Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLV n. 151 (46.989) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano lunedì-martedì 6-7 luglio 2015 . All’arrivo in Ecuador il Papa esalta la bellezza naturale del Paese e richiama due simboli di Cristo e della Chiesa Le chiavi del futuro Valorizzazione delle differenze, partecipazione di tutti, dialogo, tutela dei più poveri e vulnerabili Nel Vangelo ci sono le chiavi per affrontare «le sfide attuali» e per costruire «un futuro migliore per tutti». È questo il messaggio lanciato da Papa Francesco al suo arrivo in Ecuador, prima meta del viaggio in America latina che farà tappa anche in Bolivia e in Paraguay. Nel discorso pronunciato durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale di Quito — dove l’aereo papale è atterrato nel pomeriggio di domenica 5 luglio, quando in Italia erano quasi le 22 — il Pontefice ha assicurato al presidente Correa la collaborazione della Chiesa nella costruzione di una società basata sul rispetto delle differenze, sul dialogo e sulla partecipazione di tutti alla vita del Paese, con un’attenzione particolare alle fasce più povere e alle minoranze emarginate. Da Francesco un appello a difendere soprattutto i piccoli e i semplici, ad avere cura di bambini e anziani, a lavorare per il domani dei giovani e a tutelare le bellezze naturali del Paese andino. Fin dai primi momenti trascorsi in Ecuador il Papa ha sperimentato l’entusiasmo travolgente della popolazione, che si è stretta intorno a lui lungo tutto il percorso dall’aeroporto alla nunziatura apostolica di Quito — la residenza dove Francesco ha trascorso il resto della giornata — e che si prepara a partecipare alla messa in programma nella mattina di lunedì 6 (quando in Italia sarà pomeriggio inoltrato) nel parco de Los Samanes, a Guayaquil. Dopo il pranzo con la comunità del collegio gesuita Javier, nel pomeriggio il Pontefice rientra nella capitale ecuadoriana per incontrare il presidente della Repubblica e per far visita alla cattedrale cittadina. Il sole e la luna Sono state tantissime, sicuramente alcune centinaia di migliaia, le persone che si sono riversate nelle vie di Quito per salutare con coloratissimi petali di fiori Papa Francesco al suo ritorno in America latina. In un viaggio che dopo quello a Rio de Janeiro per la giornata mondiale della gioventù — appuntamento fissato già dal suo predecessore, ma rivelatosi programmatico pochi mesi dopo l’inizio del pontificato — è il primo americano deciso da Bergoglio, che visiterà Ecuador, Bolivia e Paraguay. Appena arrivato dopo un lungo volo, il Pontefice è stato accolto all’aeroporto dal presidente ecuadoriano Rafael Correa, con un appassionato discorso nel quale, definendo l’ospite un «gigante morale» sullo scenario internazionale, ha mostrato in più punti una convergenza con le sue preoccupazioni. E a sottolineare subito dopo questa «consonanza» è stato lo stesso Papa, che si è presentato come testimone della misericordia di Dio e della fede in Gesù Cristo. Nel Vangelo — ha detto infatti Bergoglio — è possibile trovare le chiavi per affrontare le sfide di oggi: valorizzando le differenze e favorendo il dialogo. Ma con un’attenzione particolare a chi è più fragile e alle minoranze più vulnerabili, che sono ancora «il debito di tutta l’America latina» ha aggiunto. E in questo impegno, a cui si era riferito Correa, la Chiesa sarà sempre disposta a collaborare con lo Stato «per servire questo popolo ecuadoriano che si è alzato in piedi con dignità» ha assicurato il Papa. Tra le cime andine del Paese quella imponente del Chimborazo è geograficamente il punto della terra più vicino al sole e alla luna, ha ricordato Bergoglio. E nell’evocare i due astri Papa Francesco ha accennato a un tema caro a lui e al suo predecessore, osservando che nella tradizione cristiana sono immagine rispettivamente di Gesù — «sole che nasce dall’alto» — e della Chiesa. Come la luna, infatti, questa non brilla di luce propria ma viene illuminata appunto da Cristo, e quando esce dalla sua luce e se ne allontana non è più sua testimone, si oscura. Per essere dunque riflesso della luce e dell’amore del Signore il popolo dell’Ecuador — ha concluso il Pontefice — non deve perdere «mai la capacità di rendere grazie a Dio per quello che ha fatto e fa per voi; la capacità di difendere il piccolo e il semplice, di aver cura dei vostri bambini e dei vostri anziani, che sono la memoria del vostro popolo, di avere fiducia nella gioventù, e di provare meraviglia per la nobiltà della vostra gente e la bellezza singolare» del Paese. Che «secondo il presidente è il paradiso» ha aggiunto Bergoglio riprendendo una frase di Correa, allusiva anche alla necessità di proteggerlo. PAGINE 7 Centinaia le vittime di Boko Haram Si cerca di far ripartire il negoziato Il terrore scuote la Nigeria Dopo la tempesta greca ABUJA, 6. Ancora stragi, ancora orrori in Nigeria. Nelle ultime ore, centinaia di persone sono morte in attacchi riconducibili al gruppo terroristico di matrice islamica Boko Haram. Due bombe sono esplose in un’affollata moschea a Jos uccidendo almeno cinquanta persone. L’ordigno è deflagrato nella moschea Yantaya mentre il predicatore invitava alla coesistenza pacifica tra religioni. Ieri, un’estremista islamica si è invece fatta esplodere in una chiesa evangelica a Potiskum, la città più grande dello Stato nord-orientale di Yobe, uccidendo cinque fedeli che partecipavano alla messa domenicale. Appena tre giorni prima, nella stessa area, i terroristi avevano dato alle fiamme trentadue chiese e oltre trecento abitazioni. Altre vittime civili sono state registrate in alcuni villaggi dello Stato di Borno, presi di mira dai fondamentalisti islamici. Il presidente, Muhammadu Buhari, ha definito «barbarie» gli attentati, sottolineando la necessità di una forza multinazionale allargata per scongiurare la minaccia del terrorismo islamico. y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!/!z!/! g.m.v. Il cibo nell’Italia del XIII secolo se confermare o meno la liquidità d’emergenza alle banche greche. È previsto per oggi un colloquio a Parigi tra il presidente francese, François Hollande, e il cancelliere Merkel. Nelle stesse ore si riunisce il consiglio direttivo della Bce, per capire se concedere o meno un prolungamento del sostegno agli istituti di credito ellenici. Domani è previsto un vertice dell’Ue , convocato dal presidente del Consiglio, Donald All’indomani del voto ellenico I cavoli di Salimbene FELICE ACCRO CCA ATENE, 6. Oltre il 61 per cento dei greci ha votato “no” al referendum sulle condizioni poste dai creditori per attuare un nuovo piano di salvataggio. Ha votato il 65 per cento degli aventi diritto: una soglia sotto le attese, ma superiore al quorum del quaranta per cento. «La Grecia vuole sedersi di nuovo al tavolo delle trattative: vogliamo continuarle con un programma reale di riforme ma con giustizia sociale» ha detto il premier ellenico, Alexis Tsipras, commentando l’esito della consultazione. «Dobbiamo riarticolare la questione del debito, non solo per la