L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLV n. 151 (46.989)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
lunedì-martedì 6-7 luglio 2015
.
All’arrivo in Ecuador il Papa esalta la bellezza naturale del Paese e richiama due simboli di Cristo e della Chiesa
Le chiavi del futuro
Valorizzazione delle differenze, partecipazione di tutti, dialogo, tutela dei più poveri e vulnerabili
Nel Vangelo ci sono le chiavi per affrontare «le sfide attuali» e per costruire «un futuro migliore per tutti». È questo il messaggio lanciato
da Papa Francesco al suo arrivo in
Ecuador, prima meta del viaggio in
America latina che farà tappa anche
in Bolivia e in Paraguay.
Nel discorso pronunciato durante
la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale di Quito — dove l’aereo papale è atterrato nel pomeriggio di domenica 5 luglio,
quando in Italia erano quasi le 22 —
il Pontefice ha assicurato al presidente Correa la collaborazione della
Chiesa nella costruzione di una società basata sul rispetto delle differenze, sul dialogo e sulla partecipazione di tutti alla vita del Paese, con
un’attenzione particolare alle fasce
più povere e alle minoranze emarginate. Da Francesco un appello a difendere soprattutto i piccoli e i semplici, ad avere cura di bambini e anziani, a lavorare per il domani dei
giovani e a tutelare le bellezze naturali del Paese andino.
Fin dai primi momenti trascorsi in
Ecuador il Papa ha sperimentato
l’entusiasmo travolgente della popolazione, che si è stretta intorno a lui
lungo tutto il percorso dall’aeroporto alla nunziatura apostolica di Quito — la residenza dove Francesco ha
trascorso il resto della giornata — e
che si prepara a partecipare alla messa in programma nella mattina di lunedì 6 (quando in Italia sarà pomeriggio inoltrato) nel parco de Los
Samanes, a Guayaquil. Dopo il
pranzo con la comunità del collegio
gesuita Javier, nel pomeriggio il
Pontefice rientra nella capitale ecuadoriana per incontrare il presidente
della Repubblica e per far visita alla
cattedrale cittadina.
Il sole
e la luna
Sono state tantissime, sicuramente
alcune centinaia di migliaia, le
persone che si sono riversate nelle
vie di Quito per salutare con coloratissimi petali di fiori Papa
Francesco al suo ritorno in America latina. In un viaggio che dopo quello a Rio de Janeiro per la
giornata mondiale della gioventù
— appuntamento fissato già dal
suo predecessore, ma rivelatosi
programmatico pochi mesi dopo
l’inizio del pontificato — è il primo americano deciso da Bergoglio, che visiterà Ecuador, Bolivia
e Paraguay.
Appena arrivato dopo un lungo volo, il Pontefice è stato accolto all’aeroporto dal presidente
ecuadoriano Rafael Correa, con
un appassionato discorso nel quale, definendo l’ospite un «gigante
morale» sullo scenario internazionale, ha mostrato in più punti
una convergenza con le sue
preoccupazioni. E a sottolineare
subito dopo questa «consonanza»
è stato lo stesso Papa, che si è
presentato come testimone della
misericordia di Dio e della fede
in Gesù Cristo.
Nel Vangelo — ha detto infatti
Bergoglio — è possibile trovare le
chiavi per affrontare le sfide di
oggi: valorizzando le differenze e
favorendo il dialogo. Ma con
un’attenzione particolare a chi è
più fragile e alle minoranze più
vulnerabili, che sono ancora «il
debito di tutta l’America latina»
ha aggiunto. E in questo impegno, a cui si era riferito Correa, la
Chiesa sarà sempre disposta a
collaborare con lo Stato «per servire questo popolo ecuadoriano
che si è alzato in piedi con dignità» ha assicurato il Papa.
Tra le cime andine del Paese
quella imponente del Chimborazo è geograficamente il punto
della terra più vicino al sole e alla
luna, ha ricordato Bergoglio. E
nell’evocare i due astri Papa Francesco ha accennato a un tema caro a lui e al suo predecessore, osservando che nella tradizione cristiana sono immagine rispettivamente di Gesù — «sole che nasce
dall’alto» — e della Chiesa. Come
la luna, infatti, questa non brilla
di luce propria ma viene illuminata appunto da Cristo, e quando
esce dalla sua luce e se ne allontana non è più sua testimone, si
oscura.
Per essere dunque riflesso della
luce e dell’amore del Signore il
popolo dell’Ecuador — ha concluso il Pontefice — non deve
perdere «mai la capacità di
rendere grazie a Dio per quello
che ha fatto e fa per voi; la capacità di difendere il piccolo e il
semplice, di aver cura dei vostri
bambini e dei vostri anziani, che
sono la memoria del vostro popolo, di avere fiducia nella gioventù,
e di provare meraviglia per la nobiltà della vostra gente e la bellezza singolare» del Paese. Che
«secondo il presidente è il paradiso» ha aggiunto Bergoglio riprendendo una frase di Correa, allusiva anche alla necessità di proteggerlo.
PAGINE 7
Centinaia le vittime di Boko Haram
Si cerca di far ripartire il negoziato
Il terrore
scuote la Nigeria
Dopo la tempesta greca
ABUJA, 6. Ancora stragi, ancora orrori in Nigeria. Nelle ultime ore,
centinaia di persone sono morte in
attacchi riconducibili al gruppo terroristico di matrice islamica Boko
Haram. Due bombe sono esplose
in un’affollata moschea a Jos uccidendo almeno cinquanta persone.
L’ordigno è deflagrato nella moschea Yantaya mentre il predicatore
invitava alla coesistenza pacifica tra
religioni.
Ieri, un’estremista islamica si è
invece fatta esplodere in una chiesa
evangelica a Potiskum, la città più
grande dello Stato nord-orientale
di Yobe, uccidendo cinque fedeli
che partecipavano alla messa domenicale. Appena tre giorni prima,
nella stessa area, i terroristi avevano dato alle fiamme trentadue
chiese e oltre trecento abitazioni.
Altre vittime civili sono state registrate in alcuni villaggi dello Stato di Borno, presi di mira dai fondamentalisti islamici. Il presidente,
Muhammadu Buhari, ha definito
«barbarie» gli attentati, sottolineando la necessità di una forza
multinazionale allargata per scongiurare la minaccia del terrorismo
islamico.
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g.m.v.
Il cibo nell’Italia del
XIII
secolo
se confermare o meno la liquidità
d’emergenza alle banche greche. È
previsto per oggi un colloquio a Parigi tra il presidente francese, François Hollande, e il cancelliere Merkel. Nelle stesse ore si riunisce il
consiglio direttivo della Bce, per capire se concedere o meno un prolungamento del sostegno agli istituti di
credito ellenici. Domani è previsto
un vertice dell’Ue , convocato dal
presidente del Consiglio, Donald
All’indomani del voto ellenico
I cavoli
di Salimbene
FELICE ACCRO CCA
ATENE, 6. Oltre il 61 per cento dei
greci ha votato “no” al referendum
sulle condizioni poste dai creditori
per attuare un nuovo piano di salvataggio. Ha votato il 65 per cento degli aventi diritto: una soglia sotto le
attese, ma superiore al quorum del
quaranta per cento. «La Grecia vuole sedersi di nuovo al tavolo delle
trattative: vogliamo continuarle con
un programma reale di riforme ma
con giustizia sociale» ha detto il premier ellenico, Alexis Tsipras, commentando l’esito della consultazione.
«Dobbiamo riarticolare la questione
del debito, non solo per la Grecia
ma anche per l’Europa». E da Bruxelles arrivano questa mattina spiragli di dialogo: «Una cosa è chiara, il
posto della Grecia era e resta in Europa» ha detto il vice presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis. Sempre oggi, in una conversazione telefonica, Tsipras e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, si sono
accordati sul fatto che domani la
Grecia presenterà nuove proposte di
accordo. Intanto sul fronte dei mercati, le piazze europee hanno aperto
tutte in forte calo, per poi riprendersi e limitare le perdite.
Ferve intanto il lavoro in tutte le
cancellerie europee, mentre si attendono le decisioni della Banca centrale europea (Bce), che deve scegliere
L’occasione
che nasce dal no
A PAGINA
5
Donne e bambini in fuga da un villaggio dato alle fiamme dai terroristi (Afp)
LUCA M. POSSATI
A PAGINA
2
Un bancomat ad Atene (Afp)
E
8
Tusk, nel tardo pomeriggio. Un Eurogruppo dei ministri finanziari è invece previsto domani mattina. In un
comunicato, fonti dell’Eurogruppo
hanno confermato che «sono attese
nuove proposte da Atene». E intanto il ministro delle Finanze greco,
Yanis Varoufakis, ha annunciato oggi le sue dimissioni: «Me ne vado
per aiutare Tsipras nella trattativa».
Nel frattempo, il mondo politico
europeo si confronta con il risultato
del voto. «Il taglio del debito per
noi non è un tema» ha detto oggi il
ministro delle Finanze tedesco,
Wolfgang Schäuble, affermando che
la posizione di Berlino non è cambiata. Sulla stessa linea il presidente
dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, per il quale «dopo il referendum le riforme sono ancora necessarie» per poter varare un accordo. In
Gran Bretagna, dopo un primo incontro questa mattina con il cancelliere dello scacchiere, George Osborne, il premier Cameron ha convocato una riunione dell’Esecutivo. Dalla
Spagna il ministro dell’Economia,
Luis de Guindos, ha detto che Madrid è «pronta a negoziare un nuovo
pacchetto di aiuti».
E sul caso ellenico è intervenuto
anche il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, per il quale «la
Grecia è in una condizione economica e sociale molto difficile. Gli incontri di domani dovranno indicare
una via definitiva per risolvere questa emergenza». L’Europa «deve
cambiare, deve aiutare la crescita, o
è finita». Ieri il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella,
ha parlato di «scenari inediti, che richiederanno a tutti, sin d’ora, senso
di responsabilità, lungimiranza e visione strategica».
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pagina 2
lunedì-martedì 6-7 luglio 2015
Migrante presso una stazione di polizia
nella città di Presevo
in Serbia (Afp)
Scenari dopo il referendum greco
L’occasione
che nasce dal no
di LUCA M. POSSATI
Quali sono gli scenari che si aprono
all’indomani del voto greco? Che
tipo di Europa dobbiamo aspettarci? Settanta anni dopo la fine della
seconda guerra mondiale e venticinque dopo il crollo del Muro di Berlino e lo spegnersi progressivo della
guerra fredda, il mondo è cambiato,
l’Europa è cambiata. E oggi anche
il progetto europeo, figlio di quei
cambiamenti storici e politici, deve
cambiare, anche a costo scelte dolorose come l’uscita della Grecia dalla
moneta unica.
È ancora presto per dire che tipo
di Unione seguirà lo strappo di
Atene. Ci sono però due fatti che
emergono con nettezza. Il primo è
che il no greco rientra in un contesto sociale ben più vasto, caratterizzato non solo dalle difficoltà economiche, ma anche da una diffusa avversione alle leadership e alle istituzioni finanziarie, ancora prima che
politiche. La recessione esplosa nel
2008 ha segnato un solco profondissimo tra le popolazioni e i leader, nazionali e internazionali, alimentando fenomeni come il nazionalismo, l'estremizzazione del confronto e la nascita di nuovi soggetti
come Syriza in Grecia e Podemos
in Spagna.
Il secondo fatto, speculare al primo, è l’assenza nell’attuale fase di
visioni di lungo termine. Dal voto
greco, infatti, nessuno esce vincitore: né Tsipras, che, illudendosi di
poter ottenere dal no maggior potere negoziale, ha invece isolato ancor
di più il suo popolo, né il cancellie-
Berlino chiede
alla Serbia
progressi
sul Kosovo
BELGRAD O, 6. L’apertura dei primi capitoli negoziali per l’adesione della Serbia all’Unione europea dipende dai progressi che
si registreranno nei rapporti tra
Belgrado e Pristina. Lo ha detto
il cancelliere tedesco, Angela
Merkel, che la prossima settimana sarà in visita a Belgrado.
«Noi dell’Unione europea abbiamo esortato i Governi di Serbia
e Kosovo a negoziare. C’è ancora tanto da fare, ma ci sono davvero buoni segnali di progresso,
e spingiamo per accelerare il
processo», ha detto il cancelliere
in un video-messaggio, come riferito dall’agenzia di stampa serba Tanjug.
D all’8 al 9 luglio prossimo,
Merkel visiterà l’Albania, la Serbia e la Bosnia ed Erzegovina.
Lo ha confermato durante una
conferenza stampa a Berlino il
portavoce del cancelliere, Steffen
Seibert.
Alla domanda di un giornalista se il Governo tedesco ritenga
che i Balcani siano una “polveriera”, Seibert ha risposto: «Nei
Balcani ci sono luoghi che portano ovviamente le cicatrici della
guerra nell’ex Jugoslavia e questo verrà ricordato anche nel
viaggio di Merkel».
L’Europa — ha aggiunto il
portavoce — «può dare un suo
contributo e la Germania farà la
sua parte per il miglioramento
della situazione».
L’ultimo colloquio tra Serbia e
Kosovo, una settimana fa a Bruxelles, con il patrocinio dell’Ue,
si è ancora una volta concluso
con un nulla di fatto.
re Merkel, accusata dalla stampa tedesca di «non sapere che cosa fare
nei momenti decisivi», come ha
scritto «Der Spiegel», che vede la
sua leadership in calo anche in patria. Né tanto meno il presidente
della Commissione Juncker, l’ex
premier lussemburghese che per
mesi ha cercato di limare le posizioni di Syriza, portando avanti il più
possibile il negoziato, col solo risultato di radicalizzare ulteriormente il
confronto.
