L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLV n. 120 (46.958)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
venerdì 29 maggio 2015
.
Ai vescovi dominicani in visita «ad limina» il Papa chiede di accogliere gli haitiani
Oltre quattrocento morti in fosse comuni a Tikrit
La carità
non ammette indifferenza
O rrore
firmato Is
«L’attenzione pastorale e caritativa
verso gli immigranti, soprattutto
quelli provenienti dalla vicina Haiti,
che cercano migliori condizioni di
vita, non ammette l’indifferenza dei
pastori della Chiesa». Lo ha sottolineato il Papa durante l’udienza ai
vescovi della Repubblica Dominicana, ricevuti giovedì mattina, 28 maggio, in occasione della visita ad limina. Nel discorso consegnato in lin-
gua spagnola, il Pontefice ha ricordato anzitutto gli inizi dell’evangelizzazione nel continente americano.
Essi, ha spiegato «richiamano sempre alla mente la terra dominicana,
che ricevette per prima il ricco deposito della fede». Al punto che ancora «oggi i valori cristiani animano la
convivenza e le diverse opere sociali
a favore dell’educazione, della cultura e della salute». Inoltre, ha prose-
guito, «la Chiesa nella Repubblica
Dominicana può contare su numerose parrocchie vitali, su un nutrito
gruppo di fedeli laici impegnati e un
numero consistente di vocazioni al
sacerdozio e alla vita consacrata».
Quindi il pensiero del Papa è andato ai migranti haitiani che si spostano all’interno dell’isola di Hispaniola in fuga dalla povertà e dalle
calamità. Nel farlo ha esortato i ve-
Le richieste di Ban Ki-moon alla Commissione Ue sull’immigrazione
Compassione e coraggio
scovi dominicani a «continuare a
collaborare con le autorità civili» per
offrire «soluzioni concrete» a quanti
«sono privati dei documenti o del
godimento dei loro diritti fondamentali». È inammissibile, ha commentato, non promuovere «iniziative di
fraternità e di pace» tra i due Paesi
che insieme formano la «bella isola
dei Caraibi». Non solo, occorre anche integrare gli immigranti nella società e «accoglierli nella comunità
ecclesiale». Da qui il ringraziamento
rivolto ai presuli che stanno «vicini
a tutti quelli che soffrono, come gesto dell’amorevole sollecitudine per
il fratello che si sente solo e abbandonato».
Francesco ha poi sottolineato gli
sforzi dell’episcopato per affrontare
«i gravi problemi che affliggono» i
popoli della regione, tra i quali vanno annoverati il traffico di droga e
di esseri umani, la corruzione, la violenza domestica, l’abuso e lo sfruttamento dei minori, l’insicurezza sociale. Quanto alle «grandi sfide del
nostro tempo», il Papa si è soffermato sulla «seria crisi culturale» che
colpisce il matrimonio e la famiglia.
«Il prossimo giubileo della misericordia — ha auspicato — sia l’occasione per migliorare l’impegno a favore del matrimonio, della riconciliazione familiare e della convivenza
pacifica». Infine il Pontefice ha sollecitato i vescovi a prendersi cura dei
sacerdoti, per difenderli dai “lupi”
che attaccano i “pastori”.
PAGINA 8
Religiose in dialogo con la Curia
Migranti afghani soccorsi sull’isola greca di Kos (Afp)
BRUXELLES, 28. Compassione e coraggio sono stati i due concetti
chiave del messaggio del segretario
generale delle Nazioni Unite, Ban
Ki-moon, ieri, in un discorso alla
sede della Commissione europea.
La nuova agenda adottata da Bru-
y(7HA3J1*QSSKKM( +,!"!\!?!;!
Senza fine
il dramma
dei rohingya
DACCA, 28. Non conosce fine il
dramma dei migranti rohingya: il
Bangladesh ha annunciato ieri
che trasferirà su un’isola i campi
che ne ospitano migliaia. Saranno spostati sul l’isola di Hatiya,
nel Golfo del Bengala. «Il trasferimento dei campi rohingya è
certo, sono già stati presi accordi
sulla base delle istruzioni del
premier» ha affermato Amit Kumar Baul, capo dell’ufficio bengalese per i profughi.
Sono circa 32.000 i rifugiati
rohingya che vivono in due campi di fortuna nel sud-est del
Bangladesh, nel distretto di
Cox’s Bazar, al confine con il
Myanmar. I campi dei rohingya
— dicono gli analisti — sono considerati un pericolo che danneggia soprattutto il turismo locale.
Mohammad Islam, uno dei
leader della comunità rohingya,
ha criticato la decisione del trasferimento affermando che per i
rifugiati la vita diventerà ancora
più difficile. Sono migliaia i migranti rohingya che dal Bangladesh e dal Myanmar tentano la
pericolosa attraversata del Golfo
del Bengala diretti verso le coste
di Malaysia, Indonesia e Thailandia. Barconi abbandonati però a loro stessi, carichi di persone stremate senza cibo né acqua
che i Paesi vicini non vogliono
soccorrere.
xelles, e approvata pochi giorni fa,
«è un passo nella giusta direzione»
e «incoraggio gli Stati membri a
mostrare compassione» nell’accoglienza. Ma il capo del palazzo di
Vetro ha anche lanciato un avvertimento: nella guerra agli scafisti «le
operazioni militari hanno efficacia
limitata». Se ci fosse la necessità di
operare nelle acque territoriali libiche, «le regole internazionali vogliono che si discuta col Paese interessato, in questo caso la Libia» ha
detto Ban Ki-moon. La sola strada
possibile per risolvere il problema
alla radice è quello «di un’azione
globale nei Paesi di destinazione, di
transito e di origine dei migranti».
La priorità «deve essere il salvataggio delle vite e l’assistenza umanitaria a chi rischia la vita».
E intanto, le operazioni di soccorso al largo delle coste italiane
non conoscono tregua. La Guardia
costiera italiana ha soccorso ieri 234
migranti alla deriva al largo della
Sicilia. Arriveranno oggi nel porto
di Augusta.
Udienza alla presidente
della Repubblica di Croazia
Nella mattina di giovedì 28 maggio, il
Santo Padre ha ricevuto in udienza, nel Palazzo apostolico vaticano, il Presidente
della Repubblica di
Croazia, Sua Eccellenza la signora Kolinda
Grabar-Kitarović, che
successivamente ha incontrato il cardinale
Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo
Paul Richard Gallagher, segretario per i
Rapporti con gli Stati.
Nel corso dei cordiali colloqui si sono
constatate le buone relazioni esistenti tra la
Santa Sede e la Repubblica di Croazia,
ulteriormente rafforzate dagli Accordi stipulati tra le parti. Inoltre, sono stati
affrontati temi di comune interesse,
tra i quali la collaborazione fra la
Chiesa e lo Stato per il bene comune della società croata, in particolare a sostegno della famiglia e dei
giovani.
Nel prosieguo della conversazione ci si è soffermati sulle conseguenze sociali della crisi economica
mondiale, come pure sulle principali sfide regionali, con particolare attenzione alla situazione dei croati
nella Bosnia ed Erzegovina.
O rientamenti
non restrizioni
GRAZIA LOPARCO
A PAGINA
5
Per creare una cultura di pace
Cosa possono fare
le religioni
PAUL RICHARD GALLAGHER
A PAGINA
6
Un miliziano sciita (Afp)
BAGHDAD, 28. Nuovo orrore legato
al nome dello Stato islamico (Is).
In Iraq, vicino a Tikrit, sono state
trovate fosse comuni con almeno
470 cadaveri. Si tratta — riferisce il
ministero della Salute iracheno —
dei corpi di militari e civili vittime
del massacro di Camp Speicher,
avvenuto il 12 giugno dell’anno
scorso, durante l’avanzata dei miliziani jihadisti. Poco dopo il massacro, l’Is rivendicò l'uccisione di
1700 sciiti, mentre il 17 settembre
scorso il Governo iracheno in una
dichiarazione ufficiale stabilì in
1095 il numero delle perdite.
Sul terreno, intanto, i combattimenti non conoscono tregua. Le
forze irachene hanno ripreso ieri il
controllo di alcune zone chiave
della provincia di Anbar e del suo
capoluogo: la città di Ramadi. I
soldati dell’esercito iracheno e le
milizie sciite loro alleate hanno infatti riconquistato alcune aree a
sud e a ovest di Ramadi, strappando ai miliziani del sedicente Stato
islamico (Is) anche l’università di
Anbar, uno dei centri culturali più
importanti della regione.
Gli uomini di Al Baghdadi avevano occupato Ramadi circa una
settimana fa, scatenando la fuga disperata di centinaia di migliaia di
civili iracheni.
E sull’offensiva a Ramadi è intervenuta nelle ultime ore anche la
Casa Bianca, sottolineando la necessità di «adattare la strategia»
statunitense nel sostegno ai soldati
iracheni e alle forze sciite impegnate sul campo. «Dobbiamo adattare
la nostra strategia e adattare anche
il tipo di equipaggiamento che forniamo con il passare del tempo,
perché anche l’Is si adatta» ha detto il portavoce della Casa Bianca,
Jan Psaki, cercando così di far dimenticare le recenti affermazioni
del segretario alla Difesa, Ashton
Carter, secondo il quale le forze
irachene a Ramadi «non hanno
mostrato volontà di combattere».
Affermazioni, queste, che avevano
suscitato la reazione del Governo
di Baghdad.
Nel frattempo a Palmira, la città
siriana conquistata dai jihadisti pochi giorni fa, le atrocità non conoscono fine. Ieri infatti — secondo
quanto riportano fonti dell’O sservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), espressione dell’opposizione al presidente Assad — venti
soldati siriani sono stati giustiziati
a colpi d’arma da fuoco davanti a
una piccola folla di spettatori seduti sugli spalti dell’antico anfiteatro
romano. Il sito archeologico nella
città, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, è stato dunque
trasformato dai jihadisti in una macabra scenografia per l’esibizione
dell’orrore. Secondo l’ultimo bilancio dell’Ondus, salgono così ad almeno 237 le persone giustiziate da
quando, il 16 maggio, i miliziani
hanno lanciato l’offensiva.
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa
mattina in udienza:
Sua Eminenza Reverendissima
il Signor Cardinale Nicolás de
Jesús López Rodríguez, Arcivescovo di Santo Domingo (Repubblica Dominicana), con gli
Ausiliari, le Loro Eccellenze
Reverendissime i Monsignori
Amancio Escapa Aparicio, Vescovo titolare di Cene, e Víctor Emilio Masalles Pere, Vescovo titolare di Girba, in visita «ad limina
Apostolorum»;
le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori:
— Freddy Antonio de Jesús
Bretón Martínez, Arcivescovo di
Santiago de los Caballeros (Repubblica Dominicana), con l’Ausiliare, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Valentín Reynoso Hidalgo, Vescovo titolare
di Mades, e con l’Arcivescovo
emerito, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Ramón Benito de la Rosa y Carpio, in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Héctor Rafael Rodríguez
Rodríguez, Vescovo di La Vega
(Repubblica Dominicana), con il
Vescovo emerito, Sua Eccellenza
Reverendissima Monsignor Antonio Camilo González, in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Diómedes Espinal de León,
Vescovo di Mao - Monte Cristi
(Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Julio César Corniel Amaro,
Vescovo di Puerto Plata (Repubblica Dominicana), in visita «ad
limina Apostolorum»;
— Fausto Ramón Mejía Vallejo, Vescovo di San Francisco de
Macorís (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Andrés Napoleón Romero
Cárdenas, Vescovo di Barahona
(Repubblica Dominicana), con il
Vescovo emerito, Sua Eccellenza
Reverendissima Monsignor Rafael Leónidas Felipe y Núñez, in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Gregorio Nicanor Peña Rodríguez, Vescovo di Nuestra Señora de la Altagracia en Higüey
(Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»;
— José Dolores Grullón Estrella, Vescovo di San Juan de la
Maguana (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Francisco Ozoria Acosta,
Vescovo di San Pedro de Macorís (Repubblica Dominicana), in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Pablo Cedano Cedano, Vescovo titolare di Vita, già Ausiliare di Santo Domingo (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum».
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza Sua
Eccellenza la Signora Kolinda
Grabar-Kitarović, Presidente della Repubblica di Croazia, e Seguito.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza Sua
Altezza Reale il Principe Alexander von Sachsen, con la Famiglia.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza il Senatore José Mujica Cordano, con
la Consorte.
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pagina 2
venerdì 29 maggio 2015
Il ministro delle Finanze ellenico
Yanis Varoufakis (Ap)
Intervento della Santa Sede all’O nu
Valore
dell’informazione
DRESDA, 28. L’accordo per sbloccare
gli aiuti alla Grecia si avvicina, con
Atene che parla di una bozza già sul
tavolo dei negoziatori, e i mercati
che festeggiano. Ma da Dresda, dove è in corso la riunione dei ministri
delle Finanze del G7, trapela prudenza, mentre Berlino è apertamente
scettica. Tuttavia, a Dresda il pressing degli Stati Uniti per un compromesso e la presenza dei negoziatori del Fondo monetario internazionale (Fmi) potrebbero imprimere
un'accelerazione. Ma il condizionale
è d’obbligo.
«Abbiamo fatto passi avanti, siamo alle battute finali, l'accordo è vicino» ha annunciato ieri il premier
ellenico, Alexis Tsipras. Fonti vicine
al Governo greco dicono che ieri, al
termine dell’incontro tra i rappresentanti del Brussels Group (Ue, Bce
ed Fmi) e la squadra di negoziatori
greci, sarebbe venuta fuori anche
una bozza di accordo. Il documento
parlerebbe di una riforma delle aliquote iva e un abbassamento degli
obiettivi economici greci per quest’anno, dunque una mediazione fra
le richieste di Atene e quelle di Ue e
Fmi. Mentre resterebbero fuori dal
documento i nodi delle pensioni e
del mercato del lavoro.
Entusiasmo, questo, smentito da
diverse fonti tecniche Ue, secondo le
Berlino smentisce il premier ellenico Tsipras che parla di accordo già pronto
Il mistero del debito greco
Si avvicina la scadenza dei rimborsi dovuti da Atene all’Fmi
quali l’accordo non è così vicino e
appare difficile concludere qualcosa
entro il 5 giugno, data in cui Atene
deve oltre 300 milioni di euro
all’Fmi.
