto scontato, sebbene gli osservatori diano per ampiamente favorito il presidente Alassane Dramane Ouattara, ricandidato nello scorso fine settimana in un congresso straordinario del suo partito, il Raggruppamento dei repubblicani (Rdr). Ouattara era stato dichiarato vincitore delle elezioni del 2010, ma riuscì a insediarsi al potere solo nell’aprile del 2011, dopo cinque mesi di scontri. Il presidente uscente, Laurent Gbagbo — oggi sotto processo davanti alla Corte penale internazionale proprio per i crimini commessi in quel periodo — aveva infatti rifiutato di accettare l’esito delle urne. Dopo la cattura di Gbagbo da parte delle milizie di Ouattara, appoggiate dai caschi blu dell’Onu e dai militari del contingente che la Francia mantiene da decenni nell’ex colonia, era stato avviato un processo di normalizzazione, con un tentativo di riconciliazione nazionale. Lo stesso Ouattara aveva dichiarato di considerare proprio questo il suo principale compito e oggi rivendica risultati in questo senso. Tuttavia, in quasi quattro anni non sono mancate critiche al presidente anche da parte delle forze che lo sostengono e ora, in vista delle elezioni, si assiste a un riposizionamento sia nell’ambito dell’opposizione sia in quello della maggioranza. Quella più rilevante riguarda il Partito democratico della Costa d’Avorio (Pdci), fondato da Félix Houphouët-Boigny, che governò il Paese dall’indipendenza dalla Francia nel 1960 fino alla morte nel 1993 (nel primo trentennio fu partito unico e conservò la maggioranza assoluta per altri nove anni dopo che nel 1990 fu introdotto il multipartitismo). Questa volta la direzione del Pdci ha stabilito a maggioranza di non presentare candidati al primo turno delle presidenziali, facendo convergere i suoi voti su Ouattara. La decisione ha spaccato il partito e ha spinto alcuni dirigenti — compreso l’ex primo ministro Charles Konan Banny — a dar vita nei giorni scorsi a una coalizione con dissidenti del Fronte popolare ivoriano (Fpi, principale partito d’opposizione, a suo tempo guidato da Gbagbo) e di altre forze politiche. La nuova aggregazione ha tra i principali promotori Mamadou Coulibaly, che fu a capo del Parlamento durante la presidenza di Gbagbo. Coulibaly ha però precisato di non voler raccogliere solo i vecchi sostenitori di Gbagbo, ma tutti «i delusi, secondo i quali Ouattara non merita un secondo mandato». In ogni caso, si tratta di un fatto nuovo della politica ivoriana che ha già provocato lacerazioni nei principali partiti. Oltre appunto che dal Pdci, sembrano destinati a convergere nella nuova formazione anche molti altri esponenti dall’Fpi, oppositori interni dell’attuale leader Pascal Affi N’Guessan. E secondo alcuni osservatori nei prossimi mesi potrebbero aprirsi crepe anche nell’Rdr di Ouattara. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 25 marzo 2015 Non è facile trovare comunità desiderose di aiutare i più piccoli considerando i loro limiti una fonte di ricchezza Un paradosso che contraddice le parole e i gesti di Gesù Al Museo del Prado Nuova luce sul calvario di Van der Weyden Per una più efficace integrazione delle persone disabili Contro la pastorale della muffa di SILVIA GUSMANO nostri gesti pastorali hanno una progettazione solo per persone sane, giovani, pimpanti» senza prevedere la presenza di famiglie che vivono situazioni di disagio e di limite. «I Henri Matisse, «Ritratto di Ivonne Landberg» (1914). Nell’immagine in alto «Ritratto di Lydia Delectorskaya» (1947) Colpiscono le parole pronunciate da monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, nell’ambito di un recente seminario organizzato a Roma dal settore per la catechesi delle persone disabili della Conferenza episcopale italiana. Parole che rivelano come la comunità ecclesiale talvolta non sia immune a quelle logiche di scarto verso i deboli sempre condannate da Papa Francesco. A parlare, prima di tutto, sono i fatti. In Italia, quasi tutti i bambini che nascono con una disabilità vengono battezzati, ma solo una percentuale minima rispetto ai coetanei, riceve gli altri sacramenti. Ciò significa che nelle Chiese, negli oratori e nei corsi di catechismo per loro raramente c’è posto. Chiunque ha esperienza della disabilità — soprattutto di quella intellettiva — può raccontare con dolore di assemblee ecclesiali respingenti, infastidite da rumori e movimenti insoliti, disturbate nella loro devota concentrazione da forme di preghiera diverse. Fino alla gretta ignoranza di chi arriva a negare i sacramenti. Molto più rari, purtroppo, sono i racconti di comunità desiderose e capaci di andare incontro ai più piccoli, considerando i loro limiti una fonte di ricchezza per tutti. Si tratta di un penoso paradosso che contraddice in modo eclatante le parole e i gesti di Gesù e il cuore stesso del suo insegnamento. Per questo, chi va controcorrente e si batte per trasformare lo straordinario in ordinario, lo fa con grinta e determinazione. Tra loro, suor Veronica Donatello, responsabile del settore disabili nell’ambito dell’Ufficio catechistico nazionale e promotrice del seminario. Da quattro anni a lei spetta il compito di pungolare le coscienze, «trovando risposte nuove a esigenze vecchie», con tenacia e pazienza, dolcezza di modi e risolutezza del linguaggio. Parla di «diritto alla spiritualità» suor Veronica e del «dovere di accompagnare e sostenere le famiglie con disabilità». Invita a «togliersi di dosso la pastorale della muffa e del «s’è sempre fatto così» e rilancia la sfida di Papa Francesco: «andiamo a cercare le novantanove pecore perdute». Se solo una minima percentuale delle persone disabili frequenta la Chiesa, infatti, spetta alla Chiesa andare loro incontro, cercarle, invitarle. È la logica del primear che anticipa i bisogni dei fratelli più deboli e non aspetta che siano essi a bussare alla propria porta. Così suor Veronica racconta dei “piccoli focolai sani” che si stanno moltiplicando in tutto il Paese e del vento nuovo che soffia rafforzando un’ampia rete di sforzi e progetti a livello internazionale. Racconta della parrocchia di Santa Maria di Loreto a Pesaro dove un bambino con disabilità intellettiva ha potuto prepararsi alla Comunione grazie a un lungo e sapiente lavoro da parte dei catechisti, al fianco della famiglia e coinvolgendo tutti i coetanei. E dell’esperienza di formazione portata avanti dalla Conferenza episcopale della Calabria, con grande risonanza sul territorio. Anche monsignor Brambilla auspica una Chiesa propositiva e «in prima linea» e racconta le proprie difficoltà al primo approccio con le persone disabili nell’ambito dove finita la scuola, si apre una stagione a dell’associazione «La nostra famiglia». «Ve- volte interminabile di vuoto e incertezze. nivo dal mondo accademico e quando face- Bisogna porre dunque il disabile adulto, vo lezione non sopportavo il minimo rumo- quanto e più del bambino, al centro della re. Poi, ho allenato l’orecchio e ho impara- vita ecclesiale, nella consapevolezza, seconto a celebrare la messa festosa dei bambini do la famosa espressione di Bonhoeffer, che disabili». La strada per un’integrazione au- «ogni comunità cristiana deve sapere che tentica passa sempre per la conoscenza. Conoscenza dei linguaggi diversi, del signiIn Italia quasi tutti i bambini ficato di gesti e sguardi nuovi, di stati d’animo ed che nascono con una disabilità esigenze che si esprimono vengono battezzati spesso a fatica. E richiede la discrezione e il rispetto di Ma solo una percentuale minima persone consapevoli, che riceve gli altri sacramenti sin dai corsi pre-matrimoniali, includano il discorso sulla disabilità all’interno non solo i deboli hanno bisogno dei forti, della pastorale della famiglia. Fondamentale, inoltre, l’attenzione a tut- ma che questi ultimi non possono essere te le fasi della vita. «Spesso — spiega mon- veramente uomini senza i primi». Sulla signor Brambilla — l’età adulta del disabile stessa scia la riflessione del papà di Beniapuò diventare l’età dimenticata