L’apertura di un nuovo negoziato è difficile, ma non impossibile.
Quest’ultima opzione richiederebbe
però che tutti i soggetti coinvolti
facciano un passo indietro e ripartano da zero. La politica condotta fin
qui dalla Bce, dalla Commissione e
dal Bruxelles Group — la squadra
di esperti che ha sostituito formalmente la troika — ha portato a una
sorta di vicolo cieco. Lo stanziamento di nuovi fondi di emergenza
per Atene (il programma Ela della
Bce), sapendo che quei soldi il Governo greco non potrà restituirli, significherebbe rischiare che anche
altri Paesi decidano di imitare il
cammino di Tsipras e chiedere liquidità senza impegni.
D’altro canto, abbandonare la
Grecia al proprio destino — l’uscita
dalla moneta unica denominata
Grexit — avrebbe un costo ancor
più alto con l’apertura di una fase
di emergenza umanitaria in tutto il
Paese. E questo senza contare che
sulla Grecia sono in queste ore
puntati anche gli occhi del Cremlino, che in piena crisi ucraina vede
di buon occhio un avvicinamento
ellenico alla Russia.
In un tale contesto, lo scacco
greco può essere l’occasione per definire una nuova idea di Europa. Il
voto impone — come sottolineano i
commentatori internazionali — soprattutto un ripensamento del metodo europeo, che non può e non
potrà più essere quello rappresentato dai palazzi di Bruxelles: l’Europa
delle élites, dei non eletti, l’Europa
dei club riservati come il vecchio
asse franco-tedesco.
C’è urgente bisogno di un nuovo
processo di integrazione che vada
al di là dell’unione bancaria o
finanziaria, dell’unificazione tecnica, per concentrarsi su nodi ben
più importanti come l’immigrazione, la sanità, la comunicazione, il
rilancio della ricerca e l’istruzione,
il welfare: tutti settori in cui l’Unione europea è ancora a compartimenti stagni.
Si apre dunque un bivio. Gli Stati europei devono scegliere: o cedere ulteriore sovranità in nuovi settori, credendo nel progetto di una
politica centralizzata che sia a vantaggio di tutti, o continuare ad affidarsi a schemi usurati. In un continente carico di storia e di tradizioni, la vera sfida è proprio quella di
abbandonare il retaggio che il passato si porta dietro.
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Sbarchi di migranti sulle coste italiane mentre peggiorano le condizioni di vita a Calais
Nessuna tregua
ROMA, 6. Non si fermano gli sbarchi sulle coste italiane. Nelle ultime
ore, più di seicento persone sono
state soccorse nel Canale di Sicilia.
La nave svedese Poseidon, inserita
nel dispositivo europeo Triton, ha
tratto in salvo ieri da un barcone alla deriva oltre trecento migranti. Il
folto gruppo di persone, tra di loro
anche numerosi minori, è stato poi
accompagnato a Taranto.
Nella città ragusana di Pozzallo
sono invece arrivate più di duecento
persone trasportate dalla nave Phoenix, intervenuta per soccorrere i mi-
granti partiti dalla Libia su un gommone in pessime condizioni. Lo scafista è stato arrestato poco dopo dai
carabinieri.
I migranti — dicono fonti di stampa — sono di diversa nazionalità, ma
principalmente provengono dalla
Nigeria, dal Sudan, dalla Somalia,
dalla Costa d’Avorio, dal Senegal e
dall’Egitto. Diversi presentano lievi
ustioni, mentre alcuni hanno riportato delle fratture agli arti e sono
stati ricoverati in ospedale.
Nel frattempo, sulla questione immigrazione è intervenuto anche il
Vittime
e incendi
per l’afa
in Europa
ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, sottolineando l’impegno del suo Governo. Venerdì
scorso, il Consiglio dei ministri ha
approvato il decreto per la partecipazione italiana a EuNavFor Med
(dispositivo contro i trafficanti di
uomini).
«Le fasi ulteriori — ha spiegato il
ministro — prevedono azioni di contrasto, con la possibilità di fermare i
barconi in mare o individuare i luoghi di raccolta dei migranti. Impiegheremo droni — ha aggiunto — elicotteri, la portaerei Cavour, ma sen-
za gli Harrier», gli aerei caccia a decollo verticale.
Intanto, sono sempre più difficili
le condizioni di vita degli oltre tremila migranti irregolari che stazionano nelle baraccopoli improvvisate
a Calais, sul lato francese della Manica, in attesa di entrare in Gran
Bretagna. Dopo la notte di venerdì,
quando diverse decine di persone
hanno cercato di sfondare le barriere
che proteggono l’Eurotunnel sotto il
mare fra la Francia e la Gran Bretagna, tutte le associazioni umanitarie
che stanno operando nella cittadina
hanno rilasciato un comunicato congiunto: «La nostra azione qui è
quella solitamente riservata alle
guerre o alle catastrofi. Le condizioni di vita di queste persone che affollano questa “giungla autorizzata”
sono assolutamente insolite in Europa e non rispettano nemmeno le
norme stabilite dalle Nazioni Unite
per i campi dei rifugiati», hanno poi
precisato le stesse associazioni. In
particolare, è stata sottolineata la
mancanza di acqua potabile, la quasi totale assenza di servizi igienici
(non più di venti per le tremila persone,
provenienti
soprattutto
dall’Africa e dal Medio oriente) e
cure sanitarie definite «inadeguate».
«Il numero di persone che vivono in
questa baraccopoli aumenta di giorno in giorno».
Violazioni degli accordi di Minsk
Si deteriora la situazione
nell’est dell’Ucraina
BRUXELLES, 6. Non accenna a diminuire l’ondata di caldo torrido
che da giorni ha investito gran
parte dell’Europa. In Italia tre
anziani sono morti ieri sulla
spiagge dell’Emilia Romagna.
Due vittime nel cesenate: un settantanovenne, a Gatteo, e una turista tedesca a Zadina. Un altro
anziano è morto colpito da un
malore sulla riviera ferrarese.
Grave un settantacinquenne soccorso a Milano Marittima e portato all’ospedale di Ravenna.
A Berlino, dove la colonnina di
mercurio ha toccato i 40 gradi, è
stata chiusa al pubblico la cupola
del Reichstag, sede del Bundestag tedesco, dopo che diverse
persone erano state colpite da
malori. La temperatura interna
aveva infatti raggiunto i 44 gradi.
Spagna e Portogallo sono invece alle prese con una serie di incendi che, alimentati dal forte
vento, stanno impegnando i vigili
del fuoco nelle regioni settentrionali. Oltre 1.350 persone sono state fatte sgomberare dalle loro abitazioni in Aragona. In Portogallo
gli incendi sono invece localizzati
nelle foreste di Alcobertas, a nord
di Lisbona. Secondo i meteorologi, l’ondata di caldo nella penisola iberica, con temperature fino a
40 gradi, durerà un’altra settimana.
KIEV, 6. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
(Osce) ha confermato ieri che la situazione della sicurezza nell’est
dell’Ucraina è peggiorata negli ultimi giorni, con violazioni della tregua degli accordi di Minsk da entrambe le parti coinvolte nel conflitto e il ritorno sulla linea del fronte
di carri armati e lanciagranate.
Cinque soldati ucraini sono morti
e tre sono rimasti feriti nell’esplosione di una mina vicino al villaggio di
Donetsky, una cinquantina di chilometri a ovest della città di Lugansk,
ha reso noto il portavoce del ministero della Difesa ucraino, Oleksandr Motuzyanyk, denunciando il proseguimento degli attacchi, anche se
di minor intensità, da parte dei separatisti filorussi, soprattutto nella
zona a nord di Lugansk, in violazione agli accordi di Minsk. Altri sette
soldati ucraini sono rimasti feriti
nelle ultime 24 ore investiti
dall’esplosione di un colpo di mortaio lanciato dai separatisti.
La situazione nell’est dell’Ucraina
resta dunque allarmante, ma nonostante lo scambio di accuse tra Mosca e Washington sulle responsabilità della mancata applicazione degli
accordi di Minsk, il presidente russo, Vladimir Putin, ha inviato sabato
un telegramma al presidente statunitense, Barack Obama, in occasione
del Giorno dell’Indipendenza, festa
Militare ucraino nel villaggio di Krymske (Ap)
nazionale degli Stati Uniti, per sottolineare l’assoluta centralità «a dispetto delle divergenze esistenti» dei
rapporti bilaterali russo-americani
«per la stabilità e la sicurezza internazionali», di cui costituiscono «il
fattore-chiave di gran lunga più importante», a condizione che siano
«fondati sul dialogo» a sua volta
improntato ai «principi dell’eguaglianza e del rispetto dei reciproci
interessi». Una apparente mano tesa
del leader del Cremlino: si tratta, infatti, del secondo contatto tra i due
leader in due settimane: lo scorso 25
giugno Putin chiamò Obama per discutere la situazione in Ucraina oltre
ad altri temi di interesse globale.
Quanto vale la natura
GINEVRA, 6. Rispettare l’ambiente è un modo
per rispondere alla crisi e rilanciare la crescita.
A sottolinearlo è un nuovo rapporto del Wwf
(World Wide Fund for Nature, organizzazione
internazionale non governativa con sede in
Svizzera) secondo cui almeno il sessanta per
cento delle specie animali e vegetali in Europa
è a rischio, con possibili ricadute negative
sull’economia reale. Occorre dunque investire
di più sulla protezione della natura e in particolare sul rispetto degli habitat delle diverse
specie. «Disporre di una buona dotazione di
servizi ecosistemici significa avere una maggior
ricchezza pro-capite in termini di capitale naturale, un benessere migliore delle comunità
umane e maggiori opportunità di sviluppo» si
Impianti industriali e pale eoliche in Germania (Reuters)
GIOVANNI MARIA VIAN
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
legge nel rapporto. In effetti — sottolineano gli
esperti — la natura vale tanto in termini economici, grazie ai servizi ecosistemici, dalla produzione di cibo e la disponibilità di acqua, all’assorbimento degli inquinanti alla protezione
dall’erosione e dalle inondazioni. E di questo
deve tenere conto anche la Commissione europea, che proprio in queste settimane sta rivedendo le direttive sull'ambiente e sulla protezione delle specie animali e vegetali. Insomma
— dice il Wwf — i sistemi naturali, ovvero la
ricchezza degli ecosistemi e la biodiversità, con
i servizi che essi offrono gratuitamente allo sviluppo e al benessere umano, sono la base essenziale dei processi economici e del benessere
delle società umane. E quindi vanno protetti.
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pagina 3
Soldati tunisini a Kasserine
nei pressi del confine con l’Algeria (Reuters)
Quattro attentati a Baghdad
Raid
su Raqqa
per fermare
l’Is
DAMASCO, 6. Non si fermano i
combattimenti in Siria. La coalizione internazionale a guida statunitense ha compiuto ieri una serie
di pesanti bombardamenti aerei
contro postazioni del cosiddetto
Stato islamico (Is) a Raqqa, una
delle principali roccaforti degli
uomini di Al Baghdadi. Si è trattato delle operazioni più vaste mai
svolte sul territorio siriano da
quando è iniziata l’offensiva
dell’Is. Oltre trenta le vittime, tra
le quali diversi civili. Numerosi i
danni a strade e infrastrutture, secondo quanto riferiscono fonti di
stampa. L’Is sui suoi siti internet
ha confermato gli attacchi, parlando però di dieci morti.
Ma Raqqa non è l’unico fronte
siriano. Intensi combattimenti sono stati segnalati nel fine settimana tra jihadisti e militari siriani ad
Aleppo.
E sempre ieri, le forze dell’esercito siriano, appoggiate da reparti
del braccio armato del movimento
sciita libanese Hezbollah, hanno
annunciato di essere entrate a Zabadani, l’ultima città controllata
dai miliziani dell’Is nella regione
di Qalamun, vicino alla frontiera
con il Libano.
Intanto, le violenze continuano
anche in Iraq. Una serie di quattro ordigni esplosi in quartieri e
sobborghi sciiti di Baghdad hanno causato ieri almeno 15 morti,
secondo quanto rivelano le autorità irachene. Due degli ordigni sono esplosi fuori da ristoranti e caffè: uno nel quartiere di Al-Obeidi
e l’altro a Jisr Diyala. Altre due
bombe sono invece esplose presso
fermate dell’autobus.
Il presidente degli Stati Uniti,
Barack Obama, ha in programma
oggi un incontro con i vertici del
Pentagono per fare il punto sulla
campagna contro l’Is in Iraq e in
Siria. Nei giorni scorsi il Pentagono aveva difeso il proprio approccio, sicuro dell’efficacia del programma in cui resta centrale l’addestramento e l’equipaggiamento
delle forze locali.
Nel frattempo, i miliziani
dell’Is hanno diffuso in internet
un nuovo video shock nel quale
venticinque soldati siriani inginocchiati sarebbero giustiziati con un
colpo alla nuca da altrettanti bambini. Il tutto di fronte a una platea di civili costretti ad assistere
alla macabra esecuzione nell’anfiteatro di Palmira.
Difficile
il dialogo
tra le fazioni
libiche
Essebsi chiede sostegno internazionale nella lotta al terrorismo
Stato d’emergenza in Tunisia
TUNISI, 6. «Abbiamo l’Is alle porte». Con questo
drammatico avvertimento, il presidente tunisino,
Beji Caïd Essebsi, ha proclamato lo stato di
emergenza su tutto il territorio nazionale da sabato scorso, per trenta giorni rinnovabili, aggiungendo che la Tunisia ha bisogno di sostegno internazionale poiché tutti i Paesi sono preda del
terrorismo. «Gli Stati Uniti, la Francia, la Gran
Bretagna, l’Ue e l’Algeria — ha detto Essebsi —
sostengono la Tunisia contro il terrorismo».