Grecia ma anche per l’Europa». E da Bruxelles arrivano questa mattina spiragli di dialogo: «Una cosa è chiara, il posto della Grecia era e resta in Europa» ha detto il vice presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis. Sempre oggi, in una conversazione telefonica, Tsipras e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, si sono accordati sul fatto che domani la Grecia presenterà nuove proposte di accordo. Intanto sul fronte dei mercati, le piazze europee hanno aperto tutte in forte calo, per poi riprendersi e limitare le perdite. Ferve intanto il lavoro in tutte le cancellerie europee, mentre si attendono le decisioni della Banca centrale europea (Bce), che deve scegliere L’occasione che nasce dal no A PAGINA 5 Donne e bambini in fuga da un villaggio dato alle fiamme dai terroristi (Afp) LUCA M. POSSATI A PAGINA 2 Un bancomat ad Atene (Afp) E 8 Tusk, nel tardo pomeriggio. Un Eurogruppo dei ministri finanziari è invece previsto domani mattina. In un comunicato, fonti dell’Eurogruppo hanno confermato che «sono attese nuove proposte da Atene». E intanto il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, ha annunciato oggi le sue dimissioni: «Me ne vado per aiutare Tsipras nella trattativa». Nel frattempo, il mondo politico europeo si confronta con il risultato del voto. «Il taglio del debito per noi non è un tema» ha detto oggi il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, affermando che la posizione di Berlino non è cambiata. Sulla stessa linea il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, per il quale «dopo il referendum le riforme sono ancora necessarie» per poter varare un accordo. In Gran Bretagna, dopo un primo incontro questa mattina con il cancelliere dello scacchiere, George Osborne, il premier Cameron ha convocato una riunione dell’Esecutivo. Dalla Spagna il ministro dell’Economia, Luis de Guindos, ha detto che Madrid è «pronta a negoziare un nuovo pacchetto di aiuti». E sul caso ellenico è intervenuto anche il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, per il quale «la Grecia è in una condizione economica e sociale molto difficile. Gli incontri di domani dovranno indicare una via definitiva per risolvere questa emergenza». L’Europa «deve cambiare, deve aiutare la crescita, o è finita». Ieri il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha parlato di «scenari inediti, che richiederanno a tutti, sin d’ora, senso di responsabilità, lungimiranza e visione strategica». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 lunedì-martedì 6-7 luglio 2015 Migrante presso una stazione di polizia nella città di Presevo in Serbia (Afp) Scenari dopo il referendum greco L’occasione che nasce dal no di LUCA M. POSSATI Quali sono gli scenari che si aprono all’indomani del voto greco? Che tipo di Europa dobbiamo aspettarci? Settanta anni dopo la fine della seconda guerra mondiale e venticinque dopo il crollo del Muro di Berlino e lo spegnersi progressivo della guerra fredda, il mondo è cambiato, l’Europa è cambiata. E oggi anche il progetto europeo, figlio di quei cambiamenti storici e politici, deve cambiare, anche a costo scelte dolorose come l’uscita della Grecia dalla moneta unica. È ancora presto per dire che tipo di Unione seguirà lo strappo di Atene. Ci sono però due fatti che emergono con nettezza. Il primo è che il no greco rientra in un contesto sociale ben più vasto, caratterizzato non solo dalle difficoltà economiche, ma anche da una diffusa avversione alle leadership e alle istituzioni finanziarie, ancora prima che politiche. La recessione esplosa nel 2008 ha segnato un solco profondissimo tra le popolazioni e i leader, nazionali e internazionali, alimentando fenomeni come il nazionalismo, l'estremizzazione del confronto e la nascita di nuovi soggetti come Syriza in Grecia e Podemos in Spagna. Il secondo fatto, speculare al primo, è l’assenza nell’attuale fase di visioni di lungo termine. Dal voto greco, infatti, nessuno esce vincitore: né Tsipras, che, illudendosi di poter ottenere dal no maggior potere negoziale, ha invece isolato ancor di più il suo popolo, né il cancellie- Berlino chiede alla Serbia progressi sul Kosovo BELGRAD O, 6. L’apertura dei primi capitoli negoziali per l’adesione della Serbia all’Unione europea dipende dai progressi che si registreranno nei rapporti tra Belgrado e Pristina. Lo ha detto il cancelliere tedesco, Angela Merkel, che la prossima settimana sarà in visita a Belgrado. «Noi dell’Unione europea abbiamo esortato i Governi di Serbia e Kosovo a negoziare. C’è ancora tanto da fare, ma ci sono davvero buoni segnali di progresso, e spingiamo per accelerare il processo», ha detto il cancelliere in un video-messaggio, come riferito dall’agenzia di stampa serba Tanjug. D all’8 al 9 luglio prossimo, Merkel visiterà l’Albania, la Serbia e la Bosnia ed Erzegovina. Lo ha confermato durante una conferenza stampa a Berlino il portavoce del cancelliere, Steffen Seibert. Alla domanda di un giornalista se il Governo tedesco ritenga che i Balcani siano una “polveriera”, Seibert ha risposto: «Nei Balcani ci sono luoghi che portano ovviamente le cicatrici della guerra nell’ex Jugoslavia e questo verrà ricordato anche nel viaggio di Merkel». L’Europa — ha aggiunto il portavoce — «può dare un suo contributo e la Germania farà la sua parte per il miglioramento della situazione». L’ultimo colloquio tra Serbia e Kosovo, una settimana fa a Bruxelles, con il patrocinio dell’Ue, si è ancora una volta concluso con un nulla di fatto. re Merkel, accusata dalla stampa tedesca di «non sapere che cosa fare nei momenti decisivi», come ha scritto «Der Spiegel», che vede la sua leadership in calo anche in patria. Né tanto meno il presidente della Commissione Juncker, l’ex premier lussemburghese che per mesi ha cercato di limare le posizioni di Syriza, portando avanti il più possibile il negoziato, col solo risultato di radicalizzare ulteriormente il confronto. L’apertura di un nuovo negoziato è difficile, ma non impossibile. Quest’ultima opzione richiederebbe però che tutti i soggetti coinvolti facciano un passo indietro e ripartano da zero. La politica condotta fin qui dalla Bce, dalla Commissione e dal Bruxelles Group — la squadra di esperti che ha sostituito formalmente la troika — ha portato a una sorta di vicolo cieco. Lo stanziamento di nuovi fondi di emergenza per Atene (il programma Ela della Bce), sapendo che quei soldi il Governo greco non potrà restituirli, significherebbe rischiare che anche altri Paesi decidano di imitare il cammino di Tsipras e chiedere liquidità senza impegni. D’altro canto, abbandonare la Grecia al proprio destino — l’uscita dalla moneta unica denominata Grexit — avrebbe un costo ancor più alto con l’apertura di una fase di emergenza umanitaria in tutto il Paese. E questo senza contare che sulla Grecia sono in queste ore puntati anche gli occhi del Cremlino, che in piena crisi ucraina vede di buon occhio un avvicinamento ellenico alla Russia. In un tale contesto, lo scacco greco può essere l’occasione per definire una nuova idea di Europa. Il voto impone — come sottolineano i commentatori internazionali — soprattutto un ripensamento del metodo europeo, che non può e non potrà più essere quello rappresentato dai palazzi di Bruxelles: l’Europa delle élites, dei non eletti, l’Europa dei club riservati come il vecchio asse franco-tedesco. C’è urgente bisogno di un nuovo processo di integrazione che vada al di là dell’unione bancaria o finanziaria, dell’unificazione tecnica, per concentrarsi su nodi ben più importanti come l’immigrazione, la sanità, la comunicazione, il rilancio della ricerca e l’istruzione, il welfare: tutti settori in cui l’Unione europea è ancora a compartimenti stagni. Si apre dunque un bivio. Gli Stati europei devono scegliere: o cedere ulteriore sovranità in nuovi settori, credendo nel progetto di una politica centralizzata che sia a vantaggio di tutti, o continuare ad affidarsi a schemi usurati. In un continente carico di storia e di tradizioni, la vera sfida è proprio quella di abbandonare il retaggio che il passato si porta dietro. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Sbarchi di migranti sulle coste italiane mentre peggiorano le condizioni di vita a Calais Nessuna tregua ROMA, 6. Non si fermano gli sbarchi sulle coste italiane. Nelle ultime ore, più di seicento persone sono state soccorse nel Canale di Sicilia. La nave svedese Poseidon, inserita nel dispositivo europeo Triton, ha tratto in salvo ieri da un barcone alla deriva oltre trecento migranti. Il folto gruppo di persone, tra di loro anche numerosi minori, è stato poi accompagnato a Taranto. Nella città ragusana di Pozzallo sono invece arrivate più di duecento persone trasportate dalla nave Phoenix, intervenuta per soccorrere i mi- granti partiti dalla Libia su un gommone in pessime condizioni. Lo scafista è stato arrestato poco dopo dai carabinieri. I migranti — dicono fonti di stampa — sono di diversa nazionalità, ma principalmente provengono dalla Nigeria, dal Sudan, dalla Somalia, dalla Costa d’Avorio, dal Senegal e dall’Egitto. Diversi presentano lievi ustioni, mentre alcuni hanno riportato delle fratture agli arti e sono stati ricoverati in ospedale. Nel frattempo, sulla questione immigrazione è intervenuto anche il Vittime e incendi per l’afa in Europa ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, sottolineando l’impegno del suo Governo. Venerdì scorso, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto per la partecipazione italiana a EuNavFor Med (dispositivo contro i trafficanti di uomini). «Le fasi ulteriori — ha spiegato il ministro — prevedono azioni di contrasto, con la possibilità di fermare i barconi in mare o individuare i luoghi di raccolta dei migranti. Impiegheremo droni — ha aggiunto — elicotteri, la portaerei Cavour, ma sen- za gli Harrier», gli aerei caccia a decollo verticale. Intanto, sono sempre più difficili le condizioni di vita degli oltre tremila migranti irregolari che stazionano nelle baraccopoli improvvisate a Calais, sul lato francese della Manica, in attesa di entrare in Gran Bretagna. Dopo la notte di venerdì, quando diverse decine di persone hanno cercato di sfondare le barriere che proteggono l’Eurotunnel sotto il mare fra la Francia e la Gran Bretagna, tutte le associazioni umanitarie che stanno operando nella cittadina hanno rilasciato un comunicato congiunto: «La nostra azione qui è quella solitamente riservata alle guerre o alle catastrofi. Le condizioni di vita di queste persone che affollano questa “giungla autorizzata” sono assolutamente insolite in Europa e non rispettano nemmeno le norme stabilite dalle Nazioni Unite per i campi dei rifugiati», hanno poi precisato le stesse associazioni. In particolare, è stata sottolineata la mancanza di acqua potabile, la quasi totale assenza di servizi igienici (non più di venti per le tremila persone, provenienti soprattutto dall’Africa e dal Medio oriente) e cure sanitarie definite «inadeguate». «Il numero di persone che vivono in questa baraccopoli aumenta di giorno in giorno». Violazioni degli accordi di Minsk Si deteriora la situazione nell’est dell’Ucraina BRUXELLES, 6. Non accenna a diminuire l’ondata di caldo torrido che da giorni ha investito gran parte dell’Europa. In Italia tre anziani sono morti ieri sulla spiagge dell’Emilia Romagna. Due vittime nel cesenate: un settantanovenne, a Gatteo, e una turista tedesca a Zadina. Un altro anziano è morto colpito da un malore sulla riviera ferrarese. Grave un settantacinquenne soccorso a Milano Marittima e portato all’ospedale di Ravenna. A Berlino, dove la colonnina di mercurio ha toccato i 40 gradi, è stata chiusa al pubblico la cupola del Reichstag, sede del Bundestag tedesco, dopo che diverse persone erano state colpite da malori. La temperatura interna aveva infatti raggiunto i 44 gradi. Spagna e Portogallo sono invece alle prese con una serie di incendi che, alimentati dal forte vento, stanno impegnando i vigili del fuoco nelle regioni settentrionali. Oltre 1.350 persone sono state fatte sgomberare dalle loro abitazioni in Aragona. In Portogallo gli incendi sono invece localizzati nelle foreste di Alcobertas, a nord di Lisbona. Secondo i meteorologi, l’ondata di caldo nella penisola iberica, con temperature fino a 40 gradi, durerà un’altra settimana. KIEV, 6. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) ha confermato ieri che la situazione della sicurezza nell’est dell’Ucraina è peggiorata negli ultimi giorni, con violazioni della tregua degli accordi di Minsk da entrambe le parti coinvolte nel conflitto e il ritorno sulla linea del fronte di carri armati e lanciagranate. Cinque soldati ucraini sono morti e tre sono rimasti feriti nell’esplosione di una mina vicino al villaggio di Donetsky, una cinquantina di chilometri a ovest della città di Lugansk, ha reso noto il portavoce del ministero della Difesa ucraino, Oleksandr Motuzyanyk, denunciando il proseguimento degli attacchi, anche se di minor intensità, da parte dei separatisti filorussi, soprattutto nella zona a nord di Lugansk, in violazione agli accordi di Minsk. Altri sette soldati ucraini sono rimasti feriti nelle ultime 24 ore investiti dall’esplosione di un colpo di mortaio lanciato dai separatisti. La situazione nell’est dell’Ucraina resta dunque allarmante, ma nonostante lo scambio di accuse tra Mosca e Washington sulle responsabilità della mancata applicazione degli accordi di Minsk, il presidente russo, Vladimir Putin, ha inviato sabato un telegramma al presidente statunitense, Barack Obama, in occasione del Giorno dell’Indipendenza, festa Militare ucraino nel villaggio di Krymske (Ap) nazionale degli Stati Uniti, per sottolineare l’assoluta centralità «a dispetto delle divergenze esistenti» dei rapporti bilaterali russo-americani «per la stabilità e la sicurezza internazionali», di cui costituiscono «il fattore-chiave di gran lunga più importante», a condizione che siano «fondati sul dialogo» a sua volta improntato ai «principi dell’eguaglianza e del rispetto dei reciproci interessi». Una apparente mano tesa del leader del Cremlino: si tratta, infatti, del secondo