Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLV n. 120 (46.958) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano venerdì 29 maggio 2015 . Ai vescovi dominicani in visita «ad limina» il Papa chiede di accogliere gli haitiani Oltre quattrocento morti in fosse comuni a Tikrit La carità non ammette indifferenza O rrore firmato Is «L’attenzione pastorale e caritativa verso gli immigranti, soprattutto quelli provenienti dalla vicina Haiti, che cercano migliori condizioni di vita, non ammette l’indifferenza dei pastori della Chiesa». Lo ha sottolineato il Papa durante l’udienza ai vescovi della Repubblica Dominicana, ricevuti giovedì mattina, 28 maggio, in occasione della visita ad limina. Nel discorso consegnato in lin- gua spagnola, il Pontefice ha ricordato anzitutto gli inizi dell’evangelizzazione nel continente americano. Essi, ha spiegato «richiamano sempre alla mente la terra dominicana, che ricevette per prima il ricco deposito della fede». Al punto che ancora «oggi i valori cristiani animano la convivenza e le diverse opere sociali a favore dell’educazione, della cultura e della salute». Inoltre, ha prose- guito, «la Chiesa nella Repubblica Dominicana può contare su numerose parrocchie vitali, su un nutrito gruppo di fedeli laici impegnati e un numero consistente di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata». Quindi il pensiero del Papa è andato ai migranti haitiani che si spostano all’interno dell’isola di Hispaniola in fuga dalla povertà e dalle calamità. Nel farlo ha esortato i ve- Le richieste di Ban Ki-moon alla Commissione Ue sull’immigrazione Compassione e coraggio scovi dominicani a «continuare a collaborare con le autorità civili» per offrire «soluzioni concrete» a quanti «sono privati dei documenti o del godimento dei loro diritti fondamentali». È inammissibile, ha commentato, non promuovere «iniziative di fraternità e di pace» tra i due Paesi che insieme formano la «bella isola dei Caraibi». Non solo, occorre anche integrare gli immigranti nella società e «accoglierli nella comunità ecclesiale». Da qui il ringraziamento rivolto ai presuli che stanno «vicini a tutti quelli che soffrono, come gesto dell’amorevole sollecitudine per il fratello che si sente solo e abbandonato». Francesco ha poi sottolineato gli sforzi dell’episcopato per affrontare «i gravi problemi che affliggono» i popoli della regione, tra i quali vanno annoverati il traffico di droga e di esseri umani, la corruzione, la violenza domestica, l’abuso e lo sfruttamento dei minori, l’insicurezza sociale. Quanto alle «grandi sfide del nostro tempo», il Papa si è soffermato sulla «seria crisi culturale» che colpisce il matrimonio e la famiglia. «Il prossimo giubileo della misericordia — ha auspicato — sia l’occasione per migliorare l’impegno a favore del matrimonio, della riconciliazione familiare e della convivenza pacifica». Infine il Pontefice ha sollecitato i vescovi a prendersi cura dei sacerdoti, per difenderli dai “lupi” che attaccano i “pastori”. PAGINA 8 Religiose in dialogo con la Curia Migranti afghani soccorsi sull’isola greca di Kos (Afp) BRUXELLES, 28. Compassione e coraggio sono stati i due concetti chiave del messaggio del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ieri, in un discorso alla sede della Commissione europea. La nuova agenda adottata da Bru- y(7HA3J1*QSSKKM( +,!"!\!?!;! Senza fine il dramma dei rohingya DACCA, 28. Non conosce fine il dramma dei migranti rohingya: il Bangladesh ha annunciato ieri che trasferirà su un’isola i campi che ne ospitano migliaia. Saranno spostati sul l’isola di Hatiya, nel Golfo del Bengala. «Il trasferimento dei campi rohingya è certo, sono già stati presi accordi sulla base delle istruzioni del premier» ha affermato Amit Kumar Baul, capo dell’ufficio bengalese per i profughi. Sono circa 32.000 i rifugiati rohingya che vivono in due campi di fortuna nel sud-est del Bangladesh, nel distretto di Cox’s Bazar, al confine con il Myanmar. I campi dei rohingya — dicono gli analisti — sono considerati un pericolo che danneggia soprattutto il turismo locale. Mohammad Islam, uno dei leader della comunità rohingya, ha criticato la decisione del trasferimento affermando che per i rifugiati la vita diventerà ancora più difficile. Sono migliaia i migranti rohingya che dal Bangladesh e dal Myanmar tentano la pericolosa attraversata del Golfo del Bengala diretti verso le coste di Malaysia, Indonesia e Thailandia. Barconi abbandonati però a loro stessi, carichi di persone stremate senza cibo né acqua che i Paesi vicini non vogliono soccorrere. xelles, e approvata pochi giorni fa, «è un passo nella giusta direzione» e «incoraggio gli Stati membri a mostrare compassione» nell’accoglienza. Ma il capo del palazzo di Vetro ha anche lanciato un avvertimento: nella guerra agli scafisti «le operazioni militari hanno efficacia limitata». Se ci fosse la necessità di operare nelle acque territoriali libiche, «le regole internazionali vogliono che si discuta col Paese interessato, in questo caso la Libia» ha detto Ban Ki-moon. La sola strada possibile per risolvere il problema alla radice è quello «di un’azione globale nei Paesi di destinazione, di transito e di origine dei migranti». La priorità «deve essere il salvataggio delle vite e l’assistenza umanitaria a chi rischia la vita». E intanto, le operazioni di soccorso al largo delle coste italiane non conoscono tregua. La Guardia costiera italiana ha soccorso ieri 234 migranti alla deriva al largo della Sicilia. Arriveranno oggi nel porto di Augusta. Udienza alla presidente della Repubblica di Croazia Nella mattina di giovedì 28 maggio, il Santo Padre ha ricevuto in udienza, nel Palazzo apostolico vaticano, il Presidente della Repubblica di Croazia, Sua Eccellenza la signora Kolinda Grabar-Kitarović, che successivamente ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei cordiali colloqui si sono constatate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia, ulteriormente rafforzate dagli Accordi stipulati tra le parti. Inoltre, sono stati affrontati temi di comune interesse, tra i quali la collaborazione fra la Chiesa e lo Stato per il bene comune della società croata, in particolare a sostegno della famiglia e dei giovani. Nel prosieguo della conversazione ci si è soffermati sulle conseguenze sociali della crisi economica mondiale, come pure sulle principali sfide regionali, con particolare attenzione alla situazione dei croati nella Bosnia ed Erzegovina. O rientamenti non restrizioni GRAZIA LOPARCO A PAGINA 5 Per creare una cultura di pace Cosa possono fare le religioni PAUL RICHARD GALLAGHER A PAGINA 6 Un miliziano sciita (Afp) BAGHDAD, 28. Nuovo orrore legato al nome dello Stato islamico (Is). In Iraq, vicino a Tikrit, sono state trovate fosse comuni con almeno 470 cadaveri. Si tratta — riferisce il ministero della Salute iracheno — dei corpi di militari e civili vittime del massacro di Camp Speicher, avvenuto il 12 giugno dell’anno scorso, durante l’avanzata dei miliziani jihadisti. Poco dopo il massacro, l’Is rivendicò l'uccisione di 1700 sciiti, mentre il 17 settembre scorso il Governo iracheno in una dichiarazione ufficiale stabilì in 1095 il numero delle perdite. Sul terreno, intanto, i combattimenti non conoscono tregua. Le forze irachene hanno ripreso ieri il controllo di alcune zone chiave della provincia di Anbar e del suo capoluogo: la città di Ramadi. I soldati dell’esercito iracheno e le milizie sciite loro alleate hanno infatti riconquistato alcune aree a sud e a ovest di Ramadi, strappando ai miliziani del sedicente Stato islamico (Is) anche l’università di Anbar, uno dei centri culturali più importanti della regione. Gli uomini di Al Baghdadi avevano occupato Ramadi circa una settimana fa, scatenando la fuga disperata di centinaia di migliaia di civili iracheni. E sull’offensiva a Ramadi è intervenuta nelle ultime ore anche la Casa Bianca, sottolineando la necessità di «adattare la strategia» statunitense nel sostegno ai soldati iracheni e alle forze sciite impegnate sul campo. «Dobbiamo adattare la nostra strategia e adattare anche il tipo di equipaggiamento che forniamo con il passare del tempo, perché anche l’Is si adatta» ha detto il portavoce della Casa Bianca, Jan Psaki, cercando così di far dimenticare le recenti affermazioni del segretario alla Difesa, Ashton Carter, secondo il quale le forze irachene a Ramadi «non hanno mostrato volontà di combattere». Affermazioni, queste, che avevano suscitato la reazione del Governo di Baghdad. Nel frattempo a Palmira, la città siriana conquistata dai jihadisti pochi giorni fa, le atrocità non conoscono fine. Ieri infatti — secondo quanto riportano fonti dell’O sservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), espressione dell’opposizione al presidente Assad — venti soldati siriani sono stati giustiziati a colpi d’arma da fuoco davanti a una piccola folla di spettatori seduti sugli spalti dell’antico anfiteatro romano. Il sito archeologico nella città, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, è stato dunque trasformato dai jihadisti in una macabra scenografia per l’esibizione dell’orrore. Secondo l’ultimo bilancio dell’Ondus, salgono così ad almeno 237 le persone giustiziate da quando, il 16 maggio, i miliziani hanno lanciato l’offensiva. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Nicolás de Jesús López Rodríguez, Arcivescovo di Santo Domingo (Repubblica Dominicana), con gli Ausiliari, le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori Amancio Escapa Aparicio, Vescovo titolare di Cene, e Víctor Emilio Masalles Pere, Vescovo titolare di Girba, in visita «ad limina Apostolorum»; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Freddy Antonio de Jesús Bretón Martínez, Arcivescovo di Santiago de los Caballeros (Repubblica Dominicana), con l’Ausiliare, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Valentín Reynoso Hidalgo, Vescovo titolare di Mades, e con l’Arcivescovo emerito, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Ramón Benito de la Rosa y Carpio, in visita «ad limina Apostolorum»; — Héctor Rafael Rodríguez Rodríguez, Vescovo di La Vega (Repubblica Dominicana), con il Vescovo emerito, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Antonio Camilo González, in visita «ad limina Apostolorum»; — Diómedes Espinal de León, Vescovo di Mao - Monte Cristi (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»; — Julio César Corniel Amaro, Vescovo di Puerto Plata (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»; — Fausto Ramón Mejía Vallejo, Vescovo di San Francisco de Macorís (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»; — Andrés Napoleón Romero Cárdenas, Vescovo di Barahona (Repubblica Dominicana), con il Vescovo emerito, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Rafael Leónidas Felipe y Núñez, in visita «ad limina Apostolorum»; — Gregorio Nicanor Peña Rodríguez, Vescovo di Nuestra Señora de la Altagracia en Higüey (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»; — José Dolores Grullón Estrella, Vescovo di San Juan de la Maguana (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»; — Francisco Ozoria Acosta, Vescovo di San Pedro de Macorís (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum»; — Pablo Cedano Cedano, Vescovo titolare di Vita, già Ausiliare di Santo Domingo (Repubblica Dominicana), in visita «ad limina Apostolorum». Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza la Signora Kolinda Grabar-Kitarović, Presidente della Repubblica di Croazia, e Seguito. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Altezza Reale il Principe Alexander von Sachsen, con la Famiglia. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Senatore José Mujica Cordano, con la Consorte. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 29 maggio 2015 Il ministro delle Finanze ellenico Yanis Varoufakis (Ap) Intervento della Santa Sede all’O nu Valore dell’informazione DRESDA, 28. L’accordo per sbloccare gli aiuti alla Grecia si avvicina, con Atene che parla di una bozza già sul tavolo dei negoziatori, e i mercati che festeggiano. Ma da Dresda, dove è in corso la riunione dei ministri delle Finanze del G7, trapela prudenza, mentre Berlino è apertamente scettica. Tuttavia, a Dresda il pressing degli Stati Uniti per un compromesso e la presenza dei negoziatori del Fondo monetario internazionale (Fmi) potrebbero imprimere un'accelerazione. Ma il condizionale è d’obbligo. «Abbiamo fatto passi avanti, siamo alle battute finali, l'accordo è vicino» ha annunciato ieri il premier ellenico, Alexis Tsipras. Fonti vicine al Governo greco dicono che ieri, al termine dell’incontro tra i rappresentanti del Brussels Group (Ue, Bce ed Fmi) e la squadra di negoziatori greci, sarebbe venuta fuori anche una bozza di accordo. Il documento parlerebbe di una riforma delle aliquote iva e un abbassamento degli obiettivi economici greci per quest’anno, dunque una mediazione fra le richieste di Atene e quelle di Ue e Fmi. Mentre resterebbero fuori dal documento i nodi delle pensioni e del mercato del lavoro. Entusiasmo, questo, smentito da diverse fonti tecniche Ue, secondo le Berlino smentisce il premier ellenico Tsipras che parla di accordo già pronto Il mistero del debito greco Si avvicina la scadenza dei rimborsi dovuti da Atene all’Fmi quali l’accordo non è così vicino e appare difficile concludere qualcosa entro il 5 giugno, data in cui Atene deve oltre 300 milioni di euro all’Fmi. A ciò si aggiunge il pessimismo di Berlino: il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, è stato particolarmente duro: se vuole restare nell’euro, Atene deve sottoscrivere il programma di risanamento concordato, come finora ha mostrato di «non voler fare». Per Schäuble, insomma, non si vede ancora quella «soluzione complessiva», ovvero il piano di riforme, considerata una condizione imprescindibile per il sostegno alla Grecia. E sulla stessa linea di Berlino c’è anche Valdis Dombrovskis, vice presidente della Commissione Ue, secondo cui «ancora non ci siamo», e anche se il negoziato fa progressi «restano ancora diverse aree da discutere». NEW YORK, 28. «La società ha diritto a un’informazione obiettiva ed è nell’osservanza di una tale esigenza che i media sono al servizio del bene comune». Questo il cuore del messaggio dell’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, in un intervento al Consiglio di sicurezza tenuto ieri, 27 maggio, durante il dibattito sulla protezione dei giornalisti nei conflitti armati. «Il ruolo dei giornalisti nel fornire informazione non è soltanto uno dei principali strumenti di partecipazione democratica; è anche necessario per sostenere la comunità umana» ha spiegato l’arcivescovo Auza. E proprio per questo, è deplorevole il fatto che decine di giornalisti siano stati uccisi nell’adempimento del loro dovere nelle situazioni di conflitto. I dati parlano chiaro: nel 2014 almeno 69 giornalisti hanno perso la vita e altri 221 sono stati incarcerati. Nel 2015 già 25 giornalisti sono stati uccisi nei principali scenari bellici e altri 156 incarcerati. «Il pericolo è purtroppo un aspetto costante I particolari sull’inchiesta che ha travolto il calcio La Commissione propone per il 2016 un bilancio da 143,5 miliardi di euro Fifa nera Più fondi in Europa per il lavoro e la crescita L’Fbi parla di un sistema ramificato di corruzione Il presidente della Fifa Sepp Blatter (Afp) WASHINGTON, 28. È destinata a trasformare in profondità il sistema mondiale del calcio l’inchiesta statunitense che ieri ha travolto i vertici della Fifa. Gli agenti dell’Fbi parlano di oltre vent’anni di frodi, corruzione, racket, riciclaggio di denaro sporco: un traffico da oltre 150 milioni di dollari. E questo mentre a Zurigo è in corso il congresso annuale della Fifa, dove domani, venerdì, dovrebbe essere rieletto alla presidenza dell’organizzazione Sepp Blatter, che al momento, nonostante non risulti indagato, è al centro di infuocate polemiche. A chiedere le dimissioni immediate di Blatter è stato ieri il presidente della federazione inglese, Greg Dyke. La Confederazione asiatica di calcio ha invece confermato il suo appoggio a Blatter per un altro mandato (il quinto consecutivo). Nell’unica dichiarazione rilasciata finora, il presidente uscente della Fifa si difende, sostenendo che «l’azione dell’ufficio del procuratore generale è stata messa in moto quando abbiamo presentato un fascicolo alle autorità svizzere alla fine dello scorso anno». Il procedimento giudiziario formalizzato ieri e illustrato in una conferenza stampa dal segretario alla Giustizia statunitense, Loretta Lynch, dal capo dell’Fbi, James Comey, e dal procuratore distrettuale, Kelly Currie, fa emergere un sistema di corruzione estremamente ramificato, che coinvolge non solo i dirigenti della Fifa, ma anche molti manager delle imprese multinazionali impegnate nel business sportivo. Questo sistema, come detto, faceva circolare denaro sporco per oltre 150 milioni di dollari almeno dai mondiali statunitensi del 1994. E spuntano anche dieci milioni di dollari pagati dal Governo sudafricano all’ex vicepresidente della Fifa, Jack Warner, per aggiudicarsi i mondiali del 2010. Ipotesi di corruzione sono al vaglio anche per l’assegnazione delle prossime manifestazioni a Russia e Qatar. «Sradicheremo la corruzione dal calcio mondiale» ha promesso Loretta Lynch. «È ora che facciano un profondo esame di coscienza». Lynch ha poi sottolineato che l’inchiesta riguarda personaggi che hanno violato leggi federali: reati commessi negli Stati Uniti o che danneggiano interessi statunitensi. E tuttavia non sono mancate critiche. Mosca ha infatti accusato Washington di ingerenza, «applicazione illegale di leggi americane al di fuori degli Stati Uniti» si legge in un comunicato del ministero degli Esteri. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio BRUXELLES, 28. Oltre 66 miliardi di euro per stimolare la crescita, l’occupazione e la competitività, quasi 43 miliardi per l’agricoltura e più fondi per gestire l’immigrazione. La Commissione ha proposto ieri un bilancio dell’Ue per il 2016 da 143,5 miliardi di euro in stanziamenti di pagamento per sostenere la ripresa dell’economia e favorire la convergenza tra gli Stati membri e tra le regioni. La proposta comprende inoltre contributi al Fondo europeo per gli investimenti strategici. Una quota importante dei fondi del budget, 66,58 miliardi, è destinata a sostenere la crescita dell’economia e la creazione di posti di lavoro. Vengono inoltre sostenute le priorità politiche della Commissione europea, ad esempio l’Unione dell’energia e il mercato unico digitale, attraverso programmi come il meccanismo per collegare l’Europa con 1,67 miliardi di euro. Erasmus, il programma dell’Unione per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport, riceverà 1,8 miliardi di euro, il 30 per cento in più rispetto al 2015, mentre la competitività viene rafforzata mediante la ricerca e l’innovazione attraverso i programmi di Horizon 2020, a cui sono destinati 10 miliardi di euro, l’11,6 per cento in più rispetto allo scorso anno. Gaetano Vallini sione congiunta sul bilancio definitivo. Il bilancio dell’Ue risponde inoltre ai nuovi sviluppi nel vicinato europeo e in altre parti del mondo. Vengono stanziati 9,5 miliardi di euro per rispondere alle crisi esterne e fornire assistenza umanitaria. Il commissario Ue per il budget Kristalina Georgieva (Afp) Un nuovo capitolo nella storia dei Balcani TIRANA, 28. Tra eccezionali misure di sicurezza, è iniziata ieri pomeriggio la visita ufficiale in Albania del premier serbo, Aleksandar Vučić. Si tratta della prima visita a Tirana di un capo di Stato o di Governo di Belgrado. Nel corso di un colloquio, Vučić e il premier albanese, Edi Rama, si sono detti convinti di poter aprire un nuovo capitolo nella travagliata storia dei Balcani. Fra i due Paesi ha sempre pesato l’intricato nodo del Kosovo, ma i leader hanno ribadito che la netta divergenza su que- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va sto caso non deve rappresentare più un ostacolo. «Noi non andiamo d’accordo su tutto. Per noi il Kosovo è parte della Serbia, per l’Albania è uno Stato indipendente, ma siamo disposti a superare anche queste differenze», ha dichiarato il primo ministro serbo. «La visita di Vučić è un chiaro segnale della comune volontà a guardare avanti, e della comune convinzione che, indipendentemente dai disaccordi, noi abbiamo immensi spazi di opportunità ma anche di responsabilità, non solo nei confronti di noi stessi ma Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale anche di fronte alla regione dei Balcani», ha invece detto Rama ai giornalisti. Al termine dell’incontro, i due premier hanno ribadito che la destinazione di Serbia e Albania è l’Unione europea. La visita di Vučić segue quella effettuata dal premier Rama a Belgrado a novembre: quel viaggio fu in un primo momento rimandato di due settimane a causa delle violenze scoppiate in campo e sugli spalti durante una partita di calcio tra le squadre dei due Paesi per le qualificazioni europee. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Tour diplomatico europeo per Cameron LONDRA, 28. Dopo avere assolto il cerimoniale del Queen’s Speech, il discorso con il quale la regina Elisabetta II ieri ha illustrato al nuovo Parlamento il programma del Governo, David Cameron inizia oggi un nuovo viaggio in Europa. Il premier britannico intende illustrare ai vari leader Ue le ragioni di Londra nel negoziato con il quale spera di ridefinire il rapporto tra Gran Bretagna e Bruxelles, che dovrebbe precedere il referendum sulla permanenza nella Ue, previsto entro il 2017. Cameron, che lunedì sera ha avuto una cena di lavoro con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, sarà oggi all’Aia per incontrare il premier olandese, Mark Rutte, e subito dopo volerà a Parigi per un colloquio con il presidente francese, François Hollande. Venerdì, Cameron ha invece in programma un incontro a Varsavia con il premier polacco, Ewa Kopacz, e poi a Berlino, con il cancelliere Angela Merkel. Elezioni legislative anticipate in Danimarca Il primo ministro serbo in Albania caporedattore segretario di redazione Inoltre due miliardi di impegni e 500 milioni di pagamenti vengono destinati al fondo di garanzia dell’Efsi e del piano Juncker per mobilitare 315 miliardi di investimenti. Il progetto sarà trasmesso al Parlamento europeo e agli Stati membri, che adotteranno una deci- della vita nei conflitti, ma non ci sono scuse per le parti coinvolte di non rispettare e proteggere i giornalisti». Auza ha dunque sottolineato che «l’importanza del ruolo dei giornalisti nei conflitti continua a crescere nell’attuale mondo interconnesso. L’eccezionale progresso della tecnologia dell’informazione e dei social media rende individui e comunità in tutto il mondo desiderosi di un’informazione in costante evoluzione dalle zone di conflitto». E tuttavia, «mentre un tale accesso all’informazione si è rivelato un potente strumento nel promuovere la solidarietà globale per le vittime dei conflitti e nell’assistenza umanitaria, è diventato sempre più difficile per noi, specialmente per i politici, valutare l’obiettività dell’informazione fornita». Nell’intervento, che pubblichiamo integralmente sul sito del giornale, Auza ha dunque auspicato non solo un maggior impegno della comunità internazionale nella protezione dei giornalisti, ma anche maggior responsabilità da parte degli operatori dell’informazione. COPENAGHEN, 28. La Danimarca andrà alle urne il prossimo 18 giugno per le elezioni legislative. Ad annunciare il voto anticipato è stata ieri la premier danese, Helle Thorning-Schmidt, in una dichiarazione alla stampa. «La Danimarca si è rimessa in pista, siamo usciti dalla crisi» ha detto. È il momento «di chiedere ai danesi se vogliono mantenere questa rotta oppure dire sì agli esperimenti dell’opposizione». Oltre a ricordare che il Paese deve continuare con le riforme, la premier, diventata nel 2011 prima donna alla guida del Governo danese, ha poi sottolineato la necessità di maggiori interventi di assistenza sociale. Il Governo, secondo gli ultimi sondaggi, sarebbe indietro rispetto all’opposizione di centrodestra. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 29 maggio 2015 pagina 3 Si aggravano le condizioni di oltre settantamila persone senza acqua e cibo Emergenza per i rifugiati burundesi Decine di vittime nei raid contro gli huthi nello Yemen SANA’A, 28. Un’altra giornata di sangue ieri nello Yemen dove oltre a cruenti combattimenti tra i ribelli sciiti huthi e le forze fedeli al presidente yemenita, Abd Rabbo Mansour Hadi — costretto all’esilio a Riad — si sono registrati una serie di raid della coalizione a guida saudita che hanno provocato decine di vittime. Il quartier generale delle forze speciali a Sana’a è stato colpito in un’operazione dei caccia sauditi che ha fatto almeno 43 morti e cento feriti. Lo ha riferito l’agenzia di stampa Dpa, che cita fonti mediche. La capitale yemenita è dallo scorso settembre sotto il controllo dei ribelli sciiti huthi. Secondo un funzionario del ministero della Salute, coperto da anonimato, la maggior parte delle vittime del raid sono uomini delle forze speciali. Le forze speciali yemenite, di cui fanno parte gli agenti dell’antiterrorismo, sono fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, che sostengono gli huthi. Inoltre, è arrivata anche la notizia di un raid contro la principale base navale yemenita, quella di Al Hudayda, che secondo fonti dell’agenzia Dpa sarebbe stata «completamente distrutta». Nel frattempo, due guardie di frontiera saudite sono state uccise e altre cinque sono rimaste ferite dal fuoco d’artiglieria pesante al confine con lo Yemen. Lo riferiscono oggi i media sauditi citando il ministero dell’Interno, che ha accusato i ribelli sciiti huthi di aver lanciato missili contro una postazione a Zahran South, nella regione di confine di Asir. Sale così a trenta il numero delle persone, tra militari e civili, uccise in Arabia Saudita al confine yemenita, da quando la coalizione araba guidata da Riad ha iniziato i raid contro i ribelli che, dopo aver occupato Sana’a, hanno iniziato una vasta offensiva per conquistare l’intero Paese. Nuovo incontro a Ginevra sul dossier iraniano GINEVRA, 28. Il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, si incontreranno questo fine settimana a Ginevra per dare un nuovo impulso ai negoziati tra Teheran e il gruppo cinque più uno (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania) sul programma nucleare iraniano. Lo ha reso noto ieri il portavoce del dipartimento di Stato americano, Jeff Rathke, aggiungendo che gli Stati Uniti non considerano la possibilità di un’estensione oltre il 30 giugno dei negoziati per finalizzare l’accordo sul dossier. In precedenza, uno dei negoziatori di Teheran, Abbas Araqchi, aveva invece ventilato l’ipotesi che i negoziati potessero protrarsi oltre la scadenza del 30 giugno. «Non siamo legati a una data precisa — aveva detto Abbas Araqchi — e stiamo cercando di raggiungere un buon accordo i cui dettagli siano all’altezza delle reciproche aspettative». BUJUMBURA, 28. L’esodo di oltre settantamila rifugiati dal Burundi in Tanzania sta mettendo a dura prova le capacità del Governo di Dodoma e delle associazioni umanitarie di rispondere all’emergenza. Giorno dopo giorno gli operatori stanno incontrando sempre maggiori difficoltà a soddisfare le crescenti richieste di acqua potabile, cibo e riparo necessarie per assistere