La Tunisia è ancora sotto shock a poco più di
una settimana dalla strage di turisti a Sousse, tragico seguito dell’attentato del marzo scorso al
museo del Bardo.
E sabato il presidente della Repubblica e comandante delle forze armate ha annunciato di
aver dichiarato lo stato d’emergenza in un discorso alla Nazione di trenta minuti. «La Tunisia sta
vivendo circostanze eccezionali che necessitano di
misure eccezionali», ha affermato Essebsi. «Noi
non abbiamo la cultura del terrorismo, è un problema regionale», ha aggiunto, sottolineando che
«nella vicina Libia ci sono milizie armate, l’Is è
alle nostre porte, siamo in guerra contro il terrori-
smo, è una lotta che dobbiamo vincere a tutti i
costi».
Gli ultimi due attentati, poi, hanno messo il
Paese in ginocchio: «Noi abbiamo creduto che
l’attacco al museo del Bardo sarebbe stato l’ultimo. Lo Stato potrebbe crollare se dovesse subire
un altro attentato come quello di Sousse. Adottare lo stato di emergenza è un mio dovere», ha
spiegato Essebsi. Il provvedimento, che era
nell’aria dal giorno dell’attentato al resort di
Sousse in cui sono morte 38 persone, dà maggiori
poteri a governatori, esercito e polizia e prevede
una limitazione di alcuni diritti della persona (come quelli a manifestare e a radunarsi) al fine di
combattere più efficacemente il fenomeno del terrorismo.
Lo stato d’emergenza accorda poteri eccezionali alle forze dell’ordine, che potranno compiere
«perquisizioni di giorno e notte e prendere tutte
le misure necessarie per assicurare il controllo
della stampa e le pubblicazioni di ogni natura».
Già in vigore dal 15 gennaio 2011, lo stato di
emergenza era stato revocato il 6 marzo 2014.
Una revoca, che non precludeva comunque la
L’inviato dell’O nu
a Sana’a
Decine di indagati
per la strage in Kuwait
KUWAIT CITY, 6. Sono quaranta in
tutto le persone indagate per l’attentato eseguito il 26 giugno scorso
contro la moschea sciita di Al Sawabir, in Kuwait. Secondo quanto
ha riferito ieri alla stampa un dirigente del ministero della Giustizia,
tra le persone indagate ci sono diverse donne.
La decisione spetta però ora alla
procura che dovrà firmare i rinvii a
giudizio per l’attentato nel quale 27
persone sono morte e 227 sono rimaste ferite.
Nello stesso giorno in cui il terrorismo aveva colpito in Francia e
in Tunisia, un uomo era entrato
Cellula
jihadista sgominata
al Cairo
IL CAIRO, 6. Il ministero dell’Interno egiziano ha annunciato oggi
di aver sgominato una cellula terroristica attiva al Cairo. Secondo
quanto riporta il quotidiano «Al
Masry Al Youm», la cellula era
composta da dodici persone, che
diffondevano la propaganda jihadista, e a sua volta si era divisa in
tre gruppi. La base era in alcuni
appartamenti nella zona di Salam
City del Cairo dove sono state
rinvenute numerose armi.
Nel frattempo, l’esercito egiziano ha lanciato ieri una serie di
raid aerei e incursioni di terra nel
nord del Sinai, uccidendo venticinque militanti islamisti. È quanto ha riferito l’emittente «Al Arabiya» che cita fonti della sicurezza, secondo cui i combattenti jihadisti sarebbero stati uccisi fra
Sheik Zuid e il valico di Rafah, al
confine con la Striscia di Gaza. Le
forze armate egiziane hanno individuato quattro rifugi dei militanti
e, successivamente, hanno dato il
via a un raid condotto con gli elicotteri Apache e un’incursione
con le truppe di terra. Recenti attacchi di estremisti jihadisti hanno
provocato la morte di centosettanta persone.
possibilità di un supporto militare alla forze di sicurezza se necessario.
Il partito islamico Ennahdha è sceso in campo
a favore dello stato d’emergenza proclamato dal
presidente. Una nota firmata dal leader del partito, Rachid Ghannouchi, chiede «ai cittadini di
unirsi alle istituzioni e alla democrazia», sostenendo e rafforzando «l’unità nazionale e militare
contro questa situazione eccezionale». Il leader di
Ennahdha ha aggiunto che «il popolo tunisino
deve respingere ideologicamente il terrorismo,
una pratica che non ha futuro nel Paese».
E all’indomani della proclamazione dello stato
di emergenza, si è registrata una raffica di arresti
su tutto il territorio nazionale. A Sfax, all’alba di
oggi è stato arrestato Abu Mossob, noto estremista, mentre ad Hammamet la Guardia nazionale,
insieme a unità dell’esercito e della brigata antiterrorismo, ha proceduto all’arresto di sei persone
accusate di legami con elementi implicati in attività terroristiche. A Biserta altri undici arresti nei
confronti di sospettati di appartenere a gruppi legati al terrorismo. Sequestrati durante l’operazione telefoni portatili e bandiere dell’Is.
nella moschea di Al Sawabir con
una cintura esplosiva e si era fatto
saltare in aria mentre almeno duemila persone erano presenti per la
preghiera del venerdì.
Il cosiddetto Stato islamico (Is)
aveva rivendicato la strage nel luogo di culto sciita. Gli sciiti rappresentano il trenta per cento della popolazione del Paese, che è complessivamente di 1,3 milioni di abitanti.
Questo attentato — aveva commentato il premier del Kuwait, Sheikh
Jaber — punta a «minare la nostra
unità nazionale, ma noi siamo più
forti» dei terroristi.
TRIPOLI, 6. Il premier del Governo libico di Tobruk, Abdullah Al
Thani — riconosciuto dalla comunità internazionale — ha affermato
in un’intervista al quotidiano «Times of Malta» che i negoziati sotto l’egida dell’Onu potrebbero
trascinarsi fino a dicembre, se non
oltre, aggiungendo che il Congresso nazionale Generale (Gnc),
l’autoproclamato Parlamento di
Tripoli, sta ostacolando il dialogo.
«Cercano di avere un ruolo più
forte nella Libia del futuro, e la
stabilizzazione della Libia non farebbe ottenere loro alcun guadagno politico», ha detto alludendo
all’Assemblea di Tripoli. Nella
scorsa settimana l’inviato speciale
dell’Onu per la Libia, Bernardino
León, ha invitato la delegazione
di Tripoli a riprendere il negoziato
con il Parlamento di Tobruk. La
trattativa si volge a Skhirat, in
Marocco.
Passi in avanti
sull’accordo
per il nucleare
iraniano
VIENNA, 6. Si sono visti ieri per
tre ore e mezza a Vienna il segretario di Stato americano, John
Kerry, e il ministro degli Esteri
iraniano, Javad Zarif, a due giorni
dalla scadenza fissata per la conclusione dei negoziati sul programma nucleare iraniano.
Iran e Stati Uniti, ha detto Kerry, hanno fatto «autentici passi in
avanti» nella trattativa, ma ci sono
ancora questioni irrisolte e l’Amministrazione di Washington è
pronta ad abbandonare il tavolo
del negoziato.
Il segretario di Stato americano
ha avvertito che «è giunto il momento di vedere se siamo in grado
o meno di raggiungere un’intesa»,
avvertendo che allo stato attuale i
negoziati potrebbero avere qualunque esito. «Negli ultimi giorni
— ha spiegato — abbiamo compiuto notevoli progressi, ma voglio
essere assolutamente chiaro nel dire che non siamo assolutamente
dove dovremmo essere riguardo
ad alcune delle questioni più difficili». A Vienna, oltre a Kerry e a
Zarif, sono presenti i capi delle diplomazie degli altri Paesi coinvolti
nel negoziato: Gran Bretagna,
Francia, Russia e Cina — come gli
Stati Uniti membri permanenti
del Consiglio di sicurezza, più la
Germania.
Respinto dal Parlamento afghano il candidato proposto dal presidente alla D ifesa
Bocciato il ministro di Ghani
L’inviato dell’Onu giunge nella capitale yemenita (Afp)
SANA’A,
6.
L’inviato
speciale
dell’Onu nello Yemen, Ismayl
Ould Sheikh Ahmad, è giunto ieri
a Sana’a per incontrare i vertici del
movimento Ansar Allah dell’imam
sciita Abdel Malik Al Huthi. Lo
scopo del viaggio è trattare una tregua umanitaria con i ribelli sciiti alla luce della situazione di emergenza in cui versa il Paese dopo il crollo del sistema sanitario. È questa
l’ultima sfida del diplomatico mauritano che sta facendo la spola tra
Riad e Sana’a per cercare di avvicinare le posizioni e trovare una soluzione alla crisi yemenita, facendo
leva sulla tragedia umanitaria in
corso nel Paese del Golfo persico.
Nei giorni scorsi i miliziani sciiti
huthi hanno annunciato la possibilità di valutare una tregua dei combattimenti fino alla fine del Ramadan, iniziato il 18 del mese scorso, e
di discutere con le Nazioni Unite
della distribuzione di aiuti alla popolazione. A maggio era stato raggiunto un accordo per una tregua
umanitaria di cinque giorni, grazie
alla mediazione dell’Onu, per permettere la distribuzione di medicine
e di carburante ai civili intrappolati
in zone di guerra.
KABUL, 6. La Camera bassa del Parlamento afghano, o Wolesi Jirga, ha
bocciato la nomina di Mohammad
Masoum Stanikzai alla guida del
ministero della Difesa, chiedendo al
presidente Ashraf Ghani di indicare
un altro candidato. Si tratta della
seconda bocciatura che arriva dai
deputati rispetto al ministro della
Difesa indicato da Ghani e la posizione resta vacante da nove mesi.
«Dal momento che Stanikzai non
è riuscito a ottenere 107 voti in suo
favore, allora la Camera bassa vuole
che il presidente indichi una nuova
persona per l’incarico» ha detto il
presidente della Camera Abdul
Rauf Ibrahim. Su 213 deputati che
hanno partecipato al voto, solo 84
hanno sostenuto Stanikzai, mentre
104 si sono espressi contro. In base
all’articolo 64 della Costituzione afghana, i ministri devono essere indi-
cati dal presidente e approvati dal
Parlamento.
Stanikzai ha fatto parte come ministro e consigliere per la Sicurezza
Nazionale del precedente Governo
presieduto da Hamid Karzai. Si
tratta del terzo candidato proposto
dal capo dello Stato afghano che
non raggiunge l’obiettivo di insediarsi alla guida del delicato dicastero. Prima di lui anche Sher
Mohammd Karimi è stato bocciato
dal Parlamento mentre Afzal Ludin
si è ritirato tre giorni dopo la sua
designazione.
E mentre la politica non riesce a
trovare un’intesa sul ministro della
Difesa, gli insorti talebani continuano la loro offensiva. Tre persone sono morte e altre tredici sono rimaste
ferite in un attentato suicida realizzato ieri a Kandahar City, capoluogo della omonima provincia meri-
dionale afghana. Lo ha riferito
l’agenzia di stampa Aip.
Zia Durani, portavoce della polizia provinciale, ha precisato che l’attacco è avvenuto in serata vicino a
un luogo di preghiera degli sciiti
della città. Fra le vittime, ha inoltre
precisato Durani, vi sono un agente
di polizia, un bambino e una
donna.
Nel frattempo, nel confinante Pakistan, almeno tre membri delle forze di sicurezza sono morti ieri
nell’esplosione di un rudimentale
ordigno nel Waziristan settentrionale. Fonti dei servizi di sicurezza
hanno indicato che la bomba è stata
attivata a distanza al passaggio di
un veicolo militare nell’area di Bannu. Dallo scorso anno è in atto nel
Nord Waziristan un’offensiva di
esercito e polizia pakistani contro i
movimenti armati antigovernativi.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 6-7 luglio 2015
Albert Benaroya, «Mitzvot» (XXI secolo)
Una cattedrale tra storia e leggenda
Baluardo
per gli emarginati
da Durham
CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
i dice sia stata costruita
su sette colli, come Roma. Ma da lontano, al
posto di una cupola, si
scorge la torre della magnifica cattedrale. Situata su un
promontorio roccioso, per raggiungerla bisogna attraversare prima il
ponte sul fiume Wear e poi percorrere in salita gli stretti vicoli.
Ogni turista che arriva a Durham
percorre involontariamente lo stesso
calvario a cui erano costretti i cattolici perseguitati del XVI secolo.
Questi, infatti, legati con delle funi
a dei cavalli, venivano trascinati su
S
Arrivando in città
involontariamente ogni turista
percorre lo stesso calvario
a cui erano costretti i cattolici
perseguitati nel XVI secolo
per la collina: una volta giunti alla
vetta, venivano impiccati. Oggi in
quel luogo sorge una scuola. Ma se
i siti di martirio spesso tendono a
essere fagocitati dalla più recente
architettura urbana, ci pensa la toponomastica a preservarne la memoria.
Il quartiere di Dryburn per esempio. Nel 1590 quattro sacerdoti vennero condannati a morte. Una leggenda narra che dopo l’esecuzione
un piccolo corso d’acqua nei pressi
del sito si fosse completamente prosciugato, e burn nell’antico inglese
significa proprio fiume. Ecco perché la zona venne ribattezzata
Dryburn, “fiume secco”.
Le aree con la più radicata tradizione cattolica in Inghilterra sono
da sempre il Lancashire e appunto
il nord-est. Non va dimenticato che
di testa di leone: qui venivano a
bussare ladri e criminali in cerca di
rifugio. «Ma non erano solo criminali» specifica Mike, ottantenne volontario che accoglie i turisti della
cattedrale e che si esprime con un
forte accento locale. «Bastava — aggiunge — aver commesso il più piccolo furto, anche per mera necessità
di sopravvivenza, e le autorità ti
sbattevano
immediatamente
in
qualche squallida prigione dove eri
destinato a morire di inedia».