contatto tra i due leader in due settimane: lo scorso 25 giugno Putin chiamò Obama per discutere la situazione in Ucraina oltre ad altri temi di interesse globale. Quanto vale la natura GINEVRA, 6. Rispettare l’ambiente è un modo per rispondere alla crisi e rilanciare la crescita. A sottolinearlo è un nuovo rapporto del Wwf (World Wide Fund for Nature, organizzazione internazionale non governativa con sede in Svizzera) secondo cui almeno il sessanta per cento delle specie animali e vegetali in Europa è a rischio, con possibili ricadute negative sull’economia reale. Occorre dunque investire di più sulla protezione della natura e in particolare sul rispetto degli habitat delle diverse specie. «Disporre di una buona dotazione di servizi ecosistemici significa avere una maggior ricchezza pro-capite in termini di capitale naturale, un benessere migliore delle comunità umane e maggiori opportunità di sviluppo» si Impianti industriali e pale eoliche in Germania (Reuters) GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 legge nel rapporto. In effetti — sottolineano gli esperti — la natura vale tanto in termini economici, grazie ai servizi ecosistemici, dalla produzione di cibo e la disponibilità di acqua, all’assorbimento degli inquinanti alla protezione dall’erosione e dalle inondazioni. E di questo deve tenere conto anche la Commissione europea, che proprio in queste settimane sta rivedendo le direttive sull'ambiente e sulla protezione delle specie animali e vegetali. Insomma — dice il Wwf — i sistemi naturali, ovvero la ricchezza degli ecosistemi e la biodiversità, con i servizi che essi offrono gratuitamente allo sviluppo e al benessere umano, sono la base essenziale dei processi economici e del benessere delle società umane. E quindi vanno protetti. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 6-7 luglio 2015 pagina 3 Soldati tunisini a Kasserine nei pressi del confine con l’Algeria (Reuters) Quattro attentati a Baghdad Raid su Raqqa per fermare l’Is DAMASCO, 6. Non si fermano i combattimenti in Siria. La coalizione internazionale a guida statunitense ha compiuto ieri una serie di pesanti bombardamenti aerei contro postazioni del cosiddetto Stato islamico (Is) a Raqqa, una delle principali roccaforti degli uomini di Al Baghdadi. Si è trattato delle operazioni più vaste mai svolte sul territorio siriano da quando è iniziata l’offensiva dell’Is. Oltre trenta le vittime, tra le quali diversi civili. Numerosi i danni a strade e infrastrutture, secondo quanto riferiscono fonti di stampa. L’Is sui suoi siti internet ha confermato gli attacchi, parlando però di dieci morti. Ma Raqqa non è l’unico fronte siriano. Intensi combattimenti sono stati segnalati nel fine settimana tra jihadisti e militari siriani ad Aleppo. E sempre ieri, le forze dell’esercito siriano, appoggiate da reparti del braccio armato del movimento sciita libanese Hezbollah, hanno annunciato di essere entrate a Zabadani, l’ultima città controllata dai miliziani dell’Is nella regione di Qalamun, vicino alla frontiera con il Libano. Intanto, le violenze continuano anche in Iraq. Una serie di quattro ordigni esplosi in quartieri e sobborghi sciiti di Baghdad hanno causato ieri almeno 15 morti, secondo quanto rivelano le autorità irachene. Due degli ordigni sono esplosi fuori da ristoranti e caffè: uno nel quartiere di Al-Obeidi e l’altro a Jisr Diyala. Altre due bombe sono invece esplose presso fermate dell’autobus. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha in programma oggi un incontro con i vertici del Pentagono per fare il punto sulla campagna contro l’Is in Iraq e in Siria. Nei giorni scorsi il Pentagono aveva difeso il proprio approccio, sicuro dell’efficacia del programma in cui resta centrale l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze locali. Nel frattempo, i miliziani dell’Is hanno diffuso in internet un nuovo video shock nel quale venticinque soldati siriani inginocchiati sarebbero giustiziati con un colpo alla nuca da altrettanti bambini. Il tutto di fronte a una platea di civili costretti ad assistere alla macabra esecuzione nell’anfiteatro di Palmira. Difficile il dialogo tra le fazioni libiche Essebsi chiede sostegno internazionale nella lotta al terrorismo Stato d’emergenza in Tunisia TUNISI, 6. «Abbiamo l’Is alle porte». Con questo drammatico avvertimento, il presidente tunisino, Beji Caïd Essebsi, ha proclamato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale da sabato scorso, per trenta giorni rinnovabili, aggiungendo che la Tunisia ha bisogno di sostegno internazionale poiché tutti i Paesi sono preda del terrorismo. «Gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna, l’Ue e l’Algeria — ha detto Essebsi — sostengono la Tunisia contro il terrorismo». La Tunisia è ancora sotto shock a poco più di una settimana dalla strage di turisti a Sousse, tragico seguito dell’attentato del marzo scorso al museo del Bardo. E sabato il presidente della Repubblica e comandante delle forze armate ha annunciato di aver dichiarato lo stato d’emergenza in un discorso alla Nazione di trenta minuti. «La Tunisia sta vivendo circostanze eccezionali che necessitano di misure eccezionali», ha affermato Essebsi. «Noi non abbiamo la cultura del terrorismo, è un problema regionale», ha aggiunto, sottolineando che «nella vicina Libia ci sono milizie armate, l’Is è alle nostre porte, siamo in guerra contro il terrori- smo, è una lotta che dobbiamo vincere a tutti i costi». Gli ultimi due attentati, poi, hanno messo il Paese in ginocchio: «Noi abbiamo creduto che l’attacco al museo del Bardo sarebbe stato l’ultimo. Lo Stato potrebbe crollare se dovesse subire un altro attentato come quello di Sousse. Adottare lo stato di emergenza è un mio dovere», ha spiegato Essebsi. Il provvedimento, che era nell’aria dal giorno dell’attentato al resort di Sousse in cui sono morte 38 persone, dà maggiori poteri a governatori, esercito e polizia e prevede una limitazione di alcuni diritti della persona (come quelli a manifestare e a radunarsi) al fine di combattere più efficacemente il fenomeno del terrorismo. Lo stato d’emergenza accorda poteri eccezionali alle forze dell’ordine, che potranno compiere «perquisizioni di giorno e notte e prendere tutte le misure necessarie per assicurare il controllo della stampa e le pubblicazioni di ogni natura». Già in vigore dal 15 gennaio 2011, lo stato di emergenza era stato revocato il 6 marzo 2014. Una revoca, che non precludeva comunque la L’inviato dell’O nu a Sana’a Decine di indagati per la strage in Kuwait KUWAIT CITY, 6. Sono quaranta in tutto le persone indagate per l’attentato eseguito il 26 giugno scorso contro la moschea sciita di Al Sawabir, in Kuwait. Secondo quanto ha riferito ieri alla stampa un dirigente del ministero della Giustizia, tra le persone indagate ci sono diverse donne. La decisione spetta però ora alla procura che dovrà firmare i rinvii a giudizio per l’attentato nel quale 27 persone sono morte e 227 sono rimaste ferite. Nello stesso giorno in cui il terrorismo aveva colpito in Francia e in Tunisia, un