dalla comu- mino, dell’associazione «Fede e Luce»: «È nità cristiana» oltre a rappresentare un mo- difficile credere che proprio questo figlio mento critico dal punto di vista sociale lad- così tutto “al negativo” possa diventare per qualche amico, per uno sconosciuto, per chi lo incontra, un segno importante della sua ricerca del senso della vita, nel suo cammino di conversione», eppure è così. È il cuore di quella teologia della disabilità che prendendo forma dall’esperienza di Jean Vanier può restituire alla persona disabile il posto che le spetta in seno alla società e alla Chiesa. Cristina Gangemi, consulente sulla disabilità dei vescovi di Inghilterra e Galles, ha fondato la sua azione sull’esempio di Vanier. «La strada da fare è ancora lunga — spiega — ma oggi abbiamo un’occasione storicamente unica per cancellare ogni forma di discriminazione e riscoprire il valore della fragilità, la sua capacità di svelarci la presenza di Dio». Appena pochi giorni fa, ricevendo il premio Templeton, Jean Vanier l’ha ribadito con forza: la cultura del potere, del successo, della competizione può essere trasformata in modo straordinario da un incontro profondo con la disabilità. Può essere convertita in cultura dell’amore. E sicuramente nessun luogo più della Chiesa di Cristo è deputato a celebrare questo incontro. Dopo quattro anni di studio e di restauro, il Calvario di Rogier Van der Weyden, una delle grandi opere della collezione di pittura fiamminga che si conserva nel Real Monastero di San Lorenzo dell’Escorial, torna ad essere visibile. Sarà esposto al Museo del Prado di Madrid fino al prossimo 28 giugno. Insieme alla Deposizione dalla Croce, conservata al Prado e al Trittico della Certosa di Miraflores alla Gemäldegalerie di Berlino, è una delle tre sole opere di Van der Weyden documentate da fonti storiografiche. Il Calvario fu dipinto dall’artista quattro anni prima di morire per il Monastero di Scheut — un rione di Anderlecht, presso Bruxelles — ma dopo un lungo giro attraverso l’Europa approdò in Spagna e finì nelle mani di Filippo II. Rogier Van der Weyden, «Calvario» dopo il restauro (1457-1464, particolare) Mostra a Trieste Alla scoperta delle traduzioni latine del Corano Nei meandri di sure e glosse La percezione dell’islam nell’Europa latina: è questa la tematica sulla quale lavora il gruppo di ricerca del progetto Islamolatina, diretto dal filologo Martínez Gázquez. Si tratta di un argomento poco conosciuto, approfondito dal lavoro di questa équipe dell’università di Barcellona: ed è anche grazie ai risultati raggiunti che si è arrivati alla scoperta delle traduzioni latine del Corano che oggi conosciamo. Marie-Thérèse D’Alverny in un suo testo del 1948 dedicato a questo argomento, Deux traductions latines du Coran Siamo intorno alla fine dell’anno 900 In un manoscritto legato all’ambiente del monastero di Ripoll i nomi delle stelle sono traslitterazioni dei termini arabi au Moyen Age, parlava solo di due traduzioni latine, mentre ce ne sono molte altre: oltre a quello che D’Alverny aveva definito il Corpus Toletanum, su cui Pietro il Venerabile basò la sua refutazione dell’islam, e alla traduzione latina legata alla ripresa delle azioni belliche al tempo degli Almohadi, affidata a Marco da Toledo dall’arcivescovo della sua città, Rodrigo Jiménez de Rada, c’è la traduzione che risale al 1475, ad opera di Guglielmo Raimondo Moncada. Di questo testo è giunto fino a noi solo il prologo e le sure 20 e 21. Doveva essere una grande opera, commissionata dal duca di Montefeltro, in cinque lingue, de Arabico in Latinum sermonen uerti, deinde in Hebraicum et postea in Caldeum et Syrum; il traduttore compie una trascrizione delle parole difficili da tradurre e alla fine del testo ne spiega il senso. Abbiamo poi l’Alcoranus latinus del cardinale Egidio da Viterbo del 1518; per la traduzione il porporato aveva incaricato un saraceno convertitosi al cristianesimo, Gabriele Terrolensis. Leo Africanus, invece, si era occupato di rifare le glosse. Al patriarca di Costantinopoli, Cirillus Lucaris, è attribuita la traduzione di quello che appare come un quaderno di lavoro. Mancano delle sure, alcune come la 112 hanno tre traduzioni diverse. In questo breve e sommario excursus ricordiamo anche i testi di Germano di Silesia (1669) e Ludovico Marracci; il suo Alcorani textus uniuersus ex correctionibus Arabum exemplaribus summa sarà utilizzato come base per le traduzioni moderne. Il primo indizio che abbiamo in Spagna dell’interesse cristiano per la scienza araba è il monastero di Ripoll. Siamo intorno alla fine dell’anno 900 e in un manoscritto legato a questo luogo i nomi delle stelle sono delle traslitterazioni dei termini arabi. In ambito monastico, il crescente interesse per l’astronomia nasceva dalla scienza del computo per la determinazione della festa della Pasqua. Il periodo delle grandi traduzioni (XIXII secolo) vede la traduzione delle Tavole di al-Jwārizmī a opera di Pietro Alfonso (1062?-1130), un ebreo converso — che esercitava la professione di medico e si trasferì in Inghilterra — che dice di voler tradurre tutto ciò che gli è possibile, seguendo lo stesso ordine dei testi originali. Walcher de Malvern, astronomo proveniente dalla Lotharingia, arrivato in Inghilterra nel 1091 e Adelardo di Bath (1120-1152) furono suoi allievi: la scienza araba è più sicura, sosteneva quest’ultimo, perché fondata sulla ragione e non sull’autorità (Ego enim aliud a magisteri Arabicis ratione duce didici, tu uero aliud auctoritatis pictura captus capistrum sequeris). La stessa latinità che Roberto da Ketton aveva descritto come ignorante della storia e delle dottrine islamiche adesso era alla ricerca affannosa del testo dell’Almagesto di Tolomeo e fin tanto che non riusciva a trovarlo traduceva tutto quello che poteva essere attinente a quell’argomento. Il traduttore del primo Corano latino si era occupato, e questo era il suo vero interesse, dell’astrologia di al-Kindi. Platone di Tivoli, un italiano che studiava a Barcellona, aveva anche lui riconosciuto il valore dei «grandi tesori degli arabi». Molto numerose furono le traduzioni compiute da Gerardo da Cremona (1114-1187). I suoi allievi ne misero un elenco in una sua piccola biografia allegata al termine della sua ultima traduzione. Aveva trovato l’Almagesto a Toledo e lo aveva tradotto, tutta la sua vita era stata dedicata alle traduzioni dall’arabo. Daniele di Morley (1140-1210) aveva sentito che a Toledo si imparava di più che a Parigi, vi era andato e aveva avuto Gerardo da Cremona come maestro, e in seguito aveva riportato i testi tradotti in Inghilterra. In questo stesso periodo è attivo Domenico Gundissalino, o Gundisalvi, che portò a compimento importanti traduzioni, e fu autore lui stesso di un trattato di filosofia, il De anima. Anche Marco da Toledo tradusse testi scientifici, di medicina in particolare; Michele Scoto aveva tradotto anche testi di alchimia. Non mancarono le critiche islamiche a questo imponente processo di traduzioni: le cronache musulmane parlano di sacerdoti e monaci che dedicavano la vita a studiare le scienze dei musulmani ”esotiche” per tradurle nella loro lingua e confutarle. E li accusano di appropriarsi del materiale contenuto nei testi arabi senza rivelarne la provenienza. Una norma in vigore al mercato di Siviglia fa capire il clima di diffidenza verso i traduttori non seguaci dell’islam: non si potevano vendere testi arabi ai cristiani, soprattutto il Corano. (sara muzzi) In viaggio tra i cristiani d’Oriente Si è aperta il 24 marzo nella Sala Veruda di Palazzo Costanzi a Trieste la mostra «Nostalghia. Viaggio tra i cristiani d’O riente», curata da Annalisa D’Angelo, aperta fino al 13 aprile. Organizzata dal Circolo Linda Dorigo, particolare della locandina della mostra «Nostalghia. Viaggio tra i cristiani d’Oriente» fotografico triestino, l’esibizione propone 32 immagini in bianco e nero di Linda Dorigo frutto di un viaggio di due anni, due mesi e dieci giorni. L’autrice ha attraversato Iraq, Iran, Libano, Egitto, Israele, Territori palestinesi, Giordania, Siria e Turchia alla ricerca di una chiave di lettura del presente interrogando le comunità di cristiani incontrate in quelle terre. Le foto vengono proposte assieme ai testi di Andrea Milluzzi. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 25 marzo 2015 Pellegrino Tibaldi, «Storie di Ulisse. Ulisse e Polifemo» (1550-1551, Palazzo Poggi, Bologna) pagina 5 L’enigmatico nucleo narrativo fecondo per l’ispirazione di tanti poeti è la profezia di Tiresia l’indovino tebano che Odisseo ha evocato dagl’inferi attraverso una fossa comunicante con l’Ade I viaggi di Ulisse nella letteratura Variazioni sul mito la barbarie della violenza omicida e della negazione di Dio, la sfida della grande letteratura, dell’umanesimo di nobile ascendenza greco-latina che costituisce il fondamento stesso di una civiltà — quella occidentale — imbevuta di valori cristiani. Certo, il paradigma ulissiaco al quale si ricollega l’autore di Se questo è un uomo appare depurato di ogni elemento negativo. Non tiene conto della hybris, della smisurata fiducia in se stesso che spinge il personaggio dantesco a tentare un’impresa temeraria, in sostanza sacrilega, prescindendo da qualunque rapporto con la divina trascendenza. E che induce il poeta fiorentino a infliggergli, dopo il fallimento del suo «folle volo», la condanna a un eterno tormento nella bolgia dei consiglieri fraudolenti. In ogni caso, quello dell’Alighieri e di Levi è, per così dire, un “deuteroUlisse”, per il cui profilo — alquanto diverso dall’archetipo omerico — Dante ha un debito soprattutto nei confronti della mediazione latina di Virgilio, Orazio, Ovidio, Stazio. Non coincide con il protagonista della “grande” Odissea, che il medioevo ignorava. Si identifica, semmai, con il protagonista di una “piccola” Odissea incapsulata in una nicchia del poema tradizionalmente attribuito a Omero. Poema che in effetti racchiude, in nuce, un secondo potenziale epos odissiaco: quello che, con allusione al linguaggio degli odierni mass media, viene definito «un sequel della prima e unica Odissea a noi pervenuta» da Maria Grazia Ciani, brillante Ulisse e Tiresia (Cratere a calice, IV secolo prima dell’era curatrice di un’antologia cristiana, Bibliothèque Nationale de France, Parigi) (Il volo di Ulisse, Marsilio, Venezia, 2014, pagine 144, euro 8) in cui si dimonianza sugli orrori della Shoah panano testi di Omero, Dante, Tenche Primo Levi ha consegnato alle nyson, Pascoli e Dallapiccola accopagine di Se questo è un uomo, rima- munati dal carattere di «variazioni ne nitidamente impresso l’episodio sul mito» della ripartenza di Odisimperniato su una reminiscenza dal- seo/Ulisse dopo il ritorno a Itaca e della sua audace navigazione verso la Commedia di Dante. Racconta in quel capitolo il chi- l’ignoto. mico-scrittore come, su richiesta di Quell’enigmatico nucleo narrativo un giovane compagno di prigionia, così fecondo per la posterità, per alsaziano e quindi francofono, desi- l’ispirazione di tanti poeti, anche al deroso di apprendere l’italiano, aves- di là dell’élite riunita in questo voluse avuto una singolare ispirazione: me, consiste nella profezia di Tiresia, cominciò a insegnargli la sua lingua l’indovino tebano che Odisseo, come a partire nientemeno che dal canto racconta egli stesso agli ospitali Feadi Ulisse, recitando (con corredo di ci, ha evocato dagl’inferi attraverso stentata traduzione francese) alcuni una fossa comunicante con l’Ade. brani che aveva memorizzato nel Non solo l’approdo finale a Itaca, corso degli studi liceali. Idealmente, dopo drammatiche peripezie, ha attraverso il recupero di questi versi preconizzato Tiresia a colui che lo immortali, due ebrei umiliati, spo- interrogava; ma anche, uccisi i pregliati della libertà, della dignità, dei tendenti e ristabilita la sua signoria più elementari diritti umani, lancia- sull’isola, un nuovo lungo viaggio firono contro i loro aguzzini, contro no al manifestarsi di un segno decidi MARCO BECK onsiderate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza». Questa notissima terzina di endecasillabi, estrapolazione dall’«orazion picciola» pronunciata da Ulisse (nel canto XXVI dell’Inferno) per incitare i compagni a violare il confine delle Colonne d’Ercole, questo vertice concettuale della cultura europea nel medioevo, questa guglia svettante della poesia dantesca, in un mattino di primavera del 1944 risuonò «come uno squillo di tromba, come la voce di Dio» in uno dei più abominevoli inferni della storia umana: il lager di Auschwitz. Nella memoria di chiunque abbia letto la sconvolgente testi- «C L’ultimo viaggio di Riccardo sivo: l’incontro con un viandante che scambierà per un ventilabro il remo da lui portato a spalla. In quel luogo l’eroe dovrà conficcare in terra il remo e offrire un sacrificio propiziatorio al suo persecutore, Poseidone. Tornato poi definitivamente in patria, potrà attendere il sopraggiungere della morte, che «verrà lontano dal mare» e lo «coglierà dolcemente, al termine di una vecchiaia serena». In seguito, Odisseo riferisce il vaticinio di Tiresia anche a Penelope appena riabbracciata dopo la cruenta purificazione della reggia e l’agnizione tra i due coniugi. E così non fa che accrescere, eccitando la fantasia dei lettori di Omero, il fascino di questo spunto gravido di inespressi sviluppi narrativi e sospeso sopra un abisso che si spalanca oltre l’ultima parola del poema. Uno spunto destinato a diventare un tema universale: «il viaggio di Ulisse come moto perpetuo, incubo ineludibile e sogno necessario» scrive la curatrice. Tematicamente limitato dalla sua dipendenza da fonti latine indirette, Dante scatena la propria illimitata immaginazione etico-teologica elevando al massimo grado di visionarietà l’aspetto nautico dell’esplorazione. Un’analoga aspirazione alla scoperta di mondi sconosciuti, pungolata dall’ansia di esorcizzare l’inerzia della vecchiaia, di tenere in scacco la morte, e da un irresistibile impulso a rimettersi in gioco, è la motivazione che schioda dal trono e dalla pigra convivenza con Penelope l’Ulysses di Alfred Tennyson (18091892), eminente poeta di età vittoriana. Il quale, nella sua inquietante poesia dedicata al re d’Itaca, segue le orme di Dante prendendosi la licenza di “risuscitare” un manipolo di compagni reduci dalle precedenti l’Odissea) e inquadrata nella raccolta dei Poemi conviviali, ha un ampio respiro epico. Geniale l’intuizione su cui si fonda: navigando con un equipaggio di vecchi compagni, anche qui redivivi ma di nuovo destinati tutti a perire, Odisseo ripercorre a ritroso le tappe delle sue antiche peregrinazioni, nell’intento di rinnovare le straordinarie emozioni vissute in passato. Lo attende però un’amara, angosciosa disillusione: se i luoghi non sono mutati, i mitici personaggi che li abitavano (Circe, Polifemo, le Sirene) sono invece scomparsi. Tutto sembra essere Limitato dalla sua dipendenza rientrato nella normalità dell’ovvio. da fonti latine indirette Oppure niente è Dante scatena la propria immaginazione davvero esistito come prima. Travolto elevando al massimo grado di visionarietà da un senso d’irreall’aspetto nautico dell’esplorazione tà, dubitando della sua stessa identità e con il sospetto di avventure marine e pronti ad affron- avere solo sognato le imprese d’un tare una nuova, aleatoria spedizione. tempo, l’eroe, rimasto ancora una Grecista e latinista, appassionato volta solo, finisce il suo ultimo viagfrequentatore dell’Odissea e persino gio e la sua esistenza sull’isola di traduttore dell’Ulysses di Tennyson, Ogigia, dove pietosamente lo raccoGiovanni Pascoli (1855-1912) non po- glie esanime la ninfa Calypso, unica teva non misurarsi con la tradizione creatura sopravvissuta — quasi per “esoterica” connessa alla profezia di ironia del fato — all’estinzione del Tiresia. La sua versione, intitolata magico mondo dell’Odissea. L’ultimo viaggio, articolata in ventiIl quinto e conclusivo anello della quattro