La chiesa fungeva da ultima isola
di salvezza, forniva ospitalità a questa umanità emarginata e senza alcuna possibilità di riscatto sociale.
Il patto era questo: ospitalità per
poche settimane in cambio della
promessa che avrebbero
raggiunto, solitamente a
piedi
impiegando
tre
giorni, la costa. Da lì
avrebbero preso il largo
verso altri mari o altri
oceani su qualche imbarcazione.
È buffo pensare come
in questi stessi locali che
una volta offrivano ospitalità a chi era nel bisogno, non più di quindici anni fa
abbiano realizzato alcune scene di
una delle produzioni cinematografiche di maggior successo: quella relativa a Harry Potter. È nel cortile
interno che sono state girate alcune
sequenze del film in cui i ragazzi
indossano le famose Hogwarts Uniforms.
E la finzione cinematografica pesca da una realtà viva proprio a due
passi dalla cattedrale, ossia nel castello dove vivono come residenti
un centinaio di studenti universitari. Ebbene, prima di cena, tutti si
preparano vestendo le lunghe uniformi non dissimili da quelle indossate dagli studenti della celebre saga del maghetto. Gli studenti che
abitano qui, selezionati in maniera
del tutto casuale, contribuiscono
con zelo nel mantenere ordine e
Positivo e negativo in Haim Baharier
Un mondo
claudicante
di CRISTIANA D OBNER
i sorpresa in sorpresa. Non poteva che
essere così conoscendo Haim Baharier:
matematico, psicanalista, consulente aziendale, commerciante di preziosi, maestro in
Israele per la sua ermeneutica biblica e rabbinica.
Ben quattro opere precedono
La valigia quasi vuota (Milano,
Garzanti, 2014, pagine 144, euro
14,90), un volume che, proprio
come il suo autore, si presenta
poliedrico e come l’ebraico polisemico, quindi di difficile classificazione. Tuttavia, perché classificarlo? Forse l’enigma si scioglie
D
Il verbo “ridere” in ebraico
non è transitivo, ma riflessivo
Non si ride dell’altro
ma di sé
Di una propria inadeguatezza
semplicemente lasciandosi trasportare dalle pagine che, altrimenti, sfuggono come l’acqua
che si voglia trattenere fra le dita.
Il gioco della narrazione non
consta nell’esistere e neppure nel
non esistere ma nella dinamica
sottile che si instaura e crea vita:
esiste l’autobiografia ma, nel contempo, non esiste l’autobiografia.
Eppure Haim si racconta e, per
la prima volta, consegna se stesso
al lettore.
Si consideri il famoso Chouchani, si pronunci “Sciusciani”:
questo maestro famoso esiste o
non esiste? Perché presenta vari e
diversi volti, è un clochard? Un
eruditissimo personaggio? Uno
schnorrer (mendicante in yiddish)?
Un genio assoluto? Una persona
che legge dentro i cuori e nel futuro? «Io non so cosa sappia (...)
ma di una cosa sono certo: tutto
quello che io so, lui lo sa», affer-
mava Emmanuel Lévinas. Un altro esempio: esiste il curvarsi sulla Torah, eppure non esiste nel
contempo, perché è nella storia
che tutto risuona, storia in cui
l’Altissimo balugina?
Di certo, l’avvio di questo libro
sorprendente prende le mosse dal
dopo guerra a Parigi con un
bambino che guarda al padre
maestro: «Parigi dei primi anni
Cinquanta? Ebrei da ogni dove,
Polonia, Lituania, Germania. Tra
questi i miei genitori, entrambi
scampati ad Auschwitz. E poi
noi, io e mio fratello? La nostra
lingua madre era una lingua straniera».
Bambino riflessivo Haim, attento, cui pesa il massacrante lavoro dei genitori, ritmato dalla
macchina da cucire in un piccolo
appartamento di 35 metri quadri
dove, però, c’è posto per monsieur
Chouchani (cui Haim deve cedere il letto) e per i reduci dai lager
nazisti «uomini e donne, dai volti
scavati, cadaveri lisciati a festa
per il funerale». Vita ritmata dalle liturgie al Tempio e dal maestro che inizia il ragazzo al Talmud ma che, di fatto, è un sarto.
Esiste e non esiste? Ben vivo
però sulla scena di queste esistenze proprio Chouchani: da dove
spunti e dove sia diretto, nessuno
lo sa. Se la famosa valigia legata
con una corda che spunta e rispunta nel racconto potesse raccontarlo, forse si potrebbe ricostruirne l’itinerario.
È una persona dal difficile carattere, dalle parole brevi ma incisive: Haim, ragazzino, ne è magnetizzato e insieme respinto,
quando allo Shabbat Chouchani
viene accolto come ospite dai
Baharier. Sarà una sorta di stigma che scandirà la vita dell’adolescente, del giovane e infine
dell’anziano. Il basso continuo di
tutta l’opera agisce in ogni episodio sempre tra i due poli: esiste/non esiste, positivo e negativo
che si attraggono e si respingono.
Balza a tutto tondo la precarietà della vita umana che proprio
Chouchani porta in sé: la claudicanza che innerva la sua personalità onnisapiente. «Qualcuno in quei tempi lontani, di
Chouchani trattenne l’eccezionalità, il suo essere il meglio,
e in essa si consolò. Chouchani accecava ogni individuo che incontrava. Solo
collettivamente, insieme,
quei reduci facevano
schermo e riuscivano al
di là delle scintille, e per
mezzo di queste scintille,
a coglierne l’essenza: la
claudicanza».
Il suo grido a Israele e tutte le persone
parte proprio dalla
claudicanza, ancora
una volta attraente
perché mitiga e colloca nella sua giusta dimensione il
sapere universale,
ma simultaneamente respingente, perché richiama la persona alla sua precisa e ineludibile responsabilità.
«La claudicanza
la considero una
condizione comune
a tutto il genere
umano; a imitazione non dell’imperfezione ma della perfettibilità,
intesa come percorso. Ce lo suggerisce la Torah. È nella Genesi.
Quando vennero creati Luna e
Sole, essi furono all’inizio ugualmente grandi, ci dice il testo, i
due grandi luminari del cielo. Ma
La scuola professionale Hector-Guimard di Parigi e i «sans papier»
Per dare un volto ai numeri
Thomas Girtin, «La cattedrale di Durham» (XVIII secolo)
lo stesso Enrico VIII, pochi anni
prima della rottura con Roma, ottenne da Leone X il titolo di Defensor fidei e ancora oggi il titolo compare (Fid. Def.) sulle monete inglesi.
Ma Durham cinquecento anni fa
non era solo un grande centro del
cattolicesimo britannico, ma una
delle realtà più popolate del nordest, quando città come Newcastle,
oggi quattro volte più popolosa,
erano dei meri puntini sulle mappe
geografiche del continente. La stessa cattedrale all’occorrenza poteva
fungere da fortezza: le vetrate si
trovano a svariati metri da terra, a
prova di qualunque assalitore. Ma
nonostante l’imponente struttura le
mura della cattedrale erano permeabili per alcune categorie sociali.
All’ingresso del portone principale
c’era una porta di ferro (oggi ricostruita) con una maniglia a forma
pulizia entro il perimetro del castello: non si organizzano feste scatenate, come invece avviene nella vicina università di Newcastle.
In alto, nella sala da pranzo la
cui struttura risale all’O ttocento,
sono appese ancora le armature originali di secoli fa, quelle che utilizzavano per accertare l’affilatura delle spade, tutte ancora seminate di
ammaccature e schiacciamenti. Sarebbe bello osservare l’effetto che fa
passeggiare per le magnifiche scalinate del castello dopo il tramonto,
ma qui le regole sono tassative: i
turisti dopo le cinque devono uscire
fuori dal grande portone di ferro.
La vista del castello dall’esterno
quando ormai è già buio permette
però di scoprire un suggestivo particolare: le luci artificiali sembrano
modulate per imitare le vecchie
candele, quelle che per secoli hanno rischiarato quegli spazi interni.
«Quando mi chiedono di che partito sono
rispondo sempre che il mio impegno in politica si
chiama Hector-Guimard» spiega Benoît Boiteux,
provveditore del più grande istituto professionale
di Parigi, l’Hector-Guimard appunto,
rispondendo alle domande di Marie Desplechin,
scrittrice che ha pubblicato un lungo reportage su
«Le Monde» del 4 luglio scorso, dal bel titolo
Redonner un visage aux chiffres. Nella sua scuola —
continua Boiteux — gli studenti sans papier sono
tanti, e sono trattati come una risorsa, non come
un problema. All’avventura educativa dell’istituto
professionale dove si formano i futuri elettricisti,
idraulici, imbianchini e operai del settore edilizio
il giornale francese ha dedicato un dossier.
Un’esperienza in controtendenza con la diffusa
indifferenza — non teorica ma pratica — dei poteri
pubblici, tanto prodighi di parole quanto avari di
progetti concreti, che nasce dal rapporto diretto e
senza filtri ideologici con la realtà. Quando una
cifra tratta da un report statistico diventa un
nome e un cognome, e un’idea di riforma o
l’esito di un’analisi astratta viene sostituito da un
volto cambia tutto, spiegano gli insegnanti
dell’associazione Réseau éducation sans frontières,
nata dieci anni fa per rispondere a un bisogno
primario sottovalutato, quello di un solido
percorso educativo. «Per fortuna — spiegano i
volontari dell’associazione — la scuola è un luogo
privilegiato per incontri inattesi. Finché un
minore straniero non accompagnato resta una
categoria sociologica è facile dimenticarsene:
diventa difficile quando la categoria sociologica ti
guarda dal banco la mattina presto, magari dopo
aver dormito per strada». Anche al termine del
ciclo scolastico, continua Benoît Boiteux, i
problemi e le difficoltà per i ragazzi non sono
finiti. Spesso si crea una situazione paradossale:
lo Stato forma dei professionisti a cui poi
impedisce di lavorare. Esistono degli strumenti
legislativi per sostenere e accompagnare i giovani
lavoratori dai 18 ai 21 anni, ma raramente
vengono applicati. Addirittura, in presenza di
minori non accompagnati spesso le pratiche
burocratiche sono così lente che quando l’iter si
conclude e la pratica giunge a buon fine — dopo
aver superato tutte le fasi degli accertamenti
e dei controlli — il minore è diventato
maggiorenne.
la Luna protestò: due sovrani
non possono fregiarsi della medesima corona. Hai ragione, rispose
il Creatore, vai e rimpicciolisci!
Diventa claudicante. La claudicanza di cui parlo è una fiera menomazione, perché grandezza e
precarietà non sono in alternativa, ma costituiscono il modus vivendi dell’uomo responsabile».
Haim Baharier, i cui genitori
fecero fortuna, è ben conosciuto
per le lezioni private e le lezioni
Haim Baharier
pubbliche in teatri cittadini, in
cui dopo l’avvio con un passo
della Bibbia ebraica, scorrono le
interpretazioni e le suggestioni, in
un susseguirsi di domande che,
per indurre alla claudicanza, devono restare tali. Domande appunto.
Come si forma la claudicanza?
«Persino l’umorismo è una concausa della claudicanza. Il verbo
“ridere” in ebraico non è transitivo, ma riflessivo: non si ride
dell’altro ma di sé, il riso nasce
da un propria contraddizione, da
una propria inadeguatezza. Nella
valigia quasi vuota lasciata in eredità da Chouchani, più simile a
un povero scatolone, c’è anche
racchiuso l’arcano della scrittura,
che si muove come le onde del
mare, indietreggia e avanza, sparisce e riappare fra ritrosia ed
emergenza, sempre tesa verso
l’assoluto, anche quando si fa
claudicante». I frammenti diversi,
come in un caleidoscopio, scintillano e conducono ad assaporare e
a pensare. «La chiave della claudicanza è qui, affondare goffi nel
terreno per librarsi nei cieli con
dignità».
Questo libro seducente va letto
con a fianco Chouchani, con la
chiave offerta dallo stesso Baharier. Perché anticipare il contenuto della valigia? Si romperebbe
l’incanto che trascina e abbassa e
innalza chi si riconosce nel dettato del narratore, ancora una volta, leggero e aereo, ma pesante e
piombato per la coscienza del lettore.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 6-7 luglio 2015
pagina 5
«Les Très Riches Heures du duc de Berry»,
il mese di gennaio (1412-1416, particolare)
Narrando la visita di Luigi IX
al Capitolo provinciale dei minori
riunito a Sens nel 1248
il frate annota l’intero menù
che il re fece servire in quell’occasione
Cronache e aneddoti sul cibo nell’Italia del
XIII
secolo
I cavoli
di Salimbene
tutto il mondo, ma principalmente
nel regno d’Italia e in Lombardia»,
vale a dire nell’Italia settentrionale.
In quell’anno si registrò pure una
«gravissima carestia, e in alcuni casi
uno staio di frumento fu venduto
nove soldi imperiali e venti soldi
reggiani». Né omette il cronista di
segnalare i prezzi raggiunti in quella
medesima occasione dalle fave, dalla
melica, dall’olio d’oliva.
Nel 1286 in molte città dello stesso territorio si registrò una grave
mortalità di galline, tanto che «nella
città di Cremona a una sola donna
morirono nel giro di poco tempo
quarantotto». Ciò fece sì che una sola gallina finisse per vendersi a «cinque denari piccoli».
Ciononostante, la sagacia di alcune donne partorì un rimedio efficace
a contrastare l’improvvisa moria:
dettero infatti da mangiare alle loro
galline «del marrubio pestato, ossia
tritato, impastandolo con acqua e
crusca e anche farina», e «grazie a
tale antidoto» salvarono i loro animali.
