L`OSSERVATORE ROMANO

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004
Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00
L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 68 (46.906)
Città del Vaticano
mercoledì 25 marzo 2015
.
Volo della Germanwings si schianta sulle Alpi
L’Annunciazione della Madre di Dio secondo Efrem il Siro
Sciagura aerea in Francia
Come un seme
nel nostro giardino
Centocinquanta morti tra passeggeri e membri dell’equipaggio
PARIGI, 24. Un aereo di linea della Germanwings,
compagnia low cost del gruppo Lufthansa, si è
schiantato questa mattina contro una montagna
nei pressi di Barcelonnette, un comune del dipartimento delle Alpi dell’alta Provenza, in Francia.
L’Airbus A320 era partito alle ore 9.55 da Barcellona ed era diretto a Düsseldorf. L’aereo è scomparso dai radar intorno alle 10.40. Secondo
«France Info», il velivolo avrebbe urtato contro
una montagna. Aveva a bordo 150 persone (144
passeggeri e sei membri dell’equipaggio).
Per il sito specializzato nel monitoraggio di voli
«Flightradar24», la rotta era anomala. L’aereo sarebbe salito a 38.000 piedi per scendere in pochi
minuti a 6.800 piedi quando il segnale è stato
perso. Il luogo del disastro aereo è stato localizzato fra i 900 e i 1450 metri di altezza nel massiccio
dei Trois Évêchés. Si tratta — dicono gli esperti —
di una zona impervia e di difficile accesso. Circa
240 pompieri e tre squadroni della gendarmeria
mobile sono partiti in direzione della zona.
Il presidente francese, François Hollande, è in
contatto con il cancelliere tedesco, Angela Merkel,
che ha cancellato tutti gli impegni. Hollande ha
inoltre incontrato il re di Spagna Filippo VI, a Parigi per una visita ufficiale. Subito dopo l’incontro, quest’ultimo ha annullato la visita. Il ministro
dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve, si sta
recando sul luogo dell’incidente. Il ministro dei
Trasporti, Alain Vidalies, ha annunciato che non
ci sono sopravvissuti tra le 150 persone a bordo.
Tuttavia il portavoce del ministero dell’Interno,
Pierre-Henry Brandet, ha precisato poco dopo
che «fin quando i mezzi terrestri non saranno arrivati, non si può dire con certezza se ci siano superstiti». La Moncloa, intanto, ha comunicato che
le vittime spagnole sono 45.
La compagnia Lufthansa ha espresso il suo cordoglio tramite l’amministratore delegato Carsten
Spohr: «Non sappiamo ancora cosa sia successo
al volo: la mia vicinanza alle famiglie e amici dei
passeggeri e dell’equipaggio».
All’insegna della cooperazione per la ripresa europea vertice tra Merkel e Tsipras
Nessun duello
Momento dell’incontro tra il cancelliere Merkel e il premier Tsipras (Ap)
y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!%!?!,!
In Afghanistan
strage
di innocenti
KABUL, 24. Un duplice attentato
sanguinario fa strage di innocenti
in Afghanistan. Almeno sei bambini sono morti ieri nella provincia meridionale di Khost, quando
un ordigno è esploso sul terreno
su cui avevano appena cominciato
una partita di cricket. Lo riferisce
oggi l’agenzia di stampa Pajhwok,
secondo cui altri dieci bambini
sono rimasti feriti. Il vice capo
della polizia di Ghazni, Asadullah Insafi, ha sostenuto che l’ordigno esplosivo era stato collocato su una bicicletta e che è stato
attivato a distanza non appena il
gruppo di bambini ha cominciato
una partita di cricket. Secondo
Insafi la responsabilità dell’attentato va attribuita ai talebani, per i
quali il cricket non è compatibile
con l’islam e quindi i giovani non
dovrebbero giocarlo.
Intanto, la notte scorsa un
commando armato ha aperto il
fuoco contro un autobus in viaggio nella provincia centrale afghana di Maidan Wardak, uccidendo
13 persone. Lo ha reso noto oggi
il governatore ad interim della
provincia, Ataullah Khugyani. Il
responsabile ha precisato che l’attacco è avvenuto nel distretto di
Sayeed Abad, lungo la statale fra
Kabul e Ghazni. Il governatore
non ha chiamato in causa direttamente i talebani per la responsabilità dell’attacco, lasciando aperta la possibilità, visto che i militanti avevano il volto coperto, che
possa essersi trattato dell’opera di
un gruppo legato al cosiddetto
Stato islamico, che sta cercando
di consolidarsi in Afghanistan.
BERLINO, 24. Cinque ore. Un colloquio decisivo per il futuro dell’Europa. Ieri sera a Berlino
il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il premier greco, Alexis Tsipras, si sono confrontati
a tutto tondo su una serie di temi cruciali nel
negoziato per la riqualificazione dell’economia
greca. Il commento unanime sulle bocche dei
leader al termine dell’incontro è stato «cooperazione». Atene è «pronta a rispettare gli impegni ma la condizione è che ci sia giustizia
sociale» ha detto Tsipras. «Vogliamo che la
Grecia sia forte economicamente, che cresca e
che venga fuori dalla disoccupazione» ha spiegato Merkel.
Resta aperto il nodo delle riforme che Atene ha promesso ai creditori alla fine del summit di tre ore svoltosi venerdì scorso a Bruxelles, a margine del Consiglio europeo su Ucraina e sul piano Juncker. La Grecia presenterà
all’Eurogruppo entro lunedì prossimo la lista
di riforme economiche che, se giudicata sufficiente dalle istituzioni europee, potrebbe consentire lo sblocco degli aiuti economici attesi
da Atene.
Come sottolineano gli esperti, le privatizzazioni saranno probabilmente uno dei principa-
li ostacoli nel dialogo tra l’Ue e la Grecia. In
effetti, le privatizzazioni dovrebbero contribuire per quattro miliardi di euro al bilancio solo
quest’anno. Ma in passato le privatizzazioni
sono state completamente disattese da tutti i
tre precedenti Governi greci. Tsipras ora non
vuole vendere beni dello Stato, anche se ha
accettato, in linea di principio, di non bloccare
le cessioni che erano state già avviate, come
quelle cinesi del 66 per cento del Porto del Pireo. È stata invece bloccata la messa sul mercato della società per la produzione dell’energia elettrica, Dei, e della società di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica.
Altro punto critico sarà la riforma del sistema pensionistico. Unione europea, Bce e Fmi
sono preoccupati per i privilegi eccessivi ancora presenti in caso di prepensionamento e la
necessità di collegare i benefici al sistema contributivo e non a quello retributivo. In base
all’accordo tra l’Ue e il Governo Samaras, la
Grecia avrebbe dovuto approvare una legge di
fusione dei fondi di previdenza, e tuttavia su
questo punto il Governo Tsipras resiste, perché ciò comporterebbe un ulteriore taglio delle
pensioni, insomma un’altra stretta di austerità.
Il presidente Hadi chiede aiuto al Consiglio di cooperazione del Golfo persico
Offensiva degli huthi nel sud dello Yemen
SAN’A, 24. Rischia di aggravarsi ulteriormente la crisi nello Yemen, dove
i ribelli sciiti huthi — che già controllano il nord e San’a — hanno
sferrato ieri un’offensiva nel sud
contro le forze fedeli al presidente
Abd Rabbo Mansour Hadi, che è
riuscito il mese scorso a fuggire dalla
capitale e rifugiarsi ad Aden. Quest’ultimo ha chiesto un intervento
militare del Consiglio di cooperazio-
ne del Golfo persico e l’imposizione
di una «no-fly zone» per fermare
l’avanzata delle milizie sciite huthi.
Arabia Saudita, Bahrein, Emirati
Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar
sperano ancora in una soluzione negoziata della crisi, ma «prenderanno
le misure necessarie, se ve ne sarà bisogno, per difendere la sovranità
dello Yemen, che i ribelli sciiti huthi
stanno cercando di conquistare inte-
ramente» ha detto il ministro degli
Esteri saudita, Saud Al Faisal, in dichiarazioni trasmesse dalla televisione Al Jazeera.
Sul terreno si continua a combattere. Secondo fonti della sicurezza,
dopo la presa dell’aeroporto di Taiz,
terza città dello Yemen a 180 chilometri a nord di Aden, diverse migliaia di truppe huthi, assieme ai reparti delle forze armate legate all’ex
presidente Ali Abdullah Saleh, stanno avanzando verso la roccaforte di
Hadi, fronteggiati da tribù sunnite
locali. Fra gli obiettivi dei ribelli
sciiti huthi vi è anche il controllo
dello stretto di Bab Al Mandab, corridoio marittimo strategico che collega il Mar Rosso con il Golfo di
Aden, di fatto controllando l’accesso
al canale di Suez: attraverso di esso
passa quasi il quaranta per cento del
traffico marittimo globale.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Provvista di Chiesa
Proteste anti-sciite nella città yemenita di Taiz (Epa)
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo di Santo Domingo en
Ecuador (Ecuador) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Bertram Víctor Wick
Enzler, finora Vescovo titolare
di Carpi e Ausiliare di Guayaquil.
«Annunciazione» (evangeliario siriaco,
XIII
di MANUEL NIN
a festa dell’Annunciazione
della Madre di Dio è una
delle poche che troviamo
lungo la quaresima nelle tradizioni
liturgiche orientali. Al suo sviluppo
contribuì anche l’omiletica siriaca.
Efrem la commenta nel secondo inno sulla natività del Signore, un testo dove il poeta canta il mistero
dell’incarnazione del Signore e
dell’annuncio fatto da Gabriele a
Maria.
Già nella prima strofa la parola
di Efrem è una lode, unita a quella
delle schiere celesti, per il mistero
che redime il genere umano: «Del
tempo illustre segnato per la redenzione mi rendo anch’io partecipe nell’amore e mi allieto. Voglio
lodarlo con canti puri, rendere gloria a quel bimbo che ci ha
redenti». Le profezie veterotestamentarie sono applicate a Cristo
stesso che si manifesta come re, sacerdote e agnello, con riferimenti
molto evidenti di carattere sacramentale al battesimo, al perdono
dei peccati e all’eucaristia: «La cetra dei profeti che l’annunciarono,
l’issopo dei sacerdoti che lo amarono, il diadema dei re sono di quel
Signore dei vergini, la cui madre è
anch’essa vergine. Poiché è re, ha
dato a tutti la regalità; poiché è sacerdote, ha dato a tutti il perdono;
poiché è l’agnello, distribuisce a
tutti il cibo».
Diverse volte Efrem fa riferimento alla vera divinità e vera umanità
di Cristo con l’immagine della paternità divina e la maternità umana: «Degna di memoria la madre
che l’ha generato, degno di benedizioni il seno che l’ha portato, come
pure Giuseppe, per grazia chiamato padre del Figlio vero, il cui Padre è glorificato». Poi Maria stessa
canta il mistero dell’incarnazione
del Verbo: «Mi ha fatto gioire perché io l’ho concepito; mi ha magnificato poiché io l’ho generato.
Nel suo paradiso vivente io sto per
entrare e dargli lode nel luogo dove Eva fallì. Di me si è compiaciuto, al punto da essergli madre, poiché l’ha voluto, e da essermi figlio,
poiché gli è piaciuto». E in un’altra strofa la lode della madre diviene anche quella della Chiesa: «Con
la bocca dei miei martiri io rendo
grazie per aver accolto il bimbo, figlio dell’invisibile uscito alla visibilità. Su una cima eccelsa mi sollevi
con i miei santi, per rendere gloria
a colui che si chinò e si fece piccolo nella mangiatoia».
L
secolo, monastero di Mor Gabriel Tur Abdin)
Efrem presenta poi il tema
dell’annuncio fatto dagli angeli agli
uomini con l’immagine dell’unica
sorgente che è Cristo stesso e delle
dodici sorgenti, gli apostoli, che vi
attingono: «Voci celesti ti hanno
annunciato ai terrestri. Sorgente
nuova che i celesti hanno aperto
per i terrestri assetati di vita. O
fonte non gustata da Adamo! Dodici sorgenti parlanti essa ha aperto, che hanno riempito di vita il
mondo». Il poeta accosta poi le
immagini di Cristo nuovo Adamo
nato dalla vergine al primo Adamo
fatto dalla terra vergine.
Nella seconda parte dell’inno
Efrem introduce il tema dell’annunciazione e si sofferma sull’atteggiamento di preghiera con cui
Maria accoglie l’annuncio di Gabriele: «Cosa faceva colei che era
casta nel momento in cui Gabriele,
il messaggero, volando discese
presso di lei? Lo vide nel momento
della preghiera, perché anche Daniele aveva visto Gabriele durante
la preghiera. Preghiera e buona novella, sua parente, è giusto che
esultino vicendevolmente, come
Maria ed Elisabetta sua parente».
Segue una serie di esempi biblici
del rapporto tra preghiera e annuncio di salvezza: la fine del diluvio,
la preghiera di Abramo, la preghiera del centurione.
Quindi anche quella che è la più
grande delle notizie trova Maria
orante: «Tutte le buone notizie
giungono al porto della preghiera.
La notizia delle notizie, causa di
tutte le gioie, trovò Maria in preghiera». E quasi per pudore presenta l’arcangelo come un vegliardo il cui aspetto non doveva turbare Maria: «Gabriele, come un vecchio nobile e grave entrò e la salutò, affinché lei non tremasse, affinché la giovane modesta, alla vista
di un volto giovane, non si rabbuiasse».