uomo era entrato Cellula jihadista sgominata al Cairo IL CAIRO, 6. Il ministero dell’Interno egiziano ha annunciato oggi di aver sgominato una cellula terroristica attiva al Cairo. Secondo quanto riporta il quotidiano «Al Masry Al Youm», la cellula era composta da dodici persone, che diffondevano la propaganda jihadista, e a sua volta si era divisa in tre gruppi. La base era in alcuni appartamenti nella zona di Salam City del Cairo dove sono state rinvenute numerose armi. Nel frattempo, l’esercito egiziano ha lanciato ieri una serie di raid aerei e incursioni di terra nel nord del Sinai, uccidendo venticinque militanti islamisti. È quanto ha riferito l’emittente «Al Arabiya» che cita fonti della sicurezza, secondo cui i combattenti jihadisti sarebbero stati uccisi fra Sheik Zuid e il valico di Rafah, al confine con la Striscia di Gaza. Le forze armate egiziane hanno individuato quattro rifugi dei militanti e, successivamente, hanno dato il via a un raid condotto con gli elicotteri Apache e un’incursione con le truppe di terra. Recenti attacchi di estremisti jihadisti hanno provocato la morte di centosettanta persone. possibilità di un supporto militare alla forze di sicurezza se necessario. Il partito islamico Ennahdha è sceso in campo a favore dello stato d’emergenza proclamato dal presidente. Una nota firmata dal leader del partito, Rachid Ghannouchi, chiede «ai cittadini di unirsi alle istituzioni e alla democrazia», sostenendo e rafforzando «l’unità nazionale e militare contro questa situazione eccezionale». Il leader di Ennahdha ha aggiunto che «il popolo tunisino deve respingere ideologicamente il terrorismo, una pratica che non ha futuro nel Paese». E all’indomani della proclamazione dello stato di emergenza, si è registrata una raffica di arresti su tutto il territorio nazionale. A Sfax, all’alba di oggi è stato arrestato Abu Mossob, noto estremista, mentre ad Hammamet la Guardia nazionale, insieme a unità dell’esercito e della brigata antiterrorismo, ha proceduto all’arresto di sei persone accusate di legami con elementi implicati in attività terroristiche. A Biserta altri undici arresti nei confronti di sospettati di appartenere a gruppi legati al terrorismo. Sequestrati durante l’operazione telefoni portatili e bandiere dell’Is. nella moschea di Al Sawabir con una cintura esplosiva e si era fatto saltare in aria mentre almeno duemila persone erano presenti per la preghiera del venerdì. Il cosiddetto Stato islamico (Is) aveva rivendicato la strage nel luogo di culto sciita. Gli sciiti rappresentano il trenta per cento della popolazione del Paese, che è complessivamente di 1,3 milioni di abitanti. Questo attentato — aveva commentato il premier del Kuwait, Sheikh Jaber — punta a «minare la nostra unità nazionale, ma noi siamo più forti» dei terroristi. TRIPOLI, 6. Il premier del Governo libico di Tobruk, Abdullah Al Thani — riconosciuto dalla comunità internazionale — ha affermato in un’intervista al quotidiano «Times of Malta» che i negoziati sotto l’egida dell’Onu potrebbero trascinarsi fino a dicembre, se non oltre, aggiungendo che il Congresso nazionale Generale (Gnc), l’autoproclamato Parlamento di Tripoli, sta ostacolando il dialogo. «Cercano di avere un ruolo più forte nella Libia del futuro, e la stabilizzazione della Libia non farebbe ottenere loro alcun guadagno politico», ha detto alludendo all’Assemblea di Tripoli. Nella scorsa settimana l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Bernardino León, ha invitato la delegazione di Tripoli a riprendere il negoziato con il Parlamento di Tobruk. La trattativa si volge a Skhirat, in Marocco. Passi in avanti sull’accordo per il nucleare iraniano VIENNA, 6. Si sono visti ieri per tre ore e mezza a Vienna il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, a due giorni dalla scadenza fissata per la conclusione dei negoziati sul programma nucleare iraniano. Iran e Stati Uniti, ha detto Kerry, hanno fatto «autentici passi in avanti» nella trattativa, ma ci sono ancora questioni irrisolte e l’Amministrazione di Washington è pronta ad abbandonare il tavolo del negoziato. Il segretario di Stato americano ha avvertito che «è giunto il momento di vedere se siamo in grado o meno di raggiungere un’intesa», avvertendo che allo stato attuale i negoziati potrebbero avere qualunque esito. «Negli ultimi giorni — ha spiegato — abbiamo compiuto notevoli progressi, ma voglio essere assolutamente chiaro nel dire che non siamo assolutamente dove dovremmo essere riguardo ad alcune delle questioni più difficili». A Vienna, oltre a Kerry e a Zarif, sono presenti i capi delle diplomazie degli altri Paesi coinvolti nel negoziato: Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina — come gli Stati Uniti membri permanenti del Consiglio di sicurezza, più la Germania. Respinto dal Parlamento afghano il candidato proposto dal presidente alla D ifesa Bocciato il ministro di Ghani L’inviato dell’Onu giunge nella capitale yemenita (Afp) SANA’A, 6. L’inviato speciale dell’Onu nello Yemen, Ismayl Ould Sheikh Ahmad, è giunto ieri a Sana’a per incontrare i vertici del movimento Ansar Allah dell’imam sciita Abdel Malik Al Huthi. Lo scopo del viaggio è trattare una tregua umanitaria con i ribelli sciiti alla luce della situazione di emergenza in cui versa il Paese dopo il crollo del sistema sanitario. È questa l’ultima sfida del diplomatico mauritano che sta facendo la spola tra Riad e Sana’a per cercare di avvicinare le posizioni e trovare una soluzione alla crisi yemenita, facendo leva sulla tragedia umanitaria in corso nel Paese del Golfo persico. Nei giorni scorsi i miliziani sciiti huthi hanno annunciato la possibilità di valutare una tregua dei combattimenti fino alla fine del Ramadan, iniziato il 18 del mese scorso, e di discutere con le Nazioni Unite della distribuzione di aiuti alla popolazione. A maggio era stato raggiunto un accordo per una tregua umanitaria di cinque giorni, grazie alla mediazione dell’Onu, per permettere la distribuzione di medicine e di carburante ai civili intrappolati in zone di guerra. KABUL, 6. La Camera bassa del Parlamento afghano, o Wolesi Jirga, ha bocciato la nomina di Mohammad Masoum Stanikzai alla guida del ministero della Difesa, chiedendo al presidente Ashraf Ghani di indicare un altro candidato. Si tratta della seconda bocciatura che arriva dai deputati rispetto al ministro della Difesa indicato da Ghani e la posizione resta vacante da nove mesi. «Dal momento che Stanikzai non è riuscito a ottenere 107 voti in suo favore, allora la Camera bassa vuole che il presidente indichi una nuova persona per l’incarico» ha detto il presidente della Camera Abdul Rauf Ibrahim. Su 213 deputati che hanno partecipato al voto, solo 84 hanno sostenuto Stanikzai, mentre 104 si sono espressi contro. In base all’articolo 64 della Costituzione afghana, i ministri devono essere indi- cati dal presidente e approvati dal Parlamento. Stanikzai ha fatto parte come ministro e consigliere per la Sicurezza Nazionale del precedente Governo presieduto da Hamid Karzai. Si tratta del terzo