Poche note soltanto, da un testo
ricchissimo e ameno, che rivelano
però, con straordinario realismo ed
efficacia, le difficoltà di molti a
prender parte al banchetto bandito
dal Signore per ogni uomo e donna
di questo mondo.
Forlì, non mancò di devastare «le vigne, le biade, le piante da frutta, gli
oliveti, i fichi, i mandorli, i bei melograni, le case e gli animali» e tutto
quanto si poté trovare sui campi.
Scene consuete d’ordinaria follia:
se leggiamo non soltanto la Cronaca
del parmense, ma tantissime altre
opere contemporanee di genere
identico, possiamo esser sicuri che
buona parte delle pagine sono occupate da
“fuori stagione” (come l’esperienza
È sulla parte ustionata, dice un
descrizioni analoghe.
proverbio nel mio dialetto, che viene
Oltre che di spada
Se a ciò aggiungiamo insegna ancor oggi). Alla fine di giugli inquinamenti delle gno 1276, ad esempio, «venne un di- a cadere l’acqua bollente. Difficoltà
in guerra si moriva anche di fame
acque, imputridite da luvio grande e straordinario di ac- identiche, ma determinate da motivi
e di malattie provocate
cadaveri di uomini e que», tanto che il torrente Crostolo solo in parte simili — in maggio
animali, si comprende crebbe al punto che il territorio da piogge continue non consentirono di
dall’inquinamento delle acque
facilmente che in guerra Rivalta a Bagnolo (nell’attuale pro- lavorare, mentre in estate la siccità
imputridite dai cadaveri
non si moriva tanto di vincia di Reggio Emilia) ne fu tutto lasciò tutti senza ortaggi — sono respada, quanto di malat- allagato: «le biade furono travolte gistrate dal cronista alcuni anni dotie e di fame e che i pri- nei campi», i raccolti andarono per- po (1285) a Reggio Emilia. Per non
vinciale dei frati minori riunito a mi a farne le spese erano, natural- duti, ponti e case crollarono, alcuni parlare delle carestie.
Ovvio che in quei frangenti si reSens, Salimbene ci trasmette addirit- mente, i più poveri e tra questi, in ospedali furono sommersi e molto
bestiame morì. La cosa non finì lì, gistrassero rincari dei prezzi, con
tura l’intero menù che il re fece ser- primo luogo, vecchi e bambini.
Ma non c’erano solo le guerre a perché le piogge continuarono «per inevitabili speculazioni. Nel 1277, asvire nell’occasione. «Quel giorno,
dunque, avemmo per prima ciliegie rendere dura la vita lasciando la tutta l’estate e per tutto l’autunno; sicura Salimbene, «ci fu una grande
(cerasas) e pane bianchissimo; venne gente senza cibo. Anche il clima ri- per questo la gente non poté semi- mortalità e gravi malattie fra gli uomini, i bambini e le donne, quasi in
servito anche vino servava le sue brutte sorprese, spesso nare».
abbondante e speciale, come era conveniente alla magnificenza regia (…).
Poi avemmo fave
fresche cotte nel latLa simbologia del sole e della luna ricordata da Francesco
te e pesci e gamberi
e pasticcio di anguille, riso al latte
di mandorle con
polvere di cannella,
anguille abbrustolite
con ottima salsa,
In sant’Ambrogio «il simbolismo più fioAnche Papa Francesco, nel suo discortorte e giungate
rito, scintillante di metafore e di analo- so pronunciato il 5 luglio durante la ceri(latte rappreso, dolgie, insinua la Chiesa dovunque affiori monia di benvenuto all’aeroporto di Quiciastro e tenerissiun pensiero di Dio sull’umanità da salva- to, in Ecuador, è ritornato su questo temo) e la frutta
re: la Chiesa è nave, la Chiesa è arca, la ma da anni a lui molto caro. «Noi cristiad’uso, tutto in abChiesa è esercizio, la Chiesa è tempio, la ni — ha ricordato — paragoniamo Gesù
bondanza e buoChiesa è città di Dio; la Chiesa perfino Cristo con il sole, e la luna con la Chieno».
alla luna è paragonata, nelle cui fasi di sa; e la luna non ha luce propria, e se la
Un’altra volta Sadiminuzione e di crescita si riflette la vi- luna si nasconde dal sole diventa scura.
limbene fu ospite, in
Il sole è Gesù Cristo,
cenda alterna della
Auxerre, della cone se la Chiesa si seChiesa che decade e
tessa Matilde, che a
para o si nasconde
che rimonta, e che
pranzo offrì ai suoi
Nelle fasi
da Gesù Cristo dimai viene meno, perospiti
ben
dodici
La raccolta dei cavoli, «Tacuinum Sanitatis» (XV secolo)
venta oscura e non
ché fulget... Ecclesia
di diminuzione e di crescita
portate.
Naturaldà
testimonianza.
non suo sed Christi
mente queste splensi
riproducono
Che in queste giorlumine, splende non
dide occasioni furole vicende alterne della Chiesa
nate si renda più evidi propria luce, ma
latino 7260. All’opera, che copre un no un privilegio di pochi: la realtà
dente a tutti noi la
di quella di Cristo».
arco temporale di circa centoventi ordinaria era ben altra.
vicinanza del “sole
Nell’omelia dedicaanni (1168-1287), il frate lavorò tra il
Cronista tutt’altro che obiettivo, il
che sorge dall’alto”
ta a sant’Ambrogio il
1283 e il 1288.
parmense non teme di manifestare le
7 dicembre 1958, l’arcivescovo di Milano, (cfr. Luca, 1, 78), e che siamo riflesso delAnche sul tema del cibo la Crona- proprie parzialità. A proposito dei
Giovanni Battista Montini, ricordava una la sua luce, del suo amore».
ca offre preziose notizie e aneddoti francesi — «presuntuosissimi» e
serie di metafore relative alla Chiesa
Hugo Rahner si interessò dell’argogustosi. Veniamo così a sapere che la «pessimi», dispregiatori di «tutti i
Cristo nelle vesti del dio sole Apollo
facendo riferimento anche a quella mento in particolare nel celebre studio
sera in cui fu ricevuto nell’Ordine — popoli del mondo» — scrive che
(mosaico del III secolo, Necropoli vaticana)
utilizzata da Hugo Rahner, il patrologo del 1939 Mysterium Lunae, nel quale si
era un giovedì — malgrado Salimbe- «quando hanno bevuto più del negesuita, fratello di Karl, che in quegli anni appropria di quanto la scienza e la poesia
ne avesse cenato splendidamente in cessario credono di poter vincere e
approfondiva il rapporto tra il cristia- antica avevano sviluppato a partire
casa di suo padre, i frati lo fecero tenere in possesso» chiunque. Ecco
nesimo antico e le conoscenze su sole e dall’osservazione del cielo. Si passa da
mangiare ancora benissimo. Tutta- allora che il grosso esercito di franluna, presi a immagine di Cristo e della Empedocle, «il sole ha raggi che viva- luce della luna», a Prisciano, «la luna è
via, per lui le cose cambiarono pre- cesi e «di altre genti» inviato nel
sto al peggio. «In seguito — afferma 1283 da Martino IV contro la ribelle
mente dardeggiano, mentre graziosa è la debole perciò è feconda», per arrivare alChiesa.
le parole di Anassagora riprese già da
Platone e poi da Ippolito Romano: «La
luna non possiede una luce propria, ma
la riceve dal sole».
Rahner tratta della luna nelle sue varie
simbologie, in particolare facendo riferiNuova biografia dello scrittore praghese
mento alla “luna raggiante” evidenzia come «già il Veggente di Patmos aveva insegnato a considerare la Chiesa come la
grande donna che sta sulla luna, al di sopra d’ogni mutevolezza, della corruttibilità terrena, della legge del fato, sopra il
Non si sarebbero mai rimarginate le
nuova biografia intitolata Kafka di nea come il genitore ricorresse in
regno dello spirito di questo mondo». E
ferite che segnarono, sin dall’adoleReiner Stach (Francoforte sul Meno, realtà di rado alla violenza fisica nei
ciò proprio perché quella donna, che è a
scenza, il sensibilissimo animo di
Fischer, 2015, pagine 607, dollari 34) suoi confronti: ma era il pensiero, o
un tempo Maria e la Chiesa, «è rivestita
Franz Kafka. A infierire su una vulin cui si mette in luce come il trava- meglio il timore che fosse sempre sul
di sole, del Sole di giustizia che è Crinerabilità mai domata fu il padre delgliato rapporto con il papà Hermann punto di farlo, a esercitare una pressto», scrive Agostino nel commento al
lo scrittore austro-ungarico (cecoslonon solo inflisse «piaghe» sulla sensi- sione quasi insostenibile. E la trasforSalmo 142, 3.
vacco a partire dal 1918), con il quale
bilità del ragazzo, ma rappresentò an- mazione di Gregor Samsa, commesso
Ma, ritornando alle parole dell’arcive«sin dall’età della ragione», come
che una sorta di musa per il futuro viaggiatore che, ne La Metamorfosi,
scovo Montini, proprio attraverso la mescrive lo stesso Kafka, si aprì un inscrittore. Le sue opere, infatti, sono una mattina si ritrova insetto, simbotafora «traluce dagli scritti di Ambrogio
sanabile conflitto. In una notte indominate dall’angoscia di fronte leggia il segreto desiderio dello scritil concetto complesso e reale della Chievernale del 1888, Franz, cinque
all’esistenza e da un senso di inade- tore che un tale destino arrida anche
sa, quello d’un’entità umana e mistica inanni, si alza per chiedere ai geniguatezza nel rapporto con il mondo. a lui: potrebbe essere infatti questa la
sieme, socialmente organizzata, ma comtori un po’ d’acqua. Non ottiene
Tanto che gran parte della critica risolutiva via di fuga — smettere i
paginata da coefficienti spirituali: la fede
risposta, ma non demorde, e la riconcorda nel riconoscere nello scritto- panni umani — per eludere la tirannia
e la carità. Ed è da questo considerare la
chiesta si fa pressante. Alla fine il
re di Praga «un perfetto interprete del padre e per sottrarsi alla crudeltà
Chiesa nella sua duplice realtà, divina e
padre si alza, ma non per andare
letterario» dell’esistenzialismo. L’epi- del mondo che, a dispetto di qualsiumana, che sgorga l’inesauribile riferiin cucina: trascina il figlio fino in
sodio cui fa riferimento la nuova bio- voglia tentativo di analisi, «non ci è
mento del pensiero di Ambrogio alla
balcone e lì lo lascia. L’inquiegrafia è citato dallo stesso Kafka nella dato di capire nei suoi misteriosi intante episodio è ricordato nella
famosa Lettera al padre, in cui sottoli- granaggi». (gabriele nicolò)
Chiesa medesima». (marcello filotei)
di FELICE ACCRO CCA
ella cosiddetta Carta di
Milano si afferma che
il diritto al cibo è «un
diritto umano fondamentale»: un diritto
che, in realtà, per tanti è tale solo a
parole. Si è dedicato un anno intero
per riflettere su tali questioni, certo
non nuove, poiché il cibo non è stato mai equamente diviso tra gli abitanti di questo mondo, potendo alcuni (pochi) averne fino alla nausea
e altri (molti) mancarne fino a morire di fame.
Questa tragica situazione è oggi
sotto gli occhi di tutti, ma i secoli
passati non sono stati meno crudeli
con gli anelli deboli della catena. Ce
ne offre la riprova uno dei più
straordinari cronisti del medioevo
occidentale, quel Salimbene da Parma, nato nel 1221 da famiglia di
agiata condizione sociale ed entrato
tra i frati minori nel 1238, che ci ha
lasciato in dono una Cronaca conservatasi autografa nel codice Vaticano
N
infatti rammaricato — poi mi diedero
sempre dei cavoli, con i quali dovetti
cibarmi tutti i giorni della mia vita;
e giammai nel secolo avevo mangiato cavoli, anzi li detestavo tanto che
non avrei nemmeno mangiato carni
che fossero state cotte con essi».
Vi furono, in ogni caso, delle eccezioni. Narrando la visita che nel
1248 Luigi IX fece al Capitolo pro-
Luce riflessa
Le ferite (mai rimarginate) di Kafka
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 6-7 luglio 2015
Per fermare la follia distruttrice dell’Is in Iraq
Appello della Chiesa caldea
ai musulmani moderati
L’enciclica del Papa in Indonesia
Apostolato
della casa comune
GIACARTA, 6. La Laudato si’ è un
passo «enorme» nella difesa dell’ambiente, ma non può bastare «l’euforia generale» che ha seguito la pubblicazione dell’enciclica. Occorre impegnarsi per diffondere e mettere in
atto le indicazioni del Papa. È quan-
La Laudato si’
per i cattolici
del Bangladesh
DACCA, 6. Per facilitare la diffusione della Laudato si’ di Papa
Francesco, l’arcivescovo di Dhaka,
Patrick D’Rozario, presidente della Conferenza episcopale del Bangladesh, ha deciso di pubblicare
una lettera pastorale contenente
ampi stralci dell’enciclica tradotti
in lingua locale. La Chiesa in
Bangladesh risponde così alla raccomandazione rivolta dal Papa
per un cambiamento radicale degli stili di vita, produzione e consumo delle risorse della madre
terra. Nel documento il presule
invita i cattolici a seguire le linee
guida del Pontefice e chiede soprattutto ai sacerdoti di diffonderne gli insegnamenti.