Infine Efrem, con immagini molto belle, presenta i tre personaggi
— Daniele, Elisabetta e Maria — cui
Gabriele viene mandato: «A due
casti vegliardi e alla vergine, solo a
essi fu mandato Gabriele con le
buone notizie. Uno generò la rivelazione della parola di Dio, l’altra
la voce del deserto e la vergine il
Verbo dell’altissimo». E l’inno si
conclude con il tema della kènosis
del Verbo di Dio che «restrinse se
stesso fino a riempire il piccolo
grembo di Maria. Poi come un seme nel nostro giardino e un piccolo raggio per la nostra pupilla, sorse, si diffuse e riempì il mondo».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
mercoledì 25 marzo 2015
Militare colombiano
durante un’operazione di sminamento
Intervento della Santa Sede
L’AVANA, 24. Il Governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie
della Colombia (Farc) hanno cominciato ieri all’Avana la prima riunione tecnica per finalizzare lo storico accordo annunciato il 7 marzo
per lo sminamento del territorio.
Una delegazione tecnica del Governo, composta principalmente da alti
ufficiali militari, è giunta a Cuba
per sostenere con i negoziatori un
ciclo di colloqui che si terrà in parallelo e nel luogo delle trattative di
pace avviate nel novembre 2012.
È la prima volta — sottolineano
gli analisti — che le due parti si siedono al tavolo per definire la tabella di marcia per l’attuazione del
programma di sminamento che dovrebbe iniziare entro sei settimane,
stando al ministro del Dopoguerra,
il generale a riposo Óscar Naranjo.
La delegazione governativa comprende il direttore dell’organizzazione Acción contra Minas della presidenza della Repubblica, generale
Rafael Colon, il delegato del Ministero della Difesa e delle Forze Armate per lo sminamento, il generale
di brigata Néstor Robinson, il comandante del Battaglione per lo
sminamento umanitario (Bides), colonnello Willington Benítez, e la
consigliera Marisol Peñaloza.
In difesa dei diritti
delle donne
Pubblichiamo la traduzione italiana
dell’intervento pronunciato il 13 marzo
scorso dall’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico, osservatore permanente della Santa Sede presso
l’Onu a New York, in occasione della
59ª sessione della Commissione sulla
condizione delle donne (New York, 920 marzo 2015).
Signora Presidente,
La mia delegazione è lieta che la
Commissione abbia scelto di riflettere sulla Dichiarazione e sulla Piattaforma d’azione di Pechino, nella
prospettiva di presentare l’avanzamento e l’uguaglianza delle donne
in un’Agenda di Sviluppo post2015.
Ci sono stati progressi notevoli a
favore della causa delle donne in
molti Paesi, specialmente negli ambiti dell’educazione, della rappresentanza politica e della partecipazione economica. Le donne, sempre
più, stanno anche guidando importanti sforzi pubblici e privati per
portare rimedio alla discriminazione, alleviare la povertà e affrontare
una miriade di altre sfide con le
quali oggi si confrontano le donne.
Tra Farc e Governo colombiano
Colloqui
sullo sminamento
Il conflitto tra le Farc e il Governo colombiano ha causato, secondo
le stime ufficiali, la morte di almeno
220.000 persone. Come detto, dal
2012 sono in corso negoziati tra le
parti, condotti dapprima a Oslo e
successivamente all’Avana. Basato
su un’agenda negoziale composta
da cinque punti — riforma agraria e
Aprirà tra un anno
il nuovo
Canale di Panamá
PANAMÁ, 24. Da 4.400 fino a
14.000. È la capacità di container
delle navi che potranno attraversare
il Canale di Panamá quando, tra circa un anno, l’opera sarà completata
e inaugurata. Una rivoluzione per il
commercio marittimo mondiale, con
il Panamá che vedrà raddoppiare fino a cinque miliardi di dollari annui
i suoi ricavi lordi. L’opera alla fine
costerà circa 5,8 miliardi di dollari,
una cifra maggiore dei 3,3 stimati
inizialmente. Anche di questi costi
extra — al centro di un contenzioso
che si preannuncia lungo — potranno parlare direttamente in queste
ore in un incontro ufficiale il presidente panamense, Juan Carlos Varela, e l’amministratore delegato della
Salini Impregilo, Pietro Salini, dopo
un primo vertice tenuto a Roma tre
settimane fa. Il gruppo italiano è infatti il leader operativo di un grande
consorzio internazionale.
sviluppo rurale, partecipazione politica, fine del conflitto armato, blocco della produzione e della vendita
di stupefacenti, rispetto dei diritti
umani — il dialogo tra Governo e
guerriglieri prosegue in direzione di
una tregua bilaterale, come auspicato anche dal presidente colombiano,
Juan Manuel Santos.
Visite all’Avana di Lavrov e Mogherini
Missioni internazionali
a Cuba
L’AVANA, 24. Nuovi passi si segnalano nel processo di disgelo internazionale con Cuba, avviato a dicembre dall’annuncio della fine del
contrasto con gli Stati Uniti — e
più in generale con l’Occidente —
durato oltre cinquant’anni. Alla luce di tale sviluppo può essere letta
anche la visita nell’isola che vedrà
oggi impegnato Serghiei Lavrov,
ministro degli Esteri della Russia,
tradizionale principale alleata di
Cuba. Il Governo di Mosca è infatti deciso a non far mancare il
suo sostegno in questa fase a quello dell’Avana.
Nel contesto della mutata situazione causata dal disgelo annunciato dai presidenti cubano Raúl Castro e statunitense Barack Obama
si iscrive a maggior ragione la missione che conduce sempre oggi
nell’isola l’alto Rappresentante per
la politica estera e di sicurezza co-
mune dell’Unione europea, Federica Mogherini.
In parallelo a quelli con
Washington, il Governo cubano ha
proseguito in questi giorni anche i
negoziati con l’Unione europea avviati un anno fa per giungere alla
firma di un accordo politico e di
cooperazione. La scorsa settimana,
il capo negoziatore europeo, Christian Leffler, ha riferito di «progressi sostanziali».
Fermata
e rilasciata
la figlia di Ledezma
CARACAS, 24. Antonieta Ledezma,
la figlia del sindaco di Caracas antichavista, Antonio Ledezma, è
stata liberata ieri dal Servizio Bolivariano di Intelligence (Sebin)
che poche ore prima l’aveva fermata all’aeroporto internazionale
Maiquetia della capitale venezuelana. Tuttavia gli agenti hanno sequestrato il passaporto della ragazza. Il deputato oppositore Richard Blanco, che era stato il primo a denunciare l’arresto della figlia ventenne di Antonio Ledezma, ha confermato la notizia, scrivendo su Twitter che Antonieta «è
uscita dalla sede del Sebin, ma le
hanno trattenuto il passaporto».
Esponente dell’opposizione, Ledezma è stato arrestato lo scorso
febbraio con l’accusa — sostenuta
dal presidente Nicolás Maduro —
di far parte di un presunto piano
per far cadere il Governo con il
sostegno di Washington.
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
[email protected]
www.osservatoreromano.va
Il presidente cubano Raúl Castro (Ap)
Mosca critica Washington
per l’invio di armi a Seoul
MOSCA, 24. La Russia, tramite un
comunicato del ministero degli
Esteri, ha avvertito oggi gli Stati
Uniti che l’invio di sistemi di difesa antimissile alla Corea del Sud
potrebbe minacciare la sicurezza
nella regione.
L’Amministrazione di Washington ha fatto sapere di voler dispiegare sistemi a lungo raggio Thaad
in Corea del Sud come deterrente
alle provocazioni militari del regime di Pyongyang.
«Un tale sviluppo può solo causare preoccupazione per l’influen-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
la lotta per l’uguale accesso delle ragazze all’educazione, specialmente a
un’educazione di qualità, sia un elemento indispensabile nella lotta per
il progresso delle donne.
Signora Presidente,
Domenica 8 marzo Papa Francesco ha inviato il suo saluto a tutte le
donne nel mondo, sottolineando
che “[u]n mondo dove le donne sono emarginate è un mondo sterile,
perché le donne non solo portano la
vita ma ci trasmettono la capacità di
vedere oltre”, in altre parole “ci trasmettono la capacità di capire il
mondo con occhi diversi”. Il contributo delle donne a un mondo migliore comprende la generosità di
servire in modo gratuito e di accogliere, piuttosto che escludere.
La mia Delegazione ribadisce la
disponibilità di Papa Francesco a lavorare con tutti coloro che cercano
ogni giorno di costruire un mondo
che tratti concretamente le donne
come uguali, nella diversità dei doni
e delle forze, per il bene comune
più grande di tutti.
Grazie, Signora Presidente.
Forum marittimo
tra Giappone e Indonesia
za distruttiva della difesa missilistica globale degli Stati Uniti sulla
sicurezza internazionale», si legge
in una dichiarazione del ministero
degli Esteri russo. «In una regione
dove la situazione è già estremamente complicata in termini di sicurezza, questo potrebbe servire
come nuovo impulso a una corsa
agli armamenti nell’Asia nordorientale e complicare ulteriormente ogni soluzione della questione
nucleare nella penisola coreana»,
aggiunge la nota pubblicata dal
ministero degli Esteri russo.
Servizio vaticano: [email protected]
Tuttavia, nonostante gli ammirevoli sforzi e gli importanti progressi
ancora troppe donne continuano a
doversi confrontare con la discriminazione e con molte forme di violenza per il solo fatto di essere donne. Pertanto, tutti gli attori devono
continuare a dedicare il massimo
sforzo per ovviare a tali violazioni.
Signora Presidente,
l’obiettivo di sradicare la povertà,
in particolare la povertà estrema, è
al centro delle preoccupazioni della
Santa Sede. La Chiesa cattolica ha
un’esperienza quasi senza eguali per
quanto riguarda i bisogni dei poveri, grazie al suo impegno bimillenario e alle centinaia di migliaia di
programmi e istituzioni che servono
le donne e gli uomini poveri in tutto il mondo. Papa Francesco non si
stanca mai di esortare i leader mondiali e tutti noi a dare la priorità alla piaga della povertà e a usare la
ricchezza per servire l’umanità, e
non il contrario.
La promozione di economie inclusive ed eque ha un impatto profondo sul miglioramento dello status delle donne. Di fatto, le donne
vivono disagi economici unici legati
a politiche d’impiego ingiuste, stipendi diversi per lo stesso lavoro,
negazione dell’accesso a crediti e a
proprietà, vittimizzazione nelle situazioni di conflitto e migrazione.
Sebbene le donne costituiscano la
maggioranza dei poveri e siano colpite dal fardello della povertà in
modi molto specifici, esse sono però
coraggiosamente in prima linea nella lotta per sradicare la povertà
estrema. Da questa prospettiva, la
lotta per l’avanzamento delle donne
deve anche significare che si assicuri
loro uguale accesso alle risorse, ai
capitali e alla tecnologia.
Tenendo conto di questi svantaggi che molte donne devono ancora
subire, occorre formulare le risposte
alla povertà con obiettivi coraggiosi
e attuarle con mezzi sufficienti, di
modo che possano avere un impatto
concreto sulla promozione delle
donne.
Diversi studi hanno dimostrato
che strutture familiari fragili e il declino del matrimonio tra i poveri sono collegati in modo molto stretto
alla povertà tra le donne. Le madri
single vengono lasciate sole a crescere i bambini. Molte madri in situazioni di difficoltà non riescono a
mandare i figli a scuola, facendoli
così entrare nel circolo vizioso della
povertà e dell’emarginazione. Sebbene i governi e la società non creino famiglie, hanno però ruoli fondamentali da svolgere nel sostenere
famiglie sane e favorire il ruolo genitoriale. Numerose relazioni della
Segreteria Generale hanno sottolineato la centralità della famiglia per
lo sradicamento della povertà e lo
sviluppo sostenibile.
La Santa Sede prende nota della
relazione dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
diritti umani sui problemi e gli attacchi che le ragazze continuano a
subire nell’accedere all’educazione.
La mia Delegazione è convinta che
TOKYO, 24. Giappone e Indonesia
hanno lanciato un Forum marittimo
bilaterale per la cooperazione e la
sicurezza, rafforzando con l’aiuto
nipponico infrastrutture portuali e
potenziamento della guardia costiera indonesiane. Lo hanno concordato ieri il premier nipponico, Shinzo
Abe, e il presidente indonesiano,
Joko Widodo, in Giappone per una
visita di Stato di quattro giorni.
Le parti hanno convenuto pure
sulla cooperazione bilaterale in missioni di pace e nello sviluppo di attrezzature per la difesa. I due leader
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
hanno inoltre concordato un’iniziativa congiunta su commercio e investimenti, con Tokyo che ha offerto
140 miliardi di yen (1,1 miliardi di
euro) in prestiti a tasso agevolato
per un sistema di trasporto rapido
di massa a Giakarta. Il Forum marittimo è maturato nell’ambito del
progetto indonesiano di fungere da
collegamento tra gli oceani Pacifico
e Indiano e dare priorità allo sviluppo di infrastrutture marittime, alla
costruzione di porti in acque profonde e alle reti logistiche per sostenere trasporto via mare e turismo.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Arrestati
duecento cristiani
in Pakistan
ISLAMABAD, 24. La polizia pakistana ha arrestato oggi circa
duecento persone a Youhanabad, quartiere cristiano di Lahore, per il linciaggio di due persone avvenuto il 15 marzo scorso
in seguito agli attentati talebani
contro due chiese.
Le forze dell’ordine — riferisce
l’agenzia Asia News — non hanno reso noto dove hanno portato gli arrestati. Per il momento
ai familiari è stata negata la possibilità di mettersi in contatto
con i loro cari. La situazione nel
quartiere è tesa e molte persone
iniziano ad abbandonare la zona. Leader religiosi e attivisti
politici hanno chiesto che le
persone arrestate siano rilasciate.
Il 15 marzo scorso due talebani si sono fatti esplodere all’ingresso di due chiese, causando
la morte di 19 persone e il ferimento di oltre settanta. In risposta agli attentati la folla ha
ucciso due persone, sospettate
di essere coinvolte nelle esplosioni, ma poi rivelatesi estranee
ai fatti.