brevi canti (a sottolineare catena ulissiaca forgiata da Maria uno stretto rapporto strutturale con Grazia Ciani è anche il più sorpren- Il 26 marzo 1915 veniva pubblicato il primo romanzo di Virginia Woolf Virgole e flusso di coscienza di GABRIELE NICOLÒ Gli amici più intimi l’avevano esortata a essere più diplomatica e non troppo corrosiva nel criticare la società inglese rea di relegare le donne a un ruolo subalterno e nel fustigare le mode letterarie del tempo definite “insulse e vacue”. Il rischio infatti era che venisse reciso sul nascere il filo di una carriera di scrittrice che si annunciava assai promettente. Ma Virginia Woolf, pur consapevole della fondatezza di queste argomentazioni, proseguì per la sua strada. E dopo un lungo andirivieni di revisioni (scrisse oltre mille fogli) vide finalmente la luce il suo primo romanzo The Voyage out: era il 26 marzo di cent’anni fa. La prima bozza era stata redatta nel 1910, ma la scrittrice, non solo meticolosa, ma anche molto insicura di quanto veniva producendo — una costante questa che ne contraddistinse l’intero itinerario artistico — mise mano più volte all’intreccio che sarebbe stato completato cinque anni dopo. Una gestazione travagliata, dunque, ma che in nuce già rivelava la grandezza della scrittrice londinese. La protagonista, Rachel Vinrace, aveva quel carattere sanguigno, volitivo e, nel contempo, tormentato e vulnerabile che sarà poi il tratto distintivo delle figure III Non fu un uomo di pace, i tempi in cui visse non glielo consentirono, ma fu anche un uomo animato da un’ardente devozione, che cercò di garantire ordine e giustizia attraverso la legge. Davanti alla bara contenente i resti del re Riccardo III, nella cattedrale di Leicester, il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, ha ricordato così la figura del sovrano nell’omelia della messa celebrata lunedì 23 marzo. È dunque cominciato l’ultimo viaggio di Riccardo III, che dopo più di cinquecento anni troverà, giovedì 26, quella degna sepoltura che gli era stata negata. I resti del monarca — durante una cerimonia officiata dal primate anglicano Justin Welby — saranno posti all’interno di una nuova tomba in pietra calcarea. E durante il rito verrà letto un messaggio della regina Elisabetta II. Sono arrivati in tanti, da tutto il mondo, per l’ultimo tributo al Plantageneto, le cui ossa sono state ritrovate, sotto dente e il meno conosciuto. Si tratta del libretto dell’Ulisse, opera in due atti con prologo scritta e musicata, con tecnica dodecafonica, dal compositore d’origine istriana Luigi Dallapiccola (1904-1975). Attraverso una sequenza di scene emblematiche, relativamente aderenti al tracciato omerico, il poeta-musicista delinea la figura di un navigatore perennemente in viaggio su mari reali e metaforici, sospinto da un’inesausta capacità di «guardare, meravigliarsi, e tornar a guardare», da un’inquieta tensione verso il mistero di una verità sempre sfuggente: «Porti in te stesso tutte le tempeste», lo ammonisce Circe. Finché, nell’epilogo, la profonda religiosità di Dallapiccola imprime all’inveramento della profezia di Tiresia uno scatto metafisico. Solo su una barca in mare aperto, intento a fissare il cielo notturno, Ulisse chiede alle stelle un’impossibile rivelazione sul suo destino ultimo, sull’esito della sua affannosa ricerca. Il firmamento tace. Ma l’eroe, come per effetto di un’improvvisa illuminazione, pronuncia una parola inaudita, una parola di speranza che equivale a un presentimento di fede proiettata oltre il politeismo pagano: «Signore!». E quell’esclamazione è subito seguita da un sospiro di pacificazione che simbolicamente si riverbera sull’inquietudine esistenziale dell’uomo contemporaneo: «Non più soli sono il mio cuore e il mare». un parcheggio della città inglese, nel 2012. Circa quarantamila persone il 23 marzo hanno seguito la processione del corteo funebre che ha attraversato il Leicestershire, partendo dal luogo della battaglia di Bosworth, in cui il sovrano morì, nel 1485, fino alla cattedrale della città. Imponente il corteo funebre: un carro trainato da cavalli neri trasportava la bara in legno realizzata da un discendente del sovrano. Molti tenevano in mano una rosa bianca, simbolo della casata York, a cui il re apparteneva e che uscì sconfitta dalla guerra delle Due rose, vinta dai Lancaster. Su Riccardo III grava l’impietosa rappresentazione che ne fece Shakespeare: gobbo e perfido, incarnazione della corruzione del potere. Un uomo che, rimasto solo nel campo di battaglia (e nel mondo), prima di essere trafitto dalla spada, riesce solo a gridare: «Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!». femminili cui avrebbe arriso fama imperitura: da miss Dalloway a miss Ramsay di To the lighthouse, il suo capolavoro. Eppure il romanzo d’esordio era stato accolto, dagli addetti ai lavori, con non poca perplessità. Lo scrittore Edward Morgan Forster definì il libro “strano” perché parlava di un Sud America che non si sarebbe potuto trovare su una mappa e di una barca che nessuno sarebbe stato in grado di vedere solcare le acque del mare. Ma al di là di quelle che potevano essere le imperfezioni legate all’immaturità di un’artista all’esordio, ai più sfuggì lo spessore del tormento interiore che scava nell’animo di Rachel, sospinta dal desiderio di valicare gli opprimenti confini della realtà londinese per tentare un’evasione e un riscatto spirituale in un continente tanto decantato quanto ignoto. La protagonista è insofferente delle convenzioni che penalizzano la donna nell’ambito delle varie realtà sociali: e il suo «stillicidio di pensiero» è seguito da Woolf con un linguaggio mobile, fluido, dinamico che aderisce come colla al fluire raziocinante di Rachel per poi esprimerlo nel minimo dettaglio. Ecco allora che già si profilano i primi dettami di quello stream of consciousness che — grazie anche al decisivo apporto di James Joyce e di Italo Svevo — avrebbe gettato i presupposti per la creazione del romanzo moderno. Nel 1923 Woolf scrisse The Common reader, un manifesto letterario cui avrebbe tenuto fede lungo tutto il cammino della sua produzione letteraria. Scagliandosi contro i cosiddetti autori «materialisti» (Arnold Bennet, Herbert George Welles, John Glasworthy) la scrittrice rivendicò, con coraggio e lungimiranza, il valore dell’anima e delle passioni, delle idee e dei pensieri, anche i più reconditi. E in questo inedito scenario pure la punteggiatura, come si riscontra anche in The Voyage out, viene a costituire una novità: essa, infatti, tende a non seguire le regole e le consuetudini per meglio dare voce al respiro e alle intonazioni del personag- gio. Ecco allora che la punteggiatura (l’imprevedibile collocazione della virgola o la sua assenza giocano in tale sentire narrativo un ruolo chiave) concepita in precedenza come un “ferro del mestiere” tradizionale e scontato, assume in Woolf la stessa funzione che il monologo interiore riveste nel romanzo: seguire passo passo il flusso di coscienza disdegnando, per amore di verità, schemi prestabiliti e stantii. E per ricordare i cent’anni dalla pubblicazione del romanzo d’esordio della scrittrice londinese è uscito nei giorni scorsi in Spagna il libro Virginia Woolf, La vida por escrito (Taurus) della giornalista argentina Irene Chikiar Bauer. L’opera era stata pubblicata per la prima volta, a Buenos Aires, nel 2012. Si tratta di una biografia molto dettagliata, che segue la vicenda esistenziale e letteraria di Woolf: una parabola tormentata, che si concluse con il suicidio. La giornalista argentina mette in luce l’inestricabile nesso tra realtà e finzione che già dal principio è presente e agisce nella scrittrice. Quel senso di ribellione che porta la protagonista di The Voyage out a scrollarsi di dosso l’ingombrante e polverosa eredità vittoriana è lo stesso che brucia nell’animo di Virginia, parimenti delusa e insofferente di una vita che «non riusciva mai a decollare» e di un mondo letterario «gretto», ancorato al passato, dominato da mode passeggere e, soprattutto, timoroso di esperimenti e audaci novità. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 25 marzo 2015 Gli ostacoli all’annuncio cristiano secondo l’«Evangelii gaudium» Missione e conformismo mondano L’autore dell’articolo ha scritto sullo stesso tema il libro «Rekindling the Christic Imagination: Theological Meditations for the New Evangelization» (Collegeville, Liturgical Press, 2014). di ROBERT P. IMBELLI Nel dramma dell’immigrazione Una sfida per l’Europa di FRANCESCO MONTENEGRO Nel mondo si spostano circa 230 milioni di uomini (si può dire che costituiscono un altro continente). Quando i popoli si muovono nulla resta più come prima, sia sul piano politico che economico. Molti sono costretti a fuggire dai loro Paesi. L’esodo di queste popolazioni non è il “male”, ma il “sintomo” di un male: quello di un mondo ingiusto, in larga misura caratterizzato da conflitti e situazioni di estrema povertà, ed è anche denuncia dell’idea di un Occidente, fulcro della civiltà, che va indebolendosi. D’altra parte, anche lo scambio di capitali finanziari, di merci, di servizi, di tecnologia sono frutto della globalizzazione, che porta con sé, ugualmente, il fenomeno delle migrazioni. Tuttavia, mentre favoriscono i flussi economici e commerciali, spesso i Governi scoraggiano il movimento di persone. Quando, poi, mancano o sono insufficienti normative adeguate per far fronte a situazioni inattese, non è difficile costatare le negative ricadute sugli enti locali e regionali, che non di rado si trovano disorientati nella gestione di una realtà tanto complessa che coinvolge donne e uomini, ma anche minori non accompagnati e persone in stato di vulnerabilità e, in modo crescente e drammatico, anche rifugiati, vittime di guerre, di violenze, di violazioni dei diritti umani, di tratta, di traffici illeciti. Sono un vescovo che vive al confine sud dell’Italia e, pertanto, mi confronto con la situazione di questo Paese, dove, in meno di vent’anni, l’immigrazione è decuplicata e in soli cinque anni è più che raddoppiata. L’Italia, con gli Stati Uniti d’America, è stato negli anni scorsi il Paese a più alta pressione migratoria e ciò ha riflessi nella vita sociale, economica e culturale della nazione, in particolare negli ambiti del lavoro, della famiglia e della scuola. Premio per la pace al cardinale Tauran ROMA, 24. Il cardinale JeanLouis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, è uno dei tre vincitori del «Premio per la Pace 2015», promosso dalla Fondazione Ducci e giunto alla sua VIII edizione. Gli altri premiati sono Ekmeleddin Ihsanoğlu, segretario generale emerito dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, e Yael Dayan, politica e scrittrice israeliana. Il premio viene assegnato alle personalità delle tre religioni monoteiste maggiormente impegnate nella promozione del dialogo. La cerimonia della consegna del premio avverrà il 25 marzo a Roma, nella Sala della Protomoteca del Campidoglio. Questo e altri elementi cambiano le città, la nazione, l’Europa. In questi anni sono stato testimone del percorso dei migranti che attraversano il Mediterraneo. Lampedusa, che significa sia faro (dal latino lampas, fiaccola) sia pietra d’inciampo (dal greco lèpas, scoglio), è l’isola delle contraddizioni. In piccolo, è il mondo. Chi la abita vuole trasferirsi altrove, mentre per chi arriva dal continente africano è l’inizio del nord migliore. Sogno questo che per molti si trasforma in tragedia: sono sepolti nella tomba liqui- Intervento a Strasburgo Anticipiamo, quasi integralmente, l’intervento che il cardinale arcivescovo di Agrigento, presidente della commissione dell’episcopato italiano per le migrazioni, tiene nel pomeriggio di oggi, martedì 24, al Consiglio d’Europa di Strasburgo in occasione del congresso su «Risposte locali alle sfide dei diritti umani. La migrazione, la discriminazione, l’inclusione sociale». da, che è il Mediterraneo, più di 20.000 annegati. Eppure in queste acque, nel corso dei secoli, popolazioni diverse si sono incontrate e confrontate. Dall’altra parte del mare ci sono uomini e donne che vogliono vivere più dignitosamente. Di fronte a queste aspettative e ai tentativi di raggiungerle, c’è l’atteggiamento dei nostri Paesi che vedono con preoccupazione questi afflussi, non disgiunti da altre sfide, come, a esempio, il fatto che nuove politiche economiche nel continente africano ed eventuali nuovi assetti del Mediterraneo potrebbero destabilizzare consolidati equilibri economici, politici e sociali del vecchio continente. Tra i desideri di quella gente e la nostra paura c’è la gente di Lampedusa, modello nuovo e vecchio di convivenza e di rispetto possibili. I lampedusani ci insegnano che, come non si possono fermare i sogni e il vento, così non si può fermare la storia. È una storia che ha visto arrivare a Lampedusa, in Sicilia e Calabria, tra il 2011 e oggi, quasi 300.000 persone. Nel 2011 l’Italia aveva un piano-asilo centrato su grandi strutture di accoglienza e su un piano nazionale per l’integrazione, che prevedeva solo 3.000 posti, realtà insufficiente a garantire un’accoglienza dignitosa di fronte alla massiccia crescita del flusso migratorio. Il volontariato laico ed ecclesiale spesso ha supplito le istituzioni nell’accoglienza. Già da allora s’invoca un piano europeo e una modifica degli accordi di Dublino per favorire una maggiore e libera circolazione dei richiedenti asilo e rifugiati che hanno familiari e comunità di riferimento nei diversi Stati. La situazione è poi esplosa nel 2014, quando sulle coste e nei porti del sud Italia sono arrivate 170.081 persone, tre volte il numero delle persone arrivate negli anni 2012-2013 (56.192). Un ruolo importante in questi viaggi della speranza l’hanno avuto le forze armate di mare, diventate un grande strumento umanitario. Dopo i 366 morti nella tragedia del 3 ottobre 2013, l’Italia ha iniziato l’operazione Mare nostrum che, diversamente da Frontex, non solo controllava i confini, ma presidiava il Mediterraneo fino a pochi chilometri dalle coste libiche e salvava i migranti. L’operazione ha salvato migliaia di migranti e, al tempo stesso, ha permesso di catturare oltre 700 trafficanti. Purtroppo, negli ultimi mesi abbiamo dovuto confrontarci, con profondo dolore e delusione, con la morte di oltre 300 persone. Ora l’Europa sta rivedendo la sua politica migratoria e si spera che ciò porti a una gestione delle frontiere nel Mediterraneo rispettosa dei diritti umani di quanti lo attraversano. La Santa Sede auspica che gli Stati membri europei possano condividere efficaci misure comuni per affrontare questioni di prioritaria importanza, come l’assistenza di emergenza ai richiedenti asilo e la creazione di canali umanitari per facilitare le procedure burocratiche e ridurre i centri di detenzione, la protezione dei minori non accompagnati, il ricongiungimento familiare e il contrasto alla migrazione irregolare per vincere la battaglia contro il contrabbando e il traffico di esseri umani, che il Santo Padre Francesco ha definito «piaga vergognosa del nostro tempo». Le misure normative, che l’Unione europea è chiamata oggi ad assumere in campo migratorio, possono diventare un modello per altre aree del mondo, se non dimenticano la storia di grande esperienza umanitaria del continente europeo e le sue radici nel rispetto della dignità di ogni persona. Inoltre, siamo tutti consapevoli che non si può abbassare la guardia sulle nuove fragilità e sulla povertà degli immigrati. La precarietà e l’irregolarità lavorativa esigono che si affronti il tema dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, dentro un quadro di regolamentazione dei flussi. È una prospettiva nuova che richiede un cambiamento legislativo, ma soprattutto chiede la consapevolezza che non possono esistere situazioni riconosciute di illegalità e di sfruttamento lavorativo, che non permettono la cittadinanza e la tutela, o alimentano mafie, corruzione e sfruttamento a danno