i profughi in fuga dal Burundi che sono ormai ben oltre centomila distribuiti nei Paesi limitrofi. L’allarme è stato lanciato ieri da Oxfam. In Tanzania, il campo profughi di Nyarugusu ha superato le proprie capacità di accoglienza: le scuole e le chiese della zona sono state tra- sformate in rifugi improvvisati, nell’attesa che vengano costruite sistemazioni più appropriate. Tantissime sono le famiglie, che dopo viaggi estenuanti sono ammassate in pochi metri quadrati. «I profughi — si spiega in una nota dell’ufficio per l’Africa di Oxfam Italia — sono distrutti dalla sete e dalla fatica e molti di loro sono malati. Si contano già migliaia di casi di colera Hanno passato di tutto per arrivare fin qui, e hanno ora bisogno di acqua potabile, cibo e riparo. Siamo pronti a incrementare la nostra risposta, ma sono necessari maggiori aiuti». Oxfam è impegnata nei campi profughi di Kagunga e Nyarugusu. Uccisi 35 ribelli talebani Offensiva delle forze afghane a Kandahar E in Burundi la situazione resta ben lungi dalla normalità. Le elezioni parlamentari previste per il 5 giugno, sono infatti impossibili da organizzare per i «disordini politici e di sicurezza» nel Paese. Lo hanno detto ieri i principali partiti di opposizione. «Il Paese è affondato in una situazione di disordine politico e di insicurezza che non può in alcun caso permettere elezioni trasparenti, libere e credibili» si legge in una nota in cui si sottolinea che anche «la tenuta della campagna elettorale e l’organizzazione degli scrutini sono impossibili». Perplessità sulla possibilità di un corretto svolgimento delle procedure elettorali è stata espressa anche dai vescovi. Le legislative e le comunali sono previste il 5 giugno, prima di quelle presidenziali del 26 giugno. Il Burundi è piombato in una grave crisi politica dall’annuncio a fine aprile della candidatura del presidente uscente Pierre Nkurunziza, in cerca di un terzo mandato consecutivo. Rifugiati burundesi in Tanzania (Ansa) Al partito di Governo le legislative Solita Etiopia ADDIS ABEBA, 28. Netta vittoria, come da previsioni, del Fronte rivoluzionario e democratico del popolo etiope (Eprdf) nelle elezioni parlamentari di domenica scorsa nel Paese del Corno d’Africa che, attualmente, figura tra le economie del continente a crescere più velocemente. Si è trattato del quinto voto dopo la fine del colonnello Menghistu, nel maggio del 1991, e l’ingresso della nuova Costituzione, nel 1995. Secondo i risultati provvisori, su 442 seggi finora assegnati nessuno è andato all’opposizione. Nel precedente Parlamento, composto da 547 deputati, un solo seggio non era controllato dal movimento che goKABUL, 28. Almeno 35 militanti talebani sono morti e altri 40 sono rimasti feriti ieri in un raid aereo delle forze di sicurezza afghane nella provincia meridionale di Kandahar. Lo riferisce il portale di notizie Khaama Press. Il Governo provinciale ha confermato che gli insorti sono stati uccisi dopo che si erano radunati nell’area di Badi Ghondi del distretto di Shorabak. Secondo la polizia di Kandahar i talebani si accingevano a realizzare un attacco coordinato. E altri sei ribelli talebani sono morti la notte scorsa nel blitz di un drone statunitense nella provincia orientale afghana di Nuristan. Il comandante della polizia pro- vinciale, generale Khalilullah Zeyi, ha precisato che l’attacco è stato portato nell’area di Mandish del distretto di Waigal. Insieme alla vicina provincia di Kunar, il Nuristan confina con il Pakistan e da tempo è centro dell’attività di gruppi armati che operano contro il Governo di Kabul. E l’Afghanistan ha accolto come un «gesto positivo» il monito rivolto ieri dal Pakistan ai talebani afghani affinché «sospendano immediatamente» la loro offensiva di primavera, per non subire «gravi conseguenze». Ciò viene interpretato dagli analisti come la riprova di una fase di disgelo nelle relazioni fra Kabul e Islamabad. A luglio riparte il nucleare giapponese TOKYO, 28. Entro la fine di luglio riparte il nucleare in Giappone, con il riavvio del reattore numero 1 della centrale di Sendai, nel sud. Lo ha previsto il gestore Kyushu Electric dopo l’approvazione della Nuclear Regulation Authority (Nra) dei piani operativi sulla sicurezza, ultimo passo del percorso composto di tre fasi. Si tratta dei piani di emergenza e sgombero in caso di incendio, alluvioni, calamità naturale o incidente grave. La riapertura a Sendai è il primo caso di autorizzazione finale con gli standard decisi dopo la grave crisi innescata nella centrale di Fukushima dal terremoto e dal successivo tsunami dell’11 marzo del 2011. Secondo la Nra, «non esistono problemi relativi alle misure di prevenzione contro possibili calamità»: la centrale di Sendai, vicina a due vulcani attivi, è tra i venti- quattro impianti oggetto degli accertamenti sulla sicurezza. Il presidente della Nra, Shunichi Tanaka, ha ricordato l’importanza dell’educazione alla sicurezza e della formazione per tutti i lavoratori dell’impianto. Kyushu Electric, da parte sua, ha promesso di migliorare le tutele a favore degli operai. Il Governo di Tokyo sostiene il riavvio del maggior numero di reattori quanto prima (ora sono cinquanta, tutti fermi) al fine di abbattere la bolletta energetica, che beneficia comunque delle quotazioni del petrolio favorevoli. Il nucleare, nonostante la grave crisi di Fukushima, resta una fonte di vitale importanza per Tokyo, all’interno di un mix energetico in discussione che dovrebbe lasciare all’atomo a uso civile una quota del 20-22 per cento del fabbisogno entro il 2030. Tensioni politiche in Madagascar ANTANANARIVO, 28. «Sono ancora qui». Con queste parole, il presidente del Madagascar, Hery Rajaonarimampianina, si è rivolto ieri sera ai cittadini attraverso la televisione nazionale dopo che il Parlamento ne ha chiesto la destituzione per «presunte violazioni costituzionali e incompetenza». Il capo dello Stato, eletto diciotto mesi fa, ha contestato il voto dei deputati, affermando di porsi domande «sul rispetto delle procedure legali e sulla trasparenza». In particolare — informano le agenzia di stampa internazionali — Rajaonarimampianina ha affermato che al momento del voto in Parlamento sarebbero stati presenti solo un’ottantina di deputati e non centoventicinque, come reso noto da fonti ufficiali del Paese africano. Di questi, centoventuno avevano votato contro il presidente (la maggioranza richiesta era di centodieci voti). Rajaonarimampianina ha anche ribattuto all’accusa di «alto tradimento» — legata in particolare alla violazione delle norme di funzionamento dell’Assemblea nazionale e alla mancata nomina di una commissione elettorale — per cui è stato deferito alla Corte costituzionale (a questa spetta infatti la decisione definitiva): a suo dire, avrebbe pagato il rifiuto di concedere ai deputati alcuni benefit richiesti. A questo proposito, Rajaonarimampianina ha affermato di avere non meglio precisati «sospetti di corruzione» verna il Paese dal 1991. In quell’occasione, l’Eprdf aveva ricevuto, secondo il conteggio ufficiale, il 99,4 per cento dei voti. Critiche — scrive l’agenzia Missionary International Service News Agency _ sono arrivate dall’opposizione, che ha anche contestato il verdetto degli osservatori dell’Unione africana, secondo cui le elezioni si sono svolte «in modo calmo e soddisfacente». Nessun osservatore straniero, né statunitense, né europeo, ha però monitorato lo svolgimento e lo scrutinio del voto. Merara Gudina, che guida la coalizione all’opposizione Medrek, ha parlato di «rapina organizzata», denunciando una «caccia alle streghe» nei confronti dei dissidenti e il furto di urne elettorali in vari seggi. Le elezioni politiche sono capitate in un momento felice dal punto di vista economico, nel pieno di una vera e propria ripresa e un prodotto interno lordo con una crescita a due cifre, del 10 per cento all’anno dal 2010 ad oggi. Una tendenza degna d’attenzione per gli analisti economici, che comunque va inquadrata in un contesto in cui il punto di partenza è tra i più bassi del mondo. Il Paese è, infatti, sempre alle prese con un peso insopportabile che grava su un popolo tra i più poveri del mondo, stremato dalla fame e dalla malnutrizione e con un divario sempre più profondo tra i ceti urbani e rurali. L’esercito nigeriano licenzia duecento soldati ABUJA, 28. L’esercito nigeriano ha licenziato ieri almeno duecento soldati, accusati di «codardia» per non avere combattuto contro i terroristi del gruppo fondamentalista islamico di Boko Haram. Lo ha reso noto la Bbc nel Paese africano, secondo cui almeno altri 4500 militari rischiano lo stesso provvedimento. Una fonte militare nigeriana ha confermato i licenziamenti, senza però fornire una cifra precisa e le motivazioni. Si ritiene che la vicenda sia legata alla caduta di Mubi, la seconda città più grande dell’Adamawa, uno dei tre Stati che si trovano in una situazione di emergenza. Secondo le accuse, i militari non avrebbero impedito ai miliziani di prendere il controllo di Mubi. Intanto, a seguito di incursioni e violenze da parte di Boko Haram, il Parlamento del Niger ha approvato un’estensione di tre mesi dello stato di emergenza nella provincia meridionale di Diffa. Le misure straordinarie prevedono l’attribuzione ai militari del potere di fermare sospetti militanti anche senza mandato di cattura. La provincia di Diffa confina con la Nigeria nord-orientale, roccaforte di Boko Haram. Un mese fa, durante un’incursione islamista in un’isola del Lago Ciad sotto sovranità nigerina, sono state uccise cinquanta persone. In alcuni ospedali mancano perfino siringhe o aghi Carenza di vaccini per i bambini del Ghana ACCRA, 28. Gli ospedali della regione di Ashanti, polo industriale del Ghana, sono a corto di vaccini da somministrare ai neonati per combattere pericolose malattie infantili. In tutto il Paese africano, rilevano fonti della direzione della Sanità, scarseggiano le scorte di vaccini contro morbillo, tubercolosi, febbre gialla ed epatite e le autorità del Servizio sanitario confermano le crescenti preoccupazioni dei genitori. In alcuni ospedali la situazione è ancora più grave, in quanto mancano perfino siringhe o aghi per i pochi vaccini esistenti. La situazione non migliora nemmeno nella capitale, Accra. Le stesse fonti indicano che la carenza dei vaccini è dovuta alle conseguenze dell’incendio che nel gennaio scorso distrusse il Central Medical Stores della capitale, il più grande centro di approvvigionamento e distribuzione di attrezzature mediche e farmaci, tra cui medicinali contro l’Hiv, la malaria e l’ebola. Secondo il direttore generale del Servizio sanitario ghanese, Ebenezer Appiah-Denkyra, la carenza dei vaccini è dovuta alla mancanza di finanziamenti da parte del Governo centrale. Appiah-Denkyra ha comunque assicurato che il Servizio sanitario coprirà la spesa per le famiglie più disagiate, mentre dall’Unicef arriveranno finanziamenti per avere i vaccini per la prossima settimana. Cresce, però, la preoccupazione dei genitori per la salute e la crescita dei loro bambini, che si vedono riprogrammate le visite neonatali più e più volte. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 venerdì 29 maggio 2015 «Non fa distinzioni fra noi e loro, capisce?» spiega nel romanzo di Dario Fertilio il generale John Burns al capo dei servizi segreti alleati Il vescovo Hudal e la fuga dei nazisti Ambiguità del male di LUCETTA SCARAFFIA n vescovo fuori dal mondo. Con le migliori intenzioni del mondo. Ma anche le peggiori»: così John Burns, generale di brigata neozelandese, definisce il vescovo austriaco Hudal, rettore del collegio di Santa Maria dell’Anima, che l’ha nascosto per mesi — e poi fatto fuggire — dalla Roma occupata dai nazisti. «Non fa distinzioni fra noi e loro, capisce?» spiega infatti Burns al responsabile dei servizi segreti alleati. L’inquietante Alois Hudal è un nazista appassionato, crede che Hitler sia stato inviato da Dio e che proprio per questo sia necessario convertirlo: «Un vero socialismo nazionale tedesco potrebbe esse- «U volte impegnato su temi controversi della storia recente, affronta un tema per molti versi ancora scottante: la questione dell’aiuto, se pure indiretto, dato da uomini di Chiesa alla fuga di criminali nazisti. Il racconto si apre con una ouverture wagneriana — un comizio di Hitler, e l’esorcismo di Pio XII — e poi si dipana su due piani, quello della vicenda del vescovo, accecato dall’amore per la patria germanica e dall’utopia ideologica che si intrecciano alla sua identità cristiana, e quello di un soldato dell’Armata rossa che occupa Königsberg, ma che ha origini tedesche. Il milita- Maria in trono con il Bambino Gesù invocata da figure piangenti (Santa Maria dell’Anima, Roma) re — se nutrito al suo interno da un cristianesimo sociale — la nostra grande occasione. La speranza». Pio XII si rifiuterà sempre di riceverlo, ma non solo gli permetterà di svolgere un ruolo chiave nella Roma occupata dai tedeschi, e poi dagli alleati, ma gli affiderà anche un compito importante, come quello di scrivere una lettera al comandante tedesco per invocare la sospensione del rastrellamento degli ebrei romani. Non si sa se per effetto della lettera del vescovo austriaco, ma l’operazione contro gli ebrei fu sospesa. Non solo: durante l’occupazione tedesca Hudal si impegnò a ospitare e a far fuggire — sempre con l’aiuto della Croce Rossa, per tacita volontà del Papa — militari dell’esercito alleato, e forse, chissà, perseguitati politici. Anche se il suo cuore batte per il Führer, come buon cattolico obbedisce alla gerarchia, e quindi agli ordini di Pio XII. Certo, il suo ruolo diventa decisivo dopo la guerra, quando attraverso il suo aiuto riescono a fuggire molti tedeschi, fra i quali non pochi indicati come criminali