Impegno indiano
per le minoranze
religiose
NEW DELHI, 24. L’India si impegna a proteggere le minoranze religiose nel Paese, in particolar
modo i cristiani vittime di svariati attacchi. Questo il messaggio
lanciato ieri dal ministro dell’Interno indiano, Rajnath Singh, nel
corso di una funzione religiosa
nel Punjab. «Nel momento in cui
ci sarà un attacco a un tempio, a
una moschea o a una chiesa — ha
detto — allora prenderemo tutte
le misure necessarie e in maniera
decisa». Non bisogna «avere
paura: le minoranze religiose fanno parte di questo Paese» ha aggiunto. Anche il capo del Governo indiano, Narendra Modi, ha
più volte sottolineato nelle scorse
settimane l’impegno del suo Esecutivo nel contrastare le violenze
contro le minoranze religiose.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
[email protected]
Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Banca Carige
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 25 marzo 2015
pagina 3
Il luogo di un attentato
nella capitale irachena (Epa)
Sulla questione palestinese
Sempre più distanti
le posizioni
di Israele e Stati Uniti
TEL AVIV, 24. «L’unico modo per
salvaguardare a lungo termine la
sicurezza di Israele è una pace globale con i palestinesi» sulla base
della soluzione dei «due Stati per
due popoli, che vivano uno a fianco all’altro in sicurezza e pace».
Con queste parole Denis McDonough, capo dello staff del presidente statunitense Barack
Obama, ha definito
ieri la posizione di
Washington dopo le recenti elezioni politiche
in Israele vinte
dal Likud di
Benjamin Netanyahu.
La Casa Bianca ha espresso
inoltre dure critiche nei confronti
di alcune dichiarazioni di Netanyahu,
rilasciate prima del
voto, nelle quali
il leader israeliano si diceva
contrario alla
costituzione di
uno Stato palestinese. Washington — ha ribadito il capo dello staff della Casa Bianca — «sostiene e ha sostenuto i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi».
Le parole di McDonough sembrano dunque prospettare un nuovo raffreddamento delle relazioni
tra i due storici alleati, Israele e
Stati Uniti. E infatti, come sottolineano le agenzie internazionali, i
toni della Casa Bianca sono stati
particolarmente duri: «Un’occupazione che dura da circa cinquant’anni deve finire». Il popolo
palestinese
—
ha
aggiunto
McDonough — «ha il diritto di vivere e di governare se stesso in un
suo Stato sovrano». L’impegno per
la soluzione dei due Stati «è fondamentale per la politica america-
na; è stato l’obiettivo per i presidenti repubblicani come per quelli
democratici e resta il nostro obiettivo oggi».
D’altronde, che l’atteggiamento
di Washington nei confronti del
leader del Likud sia particolarmente critico è cosa nota. Pochi giorni
fa, in un’intervista all’«Huffington
Post», il presidente Obama
aveva confermato che la
Casa Bianca sta studiando «nuove opzioni»
che evitino il «caos
nella regione mediorientale». Obama aveva inoltre
espresso dubbi sulla possibilità di una
ripresa tempestiva
dei colloqui diretti
tra israeliani e
palestinesi.
Intanto, le forze armate israeliane hanno rafforzato la loro
presenza in Cisgiordania, considerando concreta
la possibilità di
un’insurrezione
nei prossimi mesi. Lo riferisce il quotidiano israeliano «Haaretz», secondo cui anche i vertici dell’Autorità palestinese starebbero cercando di rafforzare
le misure di sicurezza per evitare
violenze.
Il Comando centrale delle Forze
di difesa israeliana (Idf) ha confermato che sta completando una serie di manovre ed esercitazioni per
preparare le proprie forze «a uno
scenario di confronto con i palestinesi», scrive «Haaretz».
Nelle attività sono impiegate sia
unità dell’esercito regolare che riservisti. Le manovre — stando a
quanto riferiscono le stesse fonti —
serviranno ad aumentare le capacità nella zona e sono parte di un
programma annuale.
Tra Sudan, Egitto ed Etiopia
Intesa per la diga sul Nilo
Attacco dell’Is respinto dai peshmerga curdi
Raffica di attentati a Baghdad
BAGHDAD, 24. Il cosiddetto Stato
islamico (Is) risponde con il terrorismo e la propaganda, ma anche con
tentativi di controffensiva, alle
difficoltà in cui è stato posto
dall’avanzata in Iraq delle forze governative.
All’Is, nonostante l’assenza di rivendicazioni, vengono attribuiti una
serie di attentati e attacchi che hanno colpito ieri Baghdad, provocando
secondo fonti di polizia quindici
morti e trentacinque feriti. Le prime
vittime sono stati sette civili uccisi
dall’esplosione di un’autobomba vicino a una moschea sciita nel quar-
tiere di Habibiya. Subito dopo,
un’altra autobomba ha provocato tre
morti e nove feriti nell’area di
Maamel. Infine, cinque morti e otto
feriti sono stati causati da un bombardamento con razzi katyusha compiuto da miliziani non identificati
sull’area di Baladiyat.
Al tempo stesso, l’Is ha tentato un
attacco notturno contro le basi dei
peshmerga curdi sulle montagne di
Bashik, a sud-est di Mosul, ma è
stato respinto. Nel riferirlo, il comandante dei peshmerga, Qadir
Badeli, ha aggiunto che i cacciabombardieri della coalizione internazio-
nale guidata dagli Stati Uniti continuano a martellare le postazioni del
gruppo jihadista che sta cercando di
riorganizzare le forze nella città di
Hawija, a sud ovest di Kirkuk. Proprio ai curdi è esplicitamente indirizzato l’ultimo video di propaganda
diffuso ieri dall’Is, che mostra
l’ennesima feroce uccisione di un
prigioniero.
Nel frattempo, l’esercito iracheno,
sostenuto da almeno ventimila miliziani, in maggioranza sciiti, ma anche sunniti, stringe d’assedio Tikrit,
capoluogo
della
provincia
di
Salahuddin, dove a rallentarne le
Colloqui con i responsabili dei due Governi rivali
L’inviato speciale dell’O nu
a Tobruk e a Tripoli
TRIPOLI, 24. L’inviato speciale delle
Nazioni Unite per la Libia, Bernardino León, ha incontrato nelle ultime ore i responsabili dei Governi
rivali libici a Tobruk e a Tripoli per
discutere «alcune idee per accelerare i colloqui in Marocco». Al primo
posto della soluzione proposta da
León c’è «un Governo di unità guidato da un presidente e un Consiglio presidenziale composto da personalità indipendenti, non appartenenti ad alcun partito o affiliate ad
alcun gruppo e che siano accettabili
per tutte le parti e tutti i libici».
Nonostante la guerra sul terreno
tra le diverse fazioni in Libia — nelle ultime ventiquattro ore si sono
registrati scontri nei pressi della capitale e raid contro l’aeroporto di
Zintan e a Tarhuna, a circa 80 chilometri a sud-est di Tripoli — si respira un certo ottimismo attorno al
dialogo. Tanto che l’inviato speciale
dell’Onu ha ieri azzardato l’ipotesi
di un accordo per un Governo di
unità nazionale già in settimana.
Nel frattempo l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica
Mogherini, ha dichiarato che i libici
devono «smettere di sprecare energie combattendo tra di loro», piuttosto devono «unire le forze contro
l’Is e le altre reti terroristiche» che
si muovono in Libia, ne va del futuro del Paese e della sicurezza in
Europa. Quando lo faranno, l’Ue
«sarà pronta ad aiutarli» ma si deve
sapere che «siamo a un punto di
svolta», nel senso che «o la Libia
riparte ed è in grado di affrontare
unita la sfida della sicurezza e del
terrorismo, o tutto andrà peggio».
Come strumento di diplomazia
parallela, a Bruxelles sono stati
convocati ieri sindaci «di tutte le
parti della Libia». Fra i 34, anche
rappresentanti di Tripoli, Bengasi,
Tobruk, Misurata, Zintan e Az Zawiyah, con l’idea di trovare un’intesa per aiutare il negoziato di Rabat.
Azzerati i vertici
della polizia tunisina
TUNISI, 24. La strage al museo del
Bardo di Tunisi poteva, forse, essere evitata. Dopo l’ammissione
da parte del presidente Beji Caïd
Essebsi che ci sono state falle nella sicurezza prima e durante la
strage, le autorità tunisine hanno
deciso ieri di azzerare i vertici della polizia. Un segnale forte a quasi una settimana dall’attentato costato la vita a 21 persone di varia
nazionalità. A pagare per non aver
salvaguardato i visitatori del Bardo sono stati il capo del distretto
della sicurezza di Tunisi, il direttore della polizia stradale e quello
per la sicurezza dei turisti. E mentre ieri si sono svolti a Torino i funerali di due delle quattro vittime
italiane, il ministro degli Esteri,
Paolo Gentiloni, è giunto oggi in
missione in Tunisia. E mentre per
motivi si sicurezza è stata rinviata
la riapertura del museo del Bardo,
il titolare della Farnesina ha visitato le due italiane ferite e ancora
ricoverate a Tunisi. Ma la sua permanenza sarà anche l’occasione
per incontrare le alte cariche istituzionali, prima il presidente Beji
Caïd Essebsi, e poi il ministro degli Esteri, Taïeb Baccouche.
operazioni concorrono sia le residue
sacche di resistenza dell’Is, sia soprattutto le mine disseminate in tutta la città. «Quando vedremo che è
il momento giusto, entreremo il prima possibile», ha dichiarato ieri il
ministro della Difesa iracheno, Khaled Al Obeidi, spiegando che l’esercito sta cercando di minimizzare le
perdite.
Sul versante politico, intanto, la
Casa Bianca ha annunciato che il
primo ministro iracheno, Haider Al
Abadi, sarà ricevuto a Washington il
14 aprile dal presidente Barack Obama. Secondo gli osservatori, la visita
precederà di poco la prevista offensiva contro l’Is che dovrebbe concentrarsi su Mosul.
Il comunicato della Casa Bianca
fa riferimento a colloqui incentrati
sulla messa a punto della strategia
per passare alla seconda fase della
lotta all’Is e sulla necessità, caldeggiata fortemente da Washington, che
il Governo iracheno rafforzi la cooperazione tra tutte le comunità del
Paese.
Smantellata
cellula terroristica
in Marocco
RABAT, 24. Le autorità marocchine
hanno smantellato ieri una cellula
radicale armata che voleva colpire il
Paese e voleva creare uno Stato islamico nel regno. Una operazione
condotta in diverse zone del Paese,
comprese Marrakesh e Agadir, due
delle città marocchine più turistiche,
ha portato all’arresto di tredici persone che, secondo gli investigatori,
avevano giurato fedeltà al leader del
cosiddetto Stato islamico, il califfo
Abu Bakr Al Baghdadi. Nel corso
dell’operazione sono state sequestrate pistole e munizioni in un nascondiglio nei pressi di Agadir. «La cellula pianificava attacchi contro politici e membri delle forze di sicurezza» ha rivelato il capo dell’intelligence interna, secondo il quale 1.354
marocchini combattono con gruppi
armati in Siria e Iraq, 220 sono tornati in patria e arrestati, 286 sono
stati uccisi.
A cinque mesi dalle elezioni
Torna politico il confronto in Costa d’Avorio
di PIERLUIGI NATALIA
Il presidente egiziano, a sinistra, con il premier etiope (Reuters)
KHARTOUM, 24. I presidenti di Sudan ed Egitto, Omar Hassan el
Bashir e Abdel Fattah Al Sissi, e il
primo ministro dell’Etiopia, Hailemariam Desalegn, hanno firmato
ieri a Khartoum un accordo preliminare relativo al funzionamento
della diga del Rinascimento, un
impianto in costruzione sul Nilo
Azzurro finora all’origine di tensioni soprattutto tra i Governi del
Cairo e di Addis Abeba.
La diga, in fase di realizzazione
in territorio etiopico, dovrebbe essere in grado di erogare seimila
megawatt di energia. Il contenzioso
internazionale riguarda i diritti di
utilizzo delle acque del Nilo sanciti
da un trattato di epoca coloniale,
risalente al 1929, che ne assegna
all’Egitto la parte più rilevante e
gli riconosce diritto di veto su tutti
i progetti che possano ridurla.
Il trattato è da decenni contestato dagli altri Paesi del bacino del
più grande fiume africano. Per tutto il Novecento, la posizione egiziana è stata assolutamente rigida.
D all’inizio di questo secolo, invece,
il Governo del Cairo ha più volte
partecipato a tavoli negoziali, pur
senza mai fare passi indietro sul
punto cruciale, cioè il suo diritto di
veto.
Un ritorno alla politica si segnala in Costa d’Avorio, uscita da meno di quattro anni da un conflitto civile segnato da stragi e gravi violazioni dei
diritti umani. Per la prima volta dall’inizio di questo secolo, infatti, il pericolo di un rigurgito di
violenze non sembra incombere sulle elezioni presidenziali in programma tra cinque mesi.
L’esito del voto non appare del tutto scontato,
sebbene gli osservatori diano per ampiamente favorito il presidente Alassane Dramane Ouattara,
ricandidato nello scorso fine settimana in un congresso straordinario del suo partito, il Raggruppamento dei repubblicani (Rdr).
Ouattara era stato dichiarato vincitore delle elezioni del 2010, ma riuscì a insediarsi al potere solo nell’aprile del 2011, dopo cinque mesi di scontri. Il presidente uscente, Laurent Gbagbo — oggi
sotto processo davanti alla Corte penale internazionale proprio per i crimini commessi in quel periodo — aveva infatti rifiutato di accettare l’esito
delle urne. Dopo la cattura di Gbagbo da parte
delle milizie di Ouattara, appoggiate dai caschi
blu dell’Onu e dai militari del contingente che la
Francia mantiene da decenni nell’ex colonia, era
stato avviato un processo di normalizzazione, con
un tentativo di riconciliazione nazionale.