del Paese ospitante, oltre che degli stessi immigrati. La dignità della persona umana e la sacralità della vita richiedono una riflessione critica, che coinvolga tutte le componenti delle comunità più vicine ai migranti, nei Paesi di origine, di transito e di destinazione dei flussi migratori. Inoltre, va incoraggiata la molteplicità delle responsabilità, in cui le istituzioni internazionali, le autorità nazionali e locali, la società civile, le associazioni e i singoli individui si sentano chiamati a lavorare in sinergia per evitare che la migrazione diventi l’unica scelta possibile. Le migrazioni sono oggi, per l’Europa, la grande sfida umana. Nel tracciare il percorso della evangelizzazione, Papa Francesco avverte, con discernimento, degli ostacoli che si possono incontrare. Mette in guardia contro il “lato oscuro” del secolarismo: l’individualismo che alimenta, il relativismo che diffonde, il consumismo che celebra, la mentalità dello “scarto” che segue la sua scia. Francesco attinge anche agli insegnamenti della Chiesa sulla giustizia sociale per denunciare il rapace sistema economico che produce una povertà disumanizzante, sia materiale che culturale, per molti. Ma Francesco sottolinea anche con franchezza gli ostacoli alla gioiosa proclamazione del Vangelo che si trovano all’interno della Chiesa stessa. Tra questi, cita la mancanza di una vera condivisione collegiale dei doni e il clericalismo motivato più dalla ricerca del potere che dal servizio al Vangelo. E il suo discernimento si mostra ancora più profondo. Il Papa spesso ammonisce contro la “spiritualità mondana” che non è più ancorata a Cristo e allo Spirito e che va alla deriva, senza meta. Troppo spesso permettiamo agli altri di fissare l’agenda, invece di consentire a Cristo e al suo Vangelo di guidare i nostri impegni. Si rammarica: «La cultura mediatica e qualche ambiente intellettuale a volte trasmettono una marcata sfiducia nei confronti del messaggio della Chiesa, e un certo disincanto. Come conseguenza, molti operatori pastorali, benché preghino, sviluppano una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana e le loro convinzioni. Si produce allora un circolo vizioso, perché così non sono felici di quello che sono e di quello che fanno, non si sentono identificati con la missione evangelizzatrice, e questo indebolisce l’impegno. Finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri e per avere quello che gli altri possiedono. In questo modo il compito dell’evangelizzazione diventa forzato e si dedicano ad esso pochi sforzi e un tempo molto limitato» (Evangelii gaudium, n. 79). L’unico rimedio a tale alienazione è la conversione: volgersi nuovamente alla persona di Gesù Cristo e alla gioia dell’incontro con lui. Quindi il Papa scrive: «Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché “nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore”» (n. 3). Francesco ribadisce qui ciò che ha spesso sottolineato in omelie e discorsi: il centro del Vangelo è il misticismo più che il moralismo. Certo, i cristiani devono andare in aiuto dei poveri e degli oppressi. Devono interessarsi al degrado ambientale e all’intolleranza e alla persecuzione religiosa. Ma questa sensibilità morale deriva da una visione che c’interpella e ci sostiene: la visione del Signore che è stato crocifisso per la nostra giustificazione ed è risorto per la nostra salvezza. In definitiva, l’amore di Gesù ci spinge. Così scrive Francesco: «La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo Previsto l’arrivo di migliaia di persone La settimana santa a Taizé TAIZÉ, 24. Con l’approssimarsi della settimana santa i giovani di Taizé si preparano a vivere un momento di comunione e di riflessione all’interno della comunità. Anche quest’anno sono migliaia le persone attese a Taizé. Per la domenica delle Palme, alle 9.15, l’appuntamento è previsto alla sorgente di Saint-Étienne, luogo abitualmente dedicato alla passeggiata e al silenzio. Da lì i giovani saliranno a piedi, fino alla chiesa della Riconciliazione, con i ramoscelli di ulivo in mano, per partecipare alla celebrazione eucaristica. Giovedì santo, alle 20.30, assisteranno alla tradizionale lavanda dei piedi. Venerdì, alle 15, una campana suonerà per tre minuti invitando tutti i presenti a Taizé a raccogliersi in silenzio. Alle 20.30, durante la preghiera, la croce sarà poi portata in processione nella chiesa da frère Alois e dai confratelli. Domenica di Pasqua, alle 10, nella chiesa della Riconciliazione, sarà celebrata infine l’eucaristia della Risurrezione, al termine della quale sarà pronunciata, in diverse lingue, l’acclamazione: «Cristo è risorto. È veramente risorto». bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale» (n. 264). Francesco condivide con il Papa emerito Benedetto XVI la convinzione che il compito evangelico è di promuovere un nuovo e rinnovato incontro con il mistero di Dio in Cristo. Entrambi insistono sul fatto che la nostra comunicazione deve essere “mistagogica”: deve cioè portare a una più profonda consapevolezza dell’inesauribile mistero del nostro Dio salvatore. Tale comunicazione riconosce l’importanza dell’immagine e del simbolo, dell’arte e della poesia. Esorta gli evangelizzatori, gli omelisti e i teologi ad appellarsi non solo alla verità e al bene, ma anche alla bellezza. Francesco raccomanda di «recuperare la stima della bellezza per poter giungere al cuore umano e far risplendere in esso la verità e la bontà del Risorto… La formazione nella via pulchritudinis sia inserita nella trasmissione della fede. È auspicabile che ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di trasmettere la fede in un nuovo “linguaggio parabolico”» (n. 167). Il tema della “novità” di Gesù Cristo permea la Evangelii gaudium. Cristo risorto è al centro della Buona Novella che ci sforziamo di vivere e di condividere. Papa Francesco cita sant’Ireneo: «[Cristo] nella sua venuta, ha portato con sé ogni novità». Poi il Santo Padre commenta: «Egli sempre può, con la sua novità, rinnovare la nostra vita e la nostra comunità, e anche se attraversa epoche oscure e debolezze ecclesiali, la proposta cristiana non invecchia mai... Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”» (n. 11). Il motivo per cui gli evangelizzatori possono avventurarsi coraggiosamente persino nelle più lontane periferie, è che il Centro è sicuro: Gesù Cristo «lo stesso ieri, oggi e sempre!» (Ebrei, 13, 8). Poiché Cristo risorto è sempre nuovo, rende nuove tutte le cose. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 25 marzo 2015 pagina 7 Teodor Jozef Tekel «Sacra famiglia» (2001, Slovacchia) Messa a Santa Marta Cristiani? Sì, ma... Quanti si dicono cristiani ma non accettano «lo stile» con cui Dio vuole salvarci? Sono quelli che Papa Francesco ha definito «cristiani sì, ma...», incapaci di comprendere che la salvezza passa per la croce. E Gesù sulla croce — ha spiegato il Pontefice nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta martedì 24 marzo — è proprio «il nocciolo del messaggio della liturgia di oggi». Nel brano evangelico di Giovanni (8, 21-30), Gesù dice: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo...» e, preannunciando la sua morte in croce, ricorda il serpente di bronzo che Mosè fece innalzare «per guarire gli israeliti nel deserto» e di cui si legge nella prima lettura tratta dal Papa, agire «secondo il loro pensiero, scegliere la propria strada di salvezza». Ma quella strada «non portava a niente». Un atteggiamento che incontriamo ancora oggi. Anche «fra i cristiani», si è chiesto Francesco, quanti sono «un po’ avvelenati» da questa scontentezza? Sentiamo dire: «Sì, davvero, Dio è buono, ma cristiani sì, ma...». Sono quelli, ha spiegato, «che non finiscono di aprire il cuore alla salvezza di Dio» e «sempre chiedono condizioni»; quelli che dicono: «Sì, sì, sì, io voglio essere salvato, ma per questa strada». È così che «il cuore diviene avvelenato». È il cuore dei «cristiani tiepidi», che hanno sempre qualcosa di