A ciò si aggiunge il pessimismo di
Berlino: il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, è stato
particolarmente duro: se vuole restare nell’euro, Atene deve sottoscrivere
il programma di risanamento concordato, come finora ha mostrato di
«non voler fare». Per Schäuble, insomma, non si vede ancora quella
«soluzione complessiva», ovvero il
piano di riforme, considerata una
condizione imprescindibile per il sostegno alla Grecia. E sulla stessa linea di Berlino c’è anche Valdis
Dombrovskis, vice presidente della
Commissione Ue, secondo cui «ancora non ci siamo», e anche se il negoziato fa progressi «restano ancora
diverse aree da discutere».
NEW YORK, 28. «La società ha diritto a un’informazione obiettiva ed
è nell’osservanza di una tale esigenza che i media sono al servizio
del bene comune». Questo il cuore
del messaggio dell’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le
Nazioni Unite, in un intervento al
Consiglio di sicurezza tenuto ieri,
27 maggio, durante il dibattito sulla protezione dei giornalisti nei
conflitti armati.
«Il ruolo dei giornalisti nel fornire informazione non è soltanto
uno dei principali strumenti di partecipazione democratica; è anche
necessario per sostenere la comunità umana» ha spiegato l’arcivescovo Auza. E proprio per questo, è
deplorevole il fatto che decine di
giornalisti
siano
stati
uccisi
nell’adempimento del loro dovere
nelle situazioni di conflitto. I dati
parlano chiaro: nel 2014 almeno 69
giornalisti hanno perso la vita e altri 221 sono stati incarcerati. Nel
2015 già 25 giornalisti sono stati uccisi nei principali scenari bellici e
altri 156 incarcerati. «Il pericolo è
purtroppo un aspetto costante
I particolari sull’inchiesta che ha travolto il calcio
La Commissione propone per il 2016 un bilancio da 143,5 miliardi di euro
Fifa nera
Più fondi in Europa
per il lavoro e la crescita
L’Fbi parla di un sistema ramificato di corruzione
Il presidente della Fifa Sepp Blatter (Afp)
WASHINGTON, 28. È destinata a trasformare in profondità il sistema
mondiale del calcio l’inchiesta statunitense che ieri ha travolto i vertici della Fifa. Gli agenti dell’Fbi
parlano di oltre vent’anni di frodi,
corruzione, racket, riciclaggio di denaro sporco: un traffico da oltre 150
milioni di dollari. E questo mentre
a Zurigo è in corso il congresso annuale della Fifa, dove domani, venerdì, dovrebbe essere rieletto alla
presidenza
dell’organizzazione
Sepp Blatter, che al momento, nonostante non risulti indagato, è al
centro di infuocate polemiche. A
chiedere le dimissioni immediate di
Blatter è stato ieri il presidente della federazione inglese, Greg Dyke.
La Confederazione asiatica di calcio
ha invece confermato il suo appoggio a Blatter per un altro mandato
(il quinto consecutivo).
Nell’unica dichiarazione rilasciata
finora, il presidente uscente della
Fifa si difende, sostenendo che
«l’azione dell’ufficio del procuratore generale è stata messa in moto
quando abbiamo presentato un fascicolo alle autorità svizzere alla fine dello scorso anno».
Il procedimento giudiziario formalizzato ieri e illustrato in una
conferenza stampa dal segretario alla Giustizia statunitense, Loretta
Lynch, dal capo dell’Fbi, James
Comey, e dal procuratore distrettuale, Kelly Currie, fa emergere un
sistema di corruzione estremamente
ramificato, che coinvolge non solo i
dirigenti della Fifa, ma anche molti
manager delle imprese multinazionali impegnate nel business sportivo. Questo sistema, come detto, faceva circolare denaro sporco per oltre 150 milioni di dollari almeno dai
mondiali statunitensi del 1994. E
spuntano anche dieci milioni di
dollari pagati dal Governo sudafricano all’ex vicepresidente della Fifa, Jack Warner, per aggiudicarsi i
mondiali del 2010. Ipotesi di corruzione sono al vaglio anche per l’assegnazione delle prossime manifestazioni a Russia e Qatar.
«Sradicheremo la corruzione dal
calcio mondiale» ha promesso Loretta Lynch. «È ora che facciano un
profondo esame di coscienza». Lynch ha poi sottolineato che l’inchiesta riguarda personaggi che hanno
violato leggi federali: reati commessi negli Stati Uniti o che danneggiano interessi statunitensi. E tuttavia non sono mancate critiche. Mosca ha infatti accusato Washington
di ingerenza, «applicazione illegale
di leggi americane al di fuori degli
Stati Uniti» si legge in un comunicato del ministero degli Esteri.
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GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
BRUXELLES, 28. Oltre 66 miliardi di
euro per stimolare la crescita, l’occupazione e la competitività, quasi
43 miliardi per l’agricoltura e più
fondi per gestire l’immigrazione. La
Commissione ha proposto ieri un
bilancio dell’Ue per il 2016 da 143,5
miliardi di euro in stanziamenti di
pagamento per sostenere la ripresa
dell’economia e favorire la convergenza tra gli Stati membri e tra le
regioni. La proposta comprende
inoltre contributi al Fondo europeo
per gli investimenti strategici.
Una quota importante dei fondi
del budget, 66,58 miliardi, è destinata a sostenere la crescita dell’economia e la creazione di posti di lavoro.
Vengono inoltre sostenute le priorità politiche della Commissione europea,
ad
esempio
l’Unione
dell’energia e il mercato unico digitale, attraverso programmi come il
meccanismo per collegare l’Europa
con 1,67 miliardi di euro.
Erasmus, il programma dell’Unione per l’istruzione, la formazione, la
gioventù e lo sport, riceverà 1,8 miliardi di euro, il 30 per cento in più
rispetto al 2015, mentre la competitività viene rafforzata mediante la ricerca e l’innovazione attraverso i
programmi di Horizon 2020, a cui
sono destinati 10 miliardi di euro,
l’11,6 per cento in più rispetto allo
scorso anno.
Gaetano Vallini
sione congiunta sul bilancio definitivo.
Il bilancio dell’Ue risponde inoltre ai nuovi sviluppi nel vicinato europeo e in altre parti del mondo.
Vengono stanziati 9,5 miliardi di euro per rispondere alle crisi esterne e
fornire assistenza umanitaria.
Il commissario Ue per il budget Kristalina Georgieva (Afp)
Un nuovo capitolo nella storia dei Balcani
TIRANA, 28. Tra eccezionali misure
di sicurezza, è iniziata ieri pomeriggio la visita ufficiale in Albania del
premier serbo, Aleksandar Vučić. Si
tratta della prima visita a Tirana di
un capo di Stato o di Governo di
Belgrado.
Nel corso di un colloquio, Vučić
e il premier albanese, Edi Rama, si
sono detti convinti di poter aprire
un nuovo capitolo nella travagliata
storia dei Balcani. Fra i due Paesi
ha sempre pesato l’intricato nodo
del Kosovo, ma i leader hanno ribadito che la netta divergenza su que-
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sto caso non deve rappresentare più
un ostacolo. «Noi non andiamo
d’accordo su tutto. Per noi il Kosovo è parte della Serbia, per l’Albania è uno Stato indipendente, ma
siamo disposti a superare anche
queste differenze», ha dichiarato il
primo ministro serbo. «La visita di
Vučić è un chiaro segnale della comune volontà a guardare avanti, e
della comune convinzione che, indipendentemente dai disaccordi, noi
abbiamo immensi spazi di opportunità ma anche di responsabilità, non
solo nei confronti di noi stessi ma
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
anche di fronte alla regione dei Balcani», ha invece detto Rama ai giornalisti. Al termine dell’incontro, i
due premier hanno ribadito che la
destinazione di Serbia e Albania è
l’Unione europea.
La visita di Vučić segue quella effettuata dal premier Rama a Belgrado a novembre: quel viaggio fu in
un primo momento rimandato di
due settimane a causa delle violenze
scoppiate in campo e sugli spalti
durante una partita di calcio tra le
squadre dei due Paesi per le qualificazioni europee.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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Tour diplomatico
europeo
per Cameron
LONDRA, 28. Dopo avere assolto il
cerimoniale del Queen’s Speech, il
discorso con il quale la regina Elisabetta II ieri ha illustrato al nuovo Parlamento il programma del
Governo, David Cameron inizia
oggi un nuovo viaggio in Europa.
Il premier britannico intende illustrare ai vari leader Ue le ragioni di Londra nel negoziato con il
quale spera di ridefinire il rapporto tra Gran Bretagna e Bruxelles,
che dovrebbe precedere il referendum sulla permanenza nella Ue,
previsto entro il 2017. Cameron,
che lunedì sera ha avuto una cena
di lavoro con il presidente della
Commissione europea, Jean-Claude Juncker, sarà oggi all’Aia per
incontrare il premier olandese,
Mark Rutte, e subito dopo volerà
a Parigi per un colloquio con il
presidente francese, François Hollande. Venerdì, Cameron ha invece in programma un incontro a
Varsavia con il premier polacco,
Ewa Kopacz, e poi a Berlino, con
il cancelliere Angela Merkel.
Elezioni legislative
anticipate
in Danimarca
Il primo ministro serbo in Albania
caporedattore
segretario di redazione
Inoltre due miliardi di impegni e
500 milioni di pagamenti vengono
destinati al fondo di garanzia
dell’Efsi e del piano Juncker per
mobilitare 315 miliardi di investimenti. Il progetto sarà trasmesso al
Parlamento europeo e agli Stati
membri, che adotteranno una deci-
della vita nei conflitti, ma non ci
sono scuse per le parti coinvolte di
non rispettare e proteggere i giornalisti».
Auza ha dunque sottolineato che
«l’importanza del ruolo dei giornalisti nei conflitti continua a crescere
nell’attuale mondo interconnesso.
L’eccezionale progresso della tecnologia dell’informazione e dei social media rende individui e comunità in tutto il mondo desiderosi di
un’informazione in costante evoluzione dalle zone di conflitto». E
tuttavia, «mentre un tale accesso
all’informazione si è rivelato un
potente strumento nel promuovere
la solidarietà globale per le vittime
dei conflitti e nell’assistenza umanitaria, è diventato sempre più difficile per noi, specialmente per i
politici,
valutare
l’obiettività
dell’informazione fornita». Nell’intervento, che pubblichiamo integralmente sul sito del giornale, Auza ha dunque auspicato non solo
un maggior impegno della comunità internazionale nella protezione
dei giornalisti, ma anche maggior
responsabilità da parte degli operatori dell’informazione.
COPENAGHEN, 28. La Danimarca
andrà alle urne il prossimo 18 giugno per le elezioni legislative. Ad
annunciare il voto anticipato è stata ieri la premier danese, Helle
Thorning-Schmidt, in una dichiarazione alla stampa. «La Danimarca si è rimessa in pista, siamo
usciti dalla crisi» ha detto. È il
momento «di chiedere ai danesi se
vogliono mantenere questa rotta
oppure dire sì agli esperimenti
dell’opposizione». Oltre a ricordare che il Paese deve continuare
con le riforme, la premier, diventata nel 2011 prima donna alla guida del Governo danese, ha poi
sottolineato la necessità di maggiori interventi di assistenza sociale. Il Governo, secondo gli ultimi
sondaggi, sarebbe indietro rispetto
all’opposizione di centrodestra.
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venerdì 29 maggio 2015
pagina 3
Si aggravano le condizioni di oltre settantamila persone senza acqua e cibo
Emergenza
per i rifugiati burundesi
Decine di vittime
nei raid
contro gli huthi
nello Yemen
SANA’A, 28. Un’altra giornata di
sangue ieri nello Yemen dove oltre
a cruenti combattimenti tra i ribelli sciiti huthi e le forze fedeli al
presidente yemenita, Abd Rabbo
Mansour Hadi — costretto all’esilio a Riad — si sono registrati una
serie di raid della coalizione a guida saudita che hanno provocato
decine di vittime.
Il quartier generale delle forze
speciali a Sana’a è stato colpito in
un’operazione dei caccia sauditi
che ha fatto almeno 43 morti e
cento feriti. Lo ha riferito l’agenzia di stampa Dpa, che cita fonti
mediche. La capitale yemenita è
dallo scorso settembre sotto il
controllo dei ribelli sciiti huthi.
Secondo un funzionario del ministero della Salute, coperto da
anonimato, la maggior parte delle
vittime del raid sono uomini delle
forze speciali. Le forze speciali yemenite, di cui fanno parte gli
agenti dell’antiterrorismo, sono fedeli all’ex presidente Ali Abdullah
Saleh, che sostengono gli huthi.
Inoltre, è arrivata anche la notizia di un raid contro la principale
base navale yemenita, quella di Al
Hudayda, che secondo fonti
dell’agenzia Dpa sarebbe stata
«completamente distrutta».
Nel frattempo, due guardie di
frontiera saudite sono state uccise
e altre cinque sono rimaste ferite
dal fuoco d’artiglieria pesante al
confine con lo Yemen. Lo riferiscono oggi i media sauditi citando
il ministero dell’Interno, che ha
accusato i ribelli sciiti huthi di
aver lanciato missili contro una
postazione a Zahran South, nella
regione di confine di Asir.
Sale così a trenta il numero delle persone, tra militari e civili, uccise in Arabia Saudita al confine
yemenita, da quando la coalizione
araba guidata da Riad ha iniziato
i raid contro i ribelli che, dopo
aver occupato Sana’a, hanno iniziato una vasta offensiva per conquistare l’intero Paese.
Nuovo incontro
a Ginevra
sul dossier
iraniano
GINEVRA, 28. Il segretario di Stato
americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri iraniano, Javad
Zarif, si incontreranno questo fine
settimana a Ginevra per dare un
nuovo impulso ai negoziati tra
Teheran e il gruppo cinque più
uno (Stati Uniti, Gran Bretagna,
Francia, Russia e Cina, membri
permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania)
sul programma nucleare iraniano.
Lo ha reso noto ieri il portavoce
del dipartimento di Stato americano, Jeff Rathke, aggiungendo che
gli Stati Uniti non considerano la
possibilità di un’estensione oltre il
30 giugno dei negoziati per finalizzare l’accordo sul dossier.
In precedenza, uno dei negoziatori di Teheran, Abbas Araqchi,
aveva invece ventilato l’ipotesi che
i negoziati potessero protrarsi oltre
la scadenza del 30 giugno. «Non
siamo legati a una data precisa —
aveva detto Abbas Araqchi — e
stiamo cercando di raggiungere un
buon accordo i cui dettagli siano
all’altezza delle reciproche aspettative».
BUJUMBURA, 28. L’esodo di oltre
settantamila rifugiati dal Burundi in
Tanzania sta mettendo a dura prova
le capacità del Governo di Dodoma
e delle associazioni umanitarie di rispondere all’emergenza.