Lo stesso Ouattara aveva dichiarato di considerare proprio questo il suo principale compito e
oggi rivendica risultati in questo senso. Tuttavia,
in quasi quattro anni non sono mancate critiche al
presidente anche da parte delle forze che lo sostengono e ora, in vista delle elezioni, si assiste a
un riposizionamento sia nell’ambito dell’opposizione sia in quello della maggioranza.
Quella più rilevante riguarda il Partito democratico della Costa d’Avorio (Pdci), fondato da
Félix Houphouët-Boigny, che governò il Paese
dall’indipendenza dalla Francia nel 1960 fino alla
morte nel 1993 (nel primo trentennio fu partito
unico e conservò la maggioranza assoluta per altri
nove anni dopo che nel 1990 fu introdotto il multipartitismo).
Questa volta la direzione del Pdci ha stabilito a
maggioranza di non presentare candidati al primo
turno delle presidenziali, facendo convergere i
suoi voti su Ouattara. La decisione ha spaccato il
partito e ha spinto alcuni dirigenti — compreso
l’ex primo ministro Charles Konan Banny — a dar
vita nei giorni scorsi a una coalizione con dissidenti del Fronte popolare ivoriano (Fpi, principale partito d’opposizione, a suo tempo guidato da
Gbagbo) e di altre forze politiche. La nuova aggregazione ha tra i principali promotori Mamadou Coulibaly, che fu a capo del Parlamento durante la presidenza di Gbagbo. Coulibaly ha però
precisato di non voler raccogliere solo i vecchi sostenitori di Gbagbo, ma tutti «i delusi, secondo i
quali Ouattara non merita un secondo mandato».
In ogni caso, si tratta di un fatto nuovo della
politica ivoriana che ha già provocato lacerazioni
nei principali partiti. Oltre appunto che dal Pdci,
sembrano destinati a convergere nella nuova formazione anche molti altri esponenti dall’Fpi, oppositori interni dell’attuale leader Pascal Affi
N’Guessan. E secondo alcuni osservatori nei prossimi mesi potrebbero aprirsi crepe anche nell’Rdr
di Ouattara.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 25 marzo 2015
Non è facile trovare comunità desiderose
di aiutare i più piccoli
considerando i loro limiti una fonte di ricchezza
Un paradosso
che contraddice le parole e i gesti di Gesù
Al Museo del Prado
Nuova luce
sul calvario
di Van
der Weyden
Per una più efficace integrazione delle persone disabili
Contro la pastorale
della muffa
di SILVIA GUSMANO
nostri gesti pastorali hanno una progettazione solo
per persone sane, giovani,
pimpanti» senza prevedere
la presenza di famiglie che
vivono situazioni di disagio e di limite.
«I
Henri Matisse, «Ritratto di Ivonne Landberg»
(1914). Nell’immagine in alto
«Ritratto di Lydia Delectorskaya» (1947)
Colpiscono le parole pronunciate da monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di
Novara, nell’ambito di un recente seminario
organizzato a Roma dal settore per la catechesi delle persone disabili della Conferenza episcopale italiana. Parole che rivelano
come la comunità ecclesiale talvolta non sia
immune a quelle logiche di scarto verso i
deboli sempre condannate da Papa Francesco.
A parlare, prima di tutto, sono i fatti. In
Italia, quasi tutti i bambini che nascono
con una disabilità vengono battezzati, ma
solo una percentuale minima rispetto ai
coetanei, riceve gli altri sacramenti. Ciò significa che nelle Chiese, negli oratori e nei
corsi di catechismo per loro raramente c’è
posto. Chiunque ha esperienza della disabilità — soprattutto di quella intellettiva —
può raccontare con dolore di assemblee ecclesiali respingenti, infastidite da rumori e
movimenti insoliti, disturbate nella loro devota concentrazione da forme di preghiera
diverse. Fino alla gretta ignoranza di chi
arriva a negare i sacramenti. Molto più rari,
purtroppo, sono i racconti di comunità desiderose e capaci di andare incontro ai più
piccoli, considerando i loro limiti una fonte
di ricchezza per tutti. Si tratta di un penoso paradosso che contraddice in modo eclatante le parole e i gesti di Gesù e il cuore
stesso del suo insegnamento. Per questo,
chi va controcorrente e si batte per trasformare lo straordinario in ordinario, lo fa con
grinta e determinazione.
Tra loro, suor Veronica Donatello, responsabile del settore disabili nell’ambito
dell’Ufficio catechistico nazionale e promotrice del seminario. Da quattro anni a lei
spetta il compito di pungolare le coscienze,
«trovando risposte nuove a esigenze vecchie», con tenacia e pazienza, dolcezza di
modi e risolutezza del linguaggio.
Parla di «diritto alla spiritualità» suor
Veronica e del «dovere di accompagnare e
sostenere le famiglie con disabilità». Invita
a «togliersi di dosso la pastorale della muffa e del «s’è sempre fatto così» e rilancia la
sfida di Papa Francesco: «andiamo a cercare le novantanove pecore perdute».
Se solo una minima percentuale delle
persone disabili frequenta la Chiesa, infatti,
spetta alla Chiesa andare loro incontro, cercarle, invitarle. È la logica del primear che
anticipa i bisogni dei fratelli più deboli e
non aspetta che siano essi a bussare alla
propria porta. Così suor Veronica racconta
dei “piccoli focolai sani” che si stanno moltiplicando in tutto il Paese e del vento nuovo che soffia rafforzando un’ampia rete di
sforzi e progetti a livello internazionale.
Racconta della parrocchia di Santa Maria
di Loreto a Pesaro dove un bambino con
disabilità intellettiva ha potuto prepararsi
alla Comunione grazie a un lungo e sapiente lavoro da parte dei catechisti, al fianco
della famiglia e coinvolgendo tutti i coetanei. E dell’esperienza di formazione portata
avanti dalla Conferenza episcopale della
Calabria, con grande risonanza sul territorio.
Anche monsignor Brambilla auspica una
Chiesa propositiva e «in prima linea» e racconta le proprie difficoltà al primo approccio con le persone disabili nell’ambito dove finita la scuola, si apre una stagione a
dell’associazione «La nostra famiglia». «Ve- volte interminabile di vuoto e incertezze.
nivo dal mondo accademico e quando face- Bisogna porre dunque il disabile adulto,
vo lezione non sopportavo il minimo rumo- quanto e più del bambino, al centro della
re. Poi, ho allenato l’orecchio e ho impara- vita ecclesiale, nella consapevolezza, seconto a celebrare la messa festosa dei bambini do la famosa espressione di Bonhoeffer, che
disabili». La strada per un’integrazione au- «ogni comunità cristiana deve sapere che
tentica passa sempre per la
conoscenza. Conoscenza dei
linguaggi diversi, del signiIn Italia quasi tutti i bambini
ficato di gesti e sguardi
nuovi, di stati d’animo ed
che nascono con una disabilità
esigenze che si esprimono
vengono battezzati
spesso a fatica. E richiede la
discrezione e il rispetto di
Ma solo una percentuale minima
persone consapevoli, che
riceve gli altri sacramenti
sin dai corsi pre-matrimoniali, includano il discorso
sulla disabilità all’interno
non solo i deboli hanno bisogno dei forti,
della pastorale della famiglia.
Fondamentale, inoltre, l’attenzione a tut- ma che questi ultimi non possono essere
te le fasi della vita. «Spesso — spiega mon- veramente uomini senza i primi». Sulla
signor Brambilla — l’età adulta del disabile stessa scia la riflessione del papà di Beniapuò diventare l’età dimenticata dalla comu- mino, dell’associazione «Fede e Luce»: «È
nità cristiana» oltre a rappresentare un mo- difficile credere che proprio questo figlio
mento critico dal punto di vista sociale lad- così tutto “al negativo” possa diventare per
qualche amico, per uno sconosciuto, per
chi lo incontra, un segno importante della
sua ricerca del senso della vita, nel suo
cammino di conversione», eppure è così. È
il cuore di quella teologia della disabilità
che prendendo forma dall’esperienza di
Jean Vanier può restituire alla persona disabile il posto che le spetta in seno alla società e alla Chiesa. Cristina Gangemi, consulente sulla disabilità dei vescovi di Inghilterra e Galles, ha fondato la sua azione
sull’esempio di Vanier. «La strada da fare è
ancora lunga — spiega — ma oggi abbiamo
un’occasione storicamente unica per cancellare ogni forma di discriminazione e riscoprire il valore della fragilità, la sua capacità
di svelarci la presenza di Dio».
Appena pochi giorni fa, ricevendo il premio Templeton, Jean Vanier l’ha ribadito
con forza: la cultura del potere, del successo, della competizione può essere trasformata in modo straordinario da un incontro
profondo con la disabilità. Può essere convertita in cultura dell’amore. E sicuramente
nessun luogo più della Chiesa di Cristo è
deputato a celebrare questo incontro.
Dopo quattro anni di studio e di
restauro, il Calvario di Rogier Van
der Weyden, una delle grandi
opere della collezione di pittura
fiamminga che si conserva nel
Real Monastero di San Lorenzo
dell’Escorial, torna ad essere
visibile. Sarà esposto al Museo del
Prado di Madrid fino al prossimo
28 giugno. Insieme alla Deposizione
dalla Croce, conservata al Prado e
al Trittico della Certosa di
Miraflores alla Gemäldegalerie di
Berlino, è una delle tre sole opere
di Van der Weyden documentate
da fonti storiografiche. Il Calvario
fu dipinto dall’artista quattro anni
prima di morire per il Monastero
di Scheut — un rione di
Anderlecht, presso Bruxelles — ma
dopo un lungo giro attraverso
l’Europa approdò in Spagna e finì
nelle mani di Filippo II.
Rogier Van der Weyden, «Calvario»
dopo il restauro (1457-1464, particolare)
Mostra a Trieste
Alla scoperta delle traduzioni latine del Corano
Nei meandri di sure e glosse
La percezione dell’islam nell’Europa latina: è questa la tematica sulla quale lavora il gruppo di ricerca del progetto Islamolatina, diretto dal filologo Martínez
Gázquez. Si tratta di un argomento poco conosciuto, approfondito dal lavoro
di questa équipe dell’università di Barcellona: ed è anche grazie ai risultati
raggiunti che si è arrivati alla scoperta
delle traduzioni latine del Corano che
oggi conosciamo.
Marie-Thérèse D’Alverny in un suo
testo del 1948 dedicato a questo argomento, Deux traductions latines du Coran
Siamo intorno alla fine dell’anno 900
In un manoscritto legato all’ambiente
del monastero di Ripoll
i nomi delle stelle sono traslitterazioni
dei termini arabi
au Moyen Age, parlava solo di due traduzioni latine, mentre ce ne sono molte altre: oltre a quello che D’Alverny aveva
definito il Corpus Toletanum, su cui Pietro il Venerabile basò la sua refutazione
dell’islam, e alla traduzione latina legata
alla ripresa delle azioni belliche al tempo
degli Almohadi, affidata a Marco da Toledo dall’arcivescovo della sua città, Rodrigo Jiménez de Rada, c’è la traduzione
che risale al 1475, ad opera di Guglielmo
Raimondo Moncada. Di questo testo è
giunto fino a noi solo il prologo e le sure 20 e 21. Doveva essere una grande
opera, commissionata dal duca di Montefeltro, in cinque lingue, de Arabico in
Latinum sermonen uerti, deinde in Hebraicum et postea in Caldeum et Syrum; il traduttore compie una trascrizione delle parole difficili da tradurre e alla fine del testo ne spiega il senso.
Abbiamo poi l’Alcoranus latinus del
cardinale Egidio da Viterbo del 1518; per
la traduzione il porporato aveva incaricato un saraceno convertitosi al cristianesimo, Gabriele Terrolensis. Leo Africanus, invece, si era occupato di rifare le
glosse. Al patriarca di Costantinopoli,
Cirillus Lucaris, è attribuita la traduzione di quello che appare come un quaderno di lavoro. Mancano delle sure, alcune come la 112 hanno tre traduzioni
diverse.
In questo breve e sommario excursus
ricordiamo anche i testi di Germano di
Silesia (1669) e Ludovico Marracci; il
suo Alcorani textus uniuersus ex correctionibus Arabum exemplaribus summa sarà
utilizzato come base per le traduzioni
moderne.
Il primo indizio che abbiamo in Spagna dell’interesse cristiano per la scienza
araba è il monastero di Ripoll. Siamo intorno alla fine dell’anno 900 e in un manoscritto legato a questo luogo i nomi
delle stelle sono delle traslitterazioni dei
termini arabi. In ambito monastico, il
crescente interesse per l’astronomia nasceva dalla scienza del computo per la
determinazione della festa della Pasqua.
Il periodo delle grandi traduzioni (XIXII secolo) vede la traduzione delle Tavole di al-Jwārizmī a opera di Pietro Alfonso (1062?-1130), un ebreo converso —
che esercitava la professione di medico e
si trasferì in Inghilterra — che dice di voler tradurre tutto ciò che gli è possibile,
seguendo lo stesso ordine dei testi originali. Walcher de Malvern, astronomo
proveniente dalla Lotharingia, arrivato
in Inghilterra nel 1091 e Adelardo di
Bath (1120-1152) furono suoi allievi: la
scienza araba è più sicura, sosteneva
quest’ultimo, perché fondata sulla ragione e non sull’autorità (Ego enim aliud a
magisteri Arabicis ratione duce didici, tu
uero aliud auctoritatis pictura captus capistrum sequeris). La stessa latinità che Roberto da Ketton aveva descritto come
ignorante della storia e delle dottrine
islamiche adesso era alla ricerca affannosa del testo dell’Almagesto di Tolomeo e
fin tanto che non riusciva a trovarlo traduceva tutto quello che poteva essere attinente a quell’argomento. Il traduttore
del primo Corano latino si era occupato,
e questo era il suo vero interesse,
dell’astrologia di al-Kindi.