Evangelii
gaudium
in lingua bahasha
KUALA LUMPUR, 6. L’esortazione
apostolica di Francesco Evangelii
gaudium sarà tradotta in bahasha,
la lingua indigena parlata dalla
maggioranza della popolazione di
Malaysia e Indonesia. Il progetto
— riferisce l’agenzia Fides — è curato dalle Pontificie opere missionarie (Pom) in Malaysia, in particolare come ausilio per i catechisti, ma anche per tutti i fedeli che
vorranno beneficiarne. Il testo
tradotto sarà infatti distribuito
gratuitamente a parrocchie e comunità.
Il documento viene ritenuto
fondamentale per un corretto approccio all’evangelizzazione, come è stato sottolineato in un recente incontro dei direttori diocesani delle Pom di Malaysia, Singapore e Brunei.
to sottolinea suor Alfonsa Triatmi,
esperta di ambiente e in prima fila
nella promozione di coltivazioni biologiche nella provincia del Central
Java. Per la religiosa, ideatrice e sostenitrice di un programma di agricoltura sostenibile per contadini cristiani e musulmani, l’enciclica del
Papa rafforza ancora di più gli sforzi
enormi compiuti in Indonesia per la
promozione e diffusione di un’agricoltura che sia rispettosa della «casa
comune». Da più di 14 anni, infatti,
un gruppo di suore indonesiane,
guidate da suor Alfonsa, promuove
metodi di agricoltura biologica in
grado di salvaguardare l’ambiente e
provvedere al sostentamento della
popolazione. Una sorta di apostolato laico e “del mondo”, come sono
solite chiamarlo, che ha attirato l’attenzione di molti contadini — la
maggior parte musulmani — e che di
recente ha anche ottenuto il certificato di qualità governativo.
In questo contesto, la diocesi di
Purwokerto ha sostenuto con forza il
lavoro delle tre suore della congregazione delle Figlie di Maria e Giuseppe. La religiosa ricorda la propria attività fra i contadini, i primi a «nutrire la terra e a usare fertilizzanti
non chimici per generare la vita dal
suolo». E, riferisce l’agenzia AsiaNews, rivolge un appello alle persone
di buon senso, affinché utilizzino
«in modo saggio tutte le forme di
energia: elettrica, idrica» e incorag-
gino gli altri «a partecipare ad attività che siano volte alla tutela dell’ambiente».
Anche suor Alfonsa rilancia l’allarme sullo stato di tutela dell’ambiente. «La natura si sta deteriorando
perché il nostro stile di vita è cattivo
e distruttivo».
Oggi oltre 140 famiglie si sono
unite alla comunità per la produzione di riso biologico. «Ed è coinvolto
solo un piccolo numero di agricoltori cattolici — spiega la religiosa —
perché la maggioranza sono musulmani, con i quali abbiamo intrecciato un saldo legame di amicizia. Il
mio punto di vista è chiaro e semplice: voglio educare i contadini alla
produzione di alimenti biologici, nel
contesto di un programma di sviluppo ambientale ecosostenibile».
Fra i massimi esperti di tematiche
ambientali in Indonesia vi è anche
padre Vincentius Kirjito, sacerdote
dell’arcidiocesi di Semarang, in prima fila nella difesa delle risorse idriche. Grazie alle sue iniziative, egli
ha saputo far nascere nelle persone
la consapevolezza dell’importanza
dell’acqua piovana. «Quello che faccio — spiega — è proteggere la natura, facendo sì che le persone usino
l’acqua piovana per sostentarsi». In
questo contesto, e a sostegno della
sua attività, «la pubblicazione della
Laudato si’ ha promosso l’idea che
tutti debbano proteggere la natura,
nutrirla e prendersene cura».
BAGHDAD, 6. «I musulmani moderati devono reagire alla follia distruttrice dello Stato islamico e cercare di interagire con tutta la popolazione e di collaborare con il resto
della società. Solo così possono fare
il bene comune, il bene di tutta la
gente e quindi anche il loro bene».
È quanto ha sottolineato monsignor
Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei, in merito agli ultimi tragici episodi che
stanno insanguinando diverse regioni del pianeta. «Il mio appello —
ha spiegato il vescovo ausiliare nel
corso di un’intervista al sito Vatican
insider — è rivolto agli islamici moderati: loro sanno che avere fede significa accogliere la volontà di Dio.
Per noi cristiani va sempre peggio».
Rimanere cristiani in Iraq è sempre
più difficile e pericoloso, stessa situazione anche per le altre minoranze religiose del Paese.
«La situazione in Iraq — ha precisato monsignor Warduni — si aggrava ogni giorno. Pur in condizioni disperate, il nostro impegno sul
territorio — assicura a nome della
locale comunità cattolica — è quello
di preservare spazi di dialogo. Al
bene comune serve il buon senso. E
invece purtroppo sta prendendo
sempre più campo il fanatismo e
per questo va tutto male».
Secondo il vescovo ausiliare di
Babilonia dei Caldei, l’unico argine
possibile per fermare l’avanzata dei
jihadisti è «solo una reazione dei
sunniti moderati. I fondamentalisti
fanatici agli ordini di al-Baghdadi
— ha spiegato il presule — non hanno mai letto le sacre Scritture altrimenti saprebbero che Dio è misericordioso. Quelli che sono contrari
al dialogo fanno il male di tutti,
per questo è determinante il ruolo
dei musulmani moderati».
Il vescovo non ha dubbi nell’affermare che «il prevalere del moderatismo equivale alla vittoria del bene comune ed è l’unica salvezza in
questa situazione esplosiva per l’intero scacchiere internazionale. Deve
essere una priorità geopolitica per
l’occidente e per le Nazioni Unite.
Se in Iraq e nel resto del Medio
oriente stiamo così male — ha sottolineato monsignor Warduni — è
proprio perché il mondo tace, non
fa niente. E così noi cristiani siamo
in mezzo, tra due fuochi. Come le
altre minoranze cerchiamo soltanto
di sopravvivere, ma quando usciamo di casa la mattina non sappiamo se vi faremo ritorno la sera. Siamo minacciati, attaccati, perseguita-
Sostegno e aiuti umanitari per i terremotati
Caritas in Nepal
sempre presente
KATHMANDU, 6. Continua senza
sosta l’attività di sostegno e la fornitura di aiuti umanitari messi a
punto dalla rete Caritas in Nepal,
avviati già all’indomani del terremoto del 25 aprile scorso. Nei due
mesi successivi al sisma l’ente caritativo nepalese ha raggiunto oltre
269.000 persone bisognose di assi-
Seminario dedicato ai medici cattolici bengalesi
Persone al centro
DACCA, 6. «Come medici, infermieri e operatori
sanitari non dovete curare i pazienti solo dal punto di vista fisico. Dovete curare anche il loro spirito». È l’invito rivolto da monsignor Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi e presidente di Caritas
Bangladesh, ai partecipanti a un seminario sul tema «Aggiornare le cure e l’educazione medica».
L’incontro promosso da Caritas Bangladesh ha
inteso fare il punto sul contributo che la Chiesa
cattolica fornisce in termini di assistenza sanitaria
al Paese.
Pur contando circa 300.000 fedeli, pari allo 0,3
per cento della popolazione, la comunità cattolica
gestisce una settantina di strutture sanitarie, tra
cui sette ospedali. Una presenza significativa,
dunque, in una realtà a prevalente tradizione musulmana, che deve però necessariamente stare al
passo con i tempi. Per questo, periodicamente
vengono organizzati seminari di aggiornamento al
fine di formare il personale sanitario.
Attualmente, in tutto il Paese operano più di
cento medici e oltre 1.000 infermieri appartenenti
alla comunità cristiana. «Noi vogliamo rendere
effettivo l’insegnamento della Chiesa cattolica attraverso i nostri servizi medici. In questo modo
possiamo formare operatori sanitari cattolici», ha
ti. Gli spietati miliziani dello Stato
islamico non hanno misericordia,
non hanno Dio. Uccidono senza un
barlume di umanità».
Nell’ultimo anno, poco più di
centoventicinquemila cristiani sono
stati costretti a fuggire dai loro
villaggi solo perché hanno scelto di
rimanere cristiani rifiutando le condizioni imposte dallo Stato islamico.
detto Edwar Pallab Rozario, medico e membro di
Caritas Bangladesh.
Nel corso del suo intervento, come riferito
dall’agenzia AsiaNews, monsignor Gervas ha sottolineato l’importanza della formazione e la difficoltà dell’impegno a cui gli operatori sanitari sono continuamente chiamati. «Molti malati vengono nelle nostre cliniche mediche per ricevere i
trattamenti, ma alcune strutture non riescono a
soddisfare tutte le richieste che arrivano», ha ammesso il presule, che appellandosi direttamente ai
responsabili delle strutture ha detto: «Voi dovete
curare i pazienti con onestà. E per fornire il miglior trattamento possibile, dovete essere aggiornati ed esperti nella vostra professione». Tuttavia,
l’onestà e la competenza da sole certamente non
bastano, occorre avere anche particolare attenzione nei confronti del paziente che si ha di fronte
nella sua interezza, corpo e spirito. Il presule ha
ricordato che per l’operatore sanitario cattolico
«la cura dell’anima è la cosa più importante nel
vostro lavoro».
stenza e ha fornito circa 54.000 alloggi alle famiglie. La popolazione colpita ha ricevuto cibo, materiali per costruire alloggi temporanei, kit per l’igiene e beni di prima necessità. Caritas Nepal ha
raggiunto numerose comunità isolate come quelle di Chepang e di
Tamang, che vivono in villaggi remoti. Inoltre, sono state aiutate
persone socialmente escluse e comunità indigenti come dalit e
musulmani. Nei giorni scorsi, Caritas Nepal ha anche organizzato
due giornate di formazione e riflessione per tutto il personale
coinvolto, con la partecipazione
del vicario apostolico in Nepal,
monsignor Paul Simick. Durante
l’incontro
—
come
riferito
dall’agenzia Fides — sono stati illustrati i frutti di un intenso lavoro di assistenza, svolto anche grazie agli aiuti e al sostegno di Caritas Internationalis. L’organizzazione sta programmando di raggiungere altre 11.000 famiglie, anche
progettando di servire le comunità
locali con iniziative di microcredito, programmi di formazione professionale, soprattutto nei settori
dell’agricoltura e delle imprese rurali, avviando la fase della ripresa
e della ricostruzione del tessuto
sociale ed economico.
Caritas Nepal offrirà anche alcuni incentivi, borse di studio e
piccoli prestiti per la costruzione
di abitazioni, destinate a chi ha visto la propria casa completamente
distrutta, e intende contribuire alla ricostruzione di scuole e di
ospedali danneggiati.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 6-7 luglio 2015
pagina 7
L’attaccamento alla fede cattolica della comunità lituana sparsa in mezza Europa
Emigranti
con il Vangelo in mano
VILNIUS, 6. Da Londra a Dublino, a
Oslo, dagli Stati Uniti all’Australia:
dal febbraio 1991, dopo cioè la riconquistata indipendenza dall’Unione Sovietica, si calcola che almeno
650.000 persone, su una popolazione di tre milioni di abitanti, abbiano
lasciato la Lituania e che solo centomila vi abbiano fatto ritorno. «Ma
la Chiesa non abbandona la sua
gente», spiega a Sir Europa monsignor Edmundas Putrimas, direttore
della pastorale per i migranti. «Cer-
chiamo di essere vicini a loro,
all’estero, con i sacerdoti al servizio
delle nostre comunità», aggiunge,
ricordando due parole-chiave, carità
e Vangelo.
Assieme alla lingua nazionale i lituani emigranti hanno portato con
sé la fede cattolica (la professa il 77
per cento della popolazione). In
mezzo mondo. Come a Londra, per
esempio, dove si trovano anziani, rimasti legati alle tradizioni nazionali
e alla religione, ma anche seconde e
Appello dei vescovi della Slovacchia
Più attenzione
verso i migranti e i rifugiati
BRATISLAVA, 6. «Siamo convinti
che dal punto di vista umano e
cattolico sia necessario prestare più
attenzione alla situazione di migranti e rifugiati». È quanto si legge in una dichiarazione rilasciata
dalla Conferenza episcopale slovacca, durante l’assemblea plenaria, in merito al dibattito sul crescente numero di migranti in arrivo nei Paesi europei. «Per prima
cosa è compito degli Stati e della
comunità internazionale decidere
quale sia il modo migliore per prestare assistenza, anche contribuendo a risolvere i problemi nei Paesi
di origine dei migranti e dei rifu-
giati», dichiarano i vescovi, sottolineando che la Chiesa cattolica in
Slovacchia «intende sostenere questo processo con tutti i mezzi a
sua disposizione per esprimere solidarietà e amore cristiano alle persone in difficoltà».
Durante i lavori — riferisce il Sir
— l’episcopato slovacco ha approvato quattro progetti di aiuto umanitario a sostegno dei cristiani perseguitati e dei rifugiati, finanziati
da istituzioni ufficiali della Chiesa
cattolica in Slovacchia e dall’ufficio nazionale di Caritas per un totale di oltre 190.000 euro.
terze generazioni, che conservano
più facilmente la lingua rispetto alla
fede. La prima ondata migratoria lituana risale all’inizio del Novecento,
per sfuggire al regime zarista, la seconda si è avuta nel secondo dopoguerra. Da allora nel Regno Unito
si sono installate tre principali comunità lituane, per un totale di
duecentomila persone. «La secolarizzazione arriva ovunque», osserva
don Petras Tverijonas, che opera
nella zona est di Londra, ma — evidenziando l’attaccamento alla fede
cattolica della comunità lituana —
«nelle tre messe domenicali abbiamo quattrocento partecipanti alle
funzioni; qui a Londra abbiamo
concentrato la preparazione ai battesimi e ai matrimoni per le tre comunità dell’isola. Lo scorso anno abbiamo preparato per il battesimo i
genitori di duecentocinquanta bambini e le coppie che hanno seguito il
corso prematrimoniale sono state
duecentotrenta». Anche se, racconta
don Tverijonas, per sposarsi si preferisce tornare a casa. L’integrazione
non è facile, «anche perché i lituani
sono riservati e un po’ timidi».