Giorno dopo giorno gli operatori
stanno incontrando sempre maggiori difficoltà a soddisfare le crescenti
richieste di acqua potabile, cibo e
riparo necessarie per assistere i profughi in fuga dal Burundi che sono
ormai ben oltre centomila distribuiti
nei Paesi limitrofi. L’allarme è stato
lanciato ieri da Oxfam.
In Tanzania, il campo profughi di
Nyarugusu ha superato le proprie
capacità di accoglienza: le scuole e
le chiese della zona sono state tra-
sformate in rifugi improvvisati,
nell’attesa che vengano costruite sistemazioni più appropriate. Tantissime sono le famiglie, che dopo viaggi estenuanti sono ammassate in pochi metri quadrati.
«I profughi — si spiega in una
nota dell’ufficio per l’Africa di
Oxfam Italia — sono distrutti dalla
sete e dalla fatica e molti di loro sono malati. Si contano già migliaia
di casi di colera Hanno passato di
tutto per arrivare fin qui, e hanno
ora bisogno di acqua potabile, cibo
e riparo. Siamo pronti a incrementare la nostra risposta, ma sono necessari maggiori aiuti». Oxfam è impegnata nei campi profughi di Kagunga e Nyarugusu.
Uccisi 35 ribelli talebani
Offensiva delle forze afghane
a Kandahar
E in Burundi la situazione resta
ben lungi dalla normalità. Le elezioni parlamentari previste per il 5 giugno, sono infatti impossibili da organizzare per i «disordini politici e
di sicurezza» nel Paese. Lo hanno
detto ieri i principali partiti di opposizione. «Il Paese è affondato in
una situazione di disordine politico
e di insicurezza che non può in alcun caso permettere elezioni trasparenti, libere e credibili» si legge in
una nota in cui si sottolinea che anche «la tenuta della campagna elettorale e l’organizzazione degli scrutini sono impossibili». Perplessità
sulla possibilità di un corretto svolgimento delle procedure elettorali è
stata espressa anche dai vescovi.
Le legislative e le comunali sono
previste il 5 giugno, prima di quelle
presidenziali del 26 giugno. Il
Burundi è piombato in una grave
crisi politica dall’annuncio a fine
aprile della candidatura del presidente uscente Pierre Nkurunziza, in
cerca
di
un
terzo
mandato
consecutivo.
Rifugiati burundesi in Tanzania (Ansa)
Al partito di Governo le legislative
Solita Etiopia
ADDIS ABEBA, 28. Netta vittoria, come da previsioni, del Fronte rivoluzionario e democratico del popolo
etiope (Eprdf) nelle elezioni parlamentari di domenica scorsa nel Paese del Corno d’Africa che, attualmente, figura tra le economie del
continente a crescere più velocemente. Si è trattato del quinto voto dopo la fine del colonnello Menghistu,
nel maggio del 1991, e l’ingresso della nuova Costituzione, nel 1995.
Secondo i risultati provvisori, su
442 seggi finora assegnati nessuno è
andato all’opposizione. Nel precedente Parlamento, composto da 547
deputati, un solo seggio non era
controllato dal movimento che goKABUL, 28. Almeno 35 militanti talebani sono morti e altri 40 sono
rimasti feriti ieri in un raid aereo
delle forze di sicurezza afghane
nella provincia meridionale di
Kandahar. Lo riferisce il portale di
notizie Khaama Press. Il Governo
provinciale ha confermato che gli
insorti sono stati uccisi dopo che
si erano radunati nell’area di Badi
Ghondi del distretto di Shorabak.
Secondo la polizia di Kandahar i
talebani si accingevano a realizzare
un attacco coordinato.
E altri sei ribelli talebani sono
morti la notte scorsa nel blitz di
un drone statunitense nella provincia orientale afghana di Nuristan.
Il comandante della polizia pro-
vinciale, generale Khalilullah Zeyi,
ha precisato che l’attacco è stato
portato nell’area di Mandish del
distretto di Waigal. Insieme alla
vicina provincia di Kunar, il Nuristan confina con il Pakistan e da
tempo è centro dell’attività di
gruppi armati che operano contro
il Governo di Kabul.
E l’Afghanistan ha accolto come
un «gesto positivo» il monito rivolto ieri dal Pakistan ai talebani
afghani affinché «sospendano immediatamente» la loro offensiva di
primavera, per non subire «gravi
conseguenze». Ciò viene interpretato dagli analisti come la riprova
di una fase di disgelo nelle relazioni fra Kabul e Islamabad.
A luglio riparte
il nucleare giapponese
TOKYO, 28. Entro la fine di luglio
riparte il nucleare in Giappone,
con il riavvio del reattore numero 1
della centrale di Sendai, nel sud.
Lo ha previsto il gestore Kyushu
Electric dopo l’approvazione della
Nuclear
Regulation
Authority
(Nra) dei piani operativi sulla sicurezza, ultimo passo del percorso
composto di tre fasi. Si tratta dei
piani di emergenza e sgombero in
caso di incendio, alluvioni, calamità naturale o incidente grave. La
riapertura a Sendai è il primo caso
di autorizzazione finale con gli
standard decisi dopo la grave crisi
innescata nella centrale di Fukushima dal terremoto e dal successivo tsunami dell’11 marzo del 2011.
Secondo la Nra, «non esistono
problemi relativi alle misure di
prevenzione contro possibili calamità»: la centrale di Sendai, vicina
a due vulcani attivi, è tra i venti-
quattro impianti oggetto degli accertamenti sulla sicurezza.
Il
presidente
della
Nra,
Shunichi Tanaka, ha ricordato
l’importanza dell’educazione alla
sicurezza e della formazione per
tutti i lavoratori dell’impianto.
Kyushu Electric, da parte sua, ha
promesso di migliorare le tutele a
favore degli operai. Il Governo di
Tokyo sostiene il riavvio del maggior numero di reattori quanto prima (ora sono cinquanta, tutti fermi) al fine di abbattere la bolletta
energetica, che beneficia comunque delle quotazioni del petrolio
favorevoli. Il nucleare, nonostante
la grave crisi di Fukushima, resta
una fonte di vitale importanza per
Tokyo, all’interno di un mix energetico in discussione che dovrebbe
lasciare all’atomo a uso civile una
quota del 20-22 per cento del fabbisogno entro il 2030.
Tensioni
politiche
in Madagascar
ANTANANARIVO, 28. «Sono ancora qui». Con queste parole, il presidente del Madagascar, Hery Rajaonarimampianina, si è rivolto ieri sera ai cittadini attraverso la televisione nazionale dopo che il
Parlamento ne ha chiesto la destituzione per «presunte violazioni
costituzionali e incompetenza». Il
capo dello Stato, eletto diciotto
mesi fa, ha contestato il voto dei
deputati, affermando di porsi domande «sul rispetto delle procedure legali e sulla trasparenza».
In particolare — informano le
agenzia di stampa internazionali
— Rajaonarimampianina ha affermato che al momento del voto in
Parlamento sarebbero stati presenti solo un’ottantina di deputati
e non centoventicinque, come reso noto da fonti ufficiali del Paese africano. Di questi, centoventuno avevano votato contro il presidente (la maggioranza richiesta
era di centodieci voti).
Rajaonarimampianina ha anche
ribattuto all’accusa di «alto tradimento» — legata in particolare alla violazione delle norme di funzionamento dell’Assemblea nazionale e alla mancata nomina di
una commissione elettorale — per
cui è stato deferito alla Corte costituzionale (a questa spetta infatti la decisione definitiva): a suo
dire, avrebbe pagato il rifiuto di
concedere ai deputati alcuni benefit richiesti. A questo proposito,
Rajaonarimampianina ha affermato di avere non meglio precisati
«sospetti di corruzione»
verna il Paese dal 1991. In quell’occasione, l’Eprdf aveva ricevuto, secondo il conteggio ufficiale, il 99,4
per cento dei voti.
Critiche
—
scrive
l’agenzia
Missionary International Service
News Agency _ sono arrivate
dall’opposizione, che ha anche contestato il verdetto degli osservatori
dell’Unione africana, secondo cui le
elezioni si sono svolte «in modo calmo e soddisfacente». Nessun osservatore straniero, né statunitense, né
europeo, ha però monitorato lo svolgimento e lo scrutinio del voto.
Merara Gudina, che guida la coalizione all’opposizione Medrek, ha
parlato di «rapina organizzata», denunciando una «caccia alle streghe»
nei confronti dei dissidenti e il furto
di urne elettorali in vari seggi.
Le elezioni politiche sono capitate
in un momento felice dal punto di
vista economico, nel pieno di una
vera e propria ripresa e un prodotto
interno lordo con una crescita a due
cifre, del 10 per cento all’anno dal
2010 ad oggi.
Una tendenza degna d’attenzione
per gli analisti economici, che comunque va inquadrata in un contesto in cui il punto di partenza è tra i
più bassi del mondo. Il Paese è, infatti, sempre alle prese con un peso
insopportabile che grava su un popolo tra i più poveri del mondo,
stremato dalla fame e dalla malnutrizione e con un divario sempre più
profondo tra i ceti urbani e rurali.
L’esercito nigeriano
licenzia
duecento soldati
ABUJA, 28. L’esercito nigeriano ha
licenziato ieri almeno duecento
soldati, accusati di «codardia» per
non avere combattuto contro i terroristi del gruppo fondamentalista
islamico di Boko Haram.
Lo ha reso noto la Bbc nel Paese africano, secondo cui almeno
altri 4500 militari rischiano lo stesso provvedimento. Una fonte militare nigeriana ha confermato i licenziamenti, senza però fornire
una cifra precisa e le motivazioni.
Si ritiene che la vicenda sia legata alla caduta di Mubi, la seconda città più grande dell’Adamawa, uno dei tre Stati che si trovano in una situazione di emergenza. Secondo le accuse, i militari non avrebbero impedito ai miliziani di prendere il controllo di
Mubi. Intanto, a seguito di incursioni e violenze da parte di Boko
Haram, il Parlamento del Niger
ha approvato un’estensione di tre
mesi dello stato di emergenza nella provincia meridionale di Diffa.
Le misure straordinarie prevedono l’attribuzione ai militari del
potere di fermare sospetti militanti
anche senza mandato di cattura.
La provincia di Diffa confina con
la Nigeria nord-orientale, roccaforte di Boko Haram. Un mese fa,
durante un’incursione islamista in
un’isola del Lago Ciad sotto sovranità nigerina, sono state uccise
cinquanta persone.
In alcuni ospedali mancano perfino siringhe o aghi
Carenza di vaccini
per i bambini del Ghana
ACCRA, 28. Gli ospedali della regione di Ashanti, polo industriale del
Ghana, sono a corto di vaccini da
somministrare ai neonati per combattere pericolose malattie infantili.
In tutto il Paese africano, rilevano
fonti della direzione della Sanità,
scarseggiano le scorte di vaccini contro morbillo, tubercolosi, febbre gialla ed epatite e le autorità del Servizio sanitario confermano le crescenti
preoccupazioni dei genitori. In alcuni ospedali la situazione è ancora
più grave, in quanto mancano perfino siringhe o aghi per i pochi vaccini esistenti.
La situazione non migliora nemmeno nella capitale, Accra. Le stesse
fonti indicano che la carenza dei
vaccini è dovuta alle conseguenze
dell’incendio che nel gennaio scorso
distrusse il Central Medical Stores
della capitale, il più grande centro di
approvvigionamento e distribuzione
di attrezzature mediche e farmaci, tra
cui medicinali contro l’Hiv, la malaria e l’ebola.
Secondo il direttore generale del
Servizio sanitario ghanese, Ebenezer
Appiah-Denkyra, la carenza dei vaccini è dovuta alla mancanza di finanziamenti da parte del Governo centrale.
Appiah-Denkyra ha comunque assicurato che il Servizio sanitario coprirà la spesa per le famiglie più disagiate, mentre dall’Unicef arriveranno finanziamenti per avere i vaccini
per la prossima settimana.
Cresce, però, la preoccupazione
dei genitori per la salute e la crescita
dei loro bambini, che si vedono riprogrammate le visite neonatali più e
più volte.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
venerdì 29 maggio 2015
«Non fa distinzioni fra noi e loro, capisce?»
spiega nel romanzo di Dario Fertilio
il generale John Burns
al capo dei servizi segreti alleati
Il vescovo Hudal e la fuga dei nazisti
Ambiguità del male
di LUCETTA SCARAFFIA
n vescovo fuori
dal mondo. Con
le migliori intenzioni del mondo.
Ma anche le peggiori»: così John
Burns, generale di brigata neozelandese, definisce il vescovo austriaco
Hudal, rettore del collegio di Santa
Maria dell’Anima, che l’ha nascosto
per mesi — e poi fatto fuggire —
dalla Roma occupata dai nazisti.
«Non fa distinzioni fra noi e loro,
capisce?» spiega infatti Burns al responsabile dei servizi segreti alleati.
L’inquietante Alois Hudal è un
nazista appassionato, crede che Hitler sia stato inviato da Dio e che
proprio per questo sia necessario
convertirlo: «Un vero socialismo
nazionale tedesco potrebbe esse-
«U
volte impegnato su temi controversi
della storia recente, affronta un tema per molti versi ancora scottante:
la questione dell’aiuto, se pure indiretto, dato da uomini di Chiesa alla
fuga di criminali nazisti. Il racconto
si apre con una ouverture wagneriana — un comizio di Hitler, e
l’esorcismo di Pio XII — e poi si
dipana su due piani, quello della vicenda
del
vescovo,
accecato
dall’amore per la patria germanica e
dall’utopia ideologica che si intrecciano alla sua identità cristiana, e quello
di
un
soldato
dell’Armata
rossa
che
occupa
Königsberg, ma che
ha origini tedesche. Il milita-
Maria in trono con il Bambino Gesù invocata da figure piangenti
(Santa Maria dell’Anima, Roma)
re — se nutrito al suo interno da un
cristianesimo sociale — la nostra
grande occasione. La speranza». Pio
XII si rifiuterà sempre di riceverlo,
ma non solo gli permetterà di svolgere un ruolo chiave nella Roma occupata dai tedeschi, e poi dagli alleati, ma gli affiderà anche un compito importante, come quello di
scrivere una lettera al comandante
tedesco per invocare la sospensione
del rastrellamento degli ebrei romani. Non si sa se per effetto della lettera del vescovo austriaco, ma l’operazione contro gli ebrei fu sospesa.