Platone di Tivoli, un italiano che studiava a Barcellona, aveva anche lui riconosciuto il valore dei «grandi tesori degli arabi». Molto numerose furono le
traduzioni compiute da Gerardo da Cremona (1114-1187). I suoi allievi ne misero
un elenco in una sua piccola biografia
allegata al termine della sua ultima traduzione. Aveva trovato l’Almagesto a Toledo e lo aveva tradotto, tutta la sua vita
era stata dedicata alle traduzioni
dall’arabo. Daniele di Morley (1140-1210)
aveva sentito che a Toledo si imparava
di più che a Parigi, vi era andato e aveva
avuto Gerardo da Cremona come maestro, e in seguito aveva riportato i testi
tradotti in Inghilterra. In questo stesso
periodo è attivo Domenico Gundissalino, o Gundisalvi, che portò a compimento importanti traduzioni, e fu autore
lui stesso di un trattato di filosofia, il De
anima.
Anche Marco da Toledo tradusse testi
scientifici, di medicina in particolare;
Michele Scoto aveva tradotto anche testi
di alchimia.
Non mancarono le critiche islamiche a
questo imponente processo di traduzioni: le cronache musulmane parlano di
sacerdoti e monaci che dedicavano la vita a studiare le scienze dei musulmani
”esotiche” per tradurle nella loro lingua
e confutarle. E li accusano di appropriarsi del materiale contenuto nei testi
arabi senza rivelarne la provenienza.
Una norma in vigore al mercato di Siviglia fa capire il clima di diffidenza verso
i traduttori non seguaci dell’islam: non
si potevano vendere testi arabi ai cristiani, soprattutto il Corano. (sara muzzi)
In viaggio
tra i cristiani
d’Oriente
Si è aperta il 24 marzo nella Sala
Veruda di Palazzo Costanzi a
Trieste la mostra «Nostalghia.
Viaggio tra i cristiani d’O riente»,
curata da Annalisa D’Angelo,
aperta fino al 13 aprile.
Organizzata dal Circolo
Linda Dorigo, particolare della locandina
della mostra «Nostalghia.
Viaggio tra i cristiani d’Oriente»
fotografico triestino, l’esibizione
propone 32 immagini in bianco e
nero di Linda Dorigo frutto di un
viaggio di due anni, due mesi e
dieci giorni. L’autrice ha
attraversato Iraq, Iran, Libano,
Egitto, Israele, Territori
palestinesi, Giordania, Siria e
Turchia alla ricerca di una chiave
di lettura del presente
interrogando le comunità di
cristiani incontrate in quelle terre.
Le foto vengono proposte assieme
ai testi di Andrea Milluzzi.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 25 marzo 2015
Pellegrino Tibaldi, «Storie di Ulisse.
Ulisse e Polifemo»
(1550-1551, Palazzo Poggi, Bologna)
pagina 5
L’enigmatico nucleo narrativo
fecondo per l’ispirazione di tanti poeti
è la profezia di Tiresia
l’indovino tebano che Odisseo ha evocato dagl’inferi
attraverso una fossa comunicante con l’Ade
I viaggi di Ulisse nella letteratura
Variazioni sul mito
la barbarie della violenza omicida e
della negazione di Dio, la sfida della
grande letteratura, dell’umanesimo
di nobile ascendenza greco-latina
che costituisce il fondamento stesso
di una civiltà — quella occidentale —
imbevuta di valori cristiani.
Certo, il paradigma ulissiaco al
quale si ricollega l’autore di Se questo
è un uomo appare depurato di ogni
elemento negativo. Non tiene conto
della hybris, della smisurata fiducia in
se stesso che spinge il personaggio
dantesco a tentare un’impresa temeraria, in sostanza sacrilega, prescindendo da qualunque rapporto con la divina trascendenza. E che induce il
poeta fiorentino a infliggergli, dopo
il fallimento del suo «folle volo», la
condanna a un eterno tormento nella
bolgia dei consiglieri fraudolenti. In
ogni caso, quello dell’Alighieri e di
Levi è, per così dire, un “deuteroUlisse”, per il cui profilo
—
alquanto
diverso
dall’archetipo omerico —
Dante ha un debito soprattutto nei confronti
della mediazione latina
di Virgilio, Orazio, Ovidio, Stazio. Non coincide
con il protagonista della
“grande” Odissea, che il
medioevo ignorava. Si
identifica, semmai, con il
protagonista di una “piccola” Odissea incapsulata
in una nicchia del poema
tradizionalmente attribuito a Omero. Poema che
in effetti racchiude, in
nuce, un secondo potenziale
epos
odissiaco:
quello che, con allusione
al linguaggio degli odierni mass media, viene definito «un sequel della
prima e unica Odissea a
noi pervenuta» da Maria
Grazia Ciani, brillante
Ulisse e Tiresia (Cratere a calice, IV secolo prima dell’era
curatrice di un’antologia
cristiana, Bibliothèque Nationale de France, Parigi)
(Il volo di Ulisse, Marsilio, Venezia, 2014, pagine
144, euro 8) in cui si dimonianza sugli orrori della Shoah panano testi di Omero, Dante, Tenche Primo Levi ha consegnato alle nyson, Pascoli e Dallapiccola accopagine di Se questo è un uomo, rima- munati dal carattere di «variazioni
ne nitidamente impresso l’episodio sul mito» della ripartenza di Odisimperniato su una reminiscenza dal- seo/Ulisse dopo il ritorno a Itaca e
della sua audace navigazione verso
la Commedia di Dante.
Racconta in quel capitolo il chi- l’ignoto.
mico-scrittore come, su richiesta di
Quell’enigmatico nucleo narrativo
un giovane compagno di prigionia, così fecondo per la posterità, per
alsaziano e quindi francofono, desi- l’ispirazione di tanti poeti, anche al
deroso di apprendere l’italiano, aves- di là dell’élite riunita in questo voluse avuto una singolare ispirazione: me, consiste nella profezia di Tiresia,
cominciò a insegnargli la sua lingua l’indovino tebano che Odisseo, come
a partire nientemeno che dal canto racconta egli stesso agli ospitali Feadi Ulisse, recitando (con corredo di ci, ha evocato dagl’inferi attraverso
stentata traduzione francese) alcuni una fossa comunicante con l’Ade.
brani che aveva memorizzato nel Non solo l’approdo finale a Itaca,
corso degli studi liceali. Idealmente, dopo drammatiche peripezie, ha
attraverso il recupero di questi versi preconizzato Tiresia a colui che lo
immortali, due ebrei umiliati, spo- interrogava; ma anche, uccisi i pregliati della libertà, della dignità, dei tendenti e ristabilita la sua signoria
più elementari diritti umani, lancia- sull’isola, un nuovo lungo viaggio firono contro i loro aguzzini, contro no al manifestarsi di un segno decidi MARCO BECK
onsiderate
la
vostra semenza:
/ fatti non foste a viver come bruti, / ma
per seguir virtute e canoscenza».
Questa notissima terzina di endecasillabi, estrapolazione dall’«orazion
picciola» pronunciata da Ulisse (nel
canto XXVI dell’Inferno) per incitare
i compagni a violare il confine delle
Colonne d’Ercole, questo vertice
concettuale della cultura europea nel
medioevo, questa guglia svettante
della poesia dantesca, in un mattino
di primavera del 1944 risuonò «come
uno squillo di tromba, come la voce
di Dio» in uno dei più abominevoli
inferni della storia umana: il lager di
Auschwitz. Nella memoria di chiunque abbia letto la sconvolgente testi-
«C
L’ultimo viaggio di Riccardo
sivo: l’incontro con un viandante che
scambierà per un ventilabro il remo
da lui portato a spalla. In quel luogo l’eroe dovrà conficcare in terra il
remo e offrire un sacrificio propiziatorio al suo persecutore, Poseidone.
Tornato poi definitivamente in patria, potrà attendere il sopraggiungere della morte, che «verrà lontano
dal mare» e lo «coglierà dolcemente,
al termine di una vecchiaia serena».
In seguito, Odisseo riferisce il vaticinio di Tiresia anche a Penelope appena riabbracciata dopo la cruenta
purificazione della reggia e l’agnizione tra i due coniugi. E così non fa
che accrescere, eccitando la fantasia
dei lettori di Omero, il fascino di
questo spunto gravido di inespressi
sviluppi narrativi e sospeso sopra un
abisso che si spalanca oltre l’ultima
parola del poema. Uno spunto destinato a diventare un tema universale:
«il viaggio di Ulisse come moto perpetuo, incubo ineludibile e sogno
necessario» scrive la curatrice.
Tematicamente limitato dalla sua
dipendenza da fonti latine indirette,
Dante scatena la propria illimitata
immaginazione etico-teologica elevando al massimo grado di visionarietà l’aspetto nautico dell’esplorazione. Un’analoga aspirazione alla
scoperta di mondi sconosciuti, pungolata dall’ansia di esorcizzare l’inerzia della vecchiaia, di tenere in scacco la morte, e da un irresistibile impulso a rimettersi in gioco, è la motivazione che schioda dal trono e
dalla pigra convivenza con Penelope
l’Ulysses di Alfred Tennyson (18091892), eminente poeta di età vittoriana. Il quale, nella sua inquietante
poesia dedicata al re d’Itaca, segue
le orme di Dante prendendosi la licenza di “risuscitare” un manipolo
di compagni reduci dalle precedenti
l’Odissea) e inquadrata nella raccolta
dei Poemi conviviali, ha un ampio respiro epico. Geniale l’intuizione su
cui si fonda: navigando con un equipaggio di vecchi compagni, anche
qui redivivi ma di nuovo destinati
tutti a perire, Odisseo ripercorre a
ritroso le tappe delle sue antiche peregrinazioni, nell’intento di rinnovare le straordinarie emozioni vissute
in passato. Lo attende però un’amara, angosciosa disillusione: se i luoghi non sono mutati, i mitici personaggi che li abitavano (Circe, Polifemo, le Sirene) sono
invece
scomparsi.
Tutto sembra essere
Limitato dalla sua dipendenza
rientrato nella normalità
dell’ovvio.
da fonti latine indirette
Oppure niente è
Dante scatena la propria immaginazione
davvero esistito come prima. Travolto
elevando al massimo grado di visionarietà
da un senso d’irreall’aspetto nautico dell’esplorazione
tà, dubitando della
sua stessa identità e
con il sospetto di
avventure marine e pronti ad affron- avere solo sognato le imprese d’un
tare una nuova, aleatoria spedizione. tempo, l’eroe, rimasto ancora una
Grecista e latinista, appassionato volta solo, finisce il suo ultimo viagfrequentatore dell’Odissea e persino gio e la sua esistenza sull’isola di
traduttore dell’Ulysses di Tennyson, Ogigia, dove pietosamente lo raccoGiovanni Pascoli (1855-1912) non po- glie esanime la ninfa Calypso, unica
teva non misurarsi con la tradizione creatura sopravvissuta — quasi per
“esoterica” connessa alla profezia di ironia del fato — all’estinzione del
Tiresia. La sua versione, intitolata magico mondo dell’Odissea.
L’ultimo viaggio, articolata in ventiIl quinto e conclusivo anello della
quattro brevi canti (a sottolineare catena ulissiaca forgiata da Maria
uno stretto rapporto strutturale con Grazia Ciani è anche il più sorpren-
Il 26 marzo 1915 veniva pubblicato il primo romanzo di Virginia Woolf
Virgole e flusso di coscienza
di GABRIELE NICOLÒ
Gli amici più intimi l’avevano esortata a
essere più diplomatica e non troppo corrosiva nel criticare la società inglese rea
di relegare le donne a un ruolo subalterno e nel fustigare le mode letterarie del
tempo definite “insulse e vacue”. Il rischio infatti era che venisse reciso sul nascere il filo di una carriera di scrittrice
che si annunciava assai promettente.
Ma Virginia Woolf, pur consapevole
della fondatezza di queste argomentazioni, proseguì per la sua strada. E dopo un
lungo andirivieni di revisioni (scrisse oltre mille fogli) vide finalmente la luce il
suo primo romanzo The Voyage out: era il
26 marzo di cent’anni fa.
La prima bozza era stata redatta nel
1910, ma la scrittrice, non solo meticolosa, ma anche molto insicura di quanto
veniva producendo — una costante questa
che ne contraddistinse l’intero itinerario
artistico — mise mano più volte all’intreccio che sarebbe stato completato cinque
anni dopo. Una gestazione travagliata,
dunque, ma che in nuce già rivelava la
grandezza della scrittrice londinese.