Nella vicina Dublino c’è don Egidijus Arnasius, approdato in Irlanda
dopo essere stato per tre anni cappellano dei lituani in Australia.
«Sono stato accolto molto bene dagli irlandesi e dalla Conferenza episcopale locale, con la quale si collabora proficuamente», racconta, sottolineando che «i lituani arrivati in
Irlanda
venivano
dall’alienante
esperienza comunista. Per questo
sono piuttosto guardinghi, prudenti.
Forse c’è timore di confrontarsi con
la comunità locale». Molti andavano in chiesa a pregare e ad accendere candele, ma non a messa.
L’obiettivo è entrare in una relazione più profonda con la comunità locale. Ma «il lavoro da fare è ancora
tanto», conclude don Arnasius, anche perché «assimilarsi, in un Paese
del nord Europa, spesso vuol dire
accettare l’ateismo diffuso».
In Norvegia — riferisce il Sir — è
attivo don Oskaras Volskis, da una
parte cappellano per i lituani,
dall’altra al servizio di una parrocchia locale e di un gruppo di cattolici polacchi. Non nasconde problematiche legate alla lingua: «Se la
nostra gente non ha la messa in lituano non partecipa affatto». Anche
don Valdemaras Lisovskis, a Oslo
da tre anni, spiega l’importanza di
celebrare la messa in lituano: «Se
abbandoniamo la nostra lingua perderemo la gente».
Dalla Caritas di Friburgo
Il cardinale Ouellet per l’anno giubilare celestiniano
Una guida
per contrastare
la povertà giovanile
Profezia
della misericordia
FRIBURGO, 6. «Piccolo manuale per acquistare e consumare senza indebitarsi»: è il
titolo della pubblicazione di oltre 40 pagine che la Caritas di Friburgo rilancia nel
quadro di un programma di prevenzione
alla povertà tra i giovani. Il manuale in
lingua francese, edizione aggiornata e
adattata di una precedente versione, sarà
distribuito negli incontri con gli studenti
del secondo anno delle superiori.
«In Svizzera i giovani tra i 12 e i 18 anni
consumano beni per 600 milioni di franchi
l’anno e uno su tre ha già dei debiti»: per
questo la direzione per la sanità e gli affari
sociali del cantone Vaud ha affidato alla
Caritas e a una serie di organizzazioni sociali il progetto contro l’indebitamento. Il
libretto — secondo gli autori — vuole proporre «una lettura del quotidiano, che permetta di valutare meglio i nostri bisogni
reali», illustra diritti e doveri dei consumatori, mette in evidenza i possibili rischi che
possono compromettere l’equilibrio finanziario (disoccupazione, nascita di un figlio,
malattia, divorzio) e illustra «le conseguenze di un indebitamento mal gestito»
oltre a indicare «che cosa si può fare per
uscirne al meglio». Si parla così di come
preparare un bilancio, come cercare casa, i
rischi degli acquisti on-line e di quelli fatti
a rate. Infine, vengono forniti una serie di
indirizzi utili a cui rivolgersi per preparare
un budget famigliare, vacanze e mezzi di
trasporto economici, nonché svaghi a prezzi contenuti.
A ottocento anni di distanza
dal suo tempo, quale messaggio può offrire all’uomo di oggi
san Pietro Celestino, più noto
come Celestino V? A questo interrogativo ha cercato di dare
una risposta il cardinale Marc
Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, domenica
pomeriggio, 5 luglio, nella cattedrale di Isernia, dedicata ai
santi apostoli Pietro e Paolo.
L’occasione è stata la chiusura
dell’anno giubilare celestiniano,
indetto il 5 luglio 2014, nella
piazza della cattedrale, da Papa
Francesco, durante la visita pastorale alle diocesi di Campobasso-Boiano e Isernia-Venafro.
Nell’omelia della messa il
cardinale Ouellet si è detto
grato per aver potuto condividere con il popolo di Isernia
un tratto, seppur breve, del suo
cammino cristiano. Ha poi additato l’esempio di Celestino V,
quale uomo ancorato alla croce
di Cristo, che per lui ha sempre
rappresentato il centro della
sua vita e dalla quale ha ricavato la forza per affrontare i momenti più difficili. Da qui l’invito del porporato a imparare a
rimanere ancorati a Cristo nel
confronto con il cambiamento
epocale che stiamo vivendo e
che mette a dura prova i valori
cristiani dell’esistenza, avvolgendo tutto nella spesso confusa cultura globale. Del resto, la
misericordia, che ha animato
l’intera vita di Pietro da Morrone, è realmente profezia di un
mondo nuovo. Per questo Celestino può essere considerato
profeta anche per il nostro tempo e il suo messaggio è più che
mai attuale.
Insieme con il cardinale hanno concelebrato l’arcivescovo di
Campobasso-Boiano,
monsignor Bregantini, il vescovo di
Isernia-Venafro, monsignor Camillo Cibotti, e alcuni vescovi
della Conferenza episcopale
abruzzese-molisana, oltre a
un’ottantina di sacerdoti. Monsignor Cibotti, nel suo saluto al
cardinale, ha parlato del popolo isernino come espressione di
mitezza, di dolcezza, generosità
e profonda religiosità.
Al termine, il cardinale ha
inaugurato e benedetto due lapidi: una in cattedrale, per
commemorare l’anno giubilare
celestiniano, l’altra in piazza
Andrea d’Isernia, per ricordare
la visita di Papa Francesco alla
città.
Durante il volo verso Quito
Telegrammi a capi di Stato
Papa Francesco è partito alla volta di Quito dall’aeroporto
di Fiumicino alle 9.15 di domenica 5 luglio.
Il congedo dalla residenza di Santa Marta in Vaticano è
avvenuto in forma privata. Successivamente il Pontefice ha
raggiunto in automobile lo scalo romano, dove è stato
salutato, tra gli altri, dall’arcivescovo Georg Gänswein,
prefetto della Casa Pontificia. Accompagnano il Papa: il
cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato; il prefetto
della Segreteria per la comunicazione, monsignor Dario
Edoardo Viganò, che è anche direttore del Centro Televisivo
Vaticano; il segretario della Pontificia Commissione per
l’America latina, Guzmán Carriquiry Lecour; i monsignori
Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche
pontificie, e Diego Ravelli, cerimoniere pontificio;
A sua Eccellenza
On. Sergio Mattarella
Presidente della Repubblica Italiana
Palazzo del Quirinale
00187 Roma
Nel momento in cui lascio Roma
per recarmi in Ecuador, Bolivia e
Paraguay, per sostenere la missione
della Chiesa locale e portare un
messaggio di speranza, mi è caro rivolgere a lei, signor presidente, il
mio deferente saluto, che accompagno con fervidi auspici per il benessere spirituale, civile e sociale del
popolo italiano, cui invio volentieri
la benedizione apostolica.
FRANCISCUS
Excelentíssimo Senhor
Anibal Cavaco Silva
Presidente da Republica Portuguesa
Lisboa
Ao sobrevoar Portugal numa visita
pastoral que me leva ao Equador,
Bolívia e Paraguai, tenho o prazer
de saudar vossa Excelência formulando cordiais votos para sua pessoa
e inteira nação sobre a qual invoco
benevolência divina para que seja
consolidada nela esperança e alegria
de viver na harmonia e bem-estar de
todos seus filhos.
FRANCISCUS
PP.
PP.
A su Majestad Felipe VI
Rey de España
Palacio de la Zarzuela
Madrid
Al sobrevolar el territorio español
para dar comienzo a mi visita pastoral a Ecuador, Bolivia y Paraguay,
me es grato enviar un cordial saludo
a vuestra majestad y a la reina, y renovar mi afecto y cercanía al pueblo
español, para el que pido al Señor
copiosas gracias y un creciente progreso espiritual y social en pacífica
convivencia.
FRANCISCUS
l’agostiniano Juan Fernando del Rio Sendino, della sezione
spagnola della Segreteria di Stato. Con loro anche gli
aiutanti di Camera, Mariotti e Zanetti, il medico Polisca, il
responsabile dell’organizzazione del viaggio Gasbarri, il
direttore della Radio Vaticana e della Sala stampa della
Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi, e il direttore del
nostro giornale. Nella capitale ecuadoriana si sono uniti al
seguito l’arcivescovo di Quito e presidente della Conferenza
episcopale Fausto Gabriel Trávez Trávez, il cardinale Raùl
Eduardo Vela Chiriboga, arcivescovo emerito; il nunzio
apostolico Giacomo Guido Ottonello, con monsignor
Mihaita Blaj, segretario della nunziatura. Subito dopo il
decollo, Francesco ha inviato i seguenti telegrammi ai capi
di Stato dei Paesi sorvolati.
PP.
Al Excmo. Sr.
Nicolás Maduro Moros
Presidente de la República
Bolivariana de Venezuela
Caracas
Al volar sobre el territorio venezolano para dar inicio a mi visita pastoral a Ecuador, Bolivia y Paraguay,
me es grato enviar un cordial saludo
a vuestra excelencia, manifestando
mi afecto y cercanía por el pueblo
venezolano, a la vez que pido al Señor abundantes gracias que le ayuden a progresar cada día más en solidaridad y pacífica convivencia.
FRANCISCUS
PP.
Sull’aereo con i giornalisti
Dopo il decollo da Roma, il Papa ha voluto incontrare i 75 giornalisti
che lo stanno accompagnando nel viaggio. Dal microfono padre Lombardi ha sottolineato la grande quantità di richieste di accredito — oltre
cento — pervenute alla Sala stampa della Santa Sede e ha informato il
Pontefice che un migliaio di operatori dell’informazione seguono la visita nelle cinque città interessate: Quito e Guayaquil, La Paz e Santa Cruz
de la Sierra, Asunción. Francesco da parte sua ha ringraziato per il lavoro «molto impegnativo» che attende i media, sottolineando che «dare
notizie delle cose che accadono» in questi otto giorni può servire «a fare
tanto bene». Infine, augurando «buon viaggio», ha salutato personalmente ciascuno dei presenti.
Al Excmo. Dr.
Juan Manuel Santos Calderón
Presidente de la República
de Colombia
Bogotá d.c.
Al sobrevolar el territorio colombiano para dar comienzo a mi visita
pastoral a Ecuador, Bolivia y Paraguay, me es grato enviar un cordial
saludo a vuestra excelencia, reiterando mi cercanía y afecto por el pueblo colombiano, para el que pido al
Señor abundantes gracias que lo hagan progresar en los valores humanos y espirituales que le caracterizan, en la reconciliacion y la convivencia pacífica, deseándole al mismo tiempo una creciente prosperidad.
FRANCISCUS
PP.
In un messaggio di risposta, il
presidente della Repubblica italiana,
Sergio Mattarella, ha fatto pervenire
al Pontefice il suo «più sincero
ringraziamento» sottolineando come
l’«Italia e la comunità internazionale
guardano con grande interesse» a
questa «missione nel continente latinoamericano, in Paesi che, ciascuno con
la propria specificità, vivono un
periodo di grande fermento, sul piano
politico, economico e sociale». Il
presidente si è detto certo che la
presenza del Papa in Ecuador, Bolivia
e Paraguay «porterà un forte
messaggio di fiducia per il futuro della
regione, cui l’Italia e l’Europa
guardano con viva attenzione, ma
anche un atteso incoraggiamento per
quanti, in quei Paesi, vivono ancora in
condizioni di povertà, degrado sociale e
incertezza coltivando la speranza di un
domani migliore».
Buon viaggio
anche
dai clochard
Come è ormai tradizione,
Papa Francesco alla vigilia
della partenza, nella serata di sabato
4 luglio, si è recato nella basilica
di Santa Maria Maggiore
per affidare alla Vergine il suo
viaggio apostolico
in America latina.
Il Pontefice ha deposto davanti
all’immagine della Salus populi
Romani un mazzo di fiori
caratterizzato dai colori delle
bandiere dei tre Paesi in cui si reca
e si è trattenuto in preghiera
per circa venti minuti.
La mattina successiva, intorno
alle 8, prima di raggiungere
l’aeroporto di Fiumicino, Francesco
ha ricevuto il saluto di otto
clochard — tra i quali due donne —
che vivono in ripari di fortuna
nella zona di San Pietro e che
usufruiscono del servizio docce
allestito sotto il colonnato.
L’incontro è avvenuto in presenza
dell’elemosiniere, l’arcivescovo
Konrad Krajewski, che li ha
accompagnati, ed è durato alcuni
minuti. Al termine il Papa
ha dato la sua benedizione
ai senzatetto.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 6-7 luglio 2015
In Ecuador il Papa esalta la bellezza naturale del Paese e richiama la simbologia di Cristo e della Chiesa
Le chiavi del futuro
Valorizzazione delle differenze, partecipazione, dialogo, tutela dei più deboli
All’aeroporto di Quito, dove il Pontefice è
giunto nel pomeriggio di domenica 5 luglio
(quando in Italia erano circa le 22), si è
svolta la cerimonia di benvenuto, alla
presenza, fra gli altri, del presidente
dell’Ecuador, Rafael Correa, che ha rivolto a
Francesco un indirizzo di saluto.
Rispondendo alle sue parole il Papa ha
pronunciato in spagnolo il discorso che
pubblichiamo in una traduzione italiana.
Signor Presidente,
Distinte Autorità del Governo,
Fratelli nell’Episcopato,
Signore e Signori, amici tutti,
ringrazio Dio per avermi concesso di venire di nuovo in America Latina e di trovarmi oggi qui con voi, in questa bella terra
dell’Ecuador. Provo gioia e gratitudine nel
vedere il caloroso benvenuto: è una prova
in più del carattere accogliente che distingue così bene le genti di questa nobile
Nazione.