Non solo: durante l’occupazione
tedesca Hudal si impegnò a ospitare
e a far fuggire — sempre con l’aiuto
della Croce Rossa, per tacita volontà del Papa — militari dell’esercito
alleato, e forse, chissà, perseguitati
politici. Anche se il suo cuore batte
per il Führer, come buon cattolico
obbedisce alla gerarchia, e quindi
agli ordini di Pio XII.
Certo, il suo ruolo diventa decisivo dopo la guerra, quando attraverso il suo aiuto riescono a fuggire
molti tedeschi, fra i quali non pochi
indicati come criminali di guerra.
L’operazione è organizzata da Walther Rauff, l’ex-capo dei servizi segreti tedeschi in Italia, che prepara
per tempo l’adesione di Hudal:
«Qualcuno di noi — dice al vescovo
poco prima della sconfitta tedesca —
in passato potrà avere commesso
degli errori, molto molto gravi se è
per questo, degli eccessi… inutile
negarlo… questo rientrava fin
dall’inizio nelle possibilità, dal momento che siamo pur sempre uomini». E la risposta del prelato è decisamente assolutoria: «La Chiesa esiste appunto per questo».
In questo modo, tra realtà e immaginazione, questo coraggioso romanzo di Dario Fertilio (L’anima
del Führer. Il vescovo Hudal e la fuga
dei nazisti in Sud America, Venezia,
Marsilio, 2015, pagine 215, euro
16,50), uno scrittore che si è già più
A Roma
Il 28 maggio a Roma viene
presentato il libro di Dario
Fertilio L’anima del Führer. Il
vescovo Hudal e la fuga dei
nazisti in Sud America
(Venezia, Marsilio, 2015,
pagine 216, euro 16,50). Sono
previsti gli interventi di
Stefano Folli e del direttore
dell’Osservatore Romano.
re, anch’egli all’inizio imbevuto di
ideologia sovietica, viene a poco a
poco indotto dagli eventi a scoprire
l’inganno in cui è caduto, grazie anche alla delicata storia d’amore con
una vedova tedesca.
Lo sfondo del romanzo — scritto
benissimo — è quello di una guerra
che ha lasciato lunghi e strazianti
strascichi nella storia europea, una
guerra che ha continuato per molto
tempo a creare sofferenza anche
quando ufficialmente era finita. Una
guerra combattuta che è quasi subito sfociata in una guerra fredda, che
ha visto ideologie contrapporsi con
violenza, nella dimenticanza pressoché totale di ogni insegnamento cristiano. In questo clima la Chiesa
appare come quella che si rifiuta di
giudicare, ma che cerca solo di salvare vite umane dalla violenza e
dalla vendetta. Per lasciar loro la
possibilità di capire, di pentirsi,
forse anche di salvarsi.
Come spiega bene il timpano scolpito sulla porta della
chiesa di cui Hudal è rettore: Maria in trono con
il Bambino invocata da
figure piangenti — animae, povere anime —
inginocchiate ai suoi lati. C’è un aspetto inquietante in questa
immagine: «Pareva
che l’esito della battaglia per la salvezza
delle due povere
animae non fosse affatto deciso» scrive
Fertilio. Davanti alla
certezza umana di
essere dalla parte
giusta, di sapere grazie all’adesione
ideologica qual è il bene e qual è il
male, l’antica sapienza cristiana risponde facendo implicitamente capire che la confusione è grande, e
che quindi è necessario rimettersi al
giudizio divino.
Ma «chi poteva essere davvero sicuro d’essere perdonato» si chiede
con angoscia Hudal alcuni anni dopo la fine della guerra, nella conclusione del romanzo. «Il vescovo scacciò un’immagine spaventosa» scrive
ancora Fertilio, «e per la prima volta sentì che di tutto ciò per cui era
vissuto sarebbe rimasta soltanto la
cenere».
Sulla pratica di legare i malati psichiatrici e gli anziani
Che non diventi
il letto di Procuste
di FERDINAND O CANCELLI
a pratica di legare i pazienti e le
pazienti contro la
loro volontà risulta essere tuttora applicata, in
forma non eccezionale, senza
che vi sia un’attenzione adeguata alla gravità del problema, né
da parte dell’opinione pubblica
né delle istituzioni».
Il parere del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) dal
titolo «La contenzione: problemi bioetici» approvato all’unanimità nella plenaria del 24 aprile
«L
Il dramma è quello di scivolare
verso la banalizzazione dell’atto
considerandolo una routine
Da non segnalare nemmeno
nella cartella clinica
scorso, e consultabile sul sito
del comitato stesso, affronta un
argomento solo apparentemente
lontano dalla realtà quotidiana
di malati psichiatrici, di anziani
e, in generale, di pazienti fragili:
quello della contenzione fisica
nei luoghi che dovrebbero essere
di cura.
Il documento, attraverso una
precisa analisi bioetica e normativa, introduce alla realtà di un
fenomeno che si potrebbe credere scomparso ma che sussiste
come protetto dall’ombra di
giustificazioni fasulle e di mancanza di monitoraggio e di studio. «Non si può dire che la
contenzione meccanica sia pratica eccezionale ed extrema ratio
se è vero che in media il dieci
per cento dei malati ricoverati in
crisi psichiatrica viene legato,
tanto più se si considerano i
servizi oltre la media che raggiungono punte del venticinque
per cento» afferma uno studio
condotto qualche anno fa nei
principali Spdc (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura) di Roma e riportato nel parere.
Essere legati al proprio letto
per una media di 14 ore e, almeno in un caso, «per 9 giorni di
seguito»: questo dato può essere
preso come simbolo di quel “rimosso” dell’assistenza psichiatrica che continua come un fantasma a infestare il modus operandi di alcuni servizi. Il Cnb
«ribadisce l’orizzonte bioetico
del superamento della contenzione nell’ambito di un nuovo
paradigma della cura fondato
sul riconoscimento della persona
come tale, nella pienezza dei
suoi diritti» e afferma con forza
che tale pratica «rappresenta in
sé una violazione dei diritti fondamentali della persona» che
impone di superare «il residuo
di cultura manicomiale» peraltro già in precedenza denunciato dallo stesso Comitato
nell’anno 2000.
Uno dei dati che emerge
con maggior chiarezza è
quello che contenere un
malato, oltre a essere una lesione della persona, può solamente portare a un aggravamento della patologia psichica e rappresenta quindi
un gesto completamente
inefficace anche dal punto
di vista terapeutico. I pochi studi
nazionali e internazionali mostrano tra le altre due evidenze
che possono sorprendere. In primo luogo i servizi “no-restraint”,
quelli cioè che «hanno scelto di
non legare i pazienti o che cerca-
Prevenzione ed etica
La recente dichiarazione di Emma Bonino sul
suo stato di salute testimonia non solo il bel
legame tra lei e le persone che l’hanno sostenuta nella sua battaglia, ma ha dato anche un
messaggio di speranza ai tanti che questa battaglia la stanno conducendo, e il cui esito sarà
tanto più favorevole quanto più precoce è stata
la diagnosi. È la lotta di una donna contro una
malattia, non convenzionalmente, femminile.
In effetti istituzionali nazionali e regionali,
fondazioni e media promuovono iniziative per
stimolare l’adesione ai programmi di prevenzione dei tumori della donna. A queste attività
si deve l’aumento delle diagnosi precoci e delle
guarigioni. Tuttavia queste campagne declinate
al femminile vengono percepite a volte come se
il rischio fosse circoscritto agli organi della sfera genitale: quello della mammella, il più frequentemente diagnosticato, è del ventinove per
cento; della cervice è del cinque, dell’utero è
del sette per cento, dell’ovaio del tre per cento.
Bisogna sottolineare, invece, che nelle donne il
dodici per cento delle neoplasie colpisce il retto-colon e che nel cinque/sei per cento dei casi
è interessato il polmone che negli ultimi venti
anni ha avuto un incremento del sessanta per
Paziente
cura te stesso
cento. Inoltre con l’avanzare dell’età il rischio
del tumore al seno declina mentre quello ovarico aumenta. Un segnale in questo senso ci viene dai dati della partecipazione ai programmi
nazionali in corso. L’adesione allo screening
del cancro della mammella è del quarantacinque per cento, e quello della cervice è del ventisette. Tuttavia, considerando anche le indagini effettuate autonomamente, oltre l’ottanta per
cento delle donne pratica la prevenzione.
Riguardo allo screening del colon, invece,
gli inviti raggiungono il cinquanta per cento
della popolazione e hanno una risposta del
ventiquattro. In questo caso, però, la percentuale di indagini di prevenzione, effettuate fuori-screening, non supera il tredici per cento in
ambedue i sessi. È quindi necessaria una particolare cura per ridurre il divario tra l’adesione
ai programmi di prevenzione dei tumori “esclusivamente” femminili e di quelli “anche” femminili. Nello screening delle neoplasie del colon, la colonscopia è uno dei motivi di mancata adesione: per paura, imbarazzo, impegno di
tempo. La prevenzione tuttavia può essere effettuata con efficaci modalità. Sarebbe auspicabile, quindi, che i medici spiegassero al paziente la gamma di possibilità tra cui scegliere:
qualunque screening è, infatti, meglio di nessuno screening. Tali esami richiedono un forte
impegno organizzativo che, tra l’altro, non è
ancora omogeneo tra nord e sud. È noto che la
partecipazione è legata al livello socio-culturale
ed economico e anche, con riferimento a uno
scenario di attualità, ai flussi migratori: l’indigenza, indipendentemente da razza o provenienza, riduce la possibilità di essere raggiunti
dalle campagne di informazione e rischia di
compromettere una diagnosi precoce.
La cura della propria persona è un diritto
inalienabile e aderire ai programmi di prevenzione costituisce un atto di responsabilità nei
confronti non solo di se stessi, ma anche dei
propri familiari. (sergio morini)
no di limitare tale pratica al minimo» non devono far ricorso
«a un uso più intensivo di psicofarmaci rispetto ai servizi che
ricorrono più massicciamente alla contenzione». In secondo luogo gli stessi servizi di cura “norestraint” non risulta debbano
avvalersi di più personale rispetto a quelli “restraint”. E tutto
questo a parità di caratteristiche
dei pazienti trattati.
La deduzione logica è quindi
che “la cultura e l’organizzazione” delle strutture sanitarie e la
loro “filosofia” giochino un ruolo determinante sul modo di trattare i pazienti, ruolo molto più
decisivo rispetto alla tipologia
dei pazienti stessi. Il dramma è
quello dello scivolamento verso
una totale banalizzazione dell’atto, verso la considerazione dello
stesso come normalità, come una
routine che non necessita nemmeno di essere segnalata nella
cartella clinica. L’orizzonte normativo, finemente analizzato nel
parere, è però molto chiaro in
proposito: benché la riflessione
giuridica sull’argomento resti
Oltre a essere
una lesione della persona
la contenzione fisica
può solo aggravare
la patologia psichica
problematica in assenza di una
legge specifica emanata dal Parlamento nel nostro Paese, «il ricorso alle tecniche di contenzione meccanica deve rappresentare
l’extrema ratio» e può essere
«giustificato» solo «in presenza
di un pericolo grave e attuale
che il malato compia atti auto-lesivi o commetta un reato contro
la persona nei confronti di terzi». Situazioni queste ultime che
ben di rado si osservano per malati psichiatrici, anziani o disabili
che a volte vengono contenuti
per pura comodità del personale
di servizio.
La gestione dei conflitti con il
malato, una presenza umana in
ascolto, un clima tranquillo, la
prassi delle “porte aperte”: questi alcuni dei metodi ben più
efficaci e rispettosi per aiutare
chi è in difficoltà.
«Se si permette che mani e
piedi vengano legati — scriveva
nel 1856 lo psichiatra John Conolly — in breve si riscontrerà
nel paziente un totale processo
di regressione e si darà l’avvio a
ogni genere di trascuratezza e tirannia, fino a che la repressione
diventerà
l’abituale sostituto
dell’attenzione, della pazienza,
della tolleranza e della gestione
corretta». A distanza di tanti anni e in un’epoca che a parole fa
spesso dei diritti della persona
una rivendicazione tanto ossessiva quanto vuota, queste affermazioni suonano attualissime.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 29 maggio 2015
pagina 5
In due giornate di intenso dialogo
vissute nel novembre 1973
tra superiori e superiore
furono discussi temi ancora oggi attuali
sull’attività delle donne nella Chiesa
La Chiesa
di fronte
alla condizione
delle donne
oggi
Le religiose in dialogo con la Curia romana
O rientamenti
non restrizioni
di GRAZIA LOPARCO
a richiesta esplicita di una
corretta
partecipazione
femminile nella vita della
Chiesa da parte delle religiose non è cosa degli ultimi anni. Alcune richieste di quarant’anni fa si sono avviate ad attuazione, per altre evidentemente c’è
spazio di riflessione e decisione.
Nel
bollettino
trimestrale
dell’Unione internazionale superiore
generali (Uisg) numero 31-32 del
1974 sono riportati i contenuti di
due giornate di intenso dialogo vissute nel novembre 1973 tra responsabili della Congregazione dei religiosi, rappresentata dal prefetto, il cardinale Arturo Tabera, e dal segretario, il benedettino Paul Augustin
Mayer, e l’Assemblea triennale delle
superiore generali. La domanda di
fondo era: cosa attendono le superiore generali dalla Congregazione
dei religiosi e cosa questa attende
dalle superiore generali?
Si vedeva innanzitutto l’opportunità di un maggiore scambio rispetto
a quanto era già attuato grazie ai raduni mensili del Consiglio dei 16.
Costituito da 8 superiori generali
dell’Unione dei superiori generali
(Usg) e 8 superiore generali dell’Uisg, esso era stato creato in quegli anni proprio per approfondire i rapporti con la Congregazione dei religiosi, attraverso lo studio e la discussione di temi importanti per la
vita consacrata.
Alcune superiore auspicavano con
lucidità una nuova forma di leadership da parte della Congregazione,
in vista di ricevere non solo direttive
di ordine normativo, ma anche
orientamenti pastorali e spirituali;
orientamenti più che restrizioni, in
modo da poter conservare l’unicità e
L
l’unità in ogni istituto, senza doversi
omologare nell’uniformità.
Si sperava un aiuto che facesse risaltare gli elementi essenziali della
vita religiosa, vissuta nell’attualità
dei tempi. Le superiore chiedevano
un genere di orientamento che desse
loro fiducia e, per conseguenza, ottenesse la massima collaborazione.