cui lamentarsi: «“Il Signore, ma perché mi ha fat- Michelangelo «Il serpente di bronzo» (1511) libro dei Numeri (21, 4-9). Il popolo di Dio schiavo in Egitto — ha spiegato il Papa — era stato liberato: «Loro avevano visto davvero miracoli. E, quando avevano avuto paura, nel momento della persecuzione del faraone, quando erano davanti al Mar Rosso, hanno visto il miracolo» che Dio aveva compiuto per loro. Il «cammino di liberazione» cominciò perciò nella gioia. Gli israeliti «erano contenti» perché «liberati dalla schiavitù», contenti perché «portavano con sé la promessa di una terra molto buona, una terra soltanto per loro» e perché «nessuno di loro era morto» nella prima parte del viaggio. Anche le donne erano contente perché avevano con loro «i gioielli delle donne egiziane». Ma a un certo punto, ha continuato il Pontefice, nel momento in cui «si allungava il cammino», il popolo non sopportò più il viaggio e «si stancò». Perciò cominciò a parlare «contro Dio e contro Mosè: perché ci avete fatto uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto?». Cominciò «a sparlare: a sparlare di Dio, di Mosè», dicendo: «Qui non c’è pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero, la manna». Gli israeliti, cioè, «si sentivano nauseati dell’aiuto di Dio, di un dono di Dio. E così quella gioia dell’inizio della liberazione diviene tristezza, mormorazione». Probabilmente preferivano «un mago che con la bacchetta magica» li liberasse e non un Dio che li facesse camminare e che «in un certo modo» gli facesse «guadagnare la salvezza» o «almeno meritarla in parte». Nella Scrittura si incontra «un popolo scontento» e, ha fatto notare Francesco, «lo sparlare è una via d’uscita di questa scontentezza». Nella loro scontentezza «si sfogavano, ma non si accorgevano che con questo atteggiamento si avvelenavano l’anima». Ecco quindi l’arrivo dei serpenti, perché «così, come il veleno dei serpenti, in questo momento, questo popolo aveva l’anima avvelenata». Anche Gesù parla del medesimo atteggiamento, di «questo modo di essere non contento, non soddisfatto». Riferendosi a un passo riportato nei Vangeli di Matteo (11, 17) e di Luca (7, 32), il Pontefice ha detto: «Gesù, quando parla di questo atteggiamento dice: “Ma a voi chi vi capisce? Siete come quei ragazzi in piazza: vi avevamo suonato e non avete danzato; abbiamo cantato canti di lamento e non avete pianto. Ma nessuna cosa vi soddisfa?”». Il problema, cioè, «non era la salvezza, la liberazione», perché «tutti volevano questo»; il problema era «lo stile di Dio: non piaceva il suono di Dio per danzare; non piacevano i lamenti di Dio per piangere». Allora, «cosa volevano»? Volevano, ha spiegato il to questo?” — “Ma ti ha salvato, ti ha aperto la porta, ti ha perdonato tanti peccati” — “Sì, sì, è vero, ma..”». Così l’israelita nel deserto diceva: «Io vorrei acqua, pane, ma quello che mi piace, non questo cibo così leggero. Io sono nauseato». E anche noi «tante volte diciamo che siamo nauseati dello stile divino». Ha sottolineato Francesco: «Non accettare il dono di Dio col suo stile, quello è il peccato; quello è il veleno; quello ci avvelena l’anima, ti toglie la gioia, non ti lascia andare». E «come risolve il Signore que- sto? Con lo stesso veleno, con lo stesso peccato»: cioè «lui stesso prende su di sé il veleno, il peccato e viene innalzato». Così guarisce «questo tepore dell’anima, questo essere cristiani a metà», questo essere «cristiani sì, ma...». La guarigione, ha spiegato il Papa, viene solo «guardando la croce», guardando Dio che assume i nostri peccati: «Il mio peccato è lì». Invece «quanti cristiani muoiono nel deserto della loro tristezza, della loro mormorazione, del loro non volere lo stile di Dio». Questa la riflessione per ogni cristiano: mentre Dio «ci salva e ci mostra come ci salva», io «non sono capace di tollerare un po’ una strada che non mi piace tanto». È «quell’egoismo che Gesù rimproverava alla sua generazione», la quale diceva di Giovanni Battista: «Ma no, era un indemoniato». E quando è venuto il Figlio dell’uomo lo ha definito un “mangione” e un “beone”. «Ma chi vi capisce?», ha detto il Papa aggiungendo: «Anche io, con i miei capricci spirituali davanti alla salvezza che mi dà Dio, chi mi capisce»? Ecco allora l’invito ai fedeli: «Guardiamo il serpente, il veleno lì nel corpo di Cristo, il veleno di tutti i peccati del mondo e chiediamo la grazia di accettare i momenti difficili; di accettare lo stile divino di salvezza; di accettare anche questo cibo così leggero del quale si lamentavano gli ebrei»: la grazia, cioè, «di accettare le vie per le quali il Signore mi porta avanti». Francesco ha concluso augurandosi che la Settimana santa «ci aiuti ad uscire da questa tentazione di diventare “cristiani sì, ma...”». In Slovacchia il cardinale Baldisseri sulla cultura della vita Rivoluzione della tenerezza Gioia, responsabilità e tenerezza: solo con questi atteggiamenti il cristiano può rispondere in concreto all’interrogativo: «che cosa possiamo fare per diffondere la cultura della vita?». Li ha indicati il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, intervenendo martedì 24 marzo, a Bratislava a un incontro organizzato dalla Conferenza episcopale slovacca. Invitato dall’arcivescovo presidente Stanislav Zvolenský, il porporato ha contestualizzato la sua riflessione nello spazio intersinodale in cui la Chiesa sta riflettendo e approfondendo la vocazione e la missione della famiglia, in vista dell’assemblea ordinaria dell’ottobre prossimo. Dopo aver ricordato il ventennale dell’Evangelium vitae, l’enciclica che Giovanni Paolo II ha dedicato a questo tema, il relatore ha accennato alla cultura della vita nel magistero di Papa Francesco. Il quale — ha spiegato — invita «ad “allargare” il fronte della lotta». Ciò contro cui si deve combattere infatti «non è solo la manipolazione della vita resa oggi possibile dalla perniciosa alleanza tra biotecnologie sofisticate e ideologie libertarie, spesso patrocinata da gruppi di potere», ma an- Visita speciale organizzata dall’Elemosineria apostolica Porte aperte ai Musei vaticani per centocinquanta senzatetto Visita speciale ai Musei vaticani e alla Cappella Sistina per un gruppo di centocinquanta senzatetto. Per iniziativa della Elemosineria apostolica guidata dall’arcivescovo Konrad Krajewski, giovedì 26 marzo le bellezze artistiche vaticane potranno essere ammirate anche dai poveri che solitamente di san Pietro conoscono solo i gradini del colonnato. La visita è fissata nel primo pomeriggio: gli ospiti faranno il loro ingresso in Vaticano all’entrata del Petriano dove saranno divisi in tre gruppi, ciascuno affidato a una guida, e dove riceveranno gli auricolari per ascoltare le spiegazioni. Prima di arrivare ai Musei i gruppi godranno di un privilegiato percorso all’interno dello Stato, passando davanti alla Casa Santa Marta, proseguendo dietro l’abside della basilica di San Pietro, poi attraverso il piazzale della Zecca, lo stradone dei Giardini e il Cancello di Gregorio. La prima sezione dei musei a essere visitata sarà quella recentemente riallestita del padiglione delle Carrozze, dopodiché i visitatori, attraverso la Scala Simonetti, accederanno alle gallerie superiori (dei Candelabri e delle Carte geografiche) fino ad arrivare alla Cappella Sistina. Il capolavoro di Michelangelo sarà uno spettacolo totalmente riservato agli ospiti della Elemosineria: per l’occasione, infatti, la chiusura al pubblico sarà anticipata (ultimo ingresso alle ore 16). Dopo la spiegazione delle guide e una preghiera comune, l’intero gruppo sarà accompagnato nel posto di ristoro dove verrà offerta la cena. La fine della visita è prevista per le 19.30. che «l’inaccettabile umiliazione della vita prodotta da un patto scellerato tra politica ed economia di mercato». Infatti, ha aggiunto, per il Pontefice «la cultura della vita fa tutt’uno con l’“opzione per i poveri”», che è «ben diversa dal vago e facile assistenzialismo». Nonostante ciò, ha avvertito il cardinale