candidato proposto dal capo dello Stato afghano che non raggiunge l’obiettivo di insediarsi alla guida del delicato dicastero. Prima di lui anche Sher Mohammd Karimi è stato bocciato dal Parlamento mentre Afzal Ludin si è ritirato tre giorni dopo la sua designazione. E mentre la politica non riesce a trovare un’intesa sul ministro della Difesa, gli insorti talebani continuano la loro offensiva. Tre persone sono morte e altre tredici sono rimaste ferite in un attentato suicida realizzato ieri a Kandahar City, capoluogo della omonima provincia meri- dionale afghana. Lo ha riferito l’agenzia di stampa Aip. Zia Durani, portavoce della polizia provinciale, ha precisato che l’attacco è avvenuto in serata vicino a un luogo di preghiera degli sciiti della città. Fra le vittime, ha inoltre precisato Durani, vi sono un agente di polizia, un bambino e una donna. Nel frattempo, nel confinante Pakistan, almeno tre membri delle forze di sicurezza sono morti ieri nell’esplosione di un rudimentale ordigno nel Waziristan settentrionale. Fonti dei servizi di sicurezza hanno indicato che la bomba è stata attivata a distanza al passaggio di un veicolo militare nell’area di Bannu. Dallo scorso anno è in atto nel Nord Waziristan un’offensiva di esercito e polizia pakistani contro i movimenti armati antigovernativi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 6-7 luglio 2015 Albert Benaroya, «Mitzvot» (XXI secolo) Una cattedrale tra storia e leggenda Baluardo per gli emarginati da Durham CRISTIAN MARTINI GRIMALDI i dice sia stata costruita su sette colli, come Roma. Ma da lontano, al posto di una cupola, si scorge la torre della magnifica cattedrale. Situata su un promontorio roccioso, per raggiungerla bisogna attraversare prima il ponte sul fiume Wear e poi percorrere in salita gli stretti vicoli. Ogni turista che arriva a Durham percorre involontariamente lo stesso calvario a cui erano costretti i cattolici perseguitati del XVI secolo. Questi, infatti, legati con delle funi a dei cavalli, venivano trascinati su S Arrivando in città involontariamente ogni turista percorre lo stesso calvario a cui erano costretti i cattolici perseguitati nel XVI secolo per la collina: una volta giunti alla vetta, venivano impiccati. Oggi in quel luogo sorge una scuola. Ma se i siti di martirio spesso tendono a essere fagocitati dalla più recente architettura urbana, ci pensa la toponomastica a preservarne la memoria. Il quartiere di Dryburn per esempio. Nel 1590 quattro sacerdoti vennero condannati a morte. Una leggenda narra che dopo l’esecuzione un piccolo corso d’acqua nei pressi del sito si fosse completamente prosciugato, e burn nell’antico inglese significa proprio fiume. Ecco perché la zona venne ribattezzata Dryburn, “fiume secco”. Le aree con la più radicata tradizione cattolica in Inghilterra sono da sempre il Lancashire e appunto il nord-est. Non va dimenticato che di testa di leone: qui venivano a bussare ladri e criminali in cerca di rifugio. «Ma non erano solo criminali» specifica Mike, ottantenne volontario che accoglie i turisti della cattedrale e che si esprime con un forte accento locale. «Bastava — aggiunge — aver commesso il più piccolo furto, anche per mera necessità di sopravvivenza, e le autorità ti sbattevano immediatamente in qualche squallida prigione dove eri destinato a morire di inedia». La chiesa fungeva da ultima isola di salvezza, forniva ospitalità a questa umanità emarginata e senza alcuna possibilità di riscatto sociale. Il patto era questo: ospitalità per poche settimane in cambio della promessa che avrebbero raggiunto, solitamente a piedi impiegando tre giorni, la costa. Da lì avrebbero preso il largo verso altri mari o altri oceani su qualche imbarcazione. È buffo pensare come in questi stessi locali che una volta offrivano ospitalità a chi era nel bisogno, non più di quindici anni fa abbiano realizzato alcune scene di una delle produzioni cinematografiche di maggior successo: quella relativa a Harry Potter. È nel cortile interno che sono state girate alcune sequenze del film in cui i ragazzi indossano le famose Hogwarts Uniforms. E la finzione cinematografica pesca da una realtà viva proprio a due passi dalla cattedrale, ossia nel castello dove vivono come residenti un centinaio di studenti universitari. Ebbene, prima di cena, tutti si preparano vestendo le lunghe uniformi non dissimili da quelle indossate dagli studenti della celebre saga del maghetto. Gli studenti che abitano qui, selezionati in maniera del tutto casuale, contribuiscono con zelo nel mantenere ordine e Positivo e negativo in Haim Baharier Un mondo claudicante di CRISTIANA D OBNER i sorpresa in sorpresa. Non poteva che essere così conoscendo Haim Baharier: matematico, psicanalista, consulente aziendale, commerciante di preziosi, maestro in Israele per la sua ermeneutica biblica e rabbinica. Ben quattro opere precedono La valigia quasi vuota (Milano, Garzanti, 2014, pagine 144, euro 14,90), un volume che, proprio come il suo autore, si presenta poliedrico e come l’ebraico polisemico, quindi di difficile classificazione. Tuttavia, perché classificarlo? Forse l’enigma si scioglie D Il verbo “ridere” in ebraico non è transitivo, ma riflessivo Non si ride dell’altro ma di sé Di una propria inadeguatezza semplicemente lasciandosi trasportare dalle pagine che, altrimenti, sfuggono come l’acqua che si voglia trattenere fra le dita. Il gioco della narrazione non consta nell’esistere e neppure nel non esistere ma nella dinamica sottile che si instaura e crea vita: esiste l’autobiografia ma, nel contempo, non esiste l’autobiografia. Eppure Haim si racconta e, per la prima volta, consegna se stesso al lettore. Si consideri il famoso Chouchani, si pronunci “Sciusciani”: questo maestro famoso esiste o non esiste? Perché presenta vari e diversi volti, è un clochard? Un eruditissimo personaggio? Uno schnorrer (mendicante in yiddish)? Un genio assoluto? Una persona che legge dentro i cuori e nel futuro? «Io non so cosa sappia (...) ma di una cosa sono certo: tutto quello che io so, lui lo sa», affer- mava Emmanuel Lévinas. Un altro esempio: esiste il curvarsi sulla Torah, eppure non esiste nel contempo, perché è nella storia che tutto risuona, storia in cui l’Altissimo balugina? Di certo, l’avvio di questo libro sorprendente prende le mosse dal dopo guerra a Parigi con un bambino che guarda al padre maestro: «Parigi dei primi anni Cinquanta? Ebrei da ogni dove, Polonia, Lituania, Germania. Tra questi i miei genitori, entrambi scampati ad Auschwitz. E poi noi, io e mio fratello? La nostra lingua madre era una lingua straniera». Bambino riflessivo Haim, attento, cui pesa il massacrante lavoro dei genitori, ritmato dalla macchina da cucire in un piccolo appartamento di 35 metri quadri dove, però, c’è posto per monsieur Chouchani (cui Haim deve cedere il letto) e per i reduci dai lager nazisti «uomini e donne, dai volti scavati, cadaveri lisciati a festa per il funerale». Vita ritmata dalle liturgie al Tempio e dal maestro che inizia il ragazzo al Talmud ma che, di fatto, è un sarto. Esiste