Occorreva per questo una maggiore
conoscenza e una valutazione più
obiettiva delle informazioni legate
alle realtà locali, in cui le religiose
dovevano adattarsi e perciò essere
aperte ai cambiamenti. Si faceva appello a una migliore comunicazione
tra Congregazione dei Religiosi e
superiore, mentre era al momento
offuscata dalla predominanza maschile: «Uno dei risultati della nostra epoca è che le religiose, fedeli ai
principi di sussidiarietà e alla dignità
umana, accettano sempre meno che
gli uomini legiferino negli affari di
loro competenza».
Le relatrici auspicavano concretamente una rappresentanza adeguata
delle religiose all’interno della Congregazione; che alcune tra esse, qualificate, potessero entrare e trattare
soggetti concernenti le religiose.
Inoltre chiedevano in che misura e
circostanze fossero consultate quelle
che al momento lavoravano presso la
Congregazione: «Partecipano attivamente quando si prendono decisioni?». Si chiedeva che la nomina delle religiose fosse preceduta dalla
consultazione previa delle superiore.
Comunicazione e consultazione
sembravano gli ingredienti necessari
per un legame di comprensione reciproco: tramite questo si sarebbero
evitati malintesi dovuti alla recezione di direttive di cui non sempre si
comprendeva il senso, a maggior ragione con le traduzioni.
di UGO SARTORIO
Stanchi del buio e della notte, gli uomini e
le donne dei nostri giorni attendono l’alba,
lo sbocciare di tempi nuovi in cui l’umanità
possa finalmente fiorire. In questa attesa
che tutti coinvolge, i consacrati sono come
dei “sensori”, visto che a suo tempo hanno
contribuito a preparare il grande evento del
concilio Vaticano II e come pionieri ne hanno gustato per primi i frutti e subìto gli
inevitabili contraccolpi, per cui, come scrive
padre Dino Dozzi in Quanto manca all’aurora? Vita consacrata custode dell’umano e del
creato (Padova, Emp, 2015, pagine 62, euro
7) saranno i primi a uscire dalla crisi. Il loro compito nella società non è esaurito, come molti profeti di sventura vanno pronosticando, ma si andrà sempre più affinando
in forme di nuovo umanesimo, di relazioni
autenticamente umane, di cammini condivisi, di cristianesimo umile, dialogico e rispettoso della diversità.
In questo testo piccolo e gustoso, che sarà presentato il 30 maggio al Festival Biblico di Vicenza, si parla della vita consacrata,
del suo presente incerto ma anche dei tanti
germogli che si intravedono e promettono
futuro, di una trasformazione che se da una
parte richiede la messa in atto di una feconda e carismatica ars moriendi, dall’altra non
potrà che sortire esiti evangelici, vero obiettivo di ogni processo ecclesiale.
«La vita consacrata parla di Dio se vissuta nella logica evangelica», precisa l’autore,
nel senso che si tratta di una forma di esistenza tutta raccolta in Dio e affaccendata
intorno alle radici della fede, quindi in grado di comunicare la bellezza e grandezza
del dono divino. Con una precisazione:
non è innanzitutto ciò che noi facciamo per
Dio a manifestare nell’oggi la logica evangelica, quanto piuttosto ciò che Dio fa per
noi, per cui la vita consacrata è sostanzialmente testimonianza gioiosa di un dono ricevuto.
«Frutto di amore gratuito, diventa una
vita “esagerata” nella risposta di gratuità, ri-
internazionale dichiarato dall’O nu
per il 1975. Si chiedeva uno studio
sulla teologia della donna e che la
Chiesa approfondisse il contributo
insostituibile delle donne nella sua
missione, come pure di considerare
la perdita di potenziale umano
quando la complementarità non era
riconosciuta.
Il gesuita Paolo Molinari, assistente dell’Unione, si faceva mediatore tra la curia e le religiose e sottolineava l’utilità dell’ascolto reciproco, non solo delle superiore, ma anche dei Capitoli generali che cercavano il rinnovamento, pur
non trovando sempre le soluzioni migliori. Sottolineava
Alcune richieste di partecipazione
che occorreva valorizzare
maggiormente la ricchezza
formulate quarant’anni fa
delle visioni teologiche e
si sono avviate ad attuazione
dell’esperienza, non leggendo però i testi nuovi alla luce
Per altre c’è ancora spazio
di schemi del passato e di liper la riflessione e la decisione
mitati contatti con la realtà
vissuta alla luce di Dio; occorreva anche un contatto
I responsabili del dicastero, sem- più diretto e positivo con i responsapre presenti ai lavori, ripresero i te- bili di tali sviluppi. Perorava la caumi accordando il loro consenso alle sa dell’ascolto delle religiose da parrichieste. Nel clima del rinnovamen- te della Congregazione per una colto si auspicava maggiore comunica- laborazione efficace alla comprensiozione reciproca, per evitare le pola- ne dello sviluppo della vita religiosa
rizzazioni che a volte si creavano e per la sua comprensione teologica,
nelle congregazioni, col rischio di dal momento che l’azione di Dio si
rotture e separazioni da parte di rinnova continuamente e non può
gruppi e comunità. Le religiose chia- essere conosciuta a priori. Egli ricorrivano di non volersi confondere con dava che non ci si poteva basare su
gli istituti secolari.
una legislazione che aveva codificato
Nelle relazioni di gruppo, il grup- sia elementi permanenti che altri
po inglese auspicava che l’Uisg af- non essenziali. Per questo la Chiesa
frontasse seriamente il tema della aveva richiesto agli Istituti di rivededonna, in concomitanza con l’anno re la vita e le Costituzioni alla luce
Si sarebbe auspicata poi una consultazione delle religiose che avesse
accompagnato il processo di redazione di norme, tenendo conto delle
situazioni di vita, prevedendo l’impatto delle norme e della loro applicazione. Le rappresentanti delle superiore avrebbero desiderato partecipare alle sessioni plenarie della Congregazione e alla preparazione del
Sinodo dei vescovi. Sussidiarietà e
collaborazione in un dialogo aperto
erano in breve le attese, insieme a
una teologia radicata nel vangelo.
Storie di consacrati
Una vita esagerata
nunciando all’esercizio autonomo della propria libertà, al possesso dei beni materiali,
al diritto di formarsi una propria famiglia,
proclamando di fronte al mondo che si è
trovato il tesoro e dunque si può lasciare
tutto il resto. Questo è il modo in cui i
consacrati parlano di Dio e dell’uomo».
Non nella linea del rifiuto e della pura contestazione, quanto piuttosto della relativizzazione e della messa in gerarchia, a motivo
del “tesoro” che vale sopra ogni cosa.
Inoltre, prima che servizio, la consacrazione religiosa è rivelazione di un dono ricevuto e accolto (anche se non sempre ade-
guatamente corrisposto!), rivelazione di un
Dio che perdona e ama senza misura. Infatti «la misura dell’amore non sono i bisogni degli uomini da soddisfare, ma la ricchezza dell’amore di Dio da rivelare». Davvero interessante questa prospettiva tutta
evangelica che disincaglia la teologia della
vita consacrata dalle secche di un confronto
rivendicativo e sterile con gli altri stati di
vita. Ogni battezzato è chiamato alla perfezione e al radicalismo dell’amore, come
hanno chiarito importanti documenti del
concilio Vaticano II, anche se poi la perfezione dell’amore è come un orizzonte che si
allontana man mano che si avanza.
Accondiscendendo a questa immagine, i
consacrati sono allora come degli esploratori che, con bagaglio leggero ed essenziale,
osano spingere oltre i limiti il loro donarsi,
proprio perché molto hanno ricevuto. In
particolare, secondo l’autore, la loro testimonianza sarà quella di un’umanità riuscita, risolta, aperta e dialogica, secondo il paradigma relazionale vissuto e proposto da
Gesù, per il quale l’altro è “luogo” di incontro con Dio e con se stessi.
«La vita è rispondere a e rispondere di,
cioè risposta e prendersi cura»: con questa
frase, di Dietrich Bonhoeffer, Dozzi svolta
verso la seconda parte del suo scritto, tutta
centrata sulla cura che l’uomo, il cristiano,
il consacrato in particolare, devono al creato. Si tratta del tema che Papa Francesco
ha lanciato fin dal suo primo discorso ufficiale, il 19 marzo 2013, facendo della custodia un tratto fondamentale del suo pontificato. Muovendo da questa suggestione,
l’autore — da esperto francescanista — rilegge il Cantico delle creature come icona di
vita consacrata e custode, insieme,
del Vangelo e dello spirito dei fondatori, di cui fa parte l’elemento dinamico. La Chiesa aveva evidenziato
la fedeltà allo spirito dei fondatori e
non alle sue espressioni storiche riconducibili al contesto. Una tale fedeltà alle forme, rigida, potrebbe infatti essere infedeltà allo spirito.
Dunque occorreva che la Congregazione esaminasse con cura quanto
arrivava al suo vaglio, in genere dopo un cammino di consultazione e
di preghiera delle superiore, cammino spesso unito a ricerca, angoscia,
sofferenza. Allo stesso tempo, era
auspicabile un dialogo in itinere anche in rapporto ai Capitoli generali
e a decisioni da prendere.
Al contempo ci si interrogava sul
rapporto tra Costituzioni rinnovate
secondo le indicazioni conciliari e il
Codice di diritto canonico che era sì
in revisione, ma non si prevedeva
un’imminente conclusione del processo. L’idea era che esso non avrebbe contenuto molte norme sulle
Congregazioni religiose, lasciando
maggiore spazio. Altro punto toccato nell’incontro tra i responsabili fu
la relazione tra la Congregazione dei
religiosi, quella per l’Evangelizzazione dei popoli e quella delle Chiese
Orientali, da cui secondo i casi potevano dipendere decisioni sulle religiose.
L’arcivescovo Mayer chiariva le
competenze specifiche e si riprometteva comunque una maggiore intesa,
convocando anche il Consiglio dei
16 e dei 18, legato alla Congregazione dei religiosi e alla Congregazione
per l’evangelizzazione. Il dialogo avviato su punti molto concreti sembrava promettente.
dell’umano e del creato. Notando innanzitutto come in questo inno la teologia, l’antropologia e l’ecologia sono di fatto inseparabili, pena lo smarrimento della chiave interpretativa che si trova nell’intentio auctoris.
Ma il Cantico è soprattutto un inno rivelativo, poiché ci dice che Dio è altissimo,
onnipotente, buono, quindi in un rapporto
di amicale reciprocità con l’uomo. Ci rivela
poi che le creature sono «le tue creature»,
che ogni creatura è «fratello» e «sorella», e
che nessuna realtà per quanto oscura, neppure la morte, è da temere. Nel segno di
questa rivelazione di un Dio che si prende
cura dell’uomo e del creato si pone oggi la
vita consacrata. E lo fa come epifania esistenziale.
Il Cantico, infine, oltre a essere un inno
di lode e di rivelazione, è una preghiera di
Rinunciando al possesso di beni materiali
e al diritto a una propria famiglia
si proclama al mondo
che si è trovato il tesoro
E dunque si può lasciare tutto il resto
restituzione, la quale avviene in particolare
attraverso l’uomo che perdona, fa pace, abbraccia la morte, onora la volontà di Dio.
Sono questi i momenti cruciali della vita
nei quali è più difficile cogliere che tutto è
dono di Dio e quindi lodarlo, restituirgli
tutto e restituirsi totalmente a lui. «La vita
dei consacrati diventa particolarmente preziosa, limpida e significativa soprattutto in
questi momenti», sottolinea Dozzi. E non
va dimenticato, in ogni caso, che la mediazione tra Dio e l’uomo svolta dalle creature
non è che un rimando alla definitiva mediazione di Cristo, il grande mediatore, il “luogo” della lode, della rivelazione, della restituzione, tutti atteggiamenti che danno forma e senso alla sequela dei consacrati.
Ascolto, testimonianza,
riflessione, ma soprattutto
ampio dibattito sul
contributo che possono
offrire le donne per trovare
soluzioni ad alcuni problemi
del mondo contemporaneo.
Guardando la realtà da un
punto di vista diverso da
quello abituale nel rapporto
donna-Chiesa. Non più
come donne che protestano,
ma che si sentono
pienamente inserite nella
Chiesa stessa. Donne che
hanno il coraggio di esporsi
e di assumersi
responsabilità,
confrontandosi e dando la
parola ad altre donne. È
questo il leitmotiv che ha
ispirato il seminario
internazionale organizzato
da «donne chiesa mondo»,
mensile dell’O sservatore
Romano, sul tema «La
Chiesa di fronte alla
condizione delle donne
oggi», che si svolge dal 29
al 31 maggio nella Casina
Pio IV in Vaticano. Lo ha
spiegato Lucetta Scaraffia,
coordinatrice del mensile,
durante una conferenza
stampa tenutasi, questa
mattina, 28 maggio, nella
sede dell’O sservatore
Romano, con la
partecipazione di Catherine
Aubin, Giulia Galeotti,
Daniela Guarnieri, Silvina
Pérez, tutte del comitato
organizzatore, e del direttore
del giornale. Il seminario
internazionale sarà articolato
in quattro sessioni —
violenza, famiglia, identità
femminili e bilancio finale —
che ruoteranno intorno ad
alcune relazioni, alle quali
seguirà un ampio spazio per
la discussione. Argomenti di
scottante attualità, dunque,
rispetto ai quali le
partecipanti al seminario
sono chiamate in prima
persona a offrire proposte
concrete. Ampia importanza
viene data, infatti, al
dibattito, che si
caratterizzerà come una
sorta di lavoro collettivo.
Questo incontro segna
l’inizio del quarto anno di
vita del mensile «donne
chiesa mondo». Un
periodico che sta suscitando
sempre più interesse anche a
livello internazionale. Da
marzo, infatti, viene
pubblicato in Spagna da
«Vida Nueva». L’iniziativa
promossa dal mensile è nata
all’insegna della
trasversalità. Si caratterizza,
infatti, per una
partecipazione che
rispecchia una pluralità di
punti di vista per
provenienza e appartenenza
religiosa. I lavori del
seminario — che si
concluderanno domenica 31
con la messa celebrata dal
cardinale Pietro Parolin,
segretario di Stato, nella
chiesa romana di Santa
Maria sopra Minerva —
verranno trasmessi in diretta
streaming sul sito del nostro
giornale.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 29 maggio 2015
Il cardinale Bozanić in ricordo del massacro di Bleiburg
Verità
che unisce
Per creare una cultura di pace
Cosa possono fare le religioni
del disarmo» (Discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite, 4
ottobre 1965).