La ringrazio, Signor Presidente, per le
sue parole — la ringrazio per la sua consonanza con il mio pensiero: mi ha citato
troppo, grazie! —, che ricambio con i miei
migliori auguri per il compimento della
Sua missione: che possa realizzare quanto
desidera per il bene del suo popolo. Saluto cordialmente le distinte Autorità del
Governo, i miei fratelli Vescovi, i fedeli
della Chiesa nel Paese e tutti coloro che
oggi mi aprono le porte del loro cuore,
della loro famiglia e della loro Patria. A
tutti voi il mio affetto e la mia sincera riconoscenza.
Ho visitato l’Ecuador in diverse occasioni per motivi pastorali; così anche oggi,
vengo come testimone della misericordia
di Dio e della fede in Gesù Cristo. La
stessa fede che per secoli ha plasmato
l’identità di questo popolo e ha dato tanti
buoni frutti, tra i quali risaltano figure luminose come santa Marianna di Gesù, il
santo fratello Michele Febres, santa Narcisa di Gesù o la beata Mercedes di Gesù
Molina, beatificata a Guayaquil trent’anni
fa durante la visita del Papa san Giovanni
Paolo II. Essi hanno vissuto la fede con
intensità ed entusiasmo, e praticando la
misericordia hanno contribuito, in diversi
ambiti, a migliorare la società ecuadoriana
del loro tempo.
Oggi, anche noi possiamo trovare nel
Vangelo le chiavi che ci permettono di affrontare le sfide attuali, apprezzando le
differenze, promuovendo il dialogo e la
partecipazione senza esclusioni, affinché i
passi avanti in progresso e sviluppo che si
stanno ottenendo si consolidino e garantiscano un futuro migliore per tutti, riservando una speciale attenzione ai nostri
fratelli più fragili e alle minoranze più
vulnerabili, che sono il debito che ancora
ha tutta l’America Latina. Per questo scopo, Signor Presidente, potrà contare sempre sull’impegno e la collaborazione della
Chiesa, per servire questo popolo ecuadoriano che si è alzato in piedi con dignità.
Amici tutti, comincio con attese e con
speranza i giorni che abbiamo davanti. In
Ecuador si trova il punto più vicino allo
spazio esterno: è il Chimborazo, chiamato
per questo il luogo “più vicino al sole”, alla luna e alle stelle. Noi cristiani paragoniamo Gesù Cristo con il sole, e la luna
con la Chiesa; e la luna non ha luce propria, e se la luna si nasconde dal sole diventa scura. Il sole è Gesù Cristo, e se la
Chiesa si separa o si nasconde da Gesù
Cristo diventa oscura e non dà testimonianza. Che in queste giornate si renda
Nel saluto del presidente Correa
Diritti costituzionali per la natura
«L’Ecuador ama la vita. La nostra costituzione obbliga a riconoscere e garantire
la vita, inclusa la cura e la protezione dal
concepimento». Lo ha ricordato il presidente ecuadoriano Rafael Correa nel saluto rivolto a Papa Francesco all’arrivo a
Quito. La costituzione del Paese, ha fatto
notare il presidente, stabilisce «di riconoscere e proteggere la famiglia come nucleo fondamentale della società» e impone «di occuparci della nostra casa comune». Si tratta, infatti, della prima costituzione «nella storia dell’umanità a concedere diritti alla natura». Correa ha voluto
ricordare in proposito che il 20 per cento
del territorio è protetto con 44 riserve e
parchi naturali. «La gamma multicolore
della nostra flora e fauna — ha detto — si
completa e si arricchisce di più con la diversità delle nostre culture umane». In-
fatti nel Paese «ci sono, oltre a una maggioranza meticcia, 14 nazionalità indigene
con le loro corrispondenti lingue ancestrali, compresi due popoli non ancora
raggiunti, che hanno preferito l’isolamento volontario nel cuore della selva vergine». Per questo, la costituzione definisce
l’Ecuador come uno Stato unitario, ma
«plurinazionale e multiculturale». Correa
si è anche concesso qualche battuta, ricordando che gli argentini dicono che il
Papa è argentino, i brasiliani che Dio è
brasiliano, ma senza dubbio il paradiso è
ecuadoriano.
Rivolgendo lo sguardo all’America,
Correa ha detto che il grande peccato sociale del continente è l’ingiustizia, affermando che l’«opulenza di pochi accanto
alla più intollerabile povertà sono colpi
quotidiani inferti contro la dignità uma-
na». Secondo il presidente, infatti, la fondamentale questione morale in America
latina è «precisamente la questione sociale»; tanto più — ha rimarcato — se si considera che «per la prima volta nella storia, la povertà e la miseria nel nostro continente non sono conseguenze della mancanza di risorse», ma delle conseguenze
negative «di sistemi politici, sociali ed
economici» che non rispettano la dignità
delle persone.
Il presidente poi ha ricordato come il
Papa — definito come «un gigante morale per credenti e non credenti» — abbia
denunciato con forza la tragedia della
migrazione, che «ben conosce il nostro
Paese». La soluzione, ha aggiunto, non è
«più frontiere; è solidarietà, è umanità, è
creare le condizioni di prosperità e pace
che disincentivano le persone a migrare».
Alla metà del mondo
dal nostro inviato
GIANLUCA BICCINI
Mitad del mundo: i cartelli stradali e
le mappe turistiche di Quito indicano che da queste parti passa la linea
dell’equatore. Ed è da qui che Francesco ha voluto iniziare il viaggio
più lungo del pontificato. Il primo
in Paesi in cui si parla la sua lingua
natale e le cui culture hanno molto
in comune con quelle della sua patria, l’Argentina. Tornando ad attraversare l’oceano Atlantico, due anni
dopo la visita in Brasile, il Papa ha
scelto tre piccoli Paesi dell’America
latina — Ecuador, Bolivia e Paraguay
— caratterizzati da una significativa
presenza di popolazioni indigene e
da una fortissima identità cristiana.
Anzi cattolica, con percentuali ancora molto elevate. Tre nazioni in
qualche modo periferiche ma in progressiva crescita, che sperimentano
modelli di economia inclusiva, eppure ancora segnate da ampie sacche di
miseria. Nelle quali la Chiesa continua a svolgere un ruolo di primo
piano. Insomma ben rappresentative
della descrizione contenuta nel documento conclusivo di Aparecida, il
testo del 2007 votato dal Celam e
approvato da Benedetto XVI, di cui
il cardinale Bergoglio fu il principale
artefice: «Sotto il profilo storico il
nostro continente latino-americano è
marcato da due realtà: la povertà e il
cristianesimo. Un continente con
molti poveri e con molti cristiani».
E l’Ecuador, prima tappa del viaggio, riassume bene entrambe le caratteristiche e tutte le contraddizioni
dell’America latina, come il Papa ha
potuto vedere sin dal suo arrivo in
un Paese che conosce bene, per esserci stato in passato diverse volte.
Per questo nel primo discorso pronunciato nella terra dell’ultimo sovrano inca Atahualpa, ha auspicato
che il progresso e lo sviluppo in atto
«garantiscano un futuro migliore per
tutti», soprattutto per «le minoranze
più vulnerabili». E ha chiesto dignità, dando voce a chi non ce l’ha, invocando una maggiore giustizia so-
più evidente a tutti noi la vicinanza del
«sole che sorge dall’alto» (cfr. Lc 1, 78), e
che siamo riflesso della sua luce, del suo
amore.
Da qui voglio abbracciare l’intero Ecuador. Dalla cima del Chimborazo, fino alla
costa del Pacifico; dalla selva amazzonica
fino alle isole Galápagos; non perdete mai
la capacità di rendere grazie a Dio per
quello che ha fatto e fa per voi; la capacità di difendere il piccolo e il semplice, di
aver cura dei vostri bambini e dei vostri
anziani, che sono la memoria del vostro
popolo, di avere fiducia nella gioventù, e
di provare meraviglia per la nobiltà della
vostra gente e la bellezza singolare del vostro Paese — che secondo il Signor Presidente è il paradiso [si riferisce a un’espressione del discorso del Presidente].
Che il Sacro Cuore di Gesù e il Cuore
Immacolato di Maria, ai quali l’Ecuador è
stato consacrato, effondano su di voi grazia e benedizione. Tante grazie!
ciale, per il riscatto di tutto il continente.
L’aereo Alitalia con a bordo il
Pontefice è atterrato intorno alle
14.50 locali di domenica 5 luglio,
quando a Roma erano quasi le 22.
Dopo oltre diecimila chilometri, lungo i quali ha sorvolato la penisola
iberica, l’oceano Atlantico, i Caraibi,
il Venezuela e la Colombia, il velivolo si è infilato in una sorta di gola
tra i monti dell’altopiano, per un atterraggio spettacolare all’aeroporto
internazionale Mariscal Sucre, intitolato all’eroe dell’indipendenza ecuadoriana. Lo scalo si trova a 2300 metri di altitudine nella cittadina di Tababela, a una ventina di chilometri
dal centro della capitale. Subito sono saliti a dare il benvenuto al Papa
il nunzio apostolico Giacomo Guido
Ottonello e il capo del Protocollo
ecuadoriano. Sceso dalla scaletta anteriore, Francesco è stato accolto dal
capo dello Stato, Rafael Correa. E
da un forte vento che gli ha fatto
volare lo zucchetto bianco.
Davanti al padiglione presidenziale ha quindi avuto luogo la cerimonia di benvenuto alla presenza di
autorità statali, della presidenza della Conferenza episcopale – in rappresentanza dei cinquanta presuli
del Paese — e di un piccolo gruppo
di fedeli nei colorati abiti tradizionali delle 14 nazionalità indigene. Alcuni calzavano semplici scarpe di
tessuto e corda, altri sandali e infradito, altri ancora erano a piedi nudi.
In Ecuador costituiscono
una quota consistente
della popolazione. In
prevalenza sono di etnia
quechua. Ma se questi
ultimi vivono per lo più
sulle Ande, nel versante
orientale, quello amazzonico,
prevalgono
gli
shuar (o jivaros) mentre
Esmeraldas, sulla costa
occidentale, è terra di neri discendenti degli schiavi africani, ugualmente
numerosi a Guayaquil. Li
accomuna una forte religiosità, che si esprime in
colorate forme di spiritualità popolare, con processioni molto partecipate e la venerazione di immagini sacre nelle case,
nelle chiese e nelle piazze. Una religiosità che
trova il suo culmine nella
devozione mariana, come
testimonia la grande statua della Vergine alata
che dall’alta collina del
Panecillo domina tutta la
capitale.
Gli inni sono stati eseguiti dall’orchestra sinfonica giovanile, accompagnata dal coro Manos
blancas, che attraverso il
linguaggio dei segni rea-
lizza coreografie per coinvolgere anche bambini sordomuti. I saluti militari e lo scambio dei discorsi ufficiali
hanno preceduto l’omaggio floreale
— consegnato da un bimbo con il
caratteristico poncho e da una ragazzina — con cui si è conclusa la
cerimonia.
Congedatosi dal presidente, dopo
che si era brevemente intrattenuto
con lui nella sala del Protocollo, il
Papa si è trasferito alla sede della
nunziatura di Quito, sua residenza
in Ecuador. Per raggiungere la capitale si sale di altri cinquecento metri
sul livello del mare. Francesco ha
percorso gran parte del tragitto su
una utilitaria e gli ultimi otto chilometri sulla papamobile, dalla quale
ha ammirato la splendida città alle
falde del vulcano Pichincha, dichia-
rata
dall’Unesco
patrimonio
dell’umanità, con il suo centro storico meglio conservato e meno alterato di tutta l’America latina. Ma la
città, che ospita la collezione più importante d’arte coloniale dell’America, ha anche un volto moderno e dinamico, con quartieri in cui oltre ai
grattacieli non mancano numerosi
parchi.
Lungo il percorso una folla immensa ha salutato il Pontefice con
tutto il calore di cui sono capaci i latinoamericani. Donne, uomini e soprattutto tanti bambini a rappresentare i circa 16 milioni di ecuadoriani,
dei quali quasi 14 milioni sono cattolici. Si tratta della più popolosa tra
le nazioni visitate in questo viaggio,
dove la cura pastorale è affidata a
una cinquantina di vescovi, poco più
di duemila preti, circa cinquemila religiose e altrettanti missionari laici.
In questa nazione — che ha dato i
natali a personaggi come Mariana
de Jesús, il giglio di Quito, canonizzata da Pio XII nel 1950, e il santo
fratel Miguel Febres Cordero — venne anche Giovanni Paolo II, esattamente trent’anni fa, nel 1985. E come in quella circostanza, anche oggi
la festa non è stata solo per i quiteños: dalle cime innevate del Chimborazo, il vulcano attivo alto 6 mila
metri, alla costa del Pacifico, dalla
selva amazzonica alle isole Galapagos, sono giunti da tutto l’Ecuador
per dare il benvenuto al Papa. Che
ha ricambiato fermandosi a lungo a
salutare, stringendo mani, dispensando abbracci e carezze e lasciandosi immortalare in quelli che sono
diventati ormai gli immancabili selfie. Molti i volti sorridenti, così come quelli rigati dalle lacrime di
gioia. Un’atmosfera di entusiasmo
popolare che si è vissuta anche a fine giornata quando, poco dopo le
20, Papa Francesco è uscito dalla sede della nunziatura apostolica per
salutare migliaia di persone. Prima
di impartire la benedizione il Pontefice ha incoraggiato il popolo
dell’Ecuador a proseguire sulla strada del dialogo per costruire il proprio futuro.