e non esiste? Ben vivo però sulla scena di queste esistenze proprio Chouchani: da dove spunti e dove sia diretto, nessuno lo sa. Se la famosa valigia legata con una corda che spunta e rispunta nel racconto potesse raccontarlo, forse si potrebbe ricostruirne l’itinerario. È una persona dal difficile carattere, dalle parole brevi ma incisive: Haim, ragazzino, ne è magnetizzato e insieme respinto, quando allo Shabbat Chouchani viene accolto come ospite dai Baharier. Sarà una sorta di stigma che scandirà la vita dell’adolescente, del giovane e infine dell’anziano. Il basso continuo di tutta l’opera agisce in ogni episodio sempre tra i due poli: esiste/non esiste, positivo e negativo che si attraggono e si respingono. Balza a tutto tondo la precarietà della vita umana che proprio Chouchani porta in sé: la claudicanza che innerva la sua personalità onnisapiente. «Qualcuno in quei tempi lontani, di Chouchani trattenne l’eccezionalità, il suo essere il meglio, e in essa si consolò. Chouchani accecava ogni individuo che incontrava. Solo collettivamente, insieme, quei reduci facevano schermo e riuscivano al di là delle scintille, e per mezzo di queste scintille, a coglierne l’essenza: la claudicanza». Il suo grido a Israele e tutte le persone parte proprio dalla claudicanza, ancora una volta attraente perché mitiga e colloca nella sua giusta dimensione il sapere universale, ma simultaneamente respingente, perché richiama la persona alla sua precisa e ineludibile responsabilità. «La claudicanza la considero una condizione comune a tutto il genere umano; a imitazione non dell’imperfezione ma della perfettibilità, intesa come percorso. Ce lo suggerisce la Torah. È nella Genesi. Quando vennero creati Luna e Sole, essi furono all’inizio ugualmente grandi, ci dice il testo, i due grandi luminari del cielo. Ma La scuola professionale Hector-Guimard di Parigi e i «sans papier» Per dare un volto ai numeri Thomas Girtin, «La cattedrale di Durham» (XVIII secolo) lo stesso Enrico VIII, pochi anni prima della rottura con Roma, ottenne da Leone X il titolo di Defensor fidei e ancora oggi il titolo compare (Fid. Def.) sulle monete inglesi. Ma Durham cinquecento anni fa non era solo un grande centro del cattolicesimo britannico, ma una delle realtà più popolate del nordest, quando città come Newcastle, oggi quattro volte più popolosa, erano dei meri puntini sulle mappe geografiche del continente. La stessa cattedrale all’occorrenza poteva fungere da fortezza: le vetrate si trovano a svariati metri da terra, a prova di qualunque assalitore. Ma nonostante l’imponente struttura le mura della cattedrale erano permeabili per alcune categorie sociali. All’ingresso del portone principale c’era una porta di ferro (oggi ricostruita) con una maniglia a forma pulizia entro il perimetro del castello: non si organizzano feste scatenate, come invece avviene nella vicina università di Newcastle. In alto, nella sala da pranzo la cui struttura risale all’O ttocento, sono appese ancora le armature originali di secoli fa, quelle che utilizzavano per accertare l’affilatura delle spade, tutte ancora seminate di ammaccature e schiacciamenti. Sarebbe bello osservare l’effetto che fa passeggiare per le magnifiche scalinate del castello dopo il tramonto, ma qui le regole sono tassative: i turisti dopo le cinque devono uscire fuori dal grande portone di ferro. La vista del castello dall’esterno quando ormai è già buio permette però di scoprire un suggestivo particolare: le luci artificiali sembrano modulate per imitare le vecchie candele, quelle che per secoli hanno rischiarato quegli spazi interni. «Quando mi chiedono di che partito sono rispondo sempre che il mio impegno in politica si chiama Hector-Guimard» spiega Benoît Boiteux, provveditore del più grande istituto professionale di Parigi, l’Hector-Guimard appunto, rispondendo alle domande di Marie Desplechin, scrittrice che ha pubblicato un lungo reportage su «Le Monde» del 4 luglio scorso, dal bel titolo Redonner un visage aux chiffres. Nella sua scuola — continua Boiteux — gli studenti sans papier sono tanti, e sono trattati come una risorsa, non come un problema. All’avventura educativa dell’istituto professionale dove si formano i futuri elettricisti, idraulici, imbianchini e operai del settore edilizio il giornale francese ha dedicato un dossier. Un’esperienza in controtendenza con la diffusa indifferenza — non teorica ma pratica — dei poteri pubblici, tanto prodighi di parole quanto avari di progetti concreti, che nasce dal rapporto diretto e senza filtri ideologici con la realtà. Quando una cifra tratta da un report statistico diventa un nome e un cognome, e un’idea di riforma o l’esito di un’analisi astratta viene sostituito da un volto cambia tutto, spiegano gli insegnanti dell’associazione Réseau éducation sans frontières, nata dieci anni fa per rispondere a un bisogno primario sottovalutato, quello di un solido percorso educativo. «Per fortuna — spiegano i volontari dell’associazione — la scuola è un luogo privilegiato per incontri inattesi. Finché un minore straniero non accompagnato resta una categoria sociologica è facile dimenticarsene: diventa difficile quando la categoria sociologica ti guarda dal banco la mattina presto, magari dopo aver dormito per strada». Anche al termine del ciclo scolastico, continua Benoît Boiteux, i problemi e le difficoltà per i ragazzi non sono finiti. Spesso si crea una situazione paradossale: lo Stato forma dei professionisti a cui poi impedisce di lavorare. Esistono degli strumenti legislativi per sostenere e accompagnare i giovani lavoratori dai 18 ai 21 anni, ma raramente vengono applicati. Addirittura, in presenza di minori non accompagnati spesso le pratiche burocratiche sono così lente che quando l’iter si conclude e la pratica giunge a buon fine — dopo aver superato tutte le fasi degli accertamenti e dei controlli — il minore è diventato maggiorenne. la Luna protestò: due sovrani non possono fregiarsi della medesima corona. Hai ragione, rispose il Creatore, vai e rimpicciolisci! Diventa claudicante. La claudicanza di cui parlo è una fiera menomazione, perché grandezza e precarietà non sono in alternativa, ma costituiscono il modus vivendi dell’uomo responsabile». Haim Baharier, i cui genitori fecero fortuna, è ben conosciuto per le lezioni private e le lezioni Haim Baharier pubbliche in teatri cittadini, in cui dopo l’avvio con un passo della Bibbia ebraica, scorrono le interpretazioni e le suggestioni, in un susseguirsi di domande che, per indurre alla claudicanza, devono restare tali. Domande appunto. Come si forma la claudicanza? «Persino l’umorismo è una concausa della claudicanza. Il verbo “ridere” in ebraico non è transitivo, ma riflessivo: non si ride dell’altro ma di sé, il riso nasce da un propria contraddizione, da una propria inadeguatezza. Nella valigia quasi vuota lasciata in eredità da Chouchani, più simile a un povero scatolone, c’è anche racchiuso l’arcano della scrittura, che si muove come le onde del mare, indietreggia e avanza, sparisce e riappare fra ritrosia ed