di guerra. L’operazione è organizzata da Walther Rauff, l’ex-capo dei servizi segreti tedeschi in Italia, che prepara per tempo l’adesione di Hudal: «Qualcuno di noi — dice al vescovo poco prima della sconfitta tedesca — in passato potrà avere commesso degli errori, molto molto gravi se è per questo, degli eccessi… inutile negarlo… questo rientrava fin dall’inizio nelle possibilità, dal momento che siamo pur sempre uomini». E la risposta del prelato è decisamente assolutoria: «La Chiesa esiste appunto per questo». In questo modo, tra realtà e immaginazione, questo coraggioso romanzo di Dario Fertilio (L’anima del Führer. Il vescovo Hudal e la fuga dei nazisti in Sud America, Venezia, Marsilio, 2015, pagine 215, euro 16,50), uno scrittore che si è già più A Roma Il 28 maggio a Roma viene presentato il libro di Dario Fertilio L’anima del Führer. Il vescovo Hudal e la fuga dei nazisti in Sud America (Venezia, Marsilio, 2015, pagine 216, euro 16,50). Sono previsti gli interventi di Stefano Folli e del direttore dell’Osservatore Romano. re, anch’egli all’inizio imbevuto di ideologia sovietica, viene a poco a poco indotto dagli eventi a scoprire l’inganno in cui è caduto, grazie anche alla delicata storia d’amore con una vedova tedesca. Lo sfondo del romanzo — scritto benissimo — è quello di una guerra che ha lasciato lunghi e strazianti strascichi nella storia europea, una guerra che ha continuato per molto tempo a creare sofferenza anche quando ufficialmente era finita. Una guerra combattuta che è quasi subito sfociata in una guerra fredda, che ha visto ideologie contrapporsi con violenza, nella dimenticanza pressoché totale di ogni insegnamento cristiano. In questo clima la Chiesa appare come quella che si rifiuta di giudicare, ma che cerca solo di salvare vite umane dalla violenza e dalla vendetta. Per lasciar loro la possibilità di capire, di pentirsi, forse anche di salvarsi. Come spiega bene il timpano scolpito sulla porta della chiesa di cui Hudal è rettore: Maria in trono con il Bambino invocata da figure piangenti — animae, povere anime — inginocchiate ai suoi lati. C’è un aspetto inquietante in questa immagine: «Pareva che l’esito della battaglia per la salvezza delle due povere animae non fosse affatto deciso» scrive Fertilio. Davanti alla certezza umana di essere dalla parte giusta, di sapere grazie all’adesione ideologica qual è il bene e qual è il male, l’antica sapienza cristiana risponde facendo implicitamente capire che la confusione è grande, e che quindi è necessario rimettersi al giudizio divino. Ma «chi poteva essere davvero sicuro d’essere perdonato» si chiede con angoscia Hudal alcuni anni dopo la fine della guerra, nella conclusione del romanzo. «Il vescovo scacciò un’immagine spaventosa» scrive ancora Fertilio, «e per la prima volta sentì che di tutto ciò per cui era vissuto sarebbe rimasta soltanto la cenere». Sulla pratica di legare i malati psichiatrici e gli anziani Che non diventi il letto di Procuste di FERDINAND O CANCELLI a pratica di legare i pazienti e le pazienti contro la loro volontà risulta essere tuttora applicata, in forma non eccezionale, senza che vi sia un’attenzione adeguata alla gravità del problema, né da parte dell’opinione pubblica né delle istituzioni». Il parere del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) dal titolo «La contenzione: problemi bioetici» approvato all’unanimità nella plenaria del 24 aprile «L Il dramma è quello di scivolare verso la banalizzazione dell’atto considerandolo una routine Da non segnalare nemmeno nella cartella clinica scorso, e consultabile sul sito del comitato stesso, affronta un argomento solo apparentemente lontano dalla realtà quotidiana di malati psichiatrici, di anziani e, in generale, di pazienti fragili: quello della contenzione fisica nei luoghi che dovrebbero essere di cura. Il documento, attraverso una precisa analisi bioetica e normativa, introduce alla realtà di un fenomeno che si potrebbe credere scomparso ma che sussiste come protetto dall’ombra di giustificazioni fasulle e di mancanza di monitoraggio e di studio. «Non si può dire che la contenzione meccanica sia pratica eccezionale ed extrema ratio se è vero che in media il dieci per cento dei malati ricoverati in crisi psichiatrica viene legato, tanto più se si considerano i servizi oltre la media che raggiungono punte del venticinque per cento» afferma uno studio condotto qualche anno fa nei principali Spdc (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura) di Roma e riportato nel parere. Essere legati al proprio letto per una media di 14 ore e, almeno in un caso, «per 9 giorni di seguito»: questo dato può essere preso come simbolo di quel “rimosso” dell’assistenza psichiatrica che continua come un fantasma a infestare il modus operandi di alcuni servizi. Il Cnb «ribadisce l’orizzonte bioetico del superamento della contenzione nell’ambito di un nuovo paradigma della cura fondato sul riconoscimento della persona come tale, nella pienezza dei suoi diritti» e afferma con forza che tale pratica «rappresenta in sé una violazione dei diritti fondamentali della persona» che impone di superare «il residuo di cultura manicomiale» peraltro già in precedenza denunciato dallo stesso Comitato nell’anno 2000. Uno dei dati che emerge con maggior chiarezza è quello che contenere un malato, oltre a essere una lesione della persona, può solamente portare a un aggravamento della patologia psichica e rappresenta quindi un gesto completamente inefficace anche dal punto di vista terapeutico. I pochi studi nazionali e internazionali mostrano tra le altre due evidenze che possono sorprendere. In primo luogo i servizi “no-restraint”, quelli cioè che «hanno scelto di non legare i pazienti o che cerca- Prevenzione ed etica La recente dichiarazione di Emma Bonino sul suo stato di salute testimonia non solo il bel legame tra lei e le persone che l’hanno sostenuta nella sua battaglia, ma ha dato anche un messaggio di speranza ai tanti che questa battaglia la stanno conducendo, e il cui esito sarà tanto più favorevole quanto più precoce è stata la diagnosi. È la lotta di una donna contro una malattia, non convenzionalmente, femminile. In effetti istituzionali nazionali e regionali, fondazioni e media promuovono iniziative per stimolare l’adesione ai programmi di prevenzione dei tumori della donna. A queste attività si deve l’aumento delle diagnosi precoci e delle guarigioni. Tuttavia queste campagne declinate al femminile vengono percepite a volte come se il rischio fosse circoscritto agli organi della sfera genitale: quello della mammella, il più frequentemente diagnosticato, è del ventinove per cento; della cervice è del cinque, dell’utero è del sette per cento, dell’ovaio del tre per cento. Bisogna sottolineare, invece, che nelle donne il dodici per cento delle neoplasie colpisce il retto-colon e che nel cinque/sei per cento dei casi è interessato il polmone che negli ultimi venti anni ha avuto un incremento del sessanta per Paziente cura te stesso cento. Inoltre con l’avanzare dell’età il rischio del tumore al seno declina mentre quello ovarico aumenta. Un segnale in questo senso ci viene dai dati della partecipazione ai programmi nazionali in corso. L’adesione allo screening del cancro della mammella è del quarantacinque per cento, e quello della cervice è del ventisette. Tuttavia, considerando anche le indagini effettuate autonomamente, oltre l’ottanta per cento delle donne pratica la prevenzione. Riguardo allo screening del colon, invece, gli inviti raggiungono il cinquanta per cento della popolazione e hanno una risposta del ventiquattro. In questo caso, però, la percentuale di indagini di prevenzione, effettuate fuori-screening, non supera il tredici per cento in ambedue i sessi. È quindi necessaria una particolare cura per ridurre il divario tra l’adesione ai programmi di prevenzione dei tumori “esclusivamente” femminili e di quelli “anche” femminili. Nello screening delle neoplasie del colon, la colonscopia è uno dei motivi di mancata adesione: per paura, imbarazzo, impegno di tempo. La prevenzione tuttavia può essere effettuata con efficaci modalità. Sarebbe auspicabile, quindi, che i medici spiegassero al paziente la gamma di possibilità tra cui scegliere: qualunque screening è, infatti, meglio di nessuno screening. Tali esami richiedono un forte impegno organizzativo che, tra l’altro, non è ancora omogeneo tra nord e sud. È noto che la partecipazione è legata al livello socio-culturale ed economico e anche, con riferimento a uno scenario di attualità, ai flussi migratori: l’indigenza, indipendentemente da razza o provenienza, riduce la possibilità di essere raggiunti dalle campagne di informazione e rischia di compromettere una diagnosi precoce. La cura della propria persona è un diritto inalienabile e aderire ai programmi di prevenzione costituisce un atto di responsabilità nei confronti non solo di se stessi, ma anche dei propri familiari. (sergio morini) no di limitare tale pratica al minimo» non devono far ricorso «a un uso più intensivo di psicofarmaci rispetto ai servizi che ricorrono più massicciamente alla contenzione». In secondo luogo gli stessi servizi di cura “norestraint” non risulta debbano avvalersi di più personale rispetto a quelli “restraint”. E tutto questo a parità di caratteristiche dei pazienti trattati. La deduzione logica è quindi che “la cultura e l’organizzazione” delle strutture sanitarie e la loro “filosofia” giochino un ruolo determinante sul modo di trattare i pazienti, ruolo molto più decisivo rispetto alla tipologia dei pazienti stessi. Il dramma è quello dello scivolamento verso una totale banalizzazione dell’atto, verso la considerazione dello stesso come normalità, come una routine che non necessita nemmeno di essere segnalata nella cartella clinica. L’orizzonte normativo, finemente analizzato nel parere, è però molto chiaro in proposito: benché la riflessione giuridica sull’argomento resti Oltre a essere una lesione della persona la contenzione fisica può solo aggravare la patologia psichica problematica in assenza di una legge specifica emanata dal Parlamento nel nostro Paese, «il ricorso alle tecniche di contenzione meccanica deve rappresentare l’extrema ratio» e può essere «giustificato» solo «in presenza di un pericolo grave e attuale che il malato compia atti auto-lesivi o commetta un reato contro la persona nei confronti di terzi». Situazioni queste ultime che ben di rado si osservano per malati psichiatrici, anziani o disabili che a volte vengono contenuti per pura comodità del personale di servizio. La gestione dei conflitti con il malato, una presenza umana in ascolto, un clima tranquillo, la prassi delle “porte aperte”: questi alcuni dei metodi ben più efficaci e rispettosi per aiutare chi è in difficoltà. «Se si permette che mani e piedi vengano legati — scriveva nel 1856 lo psichiatra John Conolly — in breve si riscontrerà nel paziente un totale processo di regressione e si darà l’avvio a ogni genere di trascuratezza e tirannia, fino a che la repressione diventerà l’abituale sostituto dell’attenzione, della pazienza, della tolleranza e della gestione corretta». A distanza di tanti anni e in un’epoca che a parole fa spesso dei diritti della persona una rivendicazione tanto ossessiva quanto vuota, queste affermazioni suonano attualissime. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 29 maggio 2015 pagina 5 In due giornate di intenso dialogo vissute nel novembre 1973 tra superiori e superiore furono discussi temi ancora oggi attuali sull’attività delle donne nella Chiesa La Chiesa di fronte alla condizione delle donne oggi Le religiose in dialogo con la Curia romana O rientamenti non restrizioni di GRAZIA LOPARCO a richiesta esplicita di una corretta partecipazione femminile nella vita della Chiesa da parte delle religiose non è cosa degli ultimi anni. Alcune richieste di quarant’anni fa si sono avviate ad attuazione, per altre evidentemente c’è spazio di riflessione e decisione. Nel bollettino trimestrale dell’Unione internazionale superiore generali (Uisg) numero 31-32 del 1974 sono riportati i contenuti di due giornate di intenso dialogo vissute nel novembre 1973 tra responsabili della Congregazione dei religiosi, rappresentata dal prefetto, il cardinale Arturo Tabera, e dal segretario, il benedettino Paul Augustin Mayer, e l’Assemblea triennale delle superiore generali. La domanda di fondo era: cosa attendono le superiore generali dalla Congregazione dei religiosi e cosa questa attende dalle superiore generali? Si vedeva innanzitutto l’opportunità di un maggiore scambio rispetto a quanto era già attuato grazie ai raduni mensili del Consiglio dei 16. Costituito da 8 superiori generali dell’Unione dei superiori generali (Usg) e 8 superiore generali dell’Uisg, esso era stato creato in quegli anni proprio per approfondire i rapporti con la Congregazione dei religiosi, attraverso lo studio e la discussione di temi importanti per la vita consacrata. Alcune superiore auspicavano con lucidità una nuova forma di leadership da parte della Congregazione, in vista di ricevere non solo direttive di ordine normativo, ma anche orientamenti pastorali e spirituali; orientamenti più che restrizioni, in modo da poter conservare l’unicità e L l’unità in ogni istituto, senza doversi omologare nell’uniformità. Si sperava un aiuto che facesse risaltare gli elementi essenziali della vita religiosa, vissuta nell’attualità dei tempi. Le superiore chiedevano un genere di orientamento che desse loro fiducia e, per conseguenza, ottenesse la massima collaborazione. Occorreva per questo una maggiore conoscenza e una valutazione più obiettiva delle informazioni legate alle realtà locali, in cui le religiose dovevano adattarsi e perciò essere aperte ai