La protagonista, Rachel Vinrace, aveva
quel carattere sanguigno, volitivo e, nel
contempo, tormentato e vulnerabile che
sarà poi il tratto distintivo delle figure
III
Non fu un uomo di pace, i tempi in cui visse non glielo
consentirono, ma fu anche un uomo animato da
un’ardente devozione, che cercò di garantire ordine e
giustizia attraverso la legge. Davanti alla bara
contenente i resti del re Riccardo III, nella cattedrale di
Leicester, il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di
Westminster, ha ricordato così la figura del sovrano
nell’omelia della messa celebrata lunedì 23 marzo. È
dunque cominciato l’ultimo viaggio di Riccardo III, che
dopo più di cinquecento anni troverà, giovedì 26, quella
degna sepoltura che gli era stata negata. I resti del
monarca — durante una cerimonia officiata dal primate
anglicano Justin Welby — saranno posti all’interno di
una nuova tomba in pietra calcarea. E durante il rito
verrà letto un messaggio della regina Elisabetta II. Sono
arrivati in tanti, da tutto il mondo, per l’ultimo tributo
al Plantageneto, le cui ossa sono state ritrovate, sotto
dente e il meno conosciuto. Si tratta
del libretto dell’Ulisse, opera in due
atti con prologo scritta e musicata,
con tecnica dodecafonica, dal compositore d’origine istriana Luigi Dallapiccola (1904-1975). Attraverso una
sequenza di scene emblematiche, relativamente aderenti al tracciato
omerico, il poeta-musicista delinea la
figura di un navigatore perennemente in viaggio su mari reali e metaforici, sospinto da un’inesausta capacità
di «guardare, meravigliarsi, e tornar
a guardare», da un’inquieta tensione
verso il mistero di una verità sempre
sfuggente: «Porti in te stesso tutte le
tempeste», lo ammonisce Circe. Finché, nell’epilogo, la profonda religiosità di Dallapiccola imprime all’inveramento della profezia di Tiresia uno
scatto metafisico. Solo su una barca
in mare aperto, intento a fissare il
cielo notturno, Ulisse chiede alle
stelle un’impossibile rivelazione sul
suo destino ultimo, sull’esito della
sua affannosa ricerca. Il firmamento
tace. Ma l’eroe, come per effetto di
un’improvvisa illuminazione, pronuncia una parola inaudita, una parola di speranza che equivale a un
presentimento di fede proiettata oltre
il politeismo pagano: «Signore!». E
quell’esclamazione è subito seguita
da un sospiro di pacificazione che
simbolicamente si riverbera sull’inquietudine esistenziale dell’uomo
contemporaneo: «Non più soli sono
il mio cuore e il mare».
un parcheggio della città inglese, nel 2012. Circa
quarantamila persone il 23 marzo hanno seguito la
processione del corteo funebre che ha attraversato il
Leicestershire, partendo dal luogo della battaglia di
Bosworth, in cui il sovrano morì, nel 1485, fino alla
cattedrale della città. Imponente il corteo funebre: un
carro trainato da cavalli neri trasportava la bara in
legno realizzata da un discendente del sovrano. Molti
tenevano in mano una rosa bianca, simbolo della casata
York, a cui il re apparteneva e che uscì sconfitta dalla
guerra delle Due rose, vinta dai Lancaster. Su Riccardo
III grava l’impietosa rappresentazione che ne fece
Shakespeare: gobbo e perfido, incarnazione della
corruzione del potere. Un uomo che, rimasto solo nel
campo di battaglia (e nel mondo), prima di essere
trafitto dalla spada, riesce solo a gridare: «Un cavallo,
un cavallo, il mio regno per un cavallo!».
femminili cui avrebbe arriso
fama imperitura: da miss
Dalloway a miss Ramsay di
To the lighthouse, il suo capolavoro. Eppure il romanzo d’esordio era stato accolto, dagli addetti ai lavori,
con non poca perplessità.
Lo scrittore Edward Morgan Forster definì il libro
“strano” perché parlava di
un Sud America che non si
sarebbe potuto trovare su
una mappa e di una barca
che nessuno sarebbe stato
in grado di vedere solcare le
acque del mare.
Ma al di là di quelle che
potevano essere le imperfezioni legate all’immaturità
di un’artista all’esordio, ai
più sfuggì lo spessore del
tormento interiore che scava nell’animo
di Rachel, sospinta dal desiderio di valicare gli opprimenti confini della realtà
londinese per tentare un’evasione e un riscatto spirituale in un continente tanto
decantato quanto ignoto.
La protagonista è insofferente delle
convenzioni che penalizzano la donna
nell’ambito delle varie realtà sociali: e il
suo «stillicidio di pensiero» è seguito da
Woolf con un linguaggio mobile, fluido,
dinamico che aderisce come colla al fluire
raziocinante di Rachel per poi esprimerlo
nel minimo dettaglio. Ecco allora che già
si profilano i primi dettami di quello
stream of consciousness che — grazie anche
al decisivo apporto di James Joyce e di
Italo Svevo — avrebbe gettato i presupposti per la creazione del romanzo moderno.
Nel 1923 Woolf scrisse The Common
reader, un manifesto letterario cui avrebbe
tenuto fede lungo tutto il cammino della
sua produzione letteraria. Scagliandosi
contro i cosiddetti autori «materialisti»
(Arnold Bennet, Herbert George Welles,
John Glasworthy) la scrittrice rivendicò,
con coraggio e lungimiranza, il valore
dell’anima e delle passioni, delle idee e
dei pensieri, anche i più reconditi. E in
questo inedito scenario pure la punteggiatura, come si riscontra anche in The
Voyage out, viene a costituire una novità:
essa, infatti, tende a non seguire le regole
e le consuetudini per meglio dare voce al
respiro e alle intonazioni del personag-
gio. Ecco allora che la punteggiatura
(l’imprevedibile collocazione della virgola
o la sua assenza giocano in tale sentire
narrativo un ruolo chiave) concepita in
precedenza come un “ferro del mestiere”
tradizionale e scontato, assume in Woolf
la stessa funzione che il monologo interiore riveste nel romanzo: seguire passo
passo il flusso di coscienza disdegnando,
per amore di verità, schemi prestabiliti e
stantii.
E per ricordare i cent’anni dalla pubblicazione del romanzo d’esordio della
scrittrice londinese è uscito nei giorni
scorsi in Spagna il libro Virginia Woolf,
La vida por escrito (Taurus) della giornalista argentina Irene Chikiar Bauer.
L’opera era stata pubblicata per la prima
volta, a Buenos Aires, nel 2012. Si tratta
di una biografia molto dettagliata, che
segue la vicenda esistenziale e letteraria
di Woolf: una parabola tormentata, che
si concluse con il suicidio. La giornalista
argentina mette in luce l’inestricabile nesso tra realtà e finzione che già dal principio è presente e agisce nella scrittrice.
Quel senso di ribellione che porta la protagonista di The Voyage out a scrollarsi di
dosso l’ingombrante e polverosa eredità
vittoriana è lo stesso che brucia nell’animo di Virginia, parimenti delusa e insofferente di una vita che «non riusciva mai
a decollare» e di un mondo letterario
«gretto», ancorato al passato, dominato
da mode passeggere e, soprattutto, timoroso di esperimenti e audaci novità.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 25 marzo 2015
Gli ostacoli all’annuncio cristiano secondo l’«Evangelii gaudium»
Missione
e conformismo mondano
L’autore dell’articolo ha scritto sullo
stesso tema il libro «Rekindling the
Christic Imagination: Theological Meditations for the New Evangelization» (Collegeville, Liturgical Press,
2014).
di ROBERT P. IMBELLI
Nel dramma dell’immigrazione
Una sfida per l’Europa
di FRANCESCO MONTENEGRO
Nel mondo si spostano circa 230
milioni di uomini (si può dire che
costituiscono un altro continente).
Quando i popoli si muovono nulla
resta più come prima, sia sul piano
politico che economico. Molti sono
costretti a fuggire dai loro Paesi.
L’esodo di queste popolazioni non
è il “male”, ma il “sintomo” di un
male: quello di un mondo ingiusto,
in larga misura caratterizzato da
conflitti e situazioni di estrema povertà, ed è anche denuncia dell’idea
di un Occidente, fulcro della civiltà,
che va indebolendosi.
D’altra parte, anche lo scambio di
capitali finanziari, di merci, di servizi, di tecnologia sono frutto della
globalizzazione, che porta con sé,
ugualmente, il fenomeno delle migrazioni. Tuttavia, mentre favoriscono i flussi economici e commerciali,
spesso i Governi scoraggiano il movimento di persone. Quando, poi,
mancano o sono insufficienti normative adeguate per far fronte a situazioni inattese, non è difficile costatare le negative ricadute sugli enti
locali e regionali, che non di rado si
trovano disorientati nella gestione di
una realtà tanto complessa che coinvolge donne e uomini, ma anche
minori non accompagnati e persone
in stato di vulnerabilità e, in modo
crescente e drammatico, anche rifugiati, vittime di guerre, di violenze,
di violazioni dei diritti umani, di
tratta, di traffici illeciti.
Sono un vescovo che vive al confine sud dell’Italia e, pertanto, mi
confronto con la situazione di questo Paese, dove, in meno di vent’anni, l’immigrazione è decuplicata e in
soli cinque anni è più che raddoppiata. L’Italia, con gli Stati Uniti
d’America, è stato negli anni scorsi
il Paese a più alta pressione migratoria e ciò ha riflessi nella vita sociale, economica e culturale della nazione, in particolare negli ambiti del
lavoro, della famiglia e della scuola.
Premio
per la pace
al cardinale
Tauran
ROMA, 24. Il cardinale JeanLouis Tauran, presidente del
Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, è uno dei tre
vincitori del «Premio per la Pace 2015», promosso dalla Fondazione Ducci e giunto alla sua
VIII edizione. Gli altri premiati
sono Ekmeleddin Ihsanoğlu,
segretario
generale
emerito
dell’Organizzazione
per
la
cooperazione islamica, e Yael
Dayan, politica e scrittrice
israeliana.
Il premio viene assegnato alle personalità delle tre religioni
monoteiste maggiormente impegnate nella promozione del
dialogo. La cerimonia della
consegna del premio avverrà il
25 marzo a Roma, nella Sala
della Protomoteca del Campidoglio.
Questo e altri elementi cambiano le
città, la nazione, l’Europa.
In questi anni sono stato testimone del percorso dei migranti che attraversano il Mediterraneo. Lampedusa, che significa sia faro (dal latino lampas, fiaccola) sia pietra d’inciampo (dal greco lèpas, scoglio), è
l’isola delle contraddizioni. In piccolo, è il mondo. Chi la abita vuole
trasferirsi altrove, mentre per chi arriva dal continente africano è l’inizio del nord migliore. Sogno questo
che per molti si trasforma in tragedia: sono sepolti nella tomba liqui-
Intervento
a Strasburgo
Anticipiamo, quasi
integralmente, l’intervento
che il cardinale arcivescovo
di Agrigento, presidente
della commissione
dell’episcopato italiano per
le migrazioni, tiene nel
pomeriggio di oggi, martedì
24, al Consiglio d’Europa di
Strasburgo in occasione del
congresso su «Risposte
locali alle sfide dei diritti
umani. La migrazione, la
discriminazione, l’inclusione
sociale».
da, che è il Mediterraneo, più di
20.000 annegati. Eppure in queste
acque, nel corso dei secoli, popolazioni diverse si sono incontrate e
confrontate. Dall’altra parte del mare ci sono uomini e donne che vogliono vivere più dignitosamente.
Di fronte a queste aspettative e ai
tentativi di raggiungerle, c’è l’atteggiamento dei nostri Paesi che vedono con preoccupazione questi afflussi, non disgiunti da altre sfide,
come, a esempio, il fatto che nuove
politiche economiche nel continente
africano ed eventuali nuovi assetti
del Mediterraneo potrebbero destabilizzare consolidati equilibri economici, politici e sociali del vecchio
continente.
Tra i desideri di quella gente e la
nostra paura c’è la gente di Lampedusa, modello nuovo e vecchio di
convivenza e di rispetto possibili. I
lampedusani ci insegnano che, come
non si possono fermare i sogni e il
vento, così non si può fermare la
storia. È una storia che ha visto arrivare a Lampedusa, in Sicilia e Calabria, tra il 2011 e oggi, quasi
300.000 persone. Nel 2011 l’Italia
aveva un piano-asilo centrato su
grandi strutture di accoglienza e su
un piano nazionale per l’integrazione, che prevedeva solo 3.000 posti,
realtà insufficiente a garantire un’accoglienza dignitosa di fronte alla
massiccia crescita del flusso migratorio. Il volontariato laico ed ecclesiale spesso ha supplito le istituzioni
nell’accoglienza. Già da allora s’invoca un piano europeo e una modifica degli accordi di Dublino per favorire una maggiore e libera circolazione dei richiedenti asilo e rifugiati
che hanno familiari e comunità di
riferimento nei diversi Stati. La situazione è poi esplosa nel 2014,
quando sulle coste e nei porti del
sud Italia sono arrivate 170.081 persone, tre volte il numero delle persone arrivate negli anni 2012-2013
(56.192). Un ruolo importante in
questi viaggi della speranza l’hanno
avuto le forze armate di mare, diventate un grande strumento umanitario.
Dopo i 366 morti nella tragedia
del 3 ottobre 2013, l’Italia ha iniziato l’operazione Mare nostrum che,
diversamente da Frontex, non solo
controllava i confini, ma presidiava
il Mediterraneo fino a pochi chilometri dalle coste libiche e salvava i
migranti. L’operazione ha salvato
migliaia di migranti e, al tempo
stesso, ha permesso di catturare oltre 700 trafficanti. Purtroppo, negli
ultimi mesi abbiamo dovuto confrontarci, con profondo dolore e delusione, con la morte di oltre 300
persone. Ora l’Europa sta rivedendo
la sua politica migratoria e si spera
che ciò porti a una gestione delle
frontiere nel Mediterraneo rispettosa
dei diritti umani di quanti lo attraversano.
La Santa Sede auspica che gli
Stati membri europei possano condividere efficaci misure comuni per
affrontare questioni di prioritaria
importanza, come l’assistenza di
emergenza ai richiedenti asilo e la
creazione di canali umanitari per facilitare le procedure burocratiche e
ridurre i centri di detenzione, la
protezione dei minori non accompagnati, il ricongiungimento familiare
e il contrasto alla migrazione irregolare per vincere la battaglia contro il
contrabbando e il traffico di esseri
umani, che il Santo Padre Francesco
ha definito «piaga vergognosa del
nostro tempo». Le misure normative, che l’Unione europea è chiamata
oggi ad assumere in campo migratorio, possono diventare un modello
per altre aree del mondo, se non dimenticano la storia di grande esperienza umanitaria del continente europeo e le sue radici nel rispetto
della dignità di ogni persona.