Come aveva notato Paolo VI, la
pace è edificata non soltanto con
mezzi politici ma anche con le nostre menti e le nostre idee. Siamo
chiamati a riflettere, e alla luce delle
nostre tradizioni religiose a edificare
un’etica. A tale proposito, una cultura della pace non dovrebbe essere
ridotta al pacifismo. Come Papa
Francesco ci ha ricordato durante il
viaggio di ritorno dalla Corea lo
scorso anno, di fronte al male è legittimo fermare l’ingiusto aggressore. Ma al fine di determinare cosa è
giusto o ingiusto, la religione ha un
ruolo particolare nel fornire la cornice etica e morale di tale riflessione.
Un altro aspetto dell’edificazione
della pace, notò Paolo VI, sono le
«opere», che caratterizzano i molti
movimenti religiosi fondati nell’immediato secondo dopoguerra, basati
sul bisogno di promuovere la riconciliazione fra nazioni e popoli.
Uno di questi movimenti, nella
tradizione cattolica-cristiana, è Pax
Christi, fondato in Francia nei mesi
precedenti la fine della seconda
guerra mondiale da
Pierre-Marie
Théas,
vescovo di Montauban, nel sud della
Francia, e da una laica, Marthe DortelClaudot. Il modo in
cui giunsero a fondare
Pax Christi è una teVentotto studenti provenienti
stimonianza rimarchedall’England’s Cambridge Muslim
vole del ruolo positivo
College e dal Centro per la teologia
che la religione può
islamica dell’Università di Tubinga
giocare. Il vescovo
hanno preso parte alla conferenza
Théas, imprigionato
che si è tenuta nei giorni scorsi
nel 1944 per la sua
a Roma, presso il Lay Centre
protesta contro la dedel Foyer Unitas, dedicata
portazione degli ebrei
al tema «Creare una cultura di pace:
francesi, incoraggiò i
cosa possono fare le religioni?».
compagni di prigionia
a pregare per i loro
Principale relatore
carcerieri. Non sorè stato l’arcivescovo segretario
prende che la sua preper i Rapporti con gli Stati
dicazione di perdono
della Segreteria di Stato vaticana,
e riconciliazione non
del cui intervento pubblichiamo qui
sia stata facilmente acuno stralcio. Il testo integrale, in
colta dai compagni di
lingua inglese e italiana, è
prigionia. Dopo il suo
consultabile sul sito del giornale
rilascio, il tempo tra(www.osservatoreromano.va).
scorso nel campo di
prigionia lo influenzò
profondamente e gli
fece comprendere intimaestro nell’arte di costruire la pace. mamente quanto fosse difficile per
Quando voi uscite da questa aula il la gente perdonare i propri nemici.
mondo guarda a voi come agli ar- Marthe Dortel-Claudot, sposa e machitetti, ai costruttori della pace. E dre di famiglia, nonché cattolica
voi sapete che la pace non si co- profondamente devota, mentre si avstruisce soltanto con la politica e vicinava il Natale del 1944, fu spinta
con l’equilibrio delle forze e degli a pregare per le sofferenze del pointeressi, ma con lo spirito, con le polo tedesco. Scrisse nel suo diario:
idee, con le opere della pace. Voi
«Gesù è morto per tutti. Nessuno
già lavorate in questo senso. Ma voi
dovrebbe essere escluso dalla presiete ancora in principio: arriverà
mai il mondo a cambiare la mentali- ghiera di un altro». Con l’incoragtà particolaristica e bellicosa, che fi- giamento del parroco, formò un picnora ha tessuto tanta parte della sua colo gruppo di preghiera per elevare
storia? È difficile prevedere; ma è fa- orazioni per il popolo tedesco e per
cile affermare che alla nuova storia, la pace fra la Germania e la Francia.
quella pacifica, quella veramente e Nel marzo del 1945, cercò il sostepienamente umana, quella che Dio gno del vescovo Théas per la «Croha promesso agli uomini di buona ciata di preghiera» per la Germania,
volontà, bisogna risolutamente in- che avrebbe in seguito assunto il nocamminarsi; e le vie sono già segna- me di Pax Christi.
te davanti a voi; e la prima è quella
Il vescovo Théas e Marthe Dortel-Claudot furono ispirati dalle loro
convinzioni religiose, secondo le
quali la pace arriva attraverso il perdono, la riconciliazione e la preghiera per i propri nemici. Le iniziative
di preghiera dei gruppi di Pax Christi, che si diffusero rapidamente attraverso la Francia e la Germania,
hanno contribuito non poco alla riconciliazione franco-tedesca nel dopoguerra.
di PAUL RICHARD GALLAGHER
Sulla base delle statistiche, le religioni hanno un potenziale immenso
nel contribuire a creare una cultura
di pace, e in verità tali statistiche
suggerirebbero che le religioni dovrebbero essere in prima linea in
questo impegno. Esse hanno un
ruolo importante nel promuovere
quei valori che sono essenziali nel
creare una cultura di pace. Pertanto,
i loro leader hanno una responsabilità particolare nell’affermare la tolleranza e la riconciliazione e nel rigettare l’uso errato della fede come
giustificazione della violenza.
Le due guerre mondiali del ventesimo secolo hanno lasciato profonde
ferite nell’umanità, ma esse sono state pure uno stimolo per creare istituzioni intergovernative che promuovono e salvaguardano la pace. Nella
visita alle Nazioni Unite nel 1965,
Papa Paolo VI rese omaggio al loro
compito di edificatrici di pace:
«L'Onu è la grande scuola per questa educazione. Siamo nell’aula magna di tale scuola; chi siede in questa aula diventa alunno e diventa
Agli studenti
musulmani
Vi sono molti altri esempi di movimenti e di individui che sono stati
ispirati dai valori della fede religiosa
nella promozione della pace. Il ruolo di Marthe Dortel-Claudot nel
fondare Pax Christi è un potente
promemoria di come le persone credenti abbiano un ruolo e una responsabilità in questo ambito, nelle
proprie famiglie, nei posti di lavoro
e nelle comunità. L’esempio di Marthe Dortel-Claudot e di innumerevoli uomini e donne di fede è la risposta alla domanda su dove dovrebbe iniziare la creazione di una
cultura di pace: essa comincia con
ciascuno di noi e riafferma che la testimonianza personale e la preghiera
dei singoli membri di una comunità
di fede può trasformare.
Il contributo più importante e
specifico che le religioni possono
dare è il dono della preghiera, specie quella per i propri nemici, e ciò
è il più grande atto di carità che trasforma l’odio in amore e fa nascere
la riconciliazione. Papa Francesco ha
sottolineato che «la preghiera e il
dialogo sono profondamente correlati e si arricchiscono a vicenda»
(Messaggio di Papa Francesco ai
partecipanti all’Incontro internazionale per la pace, organizzato dalla
Comunità di Sant’Egidio, Anversa,
7-9 settembre 2014). Mediante la potenza della preghiera e del dialogo,
le varie tradizioni religiose possono
dare un contributo specifico alla pace, associandosi all’“altro” nella preghiera. Esse promuovono il rispetto
e il dialogo e, pertanto, sono maggiormente capaci di promuovere la
cultura dell’incontro, di coltivare relazioni giuste e pacifiche fra persone
e gruppi sociali, che sono fratelli e
sorelle di un’unica famiglia umana.
La pace è un concetto centrale in
tutte le religioni. Noi preghiamo per
le benedizioni della pace, per il dono della pace. I cristiani sono coscienti che il primo dono offerto da
Cristo risorto fu quello della pace.
Egli ha salutato i discepoli con il
dono della pace: «Pace a voi».
Riceviamo di nuovo il dono della
pace di Cristo, ma il suo significato
è quello di trasformare le nostre vite,
così che a nostra volta ne diventiamo portatori nel mondo in cui viviamo.
ZAGABRIA, 28. Scoprire la verità per
rilanciare la speranza e l’unità nazionale: questo, in sintesi, l’accorato
appello lanciato dal cardinale Josip
Bozanić, arcivescovo di Zagabria e
presidente della Conferenza episcopale croata, intervenuto nei giorni
scorsi alle commemorazioni del
massacro di Bleiburg. In questa cittadina, situata in Austria, vicino al
confine con la Slovenia, infatti, settant’anni fa, nel 1945, dopo la fine
delle ostilità della seconda guerra
mondiale, le milizie di Tito uccisero
numerosi cittadini croati. Tra le vittime del massacro furono coinvolti
diversi civili, tra cui molte donne e
bambini.
«Una tragedia che ha segnato la
storia della Croazia — ha sottolineato l’arcivescovo di Zagabria — perché volutamente taciuta e dimenticata fino al 1990, anno della caduta
del comunismo». Per questo — riferisce Radio Vaticana — il porporato
ha esortato le istituzioni e i fedeli
croati a impegnarsi nella ricerca
della verità che «come dice Gesù, ci
renderà liberi. Nel nostro Paese,
solcato dal sangue — ha proseguito
il porporato — è importante non restare bloccati nel passato, costantemente esposti all’odio e alle ideologie alimentate dal male, bensì cercare la verità per permettere alla
speranza di poter parlare, perché
senza di essa non c’è possibilità di
futuro».
Il punto di partenza, ha spiegato
il presidente dei vescovi croati, devono essere «i valori della democrazia e dell’unità», così che la società
croata possa crescere «libera e unita, desiderosa di progresso, giustizia
e pace, lontana da ogni tipo di totalitarismo». Di qui, il monito del
porporato a non permettere che
«nuove ideologie portino nuove divisioni», perché i credenti «sono
chiamati, in fedeltà al Vangelo, a
testimoniare sempre nuove strade di
unità».
Durante il suo intervento, il cardinale Bozanić ha voluto ricordare,
inoltre, le parole di san Giovanni
Paolo II, pronunciate in Croazia il 3
ottobre del 1998, in occasione della
beatificazione del cardinale Aloizije
Stepinac: «Perdonare e riconciliarsi
— aveva sottolineato il Papa polacco — vuol dire purificare la memoria dall’odio, dai rancori, dalla voglia di vendetta; vuol dire riconoscere come fratello anche colui che
ci ha fatto del male; vuol dire non
farsi vincere dal male, ma vincere
col bene il male».
Di qui, l’appello conclusivo del
presidente della Conferenza episcopale croata: «Non siamo venuti a
Bleiburg per tornare al passato, ma
per pregare per la nostra patria, le
nostre famiglie, i nostri giovani. Solo così, infatti — ha concluso l’arcivescovo di Zagabria — diventeremo
più attenti e impegnati nella ricerca
della verità che libera».
Appello di Caritas Svizzera
Più impegno umanitario
verso i migranti
BERNA, 28. Occorre rafforzare l’impegno umanitario della Confederazione elvetica sul fronte dell’accoglienza all’immigrazione proveniente dal Vicino oriente e dal
Nord Africa. È questo il senso
dell’appello consegnato da Caritas
Svizzera al capo dello Stato, Simonetta Sommaruga, per sollecitare
appunto un deciso intervento del
Consiglio federale (l’organo di governo) e del Parlamento. Il testo
dell’appello — intitolato «Passate
dalle dichiarazioni ai fatti» e già
sottoscritto da quasi 5.000 persone
— era stato lanciato dalla Caritas il
21 aprile scorso, all’indomani cioè
della morte di oltre ottocento migranti nel Mediterraneo.
L’appello avanza tre richieste:
che la diplomazia svizzera lavori
presso gli Stati dello spazio Schengen affinché accettino di «accogliere un numero maggiore di rifugia-
ti»; che sia di nuovo possibile depositare una domanda d’asilo
nell’ambasciata svizzera di un Paese terzo; che la Svizzera aumenti i
fondi destinati agli aiuti umanitari
per la Siria, «portandoli ad almeno
cento milioni di franchi svizzeri
all’anno». Per il 2015, infatti, il
Consiglio federale ha destinato ottanta milioni di franchi per aiuti
umanitari alla popolazione direttamente colpita e per progetti di recupero nella regione mediorientale.
Una cifra ritenuta non sufficiente.
Per la presidente di Caritas Svizzera, Mariangela Wallimann-Bornatico, «la tragedia dei migranti nel
Mediterraneo mette in luce la necessità di adottare una politica dei
rifugiati realista e umanitaria, che
non si lasci guidare dall’egoismo
nazionale ma si confronti su scala
europea con le sfide per troppo
tempo rimandate».
In Slovacchia un sondaggio promosso dai vescovi
Esame
di libertà religiosa
BRATISLAVA, 28. Avete sperimentato
qualche forma di discriminazione in
materia di obiezione di coscienza?
Avete incontrato qualche forma di
intolleranza a causa della vostra fede religiosa? Avete sperimentato
una limitazione del vostro diritto
come genitori di educare i figli in
conformità con la vostra confessione religiosa? Queste e molte altre
domande si possono trovare in un
questionario sulla libertà religiosa
preparato e distribuito dalla Conferenza episcopale slovacca in collaborazione con l’Istituto per i diritti
umani e le politiche per la famiglia
(Human rights and Family policy
Institute). Il suo scopo — riferisce
l’agenzia Sir — è quello di raccogliere informazioni su qualsiasi forma di persecuzione degli abitanti
della Slovacchia a motivo del loro
credo religioso.
Il questionario è stato distribuito
nei giorni scorsi in tutte le parrocchie cattoliche del Paese ed è anche
disponibile sul sito della Conferenza episcopale: www.kbs.sk. I risultati dovrebbero essere raccolti entro
la fine di maggio. «Nel caso in cui
abbiate incontrato qualche forma di
discriminazione religiosa o intolleranza nei confronti dei fedeli — si
legge nella lettera che invita tutti
quanti a contribuire a una “mappatura” della situazione in Slovacchia
— vi chiediamo di informarci a riguardo». Il periodo di riferimento
sono gli anni 2014 e 2015.
Intanto, per la prima volta il
prossimo anno scolastico vedrà la
pubblicazione a livello nazionale di
nuovi libri di religione per gli studenti delle scuole primarie e secondarie del Paese. L’iniziativa viene
dalla Commissione per la catechesi
e l’educazione della Conferenza
episcopale. Secondo Marek Cimbal,
del Centro pedagogico e catechistico, la qualità di questi testi per l’insegnamento della religione cattolica
è senza dubbio una priorità
nell’area della nuova evangelizzazione, indirizzata soprattutto a «sviluppare il sistema di catechesi nelle
scuole, che è molto importante nella nostra società».