cambiamenti. Si faceva appello a una migliore comunicazione tra Congregazione dei Religiosi e superiore, mentre era al momento offuscata dalla predominanza maschile: «Uno dei risultati della nostra epoca è che le religiose, fedeli ai principi di sussidiarietà e alla dignità umana, accettano sempre meno che gli uomini legiferino negli affari di loro competenza». Le relatrici auspicavano concretamente una rappresentanza adeguata delle religiose all’interno della Congregazione; che alcune tra esse, qualificate, potessero entrare e trattare soggetti concernenti le religiose. Inoltre chiedevano in che misura e circostanze fossero consultate quelle che al momento lavoravano presso la Congregazione: «Partecipano attivamente quando si prendono decisioni?». Si chiedeva che la nomina delle religiose fosse preceduta dalla consultazione previa delle superiore. Comunicazione e consultazione sembravano gli ingredienti necessari per un legame di comprensione reciproco: tramite questo si sarebbero evitati malintesi dovuti alla recezione di direttive di cui non sempre si comprendeva il senso, a maggior ragione con le traduzioni. di UGO SARTORIO Stanchi del buio e della notte, gli uomini e le donne dei nostri giorni attendono l’alba, lo sbocciare di tempi nuovi in cui l’umanità possa finalmente fiorire. In questa attesa che tutti coinvolge, i consacrati sono come dei “sensori”, visto che a suo tempo hanno contribuito a preparare il grande evento del concilio Vaticano II e come pionieri ne hanno gustato per primi i frutti e subìto gli inevitabili contraccolpi, per cui, come scrive padre Dino Dozzi in Quanto manca all’aurora? Vita consacrata custode dell’umano e del creato (Padova, Emp, 2015, pagine 62, euro 7) saranno i primi a uscire dalla crisi. Il loro compito nella società non è esaurito, come molti profeti di sventura vanno pronosticando, ma si andrà sempre più affinando in forme di nuovo umanesimo, di relazioni autenticamente umane, di cammini condivisi, di cristianesimo umile, dialogico e rispettoso della diversità. In questo testo piccolo e gustoso, che sarà presentato il 30 maggio al Festival Biblico di Vicenza, si parla della vita consacrata, del suo presente incerto ma anche dei tanti germogli che si intravedono e promettono futuro, di una trasformazione che se da una parte richiede la messa in atto di una feconda e carismatica ars moriendi, dall’altra non potrà che sortire esiti evangelici, vero obiettivo di ogni processo ecclesiale. «La vita consacrata parla di Dio se vissuta nella logica evangelica», precisa l’autore, nel senso che si tratta di una forma di esistenza tutta raccolta in Dio e affaccendata intorno alle radici della fede, quindi in grado di comunicare la bellezza e grandezza del dono divino. Con una precisazione: non è innanzitutto ciò che noi facciamo per Dio a manifestare nell’oggi la logica evangelica, quanto piuttosto ciò che Dio fa per noi, per cui la vita consacrata è sostanzialmente testimonianza gioiosa di un dono ricevuto. «Frutto di amore gratuito, diventa una vita “esagerata” nella risposta di gratuità, ri- internazionale dichiarato dall’O nu per il 1975. Si chiedeva uno studio sulla teologia della donna e che la Chiesa approfondisse il contributo insostituibile delle donne nella sua missione, come pure di considerare la perdita di potenziale umano quando la complementarità non era riconosciuta. Il gesuita Paolo Molinari, assistente dell’Unione, si faceva mediatore tra la curia e le religiose e sottolineava l’utilità dell’ascolto reciproco, non solo delle superiore, ma anche dei Capitoli generali che cercavano il rinnovamento, pur non trovando sempre le soluzioni migliori. Sottolineava Alcune richieste di partecipazione che occorreva valorizzare maggiormente la ricchezza formulate quarant’anni fa delle visioni teologiche e si sono avviate ad attuazione dell’esperienza, non leggendo però i testi nuovi alla luce Per altre c’è ancora spazio di schemi del passato e di liper la riflessione e la decisione mitati contatti con la realtà vissuta alla luce di Dio; occorreva anche un contatto I responsabili del dicastero, sem- più diretto e positivo con i responsapre presenti ai lavori, ripresero i te- bili di tali sviluppi. Perorava la caumi accordando il loro consenso alle sa dell’ascolto delle religiose da parrichieste. Nel clima del rinnovamen- te della Congregazione per una colto si auspicava maggiore comunica- laborazione efficace alla comprensiozione reciproca, per evitare le pola- ne dello sviluppo della vita religiosa rizzazioni che a volte si creavano e per la sua comprensione teologica, nelle congregazioni, col rischio di dal momento che l’azione di Dio si rotture e separazioni da parte di rinnova continuamente e non può gruppi e comunità. Le religiose chia- essere conosciuta a priori. Egli ricorrivano di non volersi confondere con dava che non ci si poteva basare su gli istituti secolari. una legislazione che aveva codificato Nelle relazioni di gruppo, il grup- sia elementi permanenti che altri po inglese auspicava che l’Uisg af- non essenziali. Per questo la Chiesa frontasse seriamente il tema della aveva richiesto agli Istituti di rivededonna, in concomitanza con l’anno re la vita e le Costituzioni alla luce Si sarebbe auspicata poi una consultazione delle religiose che avesse accompagnato il processo di redazione di norme, tenendo conto delle situazioni di vita, prevedendo l’impatto delle norme e della loro applicazione. Le rappresentanti delle superiore avrebbero desiderato partecipare alle sessioni plenarie della Congregazione e alla preparazione del Sinodo dei vescovi. Sussidiarietà e collaborazione in un dialogo aperto erano in breve le attese, insieme a una teologia radicata nel vangelo. Storie di consacrati Una vita esagerata nunciando all’esercizio autonomo della propria libertà, al possesso dei beni materiali, al diritto di formarsi una propria famiglia, proclamando di fronte al mondo che si è trovato il tesoro e dunque si può lasciare tutto il resto. Questo è il modo in cui i consacrati parlano di Dio e dell’uomo». Non nella linea del rifiuto e della pura contestazione, quanto piuttosto della relativizzazione e della messa in gerarchia, a motivo del “tesoro” che vale sopra ogni cosa. Inoltre, prima che servizio, la consacrazione religiosa è rivelazione di un dono ricevuto e accolto (anche se non sempre ade- guatamente corrisposto!), rivelazione di un Dio che perdona e ama senza misura. Infatti «la misura dell’amore non sono i bisogni degli uomini da soddisfare, ma la ricchezza dell’amore di Dio da rivelare». Davvero interessante questa prospettiva tutta evangelica che disincaglia la teologia della vita consacrata dalle secche di un confronto rivendicativo e sterile con gli altri stati di vita. Ogni battezzato è chiamato alla perfezione e al radicalismo dell’amore, come hanno chiarito importanti documenti del concilio Vaticano II, anche se poi la perfezione dell’amore è come un orizzonte che si allontana man mano che si avanza. Accondiscendendo a questa immagine, i consacrati sono allora come degli esploratori che, con bagaglio leggero ed essenziale, osano spingere oltre i limiti il loro donarsi, proprio perché molto hanno ricevuto. In particolare, secondo l’autore, la loro testimonianza sarà quella di un’umanità riuscita, risolta, aperta e dialogica, secondo il paradigma relazionale vissuto e proposto da Gesù, per il quale l’altro è “luogo” di incontro con Dio e con se stessi. «La vita è rispondere a e rispondere di, cioè risposta e prendersi cura»: con questa frase, di Dietrich Bonhoeffer, Dozzi svolta verso la seconda parte del suo scritto, tutta centrata sulla cura che l’uomo, il cristiano, il consacrato in particolare, devono al creato. Si tratta del tema che Papa Francesco ha lanciato fin dal suo primo discorso ufficiale, il 19 marzo 2013, facendo della custodia un tratto fondamentale del suo pontificato. Muovendo da questa suggestione, l’autore — da esperto francescanista — rilegge il Cantico delle creature come icona di vita consacrata e custode, insieme, del Vangelo e dello spirito dei fondatori, di cui fa parte l’elemento dinamico. La Chiesa aveva evidenziato la fedeltà allo spirito dei fondatori e non alle sue espressioni storiche riconducibili al contesto. Una tale fedeltà alle forme, rigida, potrebbe infatti essere infedeltà allo spirito. Dunque occorreva che la Congregazione esaminasse con cura quanto arrivava al suo vaglio, in genere dopo un cammino di consultazione e di preghiera delle superiore, cammino spesso unito a ricerca, angoscia, sofferenza. Allo stesso tempo, era auspicabile un dialogo in itinere anche in rapporto ai Capitoli generali e a decisioni da prendere. Al contempo ci si interrogava sul rapporto tra Costituzioni rinnovate secondo le indicazioni conciliari e il Codice di diritto canonico che era sì in revisione, ma non si prevedeva un’imminente conclusione del processo. L’idea era che esso non avrebbe contenuto molte norme sulle Congregazioni religiose, lasciando maggiore spazio. Altro punto toccato nell’incontro tra i responsabili fu la relazione tra la Congregazione dei religiosi, quella per l’Evangelizzazione dei popoli e quella delle Chiese Orientali, da cui secondo i casi potevano dipendere decisioni sulle religiose. L’arcivescovo Mayer chiariva le competenze specifiche e si riprometteva comunque una maggiore intesa, convocando anche il Consiglio dei 16 e dei 18, legato alla Congregazione dei religiosi e alla Congregazione per l’evangelizzazione. Il dialogo avviato su punti molto concreti sembrava promettente. dell’umano e del creato. Notando innanzitutto come in questo inno la teologia, l’antropologia e l’ecologia sono di fatto inseparabili, pena lo smarrimento della chiave interpretativa che si trova nell’intentio auctoris. Ma il Cantico è soprattutto un inno rivelativo, poiché ci dice che Dio è altissimo, onnipotente, buono, quindi in un rapporto di amicale reciprocità con l’uomo. Ci rivela poi che le creature sono «le tue creature», che ogni creatura è «fratello» e «sorella», e che nessuna realtà per quanto oscura, neppure la morte, è da temere. Nel segno di questa rivelazione di un Dio che si prende cura dell’uomo e del creato si pone oggi la vita consacrata. E lo fa come epifania esistenziale. Il Cantico, infine, oltre a essere un inno di lode e di rivelazione, è una preghiera di Rinunciando al possesso di beni materiali e al diritto a una propria famiglia si proclama al mondo che si è trovato il tesoro E dunque si può lasciare tutto il resto restituzione, la quale avviene in particolare attraverso l’uomo che perdona, fa pace, abbraccia la morte, onora la volontà di Dio. Sono questi i momenti cruciali della vita nei quali è più difficile cogliere che tutto è dono di Dio e quindi lodarlo, restituirgli tutto e restituirsi totalmente a lui. «La vita dei consacrati diventa particolarmente preziosa, limpida e significativa soprattutto in questi momenti», sottolinea Dozzi. E non va dimenticato, in ogni caso, che la mediazione tra Dio e l’uomo svolta dalle creature non è che un rimando alla definitiva mediazione di Cristo, il grande mediatore, il “luogo” della lode, della rivelazione, della restituzione, tutti atteggiamenti che danno forma e senso alla sequela dei consacrati. Ascolto, testimonianza, riflessione, ma soprattutto ampio dibattito sul contributo che possono offrire le donne per trovare soluzioni ad alcuni problemi del mondo contemporaneo. Guardando la realtà da un punto di vista diverso da quello abituale nel rapporto donna-Chiesa. Non più come donne che protestano, ma che si sentono pienamente inserite nella Chiesa stessa. Donne che hanno il coraggio di esporsi e di assumersi responsabilità, confrontandosi e dando la parola ad altre donne. È questo il leitmotiv che ha ispirato il seminario internazionale organizzato da «donne chiesa mondo», mensile dell’O sservatore Romano, sul tema «La Chiesa di fronte alla condizione delle donne oggi», che si svolge dal 29 al 31 maggio nella Casina Pio IV in Vaticano. Lo ha spiegato Lucetta Scaraffia, coordinatrice del mensile, durante una conferenza stampa tenutasi, questa mattina, 28 maggio, nella sede dell’O sservatore Romano, con la partecipazione di Catherine Aubin, Giulia Galeotti, Daniela Guarnieri, Silvina Pérez, tutte del comitato organizzatore, e del direttore del giornale. Il seminario internazionale sarà articolato in quattro sessioni — violenza, famiglia, identità femminili e bilancio finale — che ruoteranno intorno ad alcune relazioni, alle quali seguirà un ampio spazio per la discussione. Argomenti di scottante attualità, dunque, rispetto ai quali le partecipanti al seminario sono chiamate in prima persona a offrire proposte concrete. Ampia importanza viene data, infatti, al dibattito, che si caratterizzerà come una sorta di lavoro collettivo. Questo incontro segna l’inizio del quarto anno di vita del mensile «donne chiesa mondo». Un periodico che sta suscitando sempre più interesse anche a livello internazionale. Da marzo, infatti, viene pubblicato in Spagna da «Vida Nueva». L’iniziativa promossa dal mensile è nata all’insegna della trasversalità. Si caratterizza, infatti, per una partecipazione che rispecchia una pluralità di punti di vista per provenienza e appartenenza religiosa. I lavori del seminario — che si concluderanno domenica 31 con la messa celebrata dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nella chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva — verranno trasmessi in diretta streaming sul sito del nostro giornale. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 29 maggio 2015 Il cardinale Bozanić in ricordo del massacro di Bleiburg Verità che unisce Per creare una cultura di pace Cosa possono fare le religioni del disarmo» (Discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965). Come aveva notato Paolo VI, la pace è edificata non soltanto con mezzi politici ma anche con le nostre menti e le nostre idee. Siamo chiamati a riflettere, e alla luce delle nostre tradizioni religiose a edificare un’etica. A tale proposito, una cultura della pace non dovrebbe essere ridotta al pacifismo. Come Papa Francesco ci ha ricordato durante il viaggio di ritorno dalla Corea lo scorso anno, di fronte al male è legittimo fermare l’ingiusto aggressore. Ma al fine di determinare cosa è giusto o ingiusto, la religione ha un ruolo particolare nel fornire la cornice etica e morale di tale riflessione. Un altro aspetto dell’edificazione della pace, notò Paolo VI, sono le «opere», che caratterizzano i molti movimenti religiosi fondati nell’immediato secondo dopoguerra, basati sul bisogno di promuovere la riconciliazione fra nazioni e popoli. Uno di questi movimenti, nella tradizione cattolica-cristiana, è Pax Christi, fondato in Francia nei mesi precedenti la fine della seconda guerra mondiale da Pierre-Marie Théas, vescovo di Montauban, nel sud della Francia, e da una laica, Marthe DortelClaudot. Il modo in cui giunsero a fondare Pax Christi è una teVentotto studenti provenienti stimonianza rimarchedall’England’s Cambridge Muslim vole del ruolo positivo College e dal Centro per la teologia che la religione può islamica dell’Università di Tubinga giocare. Il vescovo hanno preso parte alla conferenza Théas, imprigionato che si è tenuta nei giorni scorsi nel 1944 per la sua a Roma, presso il Lay Centre protesta contro la dedel Foyer Unitas, dedicata portazione degli ebrei al tema «Creare una cultura di pace: francesi, incoraggiò i cosa possono fare le religioni?». compagni di prigionia a pregare per i loro Principale relatore carcerieri. Non sorè stato l’arcivescovo segretario prende che la sua preper i Rapporti con gli Stati dicazione di perdono della Segreteria di Stato vaticana, e riconciliazione non del cui intervento pubblichiamo qui sia stata facilmente acuno stralcio. Il testo integrale, in colta dai compagni di lingua inglese e italiana, è prigionia. Dopo il suo consultabile sul sito del giornale rilascio, il tempo tra(www.osservatoreromano.va). scorso nel campo di prigionia lo influenzò profondamente e gli fece comprendere intimaestro nell’arte di costruire la pace. mamente quanto fosse difficile per Quando voi uscite da questa aula il la gente perdonare i propri nemici. mondo guarda a voi come agli ar- Marthe Dortel-Claudot, sposa e machitetti, ai costruttori della pace. E dre di famiglia, nonché cattolica voi sapete che la pace non si co- profondamente devota, mentre si avstruisce soltanto con la politica e vicinava il Natale del 1944, fu spinta con l’equilibrio delle forze e degli a pregare per le sofferenze del pointeressi, ma con lo spirito, con le polo tedesco. Scrisse nel suo diario: idee, con le opere della pace. Voi «Gesù è morto per tutti. Nessuno già lavorate in questo senso. Ma voi dovrebbe essere escluso dalla presiete ancora in principio: arriverà mai il mondo a cambiare la mentali- ghiera di un altro». Con l’incoragtà particolaristica e bellicosa, che fi- giamento del parroco, formò un picnora ha tessuto tanta parte della sua colo gruppo di preghiera per elevare storia? È difficile prevedere; ma è fa- orazioni per il popolo tedesco e per cile affermare che alla nuova storia, la pace fra la Germania e la Francia. quella pacifica, quella veramente e Nel marzo del 1945, cercò il sostepienamente umana, quella che Dio gno del vescovo Théas per la «Croha promesso agli uomini di buona ciata di preghiera» per la Germania, volontà, bisogna risolutamente in- che avrebbe in seguito assunto il nocamminarsi; e le vie sono già segna- me di Pax Christi. te davanti a voi; e la prima è quella Il vescovo Théas e Marthe Dortel-Claudot furono ispirati dalle loro convinzioni religiose, secondo le quali la pace arriva attraverso il perdono, la riconciliazione e la preghiera per i propri nemici. Le iniziative di preghiera dei gruppi di Pax Christi, che si diffusero rapidamente attraverso la Francia e la Germania, hanno contribuito non poco alla riconciliazione franco-tedesca nel dopoguerra. di PAUL RICHARD GALLAGHER Sulla base delle statistiche, le religioni hanno un potenziale immenso nel contribuire a creare una cultura di pace, e in verità tali statistiche suggerirebbero che le religioni dovrebbero essere in prima linea in questo impegno. Esse hanno un ruolo importante nel promuovere quei valori che sono essenziali nel creare una cultura di pace. Pertanto, i loro leader hanno una responsabilità particolare nell’affermare la tolleranza e la riconciliazione e nel rigettare l’uso errato della fede come giustificazione della violenza. Le due guerre mondiali del ventesimo secolo hanno lasciato profonde ferite nell’umanità, ma esse sono state pure uno stimolo per creare istituzioni intergovernative che promuovono e salvaguardano la pace. Nella visita alle Nazioni Unite nel 1965, Papa Paolo VI rese omaggio al loro compito di edificatrici di pace: «L'Onu è la grande scuola per questa educazione. Siamo nell’aula magna di tale scuola; chi siede in questa aula diventa alunno e diventa Agli studenti musulmani Vi sono molti altri esempi di movimenti e di individui che sono stati ispirati dai valori della fede religiosa nella promozione della pace. Il ruolo di Marthe Dortel-Claudot nel fondare Pax Christi è un potente promemoria di come le persone credenti abbiano un ruolo e una responsabilità in questo ambito, nelle proprie famiglie, nei posti di lavoro e nelle comunità. L’esempio di Marthe Dortel-Claudot e di innumerevoli uomini e donne di fede è la risposta alla domanda su dove dovrebbe iniziare la creazione di una cultura di pace: essa comincia con ciascuno di noi e riafferma che la testimonianza personale e la preghiera dei singoli membri di una comunità di fede può trasformare. Il contributo più importante e specifico che le religioni possono dare è il dono della preghiera, specie quella per i propri nemici, e ciò è il più grande atto di carità che trasforma l’odio in amore e fa nascere la riconciliazione. Papa Francesco ha sottolineato che «la preghiera e il dialogo sono profondamente correlati e si arricchiscono a vicenda» (Messaggio di Papa Francesco ai partecipanti all’Incontro internazionale per la pace, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, Anversa, 7-9 settembre 2014). Mediante la potenza della preghiera e del dialogo, le varie tradizioni religiose possono dare un contributo specifico alla pace, associandosi all’“altro” nella preghiera. Esse promuovono il rispetto e il dialogo e, pertanto, sono maggiormente capaci di promuovere la cultura dell’incontro, di coltivare relazioni giuste e pacifiche fra persone e gruppi sociali, che sono fratelli e sorelle di un’unica famiglia umana. La pace è un concetto centrale in tutte le religioni. Noi preghiamo per le benedizioni della pace, per il dono della pace. I cristiani sono coscienti che il primo dono offerto da Cristo risorto fu quello della pace. Egli ha salutato i discepoli con il dono della pace: «Pace a voi». Riceviamo di nuovo il dono della pace di Cristo, ma il suo significato è quello di trasformare le nostre vite, così che a nostra volta ne diventiamo portatori nel mondo in cui viviamo. ZAGABRIA, 28. Scoprire la verità per rilanciare la speranza e l’unità nazionale: questo, in sintesi, l’accorato appello lanciato dal cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria e presidente della Conferenza episcopale croata, intervenuto nei giorni scorsi alle commemorazioni del massacro di Bleiburg. In questa cittadina, situata in Austria, vicino al confine con la Slovenia, infatti, settant’anni fa, nel 1945, dopo la fine delle ostilità della seconda guerra mondiale, le milizie di Tito uccisero numerosi cittadini croati. Tra le vittime del massacro furono coinvolti diversi civili, tra cui molte donne e bambini. «Una tragedia che ha segnato la storia della Croazia — ha sottolineato l’arcivescovo di Zagabria — perché volutamente taciuta e dimenticata fino al 1990, anno della caduta del comunismo». Per questo — riferisce Radio Vaticana — il porporato ha esortato le istituzioni e i fedeli croati a impegnarsi nella ricerca della verità che «come dice Gesù, ci renderà liberi. Nel nostro Paese, solcato dal sangue — ha proseguito il porporato — è importante non restare bloccati nel passato, costantemente esposti all’odio e alle ideologie alimentate dal male, bensì cercare la verità per permettere alla speranza di poter parlare, perché senza di essa non c’è possibilità di futuro». Il punto di partenza, ha spiegato il presidente dei vescovi croati, devono essere «i valori della democrazia e dell’unità», così che la società croata possa crescere «libera e unita, desiderosa di progresso, giustizia e pace, lontana da ogni tipo di totalitarismo». Di qui, il monito del porporato a non permettere che «nuove ideologie portino nuove divisioni», perché i credenti «sono chiamati, in fedeltà al Vangelo, a testimoniare sempre nuove strade di unità». Durante il suo intervento, il cardinale Bozanić ha voluto ricordare, inoltre, le parole di san Giovanni Paolo II, pronunciate in Croazia il 3 ottobre del 1998, in occasione della beatificazione del cardinale Aloizije Stepinac: «Perdonare e riconciliarsi — aveva sottolineato il Papa polacco — vuol dire purificare la memoria dall’odio, dai rancori, dalla voglia di vendetta; vuol dire riconoscere come fratello anche colui che ci ha fatto del male; vuol dire non farsi vincere dal male, ma vincere col bene il male». Di qui, l’appello conclusivo del presidente della Conferenza episcopale croata: «Non siamo venuti a Bleiburg per tornare al passato, ma per pregare per la nostra patria, le nostre famiglie, i nostri giovani. Solo così, infatti — ha concluso l’arcivescovo di Zagabria — diventeremo più attenti e impegnati nella ricerca della verità che libera». Appello di Caritas Svizzera Più impegno umanitario verso i migranti BERNA, 28. Occorre rafforzare l’impegno umanitario della Confederazione elvetica sul fronte dell’accoglienza all’immigrazione proveniente dal Vicino oriente e dal Nord Africa. È questo il senso dell’appello consegnato da Caritas Svizzera al capo dello Stato, Simonetta Sommaruga, per sollecitare appunto un deciso intervento del Consiglio federale (l’organo di governo) e del Parlamento. Il testo dell’appello — intitolato «Passate dalle dichiarazioni ai fatti» e già sottoscritto da quasi 5.000 persone — era stato lanciato dalla Caritas il 21 aprile scorso, all’indomani cioè della morte di oltre ottocento migranti nel Mediterraneo. L’appello avanza tre richieste: che la diplomazia svizzera lavori presso gli Stati dello spazio Schengen affinché accettino di «accogliere un numero maggiore di rifugia- ti»; che sia di nuovo possibile depositare una domanda d’asilo nell’ambasciata svizzera di un Paese terzo; che la Svizzera aumenti i fondi destinati agli aiuti umanitari per la Siria, «portandoli ad almeno cento milioni di franchi svizzeri all’anno». Per il 2015, infatti, il Consiglio federale ha destinato ottanta milioni di franchi per aiuti umanitari alla popolazione direttamente colpita e per progetti di recupero nella regione mediorientale. Una cifra ritenuta non sufficiente. Per la presidente di Caritas Svizzera, Mariangela Wallimann-Bornatico, «la tragedia dei migranti nel Mediterraneo mette in luce la necessità di adottare una politica dei rifugiati realista e umanitaria, che non si lasci guidare dall’egoismo nazionale ma si confronti su scala europea con le sfide per troppo tempo rimandate». In Slovacchia un sondaggio promosso dai vescovi Esame di libertà religiosa BRATISLAVA, 28. Avete sperimentato qualche forma di discriminazione in materia di obiezione di coscienza? Avete incontrato qualche forma di intolleranza a causa della vostra fede religiosa? Avete sperimentato una limitazione del vostro diritto come genitori di educare i figli in conformità con la vostra confessione religiosa? Queste e molte altre domande si possono trovare in un questionario sulla libertà religiosa preparato e distribuito dalla Conferenza episcopale slovacca in collaborazione con l’Istituto per i diritti umani e le politiche per la famiglia (Human rights and Family policy Institute). Il suo scopo — riferisce l’agenzia Sir — è quello di raccogliere informazioni su qualsiasi forma di persecuzione degli abitanti della Slovacchia a motivo del loro credo religioso. Il questionario è stato distribuito nei giorni scorsi in tutte le parrocchie cattoliche del Paese ed è anche disponibile sul sito della Conferenza episcopale: www.kbs.sk. I risultati dovrebbero essere raccolti entro la fine di maggio. «Nel caso in cui abbiate incontrato qualche forma di discriminazione religiosa o intolleranza nei confronti dei fedeli — si legge nella lettera che invita tutti quanti a contribuire a una “mappatura” della situazione in Slovacchia — vi chiediamo di informarci a riguardo». Il periodo di riferimento sono gli anni 2014 e 2015. Intanto, per la prima volta il prossimo anno scolastico vedrà la pubblicazione a livello nazionale di nuovi libri di religione per gli studenti delle scuole primarie e secondarie del Paese. L’iniziativa viene dalla Commissione per la catechesi e l’educazione della Conferenza episcopale. Secondo Marek Cimbal, del Centro pedagogico e catechistico, la qualità di questi testi per l’insegnamento della religione cattolica è senza dubbio una priorità nell’area della nuova evangelizzazione, indirizzata soprattutto a «sviluppare il sistema di catechesi nelle scuole, che è molto importante nella nostra società». Nei prossimi mesi, e comunque prima del prossimo anno scolastico, saranno pubblicati due tipi di libri, uno per i cattolici di rito latino e uno per i greco-cattolici. Sono in corso colloqui con il ministero della pubblica istruzione — ha sottolineato monsignor Bernard Bober, arcivescovo di Košice e presidente della Commissione episcopale per la catechesi — per trovare il modo migliore di distribuire questi nuovi materiali a tutte le scuole primarie e secondarie in Slovacchia. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 29 maggio 2015 pagina 7 Vincent Van Gogh «Seminatore al sole» (1888) Messa a Santa Marta di FRANCESCO M. VALIANTE La produzione agricola mondiale cresce ogni anno a un tasso medio superiore a quello della popolazione. E la produzione di cibo da tempo supera la quantità di calorie giornaliera necessaria per soddisfare il fabbisogno alimentare di ogni abitante del pianeta. In altre parole: c’è da mangiare a sufficienza per tutti e ce ne sarà prevedibilmente in futuro anche con l’attuale tasso di crescita demografica. Eppure oltre 800 milioni di persone soffrono oggi la fame. Perché? La nuova pubblicazione del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace Terra e Cibo (Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2015, pagine 150, euro 12) non ha la pretesa di dare una risposta esaustiva a una questione tanto attuale quanto complessa. Ma ha sicuramente il merito di indicare alcune piste di lettura documentate e persuasive per mettere a fuoco il problema, fornendo dati e criteri di giudizio utili soprattutto a non cadere nella trappola dei “sofismi” — mai così insidiosi come su questo terreno — da cui lo stesso Papa Francesco ha messo in guardia nel suo intervento alla conferenza della Fao sulla nutrizione svoltasi a Roma lo scorso novembre. Il testo chiarisce opportunamente i limiti di un’analisi circoscritta soltanto alle cause “congiunturali” della fame: crisi economica, fluttuazioni dei prezzi, fenomeni naturali, guerre, corruzione politica. E invita piuttosto a concentrare l’attenzione sui meccanismi “strutturali” che continuano a generare malnutrizione e carenza di cibo. Sul banco degli imputati ci sono le disparità nella ripartizione delle ricchezze e le politiche commerciali che danneggiano le nazioni più povere. Ma c’è soprattutto la sperequazione nella distribuzione e nello sfruttamento della terra, con la concentrazione della maggior parte delle superfici Di che tipo siamo? Nel libro «Terra e cibo» di Iustitia et pax Mercati affamatori coltivabili nelle mani di pochi privati e la penalizzazione di una moltitudine di piccoli agricoltori e produttori. Una situazione che la globalizzazione del mercato alimentare, anziché regolare e bilanciare, ha contribuito ad aggravare. Con la complicità di un disinvolto e sempre più diffuso movimento speculativo, intrecciato a operazioni esclusivamente finanziarie e privo perciò di legami con le reali esigenze della produzione e del consumo di cibo. Mai come oggi risuona attuale l’espressione adoperata da Paolo VI nel messaggio per la giornata mondiale della pace del 1973: «mercati affamatori». Parole che già quarant’anni fa demolivano il “mito” di un sistema economico capace di generare efficienza e opportunità, e dunque benessere e progresso per tutti. Un sistema i cui limiti di fondo invece — e gli esiti dell’indagine lo confermano — vengono allo scoperto proprio sulla questione della tutela della terra. Messa a serio ri- Presentato all’Expo di Milano «Con la terra e con il cibo non si deve agire alla leggera»: lo ha ricordato il cardinale Turkson presentando, giovedì 28 maggio all’Expo di Milano, la pubblicazione del dicastero da lui presieduto. Il porporato, intervenuto al padiglione della Coldiretti sul tema «Nutrimento ed energia: dal paradosso dell’abbondanza a un cambiamento di mentalità», ha sottolineato come la Chiesa — «esperta in umanità» secondo la celebre definizione di Papa Montini — ha a cuore le sorti della famiglia umana e del mondo in cui essa vive: «Parlare di diritti non è sufficiente, dobbiamo interrogarci sui nostri doveri e sulle nostre responsabilità». Nel corso dell’incontro la Coldiretti ha presentato dati allarmanti, sottolineando come le quotazioni dei prodotti agricoli siano fortemente condizionate dai movimenti di capitale: le speculazioni sulla fame hanno bruciato nel mondo circa cinquanta miliardi di dollari nell’ultimo anno solo per il grano. Questa situazione impedisce la programmazione e la sicurezza degli approvigionamenti in molti Paesi e alimenta il «paradosso dell’abbondanza» denunciato da Papa Francesco. Facendo proprio riferimento al messaggio del Pontefice per l’apertura dell’Expo, il porporato ha evidenziato come la grande occasione della manifestazione milanese sia quella di un «cambiamento di mentalità verso un modello di sviluppo equo e sostenibile, verso la saggezza, il coraggio, la responsabilità, la solidarietà e la fraternità». Il libro Terra e Cibo, ha aggiunto il cardinale Turkson, facendosi carico delle tante sollecitazioni giunte a livello internazionale negli ultimi anni, vuole proprio offrire un contributo per far sì che i temi dell’Expo non restino solo discussioni teoriche e che la gente sia sempre più sensibilizzata sulla situazione della sicurezza alimentare nel mondo. Perciò, ha spiegato, la pubblicazione del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace è strutturata in tre parti: «vedere, giudicare e agire». Innanzitutto una descrizione della preoccupante situazione generale dell’alimentazione e dell’agricoltura nel mondo. Poi un’analisi della realtà alla luce della Bibbia e della dottrina sociale della Chiesa. Infine le risposte pratiche: ovvero i suggerimenti su «come impegnarsi nell’industria alimentare e agricola sotto la guida di principi etici per la realizzazione del bene comune». Si tratta quindi, ha concluso il cardinale, di un «invito all’azione alla luce del Vangelo». schio da un modello di sviluppo che si dimostra insostenibile con la sua pretesa di sopravvivere continuando a saccheggiare le risorse naturali indiscriminatamente e, per di più, a un ritmo superiore alla loro capacità di rigenerazione. All’analisi corrispondono una serie di proposte concrete. Anche se è chiaro — come avvertono nella premessa al volume il cardinale presidente Peter Kodwo Appiah Turkson e monsignor Mario Toso (già segretario di Iustitia et pax e ora vescovo di Faenza-Modigliana) — che «non spetta al Pontificio Consiglio indicare soluzioni pratiche dettagliate o linee politiche da attuare direttamente nei vari luoghi». In realtà Terra e Cibo nasce soprattutto con l’intento di farsi eco delle sollecitazioni che giungono al dicastero da Chiese locali, episcopati, organismi cattolici impegnati in prima linea a favore della giustizia e della solidarietà. Più che un trattato, dunque, una sorta di riflessione a più voci sulla questione del “mancato sviluppo” di vaste aree del globo e sulle sue conseguenze nel campo della produzione e della distribuzione del cibo. Uno strumento sintetico e aggiornato, utile soprattutto a ribadire che gli interventi congiunturali (quali il controllo dei prezzi o la riduzione degli sprechi) e le aspettative illusorie (come l’eccessiva fiducia nelle capacità riequilibratrici del libero mercato o nel potere risolutivo delle biotecnologie applicate all’agricoltura) hanno ormai il fiato corto. In discussione è oggi l’intero modello di sviluppo, che «sfrutta irresponsabilmente la natura, aumenta gli scarti, gli sprechi e le esclusioni, accentua le diseguaglianze e si basa su una falsa scala di valori e di priorità». Cambiarlo, avverte senza reticenze il libro, è diventato «un imperativo assoluto». I cristiani da salotto — che siano egoisti, affaristi, mondani o rigoristi — allontanano la gente che cerca Gesù. Ed è da questa tentazione che Francesco ha messo in guardia, celebrando la messa, giovedì 28 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta. Invitando ciascuno a «un esame di coscienza», il Papa ha ricordato che i cristiani devono saper ascoltare «il grido di aiuto» della gente e sostenerla nel cammino per avvicinarsi al Signore. Francesco ha iniziato l’omelia delineando i contorni dell’episodio raccontato da Marco nel passo evangelico (10, 46-52) proposto dalla liturgia. «Gesù andava con i suoi discepoli e con la gente — ha detto — che lo seguiva perché Lui parlava come un maestro, con autorità propria». Bartimèo, un uomo cieco, «sentì rumore e domandò: “Ma cosa succede?”. Era Gesù». E così Bartimèo «incominciò a gridare e gridava fortemente facendo un atto di fede: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me”». Le sue parole sono «proprio un atto di fede» ha fatto notare il Pontefice. Ma «fra la gente che era lì con Gesù, ognuno aveva la sua personalità, il suo modo di vedere la vita, di sentire la vita» ha spiegato il Papa. E dunque, anzitutto, «c’è un gruppo di gente che non sentiva il grido» dell’uomo cieco. È «quel gruppo di gente che, anche oggi, non sente il grido dei tanti che hanno bisogno di Gesù». Insomma è «un gruppo di indifferenti: non sentono, credono che la vita sia il loro gruppetto lì; sono contenti, sono sordi al clamore di tanta gente che ha bisogno di salvezza, che ha bisogno dell’aiuto di Gesù, che ha bisogno della Chiesa». Ma, ha rimarcato Francesco, «questa è gente egoista, vive per se stessa» incapace «di sentire la voce di Gesù». «Poi ci sono quelli che sentono questo grido che chiede aiuto, ma vogliono farlo tacere» ha proseguito il Pontefice. E infatti Marco nel suo Vangelo riferisce che in tanti rimproverarono Bartimèo per farlo tacere, dicendogli di «non gridare» e di lasciare il maestro «tranquillo». Lo fanno «anche i discepoli». E il Papa ha ricordato anche «quando i discepoli allontanarono i bambini», appunto «perché non scomodassero il maestro». Perciò anche i discepoli cercarono di far tacere Bartimèo «perché il maestro era loro, era per loro, non era per tutti». Così facendo «questa gente allontana da Gesù quelli che gridano, che hanno bisogno di fede, che hanno bisogno di salvezza». C’è poi, ha affermato Francesco, un altro gruppo, composto dagli «affaristi: erano religiosi, sembra, ma Gesù li ha cacciati via dal tempio perché facevano affari lì, nella casa di Dio». Si tratta di persone «che non sentono, non vogliono sentire il grido di aiuto, ma preferiscono fare i loro affari e usano il popolo di Dio, usano la Chiesa, per fare i propri affari». Anche «questi affaristi allontanano la gente di Gesù» e non lasciano che le persone «chiedano aiuto». «Un altro gruppo che allontana la gente di Gesù — ha dett0 ancora il Papa — sono i cristiani soltanto di nome, senza testimonianza, che non danno testimonianza di cristiani». Sì, «sono cristiani di nome, cristiani da salotto, cristiani da ricevimenti, ma la loro vita interiore non è cristiana, è mondana». E «uno che si dice cristiano e vive come un mon- ma allontana» da Gesù. E «c’è anche un terzo gruppo» e sono «quelli che aiutano ad avvicinarsi a Gesù» e che a Bartimèo dicono: «“Coraggio, alzati, ti chiama!”». È «il gruppo dei cristiani che hanno coerenza fra quello che credono e quello che vivono» e aiutano ad avvicinarsi a Gesù «la gente che grida chiedendo salvezza, chiedendo la grazia, chiedendo la salute spirituale per la propria anima». Proprio alla luce di questa riflessione, Francesco ha proposto «un esame di coscienza» che «ci farà bene», attraverso una serie di domande dirette: «Io in che gruppo sono? Nel primo, tra quelli che non sentono le tante grida che chiedono aiuto di salvezza? Mi occupo soltanto del mio rapporto con Gesù, chiuso, egoistico? Appartengo al secondo gruppo, tra quelli che allontanano «Gesù e il cieco di Gerico» (X secolo, Codex Egberti) dano allontana quelli che gridano “aiuto” a Gesù». E, ancora, «ci sono i rigoristi» ha aggiunto il Papa: «quelli che Gesù rimprovera» perché «caricano tanti pesi sulle spalle della gente». E «Gesù dedica loro tutto il capitolo 23 di san Matteo». A loro dice «ipocriti, sfruttate la gente!». Difatti, «invece di rispondere al grido che chiede salvezza allontanano la gente». Il «primo gruppo» ha riepilogato il Pontefice, è composto da «quelli che non sentono». Del secondo, invece, fa parte «tanta gente diversa, differente» che «sente la chiamata, la gente da Gesù, sia per mancanza di coerenza di vita, mancanza di testimonianza, sia per essere attaccati molto ai soldi, sia per rigidità?». E ancora: «Allontano la gente da Gesù? O appartengo al terzo gruppo, tra quelli che sentono il grido di tante gente e aiuto ad avvicinarsi a Gesù?». A queste domande, ha concluso il Papa, «ognuno di noi può rispondere nel suo cuore». A Nairobi convegno del movimento dei Focolari sull’economia di comunione Una via africana NAIROBI, 28. Più di quattrocentoventi iscritti provenienti da quarantuno Paesi dei cinque continenti: soni i principali numeri del Convegno internazionale di Economia di comunione (Edc) organizzato dal movimento dei Focolari dal 27 al 31 maggio a Nairobi, in Kenya, in collaborazione con la Catholic University of Eastern Africa. Intitolato «Creatività, generatività, innovazione», è stato preceduto, dal 22 al 26 maggio, da un Seminario internazionale per giovani imprenditori e studenti al quale hanno partecipato centosettanta persone, la maggior parte delle quali africane. È qui che sono state poste le basi al convegno di Nairobi e dove sono emersi — informa un comunicato — il desiderio e le aspettative «di trovare una via africana al mercato, non soggiogata ai modelli dominanti del capitalismo occidentale». Tutto questo per «non smettere di sognare», come ha auspicato un giovane camerunese presente al seminario. Nei giorni scorsi, sempre a Nairobi, si è tenuta l’assemblea internazionale delle commissioni Edc del mondo. Il progetto Economia di comunione è stato lanciato da Chiara Lubich nel 1991 in Brasile. In risposta