Inoltre, siamo tutti consapevoli
che non si può abbassare la guardia
sulle nuove fragilità e sulla povertà
degli immigrati. La precarietà e l’irregolarità lavorativa esigono che si
affronti il tema dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, dentro un
quadro di regolamentazione dei
flussi. È una prospettiva nuova che
richiede un cambiamento legislativo,
ma soprattutto chiede la consapevolezza che non possono esistere situazioni riconosciute di illegalità e di
sfruttamento lavorativo, che non
permettono la cittadinanza e la tutela, o alimentano mafie, corruzione e
sfruttamento a danno del Paese
ospitante, oltre che degli stessi immigrati.
La dignità della persona umana e
la sacralità della vita richiedono una
riflessione critica, che coinvolga tutte le componenti delle comunità più
vicine ai migranti, nei Paesi di origine, di transito e di destinazione dei
flussi migratori. Inoltre, va incoraggiata la molteplicità delle responsabilità, in cui le istituzioni internazionali, le autorità nazionali e locali, la
società civile, le associazioni e i singoli individui si sentano chiamati a
lavorare in sinergia per evitare che
la migrazione diventi l’unica scelta
possibile. Le migrazioni sono oggi,
per l’Europa, la grande sfida
umana.
Nel tracciare il percorso della
evangelizzazione, Papa Francesco
avverte, con discernimento, degli
ostacoli che si possono incontrare.
Mette in guardia contro il “lato
oscuro” del secolarismo: l’individualismo che alimenta, il relativismo che diffonde, il consumismo
che celebra, la mentalità dello
“scarto” che segue la sua scia.
Francesco attinge anche agli insegnamenti della Chiesa sulla giustizia sociale per denunciare il rapace
sistema economico che produce
una povertà disumanizzante, sia
materiale che culturale, per molti.
Ma Francesco sottolinea anche
con franchezza gli ostacoli alla
gioiosa proclamazione del Vangelo
che si trovano all’interno della
Chiesa stessa. Tra questi, cita la
mancanza di una vera condivisione
collegiale dei doni e il clericalismo
motivato più dalla ricerca del potere che dal servizio al Vangelo. E il
suo discernimento si mostra ancora
più profondo.
Il Papa spesso ammonisce contro
la “spiritualità mondana” che non è
più ancorata a Cristo e allo Spirito
e che va alla deriva, senza meta.
Troppo spesso permettiamo agli altri di fissare l’agenda, invece di
consentire a Cristo e al suo Vangelo di guidare i nostri impegni. Si
rammarica: «La cultura mediatica e
qualche ambiente intellettuale a
volte trasmettono una marcata sfiducia nei confronti del messaggio
della Chiesa, e un certo disincanto.
Come conseguenza, molti operatori
pastorali, benché preghino, sviluppano una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità
cristiana e le loro convinzioni. Si
produce allora un circolo vizioso,
perché così non sono felici di quello che sono e di quello che fanno,
non si sentono identificati con la
missione evangelizzatrice, e questo
indebolisce l’impegno. Finiscono
per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per
essere come tutti gli altri e per avere quello che gli altri possiedono.
In questo modo il compito
dell’evangelizzazione diventa forzato e si dedicano ad esso pochi sforzi e un tempo molto limitato»
(Evangelii gaudium, n. 79).
L’unico rimedio a tale alienazione è la conversione: volgersi nuovamente alla persona di Gesù Cristo e alla gioia dell’incontro con
lui. Quindi il Papa scrive: «Invito
ogni cristiano, in qualsiasi luogo e
situazione si trovi, a rinnovare oggi
stesso il suo incontro personale con
Gesù Cristo o, almeno, a prendere
la decisione di lasciarsi incontrare
da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui
qualcuno possa pensare che questo
invito non è per lui, perché “nessuno è escluso dalla gioia portata dal
Signore”» (n. 3).
Francesco ribadisce qui ciò che
ha spesso sottolineato in omelie e
discorsi: il centro del Vangelo è il
misticismo più che il moralismo.
Certo, i cristiani devono andare in
aiuto dei poveri e degli oppressi.
Devono interessarsi al degrado ambientale e all’intolleranza e alla
persecuzione religiosa. Ma questa
sensibilità morale deriva da una visione che c’interpella e ci sostiene:
la visione del Signore che è stato
crocifisso per la nostra giustificazione ed è risorto per la nostra salvezza. In definitiva, l’amore di Gesù ci spinge. Così scrive Francesco:
«La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad
amarlo sempre di più. Però, che
amore è quello che non sente la
necessità di parlare della persona
amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso
desiderio di comunicarlo, abbiamo
Previsto l’arrivo di migliaia di persone
La settimana santa a Taizé
TAIZÉ, 24. Con l’approssimarsi
della settimana santa i giovani di
Taizé si preparano a vivere un
momento di comunione e di riflessione all’interno della comunità. Anche quest’anno sono migliaia le persone attese a Taizé.
Per la domenica delle Palme, alle
9.15, l’appuntamento è previsto
alla sorgente di Saint-Étienne,
luogo abitualmente dedicato alla
passeggiata e al silenzio. Da lì i
giovani saliranno a piedi, fino alla chiesa della Riconciliazione,
con i ramoscelli di ulivo in mano, per partecipare alla celebrazione eucaristica.
Giovedì santo, alle 20.30, assisteranno alla tradizionale lavanda dei piedi. Venerdì, alle 15, una
campana suonerà per tre minuti
invitando tutti i presenti a Taizé
a raccogliersi in silenzio. Alle
20.30, durante la preghiera, la
croce sarà poi portata in processione nella chiesa da frère Alois e
dai confratelli. Domenica di Pasqua, alle 10, nella chiesa della
Riconciliazione, sarà celebrata
infine l’eucaristia della Risurrezione, al termine della quale sarà
pronunciata, in diverse lingue,
l’acclamazione: «Cristo è risorto.
È veramente risorto».
bisogno di soffermarci in preghiera
per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la
sua grazia perché apra il nostro
cuore freddo e scuota la nostra vita
tiepida e superficiale» (n. 264).
Francesco condivide con il Papa
emerito Benedetto XVI la convinzione che il compito evangelico è
di promuovere un nuovo e rinnovato incontro con il mistero di Dio
in Cristo. Entrambi insistono sul
fatto che la nostra comunicazione
deve essere “mistagogica”: deve
cioè portare a una più profonda
consapevolezza dell’inesauribile mistero del nostro Dio salvatore. Tale
comunicazione riconosce l’importanza dell’immagine e del simbolo,
dell’arte e della poesia. Esorta gli
evangelizzatori, gli omelisti e i teologi ad appellarsi non solo alla verità e al bene, ma anche alla bellezza. Francesco raccomanda di «recuperare la stima della bellezza per
poter giungere al cuore umano e
far risplendere in esso la verità e la
bontà del Risorto… La formazione
nella via pulchritudinis sia inserita
nella trasmissione della fede. È auspicabile che ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella
sua opera evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato,
ma anche nella vastità delle sue
molteplici espressioni attuali, al fine di trasmettere la fede in un nuovo “linguaggio parabolico”» (n.
167).
Il tema della “novità” di Gesù
Cristo permea la Evangelii gaudium. Cristo risorto è al centro della Buona Novella che ci sforziamo
di vivere e di condividere. Papa
Francesco cita sant’Ireneo: «[Cristo] nella sua venuta, ha portato
con sé ogni novità». Poi il Santo
Padre commenta: «Egli sempre
può, con la sua novità, rinnovare la
nostra vita e la nostra comunità, e
anche se attraversa epoche oscure e
debolezze ecclesiali, la proposta
cristiana non invecchia mai... Ogni
volta che cerchiamo di tornare alla
fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove
strade, metodi creativi, altre forme
di espressione, segni più eloquenti,
parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”» (n. 11).
Il motivo per cui gli evangelizzatori possono avventurarsi coraggiosamente persino nelle più lontane
periferie, è che il Centro è sicuro:
Gesù Cristo «lo stesso ieri, oggi e
sempre!» (Ebrei, 13, 8). Poiché Cristo risorto è sempre nuovo, rende
nuove tutte le cose.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 25 marzo 2015
pagina 7
Teodor Jozef Tekel
«Sacra famiglia» (2001, Slovacchia)
Messa a Santa Marta
Cristiani? Sì, ma...
Quanti si dicono cristiani ma non
accettano «lo stile» con cui Dio
vuole salvarci? Sono quelli che
Papa Francesco ha definito «cristiani sì, ma...», incapaci di comprendere che la salvezza passa per
la croce. E Gesù sulla croce — ha
spiegato il Pontefice nell’omelia
della messa celebrata a Santa
Marta martedì 24 marzo — è proprio «il nocciolo del messaggio
della liturgia di oggi».
Nel brano evangelico di Giovanni (8, 21-30), Gesù dice:
«Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo...» e, preannunciando la sua morte in croce, ricorda il serpente di bronzo che
Mosè fece innalzare «per guarire
gli israeliti nel deserto» e di cui si
legge nella prima lettura tratta dal
Papa, agire «secondo il loro pensiero, scegliere la propria strada di
salvezza». Ma quella strada «non
portava a niente».
Un atteggiamento che incontriamo ancora oggi. Anche «fra i
cristiani», si è chiesto Francesco,
quanti sono «un po’ avvelenati»
da questa scontentezza? Sentiamo
dire: «Sì, davvero, Dio è buono,
ma cristiani sì, ma...». Sono quelli, ha spiegato, «che non finiscono
di aprire il cuore alla salvezza di
Dio» e «sempre chiedono condizioni»; quelli che dicono: «Sì, sì,
sì, io voglio essere salvato, ma per
questa strada». È così che «il cuore diviene avvelenato». È il cuore
dei «cristiani tiepidi», che hanno
sempre qualcosa di cui lamentarsi:
«“Il Signore, ma perché mi ha fat-
Michelangelo
«Il serpente di bronzo»
(1511)
libro dei Numeri
(21, 4-9). Il popolo di Dio schiavo in
Egitto — ha spiegato il
Papa — era stato liberato: «Loro avevano visto
davvero miracoli. E, quando avevano avuto paura, nel momento della persecuzione del faraone, quando erano davanti al
Mar Rosso, hanno visto il miracolo» che Dio aveva compiuto per
loro. Il «cammino di liberazione»
cominciò perciò nella gioia. Gli
israeliti «erano contenti» perché
«liberati dalla schiavitù», contenti
perché «portavano con sé la promessa di una terra molto buona,
una terra soltanto per loro» e perché «nessuno di loro era morto»
nella prima parte del viaggio. Anche le donne erano contente perché avevano con loro «i gioielli
delle donne egiziane».
Ma a un certo punto, ha continuato il Pontefice, nel momento
in cui «si allungava il cammino»,
il popolo non sopportò più il
viaggio e «si stancò». Perciò cominciò a parlare «contro Dio e
contro Mosè: perché ci avete fatto
uscire dall’Egitto per farci morire
in questo deserto?». Cominciò «a
sparlare: a sparlare di Dio, di Mosè», dicendo: «Qui non c’è pane
né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero, la manna».
Gli israeliti, cioè, «si sentivano
nauseati dell’aiuto di Dio, di un
dono di Dio. E così quella gioia
dell’inizio della liberazione diviene tristezza, mormorazione».
Probabilmente preferivano «un
mago che con la bacchetta magica» li liberasse e non un Dio che
li facesse camminare e che «in un
certo modo» gli facesse «guadagnare la salvezza» o «almeno meritarla in parte».
Nella Scrittura si incontra «un
popolo scontento» e, ha fatto notare Francesco, «lo sparlare è una
via d’uscita di questa scontentezza». Nella loro scontentezza «si
sfogavano, ma non si accorgevano
che con questo atteggiamento si
avvelenavano l’anima». Ecco quindi l’arrivo dei serpenti, perché
«così, come il veleno dei serpenti,
in questo momento, questo popolo aveva l’anima avvelenata».
Anche Gesù parla del medesimo atteggiamento, di «questo modo di essere non contento, non
soddisfatto». Riferendosi a un
passo riportato nei Vangeli di
Matteo (11, 17) e di Luca (7, 32), il
Pontefice ha detto: «Gesù, quando parla di questo atteggiamento
dice: “Ma a voi chi vi capisce?
Siete come quei ragazzi in piazza:
vi avevamo suonato e non avete
danzato; abbiamo cantato canti di
lamento e non avete pianto. Ma
nessuna cosa vi soddisfa?”». Il
problema, cioè, «non era la salvezza, la liberazione», perché
«tutti volevano questo»; il problema era «lo stile di Dio: non piaceva il suono di Dio per danzare;
non piacevano i lamenti di Dio
per piangere». Allora, «cosa volevano»? Volevano, ha spiegato il
to questo?”
— “Ma ti ha
salvato, ti ha
aperto la porta, ti
ha perdonato tanti
peccati” — “Sì, sì, è
vero,
ma..”».
Così
l’israelita nel deserto diceva: «Io
vorrei acqua, pane, ma quello che
mi piace, non questo cibo così
leggero. Io sono nauseato». E anche noi «tante volte diciamo che
siamo nauseati dello stile divino».
Ha
sottolineato
Francesco:
«Non accettare il dono di Dio col
suo stile, quello è il peccato; quello è il veleno; quello ci avvelena
l’anima, ti toglie la gioia, non ti
lascia andare».