Nei prossimi mesi, e comunque
prima del prossimo anno scolastico,
saranno pubblicati due tipi di libri,
uno per i cattolici di rito latino e
uno per i greco-cattolici. Sono in
corso colloqui con il ministero della
pubblica istruzione — ha sottolineato monsignor Bernard Bober, arcivescovo di Košice e presidente della
Commissione episcopale per la catechesi — per trovare il modo migliore di distribuire questi nuovi
materiali a tutte le scuole primarie e
secondarie in Slovacchia.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 29 maggio 2015
pagina 7
Vincent Van Gogh
«Seminatore al sole» (1888)
Messa a Santa Marta
di FRANCESCO M. VALIANTE
La produzione agricola mondiale
cresce ogni anno a un tasso medio
superiore a quello della popolazione. E la produzione di cibo da tempo supera la quantità di calorie
giornaliera necessaria per soddisfare
il fabbisogno alimentare di ogni abitante del pianeta. In altre parole: c’è
da mangiare a sufficienza per tutti e
ce ne sarà prevedibilmente in futuro
anche con l’attuale tasso di crescita
demografica. Eppure oltre 800 milioni di persone soffrono oggi la fame. Perché?
La nuova pubblicazione del Pontificio Consiglio della giustizia e
della pace Terra e Cibo (Città del
Vaticano, Libreria editrice vaticana,
2015, pagine 150, euro 12) non ha la
pretesa di dare una risposta esaustiva a una questione tanto attuale
quanto complessa. Ma ha sicuramente il merito di indicare alcune
piste di lettura documentate e persuasive per mettere a fuoco il problema, fornendo dati e criteri di
giudizio utili soprattutto a non cadere nella trappola dei “sofismi” —
mai così insidiosi come su questo
terreno — da cui lo stesso Papa
Francesco ha messo in guardia nel
suo intervento alla conferenza della
Fao sulla nutrizione svoltasi a Roma
lo scorso novembre.
Il testo chiarisce opportunamente
i limiti di un’analisi circoscritta soltanto alle cause “congiunturali” della fame: crisi economica, fluttuazioni dei prezzi, fenomeni naturali,
guerre, corruzione politica. E invita
piuttosto a concentrare l’attenzione
sui meccanismi “strutturali” che
continuano a generare malnutrizione e carenza di cibo. Sul banco degli imputati ci sono le disparità nella ripartizione delle ricchezze e le
politiche commerciali che danneggiano le nazioni più povere. Ma c’è
soprattutto la sperequazione nella
distribuzione e nello sfruttamento
della terra, con la concentrazione
della maggior parte delle superfici
Di che tipo siamo?
Nel libro «Terra e cibo» di Iustitia et pax
Mercati affamatori
coltivabili nelle mani di pochi privati e la penalizzazione di una moltitudine di piccoli agricoltori e produttori. Una situazione che la globalizzazione del mercato alimentare,
anziché regolare e bilanciare, ha
contribuito ad aggravare. Con la
complicità di un disinvolto e sempre
più diffuso movimento speculativo,
intrecciato a operazioni esclusivamente finanziarie e privo perciò di
legami con le reali esigenze della
produzione e del consumo di cibo.
Mai come oggi risuona attuale
l’espressione adoperata da Paolo VI
nel messaggio per la giornata mondiale della pace del 1973: «mercati
affamatori». Parole che già quarant’anni fa demolivano il “mito” di
un sistema economico capace di generare efficienza e opportunità, e
dunque benessere e progresso per
tutti. Un sistema i cui limiti di fondo invece — e gli esiti dell’indagine
lo confermano — vengono allo scoperto proprio sulla questione della
tutela della terra. Messa a serio ri-
Presentato all’Expo di Milano
«Con la terra e con il cibo non si
deve agire alla leggera»: lo ha
ricordato il cardinale Turkson
presentando, giovedì 28 maggio
all’Expo di Milano, la
pubblicazione del dicastero da lui
presieduto. Il porporato,
intervenuto al padiglione della
Coldiretti sul tema «Nutrimento
ed energia: dal paradosso
dell’abbondanza a un
cambiamento di mentalità», ha
sottolineato come la Chiesa —
«esperta in umanità» secondo la
celebre definizione di Papa
Montini — ha a cuore le sorti della
famiglia umana e del mondo in
cui essa vive: «Parlare di diritti
non è sufficiente, dobbiamo
interrogarci sui nostri doveri e
sulle nostre responsabilità».
Nel corso dell’incontro la
Coldiretti ha presentato dati
allarmanti, sottolineando come le
quotazioni dei prodotti agricoli
siano fortemente condizionate dai
movimenti di capitale: le
speculazioni sulla fame hanno
bruciato nel mondo circa
cinquanta miliardi di dollari
nell’ultimo anno solo per il grano.
Questa situazione impedisce la
programmazione e la sicurezza
degli approvigionamenti in molti
Paesi e alimenta il «paradosso
dell’abbondanza» denunciato da
Papa Francesco.
Facendo proprio riferimento al
messaggio del Pontefice per
l’apertura dell’Expo, il porporato
ha evidenziato come la grande
occasione della manifestazione
milanese sia quella di un
«cambiamento di mentalità verso
un modello di sviluppo equo e
sostenibile, verso la saggezza, il
coraggio, la responsabilità, la
solidarietà e la fraternità».
Il libro Terra e Cibo, ha aggiunto il
cardinale Turkson, facendosi carico
delle tante sollecitazioni giunte a
livello internazionale negli ultimi
anni, vuole proprio offrire un
contributo per far sì che i temi
dell’Expo non restino solo
discussioni teoriche e che la gente
sia sempre più sensibilizzata sulla
situazione della sicurezza
alimentare nel mondo. Perciò, ha
spiegato, la pubblicazione del
Pontificio Consiglio della giustizia
e della pace è strutturata in tre
parti: «vedere, giudicare e agire».
Innanzitutto una descrizione della
preoccupante situazione generale
dell’alimentazione e
dell’agricoltura nel mondo.
Poi un’analisi della realtà alla luce
della Bibbia e della dottrina
sociale della Chiesa.
Infine le risposte pratiche:
ovvero i suggerimenti su «come
impegnarsi nell’industria
alimentare e agricola sotto
la guida di principi etici
per la realizzazione del bene
comune». Si tratta quindi, ha
concluso il cardinale, di un «invito
all’azione alla luce del Vangelo».
schio da un modello di sviluppo
che si dimostra insostenibile con la
sua pretesa di sopravvivere continuando a saccheggiare le risorse naturali indiscriminatamente e, per di
più, a un ritmo superiore alla loro
capacità di rigenerazione.
All’analisi corrispondono una serie di proposte concrete. Anche se è
chiaro — come avvertono nella premessa al volume il cardinale presidente Peter Kodwo Appiah Turkson
e monsignor Mario Toso (già segretario di Iustitia et pax e ora vescovo
di Faenza-Modigliana) — che «non
spetta al Pontificio Consiglio indicare soluzioni pratiche dettagliate o
linee politiche da attuare direttamente nei vari luoghi». In realtà
Terra e Cibo nasce soprattutto con
l’intento di farsi eco delle sollecitazioni che giungono al dicastero da
Chiese locali, episcopati, organismi
cattolici impegnati in prima linea a
favore della giustizia e della solidarietà. Più che un trattato, dunque,
una sorta di riflessione a più voci
sulla questione del “mancato sviluppo” di vaste aree del globo e sulle
sue conseguenze nel campo della
produzione e della distribuzione del
cibo. Uno strumento sintetico e aggiornato, utile soprattutto a ribadire
che gli interventi congiunturali
(quali il controllo dei prezzi o la riduzione degli sprechi) e le aspettative illusorie (come l’eccessiva fiducia
nelle capacità riequilibratrici del libero mercato o nel potere risolutivo
delle biotecnologie applicate all’agricoltura) hanno ormai il fiato
corto. In discussione è oggi l’intero
modello di sviluppo, che «sfrutta irresponsabilmente la natura, aumenta gli scarti, gli sprechi e le esclusioni, accentua le diseguaglianze e si
basa su una falsa scala di valori e di
priorità». Cambiarlo, avverte senza
reticenze il libro, è diventato «un
imperativo assoluto».
I cristiani da salotto — che siano
egoisti, affaristi, mondani o rigoristi
— allontanano la gente che cerca
Gesù. Ed è da questa tentazione che
Francesco ha messo in guardia, celebrando la messa, giovedì 28 maggio,
nella cappella della Casa Santa
Marta. Invitando ciascuno a «un
esame di coscienza», il Papa ha ricordato che i cristiani devono saper
ascoltare «il grido di aiuto» della
gente e sostenerla nel cammino per
avvicinarsi al Signore.
Francesco ha iniziato l’omelia delineando i contorni dell’episodio
raccontato da Marco nel passo
evangelico (10, 46-52) proposto dalla liturgia. «Gesù andava con i suoi
discepoli e con la gente — ha detto
— che lo seguiva perché Lui parlava
come un maestro, con autorità propria». Bartimèo, un uomo cieco,
«sentì rumore e domandò: “Ma cosa
succede?”. Era Gesù». E così Bartimèo «incominciò a gridare e gridava fortemente facendo un atto di fede: “Gesù, Figlio di Davide, abbi
pietà di me”». Le sue parole sono
«proprio un atto di fede» ha fatto
notare il Pontefice.
Ma «fra la gente che era lì con
Gesù, ognuno aveva la sua personalità, il suo modo di vedere la vita, di
sentire la vita» ha spiegato il Papa.
E dunque, anzitutto, «c’è un gruppo di gente che non sentiva il grido» dell’uomo cieco. È «quel gruppo di gente che, anche oggi, non
sente il grido dei tanti che hanno
bisogno di Gesù». Insomma è «un
gruppo di indifferenti: non sentono,
credono che la vita sia il loro gruppetto lì; sono contenti, sono sordi al
clamore di tanta gente che ha bisogno di salvezza, che ha bisogno
dell’aiuto di Gesù, che ha bisogno
della Chiesa». Ma, ha rimarcato
Francesco, «questa è gente egoista,
vive per se stessa» incapace «di sentire la voce di Gesù».
«Poi ci sono quelli che sentono
questo grido che chiede aiuto, ma
vogliono farlo tacere» ha proseguito
il Pontefice. E infatti Marco nel suo
Vangelo riferisce che in tanti rimproverarono Bartimèo per farlo tacere, dicendogli di «non gridare» e di
lasciare il maestro «tranquillo». Lo
fanno «anche i discepoli». E il Papa
ha ricordato anche «quando i discepoli allontanarono i bambini», appunto «perché non scomodassero il
maestro». Perciò anche i discepoli
cercarono di far tacere Bartimèo
«perché il maestro era loro, era per
loro, non era per tutti». Così facendo «questa gente allontana da Gesù
quelli che gridano, che hanno bisogno di fede, che hanno bisogno di
salvezza».
C’è poi, ha affermato Francesco,
un altro gruppo, composto dagli
«affaristi: erano religiosi, sembra,
ma Gesù li ha cacciati via dal tempio perché facevano affari lì, nella
casa di Dio». Si tratta di persone
«che non sentono, non vogliono
sentire il grido di aiuto, ma preferiscono fare i loro affari e usano il
popolo di Dio, usano la Chiesa, per
fare i propri affari». Anche «questi
affaristi allontanano la gente di Gesù» e non lasciano che le persone
«chiedano aiuto».
«Un altro gruppo che allontana
la gente di Gesù — ha dett0 ancora
il Papa — sono i cristiani soltanto di
nome, senza testimonianza, che non
danno testimonianza di cristiani».
Sì, «sono cristiani di nome, cristiani
da salotto, cristiani da ricevimenti,
ma la loro vita interiore non è cristiana, è mondana». E «uno che si
dice cristiano e vive come un mon-
ma allontana» da Gesù. E «c’è anche un terzo gruppo» e sono «quelli che aiutano ad avvicinarsi a Gesù» e che a Bartimèo dicono: «“Coraggio, alzati, ti chiama!”». È «il
gruppo dei cristiani che hanno coerenza fra quello che credono e quello che vivono» e aiutano ad avvicinarsi a Gesù «la gente che grida
chiedendo salvezza, chiedendo la
grazia, chiedendo la salute spirituale
per la propria anima».
Proprio alla luce di questa riflessione, Francesco ha proposto «un
esame di coscienza» che «ci farà bene», attraverso una serie di domande dirette: «Io in che gruppo sono?
Nel primo, tra quelli che non sentono le tante grida che chiedono aiuto
di salvezza? Mi occupo soltanto del
mio rapporto con Gesù, chiuso,
egoistico? Appartengo al secondo
gruppo, tra quelli che allontanano
«Gesù e il cieco di Gerico» (X secolo, Codex Egberti)
dano allontana quelli che gridano
“aiuto” a Gesù».
E, ancora, «ci sono i rigoristi» ha
aggiunto il Papa: «quelli che Gesù
rimprovera» perché «caricano tanti
pesi sulle spalle della gente». E
«Gesù dedica loro tutto il capitolo
23 di san Matteo». A loro dice
«ipocriti, sfruttate la gente!». Difatti, «invece di rispondere al grido
che chiede salvezza allontanano la
gente».
Il «primo gruppo» ha riepilogato
il Pontefice, è composto da «quelli
che non sentono». Del secondo, invece, fa parte «tanta gente diversa,
differente» che «sente la chiamata,
la gente da Gesù, sia per mancanza
di coerenza di vita, mancanza di testimonianza, sia per essere attaccati
molto ai soldi, sia per rigidità?». E
ancora: «Allontano la gente da Gesù? O appartengo al terzo gruppo,
tra quelli che sentono il grido di
tante gente e aiuto ad avvicinarsi a
Gesù?». A queste domande, ha concluso il Papa, «ognuno di noi può
rispondere nel suo cuore».
A Nairobi convegno del movimento dei Focolari sull’economia di comunione
Una via africana
NAIROBI, 28. Più di quattrocentoventi iscritti provenienti da quarantuno Paesi dei cinque continenti: soni i principali numeri del Convegno
internazionale di Economia di comunione (Edc) organizzato dal movimento dei Focolari dal 27 al 31
maggio a Nairobi, in Kenya, in collaborazione con la Catholic University of Eastern Africa. Intitolato
«Creatività, generatività, innovazione», è stato preceduto, dal 22 al 26
maggio, da un Seminario internazionale per giovani imprenditori e studenti al quale hanno partecipato
centosettanta persone, la maggior
parte delle quali africane. È qui che
sono state poste le basi al convegno
di Nairobi e dove sono emersi — informa un comunicato — il desiderio
e le aspettative «di trovare una via
africana al mercato, non soggiogata
ai modelli dominanti del capitalismo
occidentale». Tutto questo per «non
smettere di sognare», come ha auspicato un giovane camerunese presente al seminario.