alle situazioni di povertà constatate durante quel suo viaggio, la fondatrice dei Focolari invitò gli imprenditori in contatto con il movimento a suscitare aziende capaci di creare lavoro e di mettere in circolazione la ricchezza prodotta, per «aiutare quelli che sono nel bisogno, offrire loro lavoro, fare in modo che non ci sia alcun indigente». Secondo la Banca mondiale, con una crescita annua di oltre il 6 per cento, i Paesi dell’Africa sub sahariana sono tra quelli con maggiore sviluppo economico al mondo e attraggono sempre maggiori investimenti. Eppure in essi — commenta Betty Njagi, keniota, docente alla Catholic University of Eastern Africa — «povertà e disuguaglianza rimangono inaccettabilmente alte. Il livello molto basso degli stipendi e gli alti prezzi dei prodotti per questioni di monopolio creano un’economia di mercato selvaggia e di sfruttamento dei poveri, che rischia di travolgere le culture dei Paesi africani e disperdere i loro due grandi valori: la comunità e la comunione». Del tema dell’incontro di Nairobi parla Luigino Bruni, membro della Commissione internazionale di Economia di comunione e docente di Economia politica alla Lumsa di Roma: «Avrà il focus su comunione e creatività. Oggi infatti occorre un’iniezione di creatività che per- metta di creare “nuove torte” e non solo di distribuire quelle esistenti o create altrove. Questo vale per l’Africa e per l’Economia di comunione in tutto il mondo». Sullo sfondo di questa nuova tappa è presente il percorso fatto da Edc negli ultimi quattro anni, scanditi dal Convegno internazionale del 2011 in Brasile e dal Seminario panafricano tenutosi nello stesso anno in Kenya. Quest’ultimo — spiega ancora la nota — ha suscitato iniziative imprenditoriali e di riflessione teorica che fanno intravedere prospettive significative per il mondo a opera del pensiero e dell’esperienza africana. Il convegno di Nairobi vuole essere per gli organizzatori «al 100 per cento africano e al 100 per cento mondiale», con al centro «creatività e vitalità». Per Geneviève Sanze, centroafricana, membro della Commissione internazionale, il progetto Economia di comunione «rimette in luce la nostra identità africana e ci aiuta a capire le debolezze del nostro sviluppo; inoltre ci sostiene e ci offre un modello vero e nuovo di sviluppo integrale. Purtroppo la povertà ha cambiato sia gli africani che la loro cultura, alla ricerca, a volte disperata, della sopravvivenza. Edc invece ci riporta alla vera nostra vocazione culturale». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 29 maggio 2015 Ai vescovi dominicani in visita «ad limina» il Papa chiede di aiutare gli immigrati di Haiti La carità non ammette indifferenza «L’attenzione pastorale e caritativa verso gli immigranti, soprattutto quelli provenienti dalla vicina Haiti, che cercano migliori condizioni di vita, non ammette l’indifferenza dei pastori della Chiesa». Lo ha sottolineato il Papa durante l’udienza ai vescovi della Repubblica Dominicana ricevuti giovedì mattina, 28 maggio, in occasione della visita «ad limina». Di seguito una nostra traduzione del discorso consegnato loro in lingua spagnola, nel quale il Pontefice ricorda anche gli inizi dell’evangelizzazione nel continente americano. Cari Fratelli nell’Episcopato, Ricevete il mio più cordiale benvenuto in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum. Confido che questi giorni di riflessione e di preghiera sulle tombe dei santi Pietro e Paolo siano per voi fonte di rinnovamento e servano per coltivare i vincoli di comunione ecclesiale per ri- della Misericordia non venite meno nel lavoro della riconciliazione matrimoniale e familiare, come bene della convivenza pacifica: «È perciò urgente un’ampia opera di catechesi circa l’ideale cristiano della comunione coniugale e della vita familiare, che includa una spiritualità della paternità e della maternità. Maggior attenzione pastorale va dedicata al «Nuestra Señora de la Altagracia» protettrice del popolo dominicano spondere alle esigenze di un’azione congiunta e coordinata nella promozione del progresso spirituale e materiale della porzione del Popolo di Dio che vi è stata affidata. Ringrazio Monsignor Gregorio Nicanor Peña Rodríguez, Vescovo di Nuestra Señora de la Altagracia en Higüey e Presidente della Conferenza Episcopale Dominicana, per le gentili parole che mi ha rivolto a nome vostro. Gli inizi dell’evangelizzazione nel continente americano richiamano sempre alla mente la terra dominicana che ricevette per prima il ricco deposito della fede, che i missionari portarono con fedeltà e annunciarono con costanza. I suoi effetti si continuano a percepire oggi attraverso i valori cristiani che animano la convivenza e nelle diverse opere sociali a favore dell’educazione, della cultura e della salute. Inoltre la Chiesa nella Repubblica Dominicana può contare su numerose parrocchie vitali, su un nutrito gruppo di fedeli laici impegnati e un numero consistente di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Rendiamo grazie al Signore per ciò che è stato realizzato e si sta realizzando in ognuna delle vostre Chiese locali. Oggi la Chiesa che continua a camminare in questa amata terra con i suoi figli alla ricerca di un futuro felice e prospero, si trova di fronte alle grandi sfide del nostro tempo che riguardano la vita sociale ed ecclesiale, e soprattutto le famiglie. Mi piacerebbe perciò farvi un appello ad accompagnare gli uomini, a rafforzare la fede e l’identità di tutti i membri della Chiesa. Il matrimonio e la famiglia attraversano una seria crisi culturale. Ciò non vuol dire che hanno perso importanza, ma che il loro bisogno si sente di più. La famiglia è il luogo in cui s’impara a convivere nella differenza, a perdonare e a sperimentare il perdono, e dove i genitori trasmettono ai figli i valori e in particolare la fede. Il matrimonio, «visto come una mera forma di gratificazione affettiva», smette di essere un “contributo indispensabile” alla società (cfr. Evangelii gaudium, n. 66). In questo oramai prossimo Giubileo ruolo degli uomini come mariti e padri, così come alla responsabilità che condividono con le mogli riguardo al matrimonio, alla famiglia ed all’educazione dei figli» (Ecclesia in America, n. 46). Continuiamo a presentare la bellezza del matrimonio cristiano: “sposarsi nel Signore” è un atto di fede e di amore, nel quale gli sposi, mediante il loro libero consenso, diventano trasmettitori della be- nedizione e della grazia di Dio per la Chiesa e la società. Vi invito a dedicare tempo ai sacerdoti e ad assisterli, a prendervi cura di ognuno di loro, a difenderli dai lupi che attaccano anche i pastori. Il clero dominicano si distingue per la sua fedeltà e coerenza di vita cristiana. Che il vostro impegno a favore dei più deboli e bisognosi vi aiuti a superare la tendenza mondana alla mediocrità. Che nei seminari non si trascuri la formazione umana, intellettuale e spirituale, che assicura un incontro vero con il Signore, senza smettere di coltivare la dedizione pastorale e una maturità affettiva che renda i seminaristi idonei ad abbracciare il celibato sacerdotale e capaci di vivere e di lavorare in comunione. «Non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione, tanto meno se queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico» (Evangelii gaudium, n. 107). L’attenzione pastorale e caritativa verso gli immigranti, soprattutto quelli provenienti dalla vicina Haiti, che cercano migliori condizioni di vita nel territorio dominicano, non ammette l’indifferenza dei pastori della Chiesa. È necessario continuare a collaborare con le autorità civili per trovare soluzioni concrete ai problemi di quanti sono privati dei documenti o del godimento dei loro diritti fondamentali. È inammissibile non promuovere iniziative di fraternità e di pace tra le due nazioni che danno forma a questa bella Isola dei Caraibi. È importante saper integrare gli immigranti nella società e accoglierli nella comunità ecclesiale. Vi ringrazio perché state vicini a loro e a tutti quelli che soffrono, come gesto dell’amorevole sollecitudine per il fratello che si sente solo e abbandonato, con il quale Cristo si è identificato. Conosco i vostri sforzi e le vostre preoccupazioni per affrontare in modo adeguato i gravi problemi che affliggono i vostri popoli, quali il traffico di droghe e di persone, la corruzione, la violenza domestica, l’abuso e lo sfruttamento dei minori e l’insicurezza sociale. Sulla base dell’intima connessione che esiste tra evangelizzazione e promozione umana, ogni azione della Chiesa Madre deve ricercare e curare il bene dei più bisognosi. Tutto ciò che si farà in tal senso accrescerà la presenza del Regno di Dio che ha portato Gesù Cri- Presentato il viaggio a Sarajevo Pace e giustizia Pace, riconciliazione e dialogo saranno le parole chiave dell’ottavo viaggio internazionale di Papa Francesco. La Bosnia-Erzegovina sarà il quattordicesimo Paese visitato dal Pontefice che, sabato 6 giugno, sarà a Sarajevo, invitato dal cardinale arcivescovo Vinko Puljić. Il programma, serratissimo, racchiuso in neanche dodici ore di permanenza, è stato presentato giovedì 28 maggio dal direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Dopo l’Albania, ancora una volta Francesco sceglie per l’Europa una meta di periferia, ancora una volta un luogo dove il dialogo ecumenico e interreligioso assume un valore di rilievo anche per la convivenza pacifica e armoniosa dei popoli. Non a caso nel seguito è prevista la presenza dei cardinali Tauran e Koch, presidenti dei Pontifici Consigli per il dialogo interreligioso e per la promozione dell’unità dei cristiani. Saranno due i momenti centrali della visita: innanzitutto la messa celebrata in mattinata nello stadio Koševo, lo stesso nel quale celebrò Giovanni Paolo II il 13 aprile 1997, e nel quale Papa Wojtyła, rivolgendosi a «tutti i popoli e le nazioni dilaniate dalla guerra», esortò: «Perdoniamo e domandiamo perdono». Quella di Francesco, ha detto padre Lombardi, sarà una messa «per la pace e la giustizia», celebrata in una città simbolo per l’Europa, città che nella sua storia richiama con drammatica potenza le sofferenze dell’ultimo secolo di un intero continente. Altro momento topico sarà nel pomeriggio quando, presso il Centro internazionale studentesco, il Pontefice parteciperà all’incontro ecumenico e interreligioso al quale saranno presenti i rappresentanti delle comunità cattolica, musulmana, ortodossa ed ebraica. Sarà, ha sottolineato il direttore della Sala stampa, un’occasione importante: verrà sottolineato il comune impegno per superare le tensioni in un Paese nel quale la molteplicità religiosa corrisponde anche a una molteplicità etnica e a una divisione politica. Francesco incontrerà tutte le autorità politiche e religiose subito dopo l’accoglienza in aeroporto, al palazzo presidenziale. Informale sarà invece il dialogo con i sei vescovi locali durante il pranzo nella sede della nunziatura apostolica. Ancora due gli appuntamenti pomeridiani in agenda: l’incontro in cattedrale con il clero e i religiosi e quello con i giovani nel centro diocesano intitolato a Giovanni Paolo II. sto, e allo stesso tempo darà credibilità alla Chiesa e rilevanza alla voce dei suoi pastori. La Missione Continentale, voluta dal Documento di Aparecida, e il Terzo Piano Nazionale di Pastorale devono essere due motori dell’attività congiunta tra le Chiese locali. Tenete però presente che non basta avere piani ben formulati e celebrazioni festive, ma dovete anche permeare la vita quotidiana dei nostri popoli. Perciò è indispensabile che il laicato dominicano, che si percepisce così presente nelle opere di evangelizzazione a livello nazionale, diocesano, parrocchiale e comunitario, non trascuri la sua formazione dottrinale e spirituale, e riceva un appoggio costante, affinché sia capace di rendere testimonianza a Cristo penetrando in quegli ambienti dove molte volte i Vescovi, i sacerdoti e i religiosi non giungono. È anche ne- cessario che la pastorale dei giovani riceva una scrupolosa attenzione affinché non si lascino distrarre dalla confusione degli anti-valori che cerca di sviare oggi la gioventù. Senza tener conto dell’orientamento che i genitori e la Chiesa desiderano dare alla formazione delle nuove generazioni, le leggi civili tendono a sostituire l’insegnamento della religione nella scuola con un’educazione del fatto religioso di natura multiconfessionale o da una mera illustrazione di etica e di cultura religiosa. Non può mancare in coloro che sono impegnati in questo servizio e in questa missione educativa un atteggiamento vigile e coraggioso affinché si possa offrire in tutte le scuole un’educazione conforme ai principi morali e religiosi delle famiglie (cfr. Gravissimum educationis, n. 7). È importante offrire ai bambini e ai giovani l’insegnamento catecheti- co conforme alla verità che abbiamo ricevuto da Cristo, Parola del Padre. Infine, per concludere, e tenendo presente la bellezza e la vivacità dei paesaggi della bella Repubblica Dominicana, invito tutti a rinnovare l’impegno per la conservazione e la cura dell’ambiente. La relazione dell’uomo con la natura non deve essere governata dalla cupidigia, dalla manipolazione e neppure da uno sfruttamento smisurato, ma deve conservare l’armonia divina tra le creature e il creato per metterle al servizio di tutti e delle generazioni future. Fratelli, vi chiedo, per favore, di portare ai vostri amati figli e figlie quisqueyanos l’affettuoso saluto del Papa, che vi affida all’intercessione di Nuestra Señora de la Altagracia, che contemplate nel mistero della sua maternità divina. Vi chiedo di pregare per me e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
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