Baldisseri, Papa Bergoglio «insegna a non indulgere al disfattismo e a evitare le polarizzazioni. Il suo non è un pensiero “contro”, ma “per”; non è un “no”, ma un “sì”. Si tratta di assumere un nuovo stile, in cui i contenuti irrinunciabili del vangelo della vita siano tutti ribaditi e proclamati, ma con l’attenzione a evitare la tentazione» di imporre “fardelli insopportabili”. Questa, ha osservato, «è la grande rivoluzione di Francesco: la rivoluzione dei linguaggi e degli atteggiamenti, nella fedeltà integrale alla dottrina di sempre; la rivoluzione della tenerezza e della misericordia, che in modo spontaneo richiama alla mente le parole pronunciate all’inizio del concilio Vaticano II da Giovanni XXIII». Da qui l’esortazione a passare dalla lotta alla proposta, perché — come ha osservato Benedetto XVI — «su mentalità contraccettiva, aborto, eutanasia, abbandono terapeutico, fecondazione artificiale, manipolazioni genetiche, umiliazione dell’istituzione familiare, ideologia del gender, la posta in gioco è altissima». Però, ha subito precisato il porporato, «questo grido d’allarme non deve indurci al pessimismo e alla rassegnazione, né può giustificare anatemi». Al contrario, esso «va sempre strettamente unito — e subordinato — alla dimensione positiva della cultura della vita, a ciò che la rende qualcosa di creativo e originale, una proposta di significato e di valori». Infine nell’ultima parte del suo intervento il cardinale ha messo in relazione lo stretto legame esistente tra vangelo della vita e vangelo della famiglia, alla luce del “doppio Sinodo” voluto da Francesco. Soffermandosi in particolare sulla relatio synodi approvata al termine dell’as- semblea straordinaria del 2014 e sui lineamenta del prossimo, ha invitato a ripartire dall’Humanae vitae. Purtroppo, ha dett0, è spesso prevalsa una lettura parziale e tendenziosa dell’enciclica di Paolo VI. Per cui «l’auspicata recezione del documento si potrà realizzare nella misura in cui riusciremo a mostrare il “rovescio della medaglia”, proclamando la bellezza e la grandezza dell’amore sponsale secondo il progetto divino. Anche ora Papa Francesco ci schiude la strada, additandoci quello che potremmo chiamare il “metodo del sì”». E in proposito il cardinale ha confidato che nelle osservazioni che stanno pervenendo alla segreteria sinodale in vista del nuovo instrumentum laboris, «il riferimento all’Humanae vitae ritorna sovente, a dimostrazione che le varie istanze ecclesiali e i singoli fedeli colgono bene il legame inscindibile tra vangelo della famiglia e vangelo della vita». Nel tardo pomeriggio infine, in occasione della giornata del bambino concepito e della ricorrenza della manifestazione delle candele, il cardinale ha presieduto nel duomo di San Martino, alla presenza di numerose famiglie, la celebrazione eucaristica della vigilia della festa dell’Annunciazione. Nomina episcopale in Ecuador La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Ecuador. Bertram Víctor Wick Enzler, vescovo di Santo Domingo en Ecuador Nato in Waldkirch, nella diocesi svizzera di Sankt Gallen, l’8 marzo 1955, ha frequentato le scuole medie e superiori presso il collegio dei verbiti di Marienburg e ha ottenuto il baccalaureato a Lucerna. Nel 1980 è entrato nel seminario maggiore di Innsbruck. Nel 1990 è stato inviato come missionario nell’arcidiocesi di Portoviejo, entrando nell’Istituto ecuadoriano Santa Maria del fiat. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale l’8 dicembre 1991, incardinandosi nell’arcidiocesi di Guayaquil. Per tre anni ha svolto l’incarico di vicario parrocchiale e nel 1994 è stato nominato parroco nella penisola di Santa Elena. Nel 2005 è stato trasferito a Guayaquil, nella parrocchia di Gesù Buon Pastore. Dal 2009 è stato parroco di Santa Madre de la Iglesia in Los Ceibos e successivamente di Santa Elena. Il 26 ottobre 2013 è stato nominato vescovo titolare di Carpi e ausiliare di Guayaquil, ricevendo l’ordinazione episcopale il successivo 30 novembre. Il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali in Ungheria Quando Maria piange La «follia cieca di chi pensa di agire in nome di Dio macchiandosi di orribili delitti», come «accade in Siria, in Iraq, in Pakistan, in Nigeria», è una delle sofferenze più grandi che «oggi circondano il cuore di Maria». Lo ha affermato il cardinale Leonardo Sandri Celebrazione della Via crucis per i dipendenti del Governatorato Con l’invito a guardare «a Cristo, al suo esempio, al suo percorso di salvezza», seguendone «le orme dalla croce alla gloria», si è conclusa la Via crucis nei giardini vaticani, alla quale hanno partecipato martedì mattina, 24 marzo, i dipendenti del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Guidati dal cardinale presidente Giuseppe Bertello e dal vescovo segretario generale Fernando Vérgez Alzaga, rappresentanti dei vari settori di lavoro hanno portato la croce lungo le quattordici stazioni, alternandosi nella lettura delle meditazioni. La processione è partita dalla fontana di San Giuseppe, nei pressi dell’edificio del Governatorato, e ha percorso alcuni viali dei giardini, giungendo sino alla grotta di Lourdes. aprendo martedì 24 marzo in Ungheria — dove è in visita da domenica su invito dei vescovi grecocattolici del Paese — le celebrazioni del terzo centenario del santuario ungherese di Máriapócs. Rievocando la prodigiosa lacrimazione dell’icona mariana, avvenuta nell’agosto 1715, il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali ha ricordato le tragedie dei nostri giorni che continuano a provocare «le lacrime di Maria». La quale, ha detto, «piange quando la vita degli innocenti è sterminata, quando la famiglia è insidiata, quando vede in noi figli smemorati e cristiani tiepidi»; ma piange anche «per l’indifferenza di fronte ai tanti drammi del nostro mondo: dalle migliaia di emigranti morti nel Mediterraneo ai profughi stipati nei campi del Medio oriente, palestinesi, siriani, iracheni». Nonostante ciò, ha sottolineato, la Vergine non cessa «di farsi presente e accompagnare il cammino dell’uomo», continuando «a inter- cedere perché il torrente della grazia possa effondersi copioso sul mondo intero». Per questo il porporato ha affidato in modo particolare alla sua intercessione l’anno santo della misericordia annunciato da Papa Francesco, al quale ha anche rivolto uno speciale ringraziamento per aver recentemente riorganizzato la Chiesa greco-cattolica ungherese, elevando Hajdúdorog a metropolia, Miskolc a eparchia ed erigendo la nuova eparchia di Nyíregyháza. «Non si fermi l’impegno della vita cristiana, e la gioia di evangelizzare la società secolarizzata» ha raccomandato ai fedeli bizantini, invitandoli soprattutto a pregare affinché «il Signore conceda alle tre circoscrizioni ecclesiastiche orientali in Ungheria il dono di tante vocazioni, ugualmente distribuite tra il sacerdozio celibatario e quello sposato: entrambe sono un dono per la Chiesa e vanno promosse». Di un «passaggio epocale» da vivere in spirito di «servizio e do- no di sé» il cardinale aveva parlato il giorno prima accogliendo proprio nella cattedrale di Hajdúdorog l’icona della Madonna di Máriapócs, a conclusione del pellegrinaggio attraverso le Chiese del Paese. «La metropolia sui iuris ungherese — aveva detto — dovrà essere sempre artefice di comunione: al suo interno anzitutto, nei confronti dei fratelli della Chiesa latina, con i fratelli cristiani di altre confessioni, con i credenti di altre religioni e con gli uomini e donne di buona volontà». Al termine della celebrazione mariana il porporato aveva rivolto parole di riconoscenza al cardinale Peter Erdő, che «ha accompagnato la vita della Chiesa greco-cattolica ungherese», e aveva donato al metropolita di Hajdúdorog Fülöp Kocsis — presente, tra gli altri, insieme al nunzio apostolico Bottari de Castello e a metropoliti e vescovi di diverse Chiese — la medaglia del pontificato di Papa Francesco, e un calice.
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