Nei giorni scorsi, sempre a Nairobi, si è tenuta l’assemblea internazionale delle commissioni Edc del
mondo. Il progetto Economia di comunione è stato lanciato da Chiara
Lubich nel 1991 in Brasile. In risposta alle situazioni di povertà constatate durante quel suo viaggio, la
fondatrice dei Focolari invitò gli imprenditori in contatto con il movimento a suscitare aziende capaci di
creare lavoro e di mettere in circolazione la ricchezza prodotta, per
«aiutare quelli che sono nel bisogno,
offrire loro lavoro, fare in modo che
non ci sia alcun indigente».
Secondo la Banca mondiale, con
una crescita annua di oltre il 6 per
cento, i Paesi dell’Africa sub sahariana sono tra quelli con maggiore sviluppo economico al mondo e attraggono sempre maggiori investimenti.
Eppure in essi — commenta Betty
Njagi, keniota, docente alla Catholic
University of Eastern Africa — «povertà e disuguaglianza rimangono
inaccettabilmente alte. Il livello molto basso degli stipendi e gli alti
prezzi dei prodotti per questioni di
monopolio creano un’economia di
mercato selvaggia e di sfruttamento
dei poveri, che rischia di travolgere
le culture dei Paesi africani e disperdere i loro due grandi valori: la comunità e la comunione».
Del tema dell’incontro di Nairobi
parla Luigino Bruni, membro della
Commissione internazionale di Economia di comunione e docente di
Economia politica alla Lumsa di
Roma: «Avrà il focus su comunione
e creatività. Oggi infatti occorre
un’iniezione di creatività che per-
metta di creare “nuove torte” e non
solo di distribuire quelle esistenti o
create altrove. Questo vale per
l’Africa e per l’Economia di comunione in tutto il mondo». Sullo
sfondo di questa nuova tappa è presente il percorso fatto da Edc negli
ultimi quattro anni, scanditi dal
Convegno internazionale del 2011 in
Brasile e dal Seminario panafricano
tenutosi nello stesso anno in Kenya.
Quest’ultimo — spiega ancora la nota — ha suscitato iniziative imprenditoriali e di riflessione teorica che
fanno intravedere prospettive significative per il mondo a opera del pensiero e dell’esperienza africana.
Il convegno di Nairobi vuole essere per gli organizzatori «al 100 per
cento africano e al 100 per cento
mondiale», con al centro «creatività
e vitalità». Per Geneviève Sanze,
centroafricana, membro della Commissione internazionale, il progetto
Economia di comunione «rimette in
luce la nostra identità africana e ci
aiuta a capire le debolezze del nostro sviluppo; inoltre ci sostiene e ci
offre un modello vero e nuovo di
sviluppo integrale. Purtroppo la povertà ha cambiato sia gli africani che
la loro cultura, alla ricerca, a volte
disperata, della sopravvivenza. Edc
invece ci riporta alla vera nostra vocazione culturale».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 29 maggio 2015
Ai vescovi dominicani in visita «ad limina» il Papa chiede di aiutare gli immigrati di Haiti
La carità
non ammette indifferenza
«L’attenzione pastorale e caritativa verso gli immigranti, soprattutto quelli
provenienti dalla vicina Haiti, che cercano migliori condizioni di vita, non
ammette l’indifferenza dei pastori della Chiesa». Lo ha sottolineato il Papa
durante l’udienza ai vescovi della Repubblica Dominicana ricevuti giovedì
mattina, 28 maggio, in occasione della visita «ad limina». Di seguito una nostra
traduzione del discorso consegnato loro in lingua spagnola, nel quale il Pontefice
ricorda anche gli inizi dell’evangelizzazione nel continente americano.
Cari Fratelli nell’Episcopato,
Ricevete il mio più cordiale benvenuto in occasione della vostra visita
ad limina Apostolorum. Confido che
questi giorni di riflessione e di preghiera sulle tombe dei santi Pietro e
Paolo siano per voi fonte di rinnovamento e servano per coltivare i vincoli di comunione ecclesiale per ri-
della Misericordia non venite meno
nel lavoro della riconciliazione matrimoniale e familiare, come bene
della convivenza pacifica: «È perciò
urgente un’ampia opera di catechesi
circa l’ideale cristiano della comunione coniugale e della vita familiare, che includa una spiritualità della
paternità e della maternità. Maggior
attenzione pastorale va dedicata al
«Nuestra Señora
de la Altagracia»
protettrice del popolo
dominicano
spondere alle esigenze di un’azione
congiunta e coordinata nella promozione del progresso spirituale e materiale della porzione del Popolo di
Dio che vi è stata affidata. Ringrazio
Monsignor Gregorio Nicanor Peña
Rodríguez, Vescovo di Nuestra Señora de la Altagracia en Higüey e
Presidente della Conferenza Episcopale Dominicana, per le gentili parole che mi ha rivolto a nome vostro.
Gli inizi dell’evangelizzazione nel
continente americano richiamano
sempre alla mente la terra dominicana che ricevette per prima il ricco
deposito della fede, che i missionari
portarono con fedeltà e annunciarono con costanza. I suoi effetti si
continuano a percepire oggi attraverso i valori cristiani che animano la
convivenza e nelle diverse opere sociali a favore dell’educazione, della
cultura e della salute. Inoltre la
Chiesa nella Repubblica Dominicana può contare su numerose parrocchie vitali, su un nutrito gruppo di
fedeli laici impegnati e un numero
consistente di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.
Rendiamo grazie al Signore per
ciò che è stato realizzato e si sta realizzando in ognuna delle vostre
Chiese locali.
Oggi la Chiesa che continua a
camminare in questa amata terra con
i suoi figli alla ricerca di un futuro
felice e prospero, si trova di fronte
alle grandi sfide del nostro tempo
che riguardano la vita sociale ed ecclesiale, e soprattutto le famiglie. Mi
piacerebbe perciò farvi un appello
ad accompagnare gli uomini, a rafforzare la fede e l’identità di tutti i
membri della Chiesa.
Il matrimonio e la famiglia attraversano una seria crisi culturale. Ciò
non vuol dire che hanno perso importanza, ma che il loro bisogno si
sente di più. La famiglia è il luogo
in cui s’impara a convivere nella differenza, a perdonare e a sperimentare il perdono, e dove i genitori trasmettono ai figli i valori e in particolare la fede. Il matrimonio, «visto
come una mera forma di gratificazione affettiva», smette di essere un
“contributo indispensabile” alla società (cfr. Evangelii gaudium, n. 66).
In questo oramai prossimo Giubileo
ruolo degli uomini come mariti e padri, così come alla responsabilità che
condividono con le mogli riguardo
al matrimonio, alla famiglia ed
all’educazione dei figli» (Ecclesia in
America, n. 46). Continuiamo a presentare la bellezza del matrimonio
cristiano: “sposarsi nel Signore” è un
atto di fede e di amore, nel quale gli
sposi, mediante il loro libero consenso, diventano trasmettitori della be-
nedizione e della grazia di Dio per
la Chiesa e la società.
Vi invito a dedicare tempo ai sacerdoti e ad assisterli, a prendervi
cura di ognuno di loro, a difenderli
dai lupi che attaccano anche i pastori. Il clero dominicano si distingue
per la sua fedeltà e coerenza di vita
cristiana. Che il vostro impegno a
favore dei più deboli e bisognosi vi
aiuti a superare la tendenza mondana alla mediocrità. Che nei seminari
non si trascuri la formazione umana,
intellettuale e spirituale, che assicura
un incontro vero con il Signore, senza smettere di coltivare la dedizione
pastorale e una maturità affettiva
che renda i seminaristi idonei ad abbracciare il celibato sacerdotale e capaci di vivere e di lavorare in comunione. «Non si possono riempire i
seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione, tanto meno se
queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere,
gloria umana o benessere economico» (Evangelii gaudium, n. 107).
L’attenzione pastorale e caritativa
verso gli immigranti, soprattutto
quelli provenienti dalla vicina Haiti,
che cercano migliori condizioni di
vita nel territorio dominicano, non
ammette l’indifferenza dei pastori
della Chiesa. È necessario continuare
a collaborare con le autorità civili
per trovare soluzioni concrete ai problemi di quanti sono privati dei documenti o del godimento dei loro
diritti fondamentali. È inammissibile
non promuovere iniziative di fraternità e di pace tra le due nazioni che
danno forma a questa bella Isola dei
Caraibi. È importante saper integrare gli immigranti nella società e accoglierli nella comunità ecclesiale. Vi
ringrazio perché state vicini a loro e
a tutti quelli che soffrono, come gesto dell’amorevole sollecitudine per
il fratello che si sente solo e abbandonato, con il quale Cristo si è identificato.
Conosco i vostri sforzi e le vostre
preoccupazioni per affrontare in modo adeguato i gravi problemi che affliggono i vostri popoli, quali il traffico di droghe e di persone, la corruzione, la violenza domestica, l’abuso
e lo sfruttamento dei minori e l’insicurezza sociale. Sulla base dell’intima connessione che esiste tra evangelizzazione e promozione umana,
ogni azione della Chiesa Madre deve ricercare e curare il bene dei più
bisognosi. Tutto ciò che si farà in tal
senso accrescerà la presenza del Regno di Dio che ha portato Gesù Cri-
Presentato il viaggio a Sarajevo
Pace e giustizia
Pace, riconciliazione e dialogo saranno le parole chiave dell’ottavo
viaggio internazionale di Papa
Francesco. La Bosnia-Erzegovina
sarà il quattordicesimo Paese visitato dal Pontefice che, sabato 6 giugno, sarà a Sarajevo, invitato dal
cardinale arcivescovo Vinko Puljić.
Il programma, serratissimo, racchiuso in neanche dodici ore di
permanenza, è stato presentato giovedì 28 maggio dal direttore della
Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
Dopo l’Albania, ancora una volta Francesco sceglie per l’Europa
una meta di periferia, ancora una
volta un luogo dove il dialogo ecumenico e interreligioso assume un
valore di rilievo anche per la convivenza pacifica e armoniosa dei popoli. Non a caso nel seguito è prevista la presenza dei cardinali Tauran e Koch, presidenti dei Pontifici
Consigli per il dialogo interreligioso e per la promozione dell’unità
dei cristiani.
Saranno due i momenti centrali
della visita: innanzitutto la messa
celebrata in mattinata nello stadio
Koševo, lo stesso nel quale celebrò
Giovanni Paolo II il 13 aprile 1997,
e nel quale Papa Wojtyła, rivolgendosi a «tutti i popoli e le nazioni
dilaniate dalla guerra», esortò:
«Perdoniamo e domandiamo perdono». Quella di Francesco, ha
detto padre Lombardi, sarà una
messa «per la pace e la giustizia»,
celebrata in una città simbolo per
l’Europa, città che nella sua storia
richiama con drammatica potenza
le sofferenze dell’ultimo secolo di
un intero continente.
Altro momento topico sarà nel
pomeriggio quando, presso il Centro internazionale studentesco, il
Pontefice parteciperà all’incontro
ecumenico e interreligioso al quale
saranno presenti i rappresentanti
delle comunità cattolica, musulmana, ortodossa ed ebraica. Sarà, ha
sottolineato il direttore della Sala
stampa, un’occasione importante:
verrà sottolineato il comune impegno per superare le tensioni in un
Paese nel quale la molteplicità religiosa corrisponde anche a una
molteplicità etnica e a una divisione politica.
Francesco incontrerà tutte le autorità politiche e religiose subito
dopo l’accoglienza in aeroporto, al
palazzo presidenziale. Informale
sarà invece il dialogo con i sei vescovi locali durante il pranzo nella
sede della nunziatura apostolica.
Ancora due gli appuntamenti
pomeridiani in agenda: l’incontro
in cattedrale con il clero e i religiosi e quello con i giovani nel centro
diocesano intitolato a Giovanni
Paolo II.
sto, e allo stesso tempo darà credibilità alla Chiesa e rilevanza alla voce
dei suoi pastori.
La Missione Continentale, voluta
dal Documento di Aparecida, e il
Terzo Piano Nazionale di Pastorale
devono essere due motori dell’attività congiunta tra le Chiese locali. Tenete però presente che non basta
avere piani ben formulati e celebrazioni festive, ma dovete anche permeare la vita quotidiana dei nostri
popoli.
Perciò è indispensabile che il laicato dominicano, che si percepisce
così presente nelle opere di evangelizzazione a livello nazionale, diocesano, parrocchiale e comunitario,
non trascuri la sua formazione dottrinale e spirituale, e riceva un appoggio costante, affinché sia capace
di rendere testimonianza a Cristo
penetrando in quegli ambienti dove
molte volte i Vescovi, i sacerdoti e i
religiosi non giungono. È anche ne-
cessario che la pastorale dei giovani
riceva una scrupolosa attenzione affinché non si lascino distrarre dalla
confusione degli anti-valori che cerca
di sviare oggi la gioventù.
Senza tener conto dell’orientamento che i genitori e la Chiesa desiderano dare alla formazione delle
nuove generazioni, le leggi civili tendono a sostituire l’insegnamento della religione nella scuola con un’educazione del fatto religioso di natura
multiconfessionale o da una mera illustrazione di etica e di cultura religiosa. Non può mancare in coloro
che sono impegnati in questo servizio e in questa missione educativa
un atteggiamento vigile e coraggioso
affinché si possa offrire in tutte le
scuole un’educazione conforme ai
principi morali e religiosi delle famiglie (cfr. Gravissimum educationis, n.
7). È importante offrire ai bambini e
ai giovani l’insegnamento catecheti-
co conforme alla verità che abbiamo
ricevuto da Cristo, Parola del Padre.
Infine, per concludere, e tenendo
presente la bellezza e la vivacità dei
paesaggi della bella Repubblica Dominicana, invito tutti a rinnovare
l’impegno per la conservazione e la
cura dell’ambiente. La relazione
dell’uomo con la natura non deve
essere governata dalla cupidigia, dalla manipolazione e neppure da uno
sfruttamento smisurato, ma deve
conservare l’armonia divina tra le
creature e il creato per metterle al
servizio di tutti e delle generazioni
future.
Fratelli, vi chiedo, per favore, di
portare ai vostri amati figli e figlie
quisqueyanos l’affettuoso saluto del
Papa, che vi affida all’intercessione
di Nuestra Señora de la Altagracia,
che contemplate nel mistero della
sua maternità divina. Vi chiedo di
pregare per me e vi imparto di cuore
la Benedizione Apostolica.