E «come risolve il Signore que-
sto? Con lo stesso veleno, con lo
stesso peccato»: cioè «lui stesso
prende su di sé il veleno, il peccato e viene innalzato». Così guarisce «questo tepore dell’anima,
questo essere cristiani a metà»,
questo essere «cristiani sì, ma...».
La guarigione, ha spiegato il Papa, viene solo «guardando la croce», guardando Dio che assume i
nostri peccati: «Il mio peccato è
lì». Invece «quanti cristiani
muoiono nel deserto della loro tristezza, della loro mormorazione,
del loro non volere lo stile di
Dio». Questa la riflessione per
ogni cristiano: mentre Dio «ci salva e ci mostra come ci salva», io
«non sono capace di tollerare un
po’ una strada che non mi piace
tanto». È «quell’egoismo che Gesù rimproverava alla sua generazione», la quale diceva di Giovanni Battista: «Ma no, era un indemoniato». E quando è venuto il Figlio dell’uomo lo
ha definito un “mangione” e un “beone”. «Ma
chi vi capisce?», ha detto
il Papa aggiungendo:
«Anche io, con i miei capricci
spirituali davanti alla salvezza che
mi dà Dio, chi mi capisce»?
Ecco allora l’invito ai fedeli:
«Guardiamo il serpente, il veleno
lì nel corpo di Cristo, il veleno di
tutti i peccati del mondo e chiediamo la grazia di accettare i momenti difficili; di accettare lo stile
divino di salvezza; di accettare anche questo cibo così leggero del
quale si lamentavano gli ebrei»: la
grazia, cioè, «di accettare le vie
per le quali il Signore mi porta
avanti». Francesco ha concluso
augurandosi che la Settimana santa «ci aiuti ad uscire da questa
tentazione di diventare “cristiani
sì, ma...”».
In Slovacchia il cardinale Baldisseri sulla cultura della vita
Rivoluzione
della tenerezza
Gioia, responsabilità e tenerezza:
solo con questi atteggiamenti il cristiano può rispondere in concreto
all’interrogativo: «che cosa possiamo fare per diffondere la cultura
della vita?». Li ha indicati il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario
generale del Sinodo dei vescovi, intervenendo martedì 24 marzo, a
Bratislava a un incontro organizzato
dalla Conferenza episcopale slovacca.
Invitato dall’arcivescovo presidente Stanislav Zvolenský, il porporato
ha contestualizzato la sua riflessione
nello spazio intersinodale in cui la
Chiesa sta riflettendo e approfondendo la vocazione e la missione
della famiglia, in vista dell’assemblea ordinaria dell’ottobre prossimo.
Dopo aver ricordato il ventennale
dell’Evangelium vitae, l’enciclica che
Giovanni Paolo II ha dedicato a
questo tema, il relatore ha accennato alla cultura della vita nel magistero di Papa Francesco. Il quale —
ha spiegato — invita «ad “allargare”
il fronte della lotta». Ciò contro cui
si deve combattere infatti «non è solo la manipolazione della vita resa
oggi possibile dalla perniciosa alleanza tra biotecnologie sofisticate e
ideologie libertarie, spesso patrocinata da gruppi di potere», ma an-
Visita speciale organizzata dall’Elemosineria apostolica
Porte aperte ai Musei vaticani
per centocinquanta senzatetto
Visita speciale ai Musei vaticani e
alla Cappella Sistina per un gruppo di centocinquanta senzatetto.
Per iniziativa della Elemosineria
apostolica guidata dall’arcivescovo Konrad Krajewski, giovedì 26
marzo le bellezze artistiche vaticane potranno essere ammirate anche dai poveri che solitamente di
san Pietro conoscono solo i gradini del colonnato. La visita è fissata nel primo pomeriggio: gli ospiti faranno il loro ingresso in Vaticano all’entrata del Petriano dove
saranno divisi in tre gruppi, ciascuno affidato a una guida, e dove riceveranno gli auricolari per
ascoltare le spiegazioni. Prima di
arrivare ai Musei i gruppi godranno di un privilegiato percorso
all’interno dello Stato, passando
davanti alla Casa Santa Marta,
proseguendo dietro l’abside della
basilica di San Pietro, poi attraverso il piazzale della Zecca, lo
stradone dei Giardini e il Cancello di Gregorio.
La prima sezione dei musei a
essere visitata sarà quella recentemente riallestita del padiglione
delle Carrozze, dopodiché i visitatori, attraverso la Scala Simonetti,
accederanno alle gallerie superiori
(dei Candelabri e delle Carte geografiche) fino ad arrivare alla
Cappella Sistina. Il capolavoro di
Michelangelo sarà uno spettacolo
totalmente riservato agli ospiti
della Elemosineria: per l’occasione, infatti, la chiusura al pubblico
sarà anticipata (ultimo ingresso
alle ore 16). Dopo la spiegazione
delle guide e una preghiera comune, l’intero gruppo sarà accompagnato nel posto di ristoro dove
verrà offerta la cena. La fine della
visita è prevista per le 19.30.
che «l’inaccettabile umiliazione della vita prodotta da un patto scellerato tra politica ed economia di
mercato». Infatti, ha aggiunto, per
il Pontefice «la cultura della vita fa
tutt’uno con l’“opzione per i poveri”», che è «ben diversa dal vago e
facile assistenzialismo».
Nonostante ciò, ha avvertito il
cardinale Baldisseri, Papa Bergoglio
«insegna a non indulgere al disfattismo e a evitare le polarizzazioni. Il
suo non è un pensiero “contro”, ma
“per”; non è un “no”, ma un “sì”. Si
tratta di assumere un nuovo stile, in
cui i contenuti irrinunciabili del
vangelo della vita siano tutti ribaditi
e proclamati, ma con l’attenzione a
evitare la tentazione» di imporre
“fardelli insopportabili”. Questa, ha
osservato, «è la grande rivoluzione
di Francesco: la rivoluzione dei linguaggi e degli atteggiamenti, nella
fedeltà integrale alla dottrina di
sempre; la rivoluzione della tenerezza e della misericordia, che in modo
spontaneo richiama alla mente le
parole pronunciate all’inizio del
concilio Vaticano II da Giovanni
XXIII».
Da qui l’esortazione a passare
dalla lotta alla proposta, perché —
come ha osservato Benedetto XVI —
«su mentalità contraccettiva, aborto,
eutanasia, abbandono terapeutico,
fecondazione artificiale, manipolazioni genetiche, umiliazione dell’istituzione familiare, ideologia del gender, la posta in gioco è altissima».
Però, ha subito precisato il porporato, «questo grido d’allarme non deve indurci al pessimismo e alla rassegnazione, né può giustificare anatemi». Al contrario, esso «va sempre
strettamente unito — e subordinato
— alla dimensione positiva della cultura della vita, a ciò che la rende
qualcosa di creativo e originale, una
proposta di significato e di valori».
Infine nell’ultima parte del suo
intervento il cardinale ha messo in
relazione lo stretto legame esistente
tra vangelo della vita e vangelo della famiglia, alla luce del “doppio Sinodo” voluto da Francesco. Soffermandosi in particolare sulla relatio
synodi approvata al termine dell’as-
semblea straordinaria del 2014 e sui
lineamenta del prossimo, ha invitato
a ripartire dall’Humanae vitae. Purtroppo, ha dett0, è spesso prevalsa
una lettura parziale e tendenziosa
dell’enciclica di Paolo VI. Per cui
«l’auspicata recezione del documento si potrà realizzare nella misura in
cui riusciremo a mostrare il “rovescio della medaglia”, proclamando
la bellezza e la grandezza dell’amore sponsale secondo il progetto divino. Anche ora Papa Francesco ci
schiude la strada, additandoci quello che potremmo chiamare il “metodo del sì”». E in proposito il cardinale ha confidato che nelle osservazioni che stanno pervenendo alla segreteria sinodale in vista del nuovo
instrumentum laboris, «il riferimento
all’Humanae vitae ritorna sovente, a
dimostrazione che le varie istanze
ecclesiali e i singoli fedeli colgono
bene il legame inscindibile tra vangelo della famiglia e vangelo della
vita».
Nel tardo pomeriggio infine, in
occasione della giornata del bambino concepito e della ricorrenza della
manifestazione delle candele, il cardinale ha presieduto nel duomo di
San Martino, alla presenza di numerose famiglie, la celebrazione eucaristica della vigilia della festa
dell’Annunciazione.
Nomina episcopale
in Ecuador
La nomina di oggi riguarda la
Chiesa in Ecuador.
Bertram Víctor
Wick Enzler, vescovo
di Santo Domingo
en Ecuador
Nato in Waldkirch, nella diocesi svizzera di Sankt Gallen, l’8
marzo 1955, ha frequentato le
scuole medie e superiori presso il
collegio dei verbiti di Marienburg e ha ottenuto il baccalaureato a Lucerna. Nel 1980 è entrato nel seminario maggiore di
Innsbruck. Nel 1990 è stato inviato come missionario nell’arcidiocesi di Portoviejo, entrando
nell’Istituto ecuadoriano Santa
Maria del fiat. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale l’8 dicembre
1991, incardinandosi nell’arcidiocesi di Guayaquil. Per tre anni ha
svolto l’incarico di vicario parrocchiale e nel 1994 è stato nominato parroco nella penisola di Santa Elena. Nel 2005 è stato trasferito a Guayaquil, nella parrocchia
di Gesù Buon Pastore. Dal 2009
è stato parroco di Santa Madre
de la Iglesia in Los Ceibos e successivamente di Santa Elena. Il
26 ottobre 2013 è stato nominato
vescovo titolare di Carpi e ausiliare di Guayaquil, ricevendo
l’ordinazione episcopale il successivo 30 novembre.
Il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali in Ungheria
Quando Maria piange
La «follia cieca di chi pensa di agire in nome di Dio macchiandosi di
orribili delitti», come «accade in
Siria, in Iraq, in Pakistan, in Nigeria», è una delle sofferenze più
grandi che «oggi circondano il
cuore di Maria». Lo ha affermato
il cardinale Leonardo Sandri
Celebrazione della Via crucis
per i dipendenti del Governatorato
Con l’invito a guardare «a Cristo, al suo esempio, al suo percorso di
salvezza», seguendone «le orme dalla croce alla gloria», si è conclusa la
Via crucis nei giardini vaticani, alla quale hanno partecipato martedì
mattina, 24 marzo, i dipendenti del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Guidati dal cardinale presidente Giuseppe Bertello e
dal vescovo segretario generale Fernando Vérgez Alzaga, rappresentanti
dei vari settori di lavoro hanno portato la croce lungo le quattordici stazioni, alternandosi nella lettura delle meditazioni. La processione è partita dalla fontana di San Giuseppe, nei pressi dell’edificio del Governatorato, e ha percorso alcuni viali dei giardini, giungendo sino alla grotta
di Lourdes.
aprendo martedì 24 marzo in Ungheria — dove è in visita da domenica su invito dei vescovi grecocattolici del Paese — le celebrazioni
del terzo centenario del santuario
ungherese di Máriapócs.
Rievocando la prodigiosa lacrimazione dell’icona mariana, avvenuta nell’agosto 1715, il prefetto
della Congregazione per le Chiese
orientali ha ricordato le tragedie
dei nostri giorni che continuano a
provocare «le lacrime di Maria».
La quale, ha detto, «piange quando la vita degli innocenti è sterminata, quando la famiglia è insidiata, quando vede in noi figli smemorati e cristiani tiepidi»; ma
piange anche «per l’indifferenza di
fronte ai tanti drammi del nostro
mondo: dalle migliaia di emigranti
morti nel Mediterraneo ai profughi
stipati nei campi del Medio oriente, palestinesi, siriani, iracheni».
Nonostante ciò, ha sottolineato,
la Vergine non cessa «di farsi presente e accompagnare il cammino
dell’uomo», continuando «a inter-
cedere perché il torrente della grazia possa effondersi copioso sul
mondo intero». Per questo il porporato ha affidato in modo particolare alla sua intercessione l’anno
santo della misericordia annunciato
da Papa Francesco, al quale ha anche rivolto uno speciale ringraziamento per aver recentemente riorganizzato la Chiesa greco-cattolica
ungherese, elevando Hajdúdorog a
metropolia, Miskolc a eparchia ed
erigendo la nuova eparchia di Nyíregyháza. «Non si fermi l’impegno
della vita cristiana, e la gioia di
evangelizzare la società secolarizzata» ha raccomandato ai fedeli bizantini, invitandoli soprattutto a
pregare affinché «il Signore conceda alle tre circoscrizioni ecclesiastiche orientali in Ungheria il dono
di tante vocazioni, ugualmente distribuite tra il sacerdozio celibatario e quello sposato: entrambe sono un dono per la Chiesa e vanno
promosse».
Di un «passaggio epocale» da
vivere in spirito di «servizio e do-
no di sé» il cardinale aveva parlato
il giorno prima accogliendo proprio nella cattedrale di Hajdúdorog l’icona della Madonna di Máriapócs, a conclusione del pellegrinaggio attraverso le Chiese del
Paese. «La metropolia sui iuris ungherese — aveva detto — dovrà essere sempre artefice di comunione:
al suo interno anzitutto, nei confronti dei fratelli della Chiesa latina, con i fratelli cristiani di altre
confessioni, con i credenti di altre
religioni e con gli uomini e donne
di buona volontà».
Al termine della celebrazione
mariana il porporato aveva rivolto
parole di riconoscenza al cardinale
Peter Erdő, che «ha accompagnato
la vita della Chiesa greco-cattolica
ungherese», e aveva donato al metropolita di Hajdúdorog Fülöp
Kocsis — presente, tra gli altri, insieme al nunzio apostolico Bottari
de Castello e a metropoliti e vescovi di diverse Chiese — la medaglia
del pontificato di Papa Francesco,
e un calice.