emergenza, sempre tesa verso l’assoluto, anche quando si fa claudicante». I frammenti diversi, come in un caleidoscopio, scintillano e conducono ad assaporare e a pensare. «La chiave della claudicanza è qui, affondare goffi nel terreno per librarsi nei cieli con dignità». Questo libro seducente va letto con a fianco Chouchani, con la chiave offerta dallo stesso Baharier. Perché anticipare il contenuto della valigia? Si romperebbe l’incanto che trascina e abbassa e innalza chi si riconosce nel dettato del narratore, ancora una volta, leggero e aereo, ma pesante e piombato per la coscienza del lettore. L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 6-7 luglio 2015 pagina 5 «Les Très Riches Heures du duc de Berry», il mese di gennaio (1412-1416, particolare) Narrando la visita di Luigi IX al Capitolo provinciale dei minori riunito a Sens nel 1248 il frate annota l’intero menù che il re fece servire in quell’occasione Cronache e aneddoti sul cibo nell’Italia del XIII secolo I cavoli di Salimbene tutto il mondo, ma principalmente nel regno d’Italia e in Lombardia», vale a dire nell’Italia settentrionale. In quell’anno si registrò pure una «gravissima carestia, e in alcuni casi uno staio di frumento fu venduto nove soldi imperiali e venti soldi reggiani». Né omette il cronista di segnalare i prezzi raggiunti in quella medesima occasione dalle fave, dalla melica, dall’olio d’oliva. Nel 1286 in molte città dello stesso territorio si registrò una grave mortalità di galline, tanto che «nella città di Cremona a una sola donna morirono nel giro di poco tempo quarantotto». Ciò fece sì che una sola gallina finisse per vendersi a «cinque denari piccoli». Ciononostante, la sagacia di alcune donne partorì un rimedio efficace a contrastare l’improvvisa moria: dettero infatti da mangiare alle loro galline «del marrubio pestato, ossia tritato, impastandolo con acqua e crusca e anche farina», e «grazie a tale antidoto» salvarono i loro animali. Poche note soltanto, da un testo ricchissimo e ameno, che rivelano però, con straordinario realismo ed efficacia, le difficoltà di molti a prender parte al banchetto bandito dal Signore per ogni uomo e donna di questo mondo. Forlì, non mancò di devastare «le vigne, le biade, le piante da frutta, gli oliveti, i fichi, i mandorli, i bei melograni, le case e gli animali» e tutto quanto si poté trovare sui campi. Scene consuete d’ordinaria follia: se leggiamo non soltanto la Cronaca del parmense, ma tantissime altre opere contemporanee di genere identico, possiamo esser sicuri che buona parte delle pagine sono occupate da “fuori stagione” (come l’esperienza È sulla parte ustionata, dice un descrizioni analoghe. proverbio nel mio dialetto, che viene Oltre che di spada Se a ciò aggiungiamo insegna ancor oggi). Alla fine di giugli inquinamenti delle gno 1276, ad esempio, «venne un di- a cadere l’acqua bollente. Difficoltà in guerra si moriva anche di fame acque, imputridite da luvio grande e straordinario di ac- identiche, ma determinate da motivi e di malattie provocate cadaveri di uomini e que», tanto che il torrente Crostolo solo in parte simili — in maggio animali, si comprende crebbe al punto che il territorio da piogge continue non consentirono di dall’inquinamento delle acque facilmente che in guerra Rivalta a Bagnolo (nell’attuale pro- lavorare, mentre in estate la siccità imputridite dai cadaveri non si moriva tanto di vincia di Reggio Emilia) ne fu tutto lasciò tutti senza ortaggi — sono respada, quanto di malat- allagato: «le biade furono travolte gistrate dal cronista alcuni anni dotie e di fame e che i pri- nei campi», i raccolti andarono per- po (1285) a Reggio Emilia. Per non vinciale dei frati minori riunito a mi a farne le spese erano, natural- duti, ponti e case crollarono, alcuni parlare delle carestie. Ovvio che in quei frangenti si reSens, Salimbene ci trasmette addirit- mente, i più poveri e tra questi, in ospedali furono sommersi e molto bestiame morì. La cosa non finì lì, gistrassero rincari dei prezzi, con tura l’intero menù che il re fece ser- primo luogo, vecchi e bambini. Ma non c’erano solo le guerre a perché le piogge continuarono «per inevitabili speculazioni. Nel 1277, asvire nell’occasione. «Quel giorno, dunque, avemmo per prima ciliegie rendere dura la vita lasciando la tutta l’estate e per tutto l’autunno; sicura Salimbene, «ci fu una grande (cerasas) e pane bianchissimo; venne gente senza cibo. Anche il clima ri- per questo la gente non poté semi- mortalità e gravi malattie fra gli uomini, i bambini e le donne, quasi in servito anche vino servava le sue brutte sorprese, spesso nare». abbondante e speciale, come era conveniente alla magnificenza regia (…). Poi avemmo fave fresche cotte nel latLa simbologia del sole e della luna ricordata da Francesco te e pesci e gamberi e pasticcio di anguille, riso al latte di mandorle con polvere di cannella, anguille abbrustolite con ottima salsa, In sant’Ambrogio «il simbolismo più fioAnche Papa Francesco, nel suo discortorte e giungate rito, scintillante di metafore e di analo- so pronunciato il 5 luglio durante la ceri(latte rappreso, dolgie, insinua la Chiesa dovunque affiori monia di benvenuto all’aeroporto di Quiciastro e tenerissiun pensiero di Dio sull’umanità da salva- to, in Ecuador, è ritornato su questo temo) e la frutta re: la Chiesa è nave, la Chiesa è arca, la ma da anni a lui molto caro. «Noi cristiad’uso, tutto in abChiesa è esercizio, la Chiesa è tempio, la ni — ha ricordato — paragoniamo Gesù bondanza e buoChiesa è città di Dio; la Chiesa perfino Cristo con il sole, e la luna con la Chieno». alla luna è paragonata, nelle cui fasi di sa; e la luna non ha luce propria, e se la Un’altra volta Sadiminuzione e di crescita si riflette la vi- luna si nasconde dal sole diventa scura. limbene fu ospite, in Il sole è Gesù Cristo, cenda alterna della Auxerre, della cone se la Chiesa si seChiesa che decade e tessa Matilde, che a para o si nasconde che rimonta, e che pranzo offrì ai suoi Nelle fasi da Gesù Cristo dimai viene meno, perospiti ben dodici La raccolta dei cavoli, «Tacuinum Sanitatis» (XV secolo) venta oscura e non ché fulget... Ecclesia di diminuzione e di crescita portate. Naturaldà testimonianza. non suo sed Christi mente queste splensi riproducono Che in queste giorlumine, splende non dide occasioni furole vicende alterne della Chiesa nate si renda più evidi propria luce, ma latino 7260. All’opera, che copre un no un privilegio di pochi: la realtà dente a tutti noi la di quella di Cristo». arco temporale di circa centoventi ordinaria era ben altra. vicinanza del “sole Nell’omelia dedicaanni (1168-1287), il frate lavorò tra il Cronista tutt’altro che obiettivo, il che sorge dall’alto” ta a sant’Ambrogio il 1283 e il 1288. parmense non teme di manifestare le 7 dicembre 1958, l’arcivescovo di Milano, (cfr. Luca, 1, 78), e che siamo riflesso delAnche sul tema del cibo la Crona- proprie parzialità. A proposito dei Giovanni Battista Montini, ricordava una la sua luce, del suo amore». ca offre preziose notizie e aneddoti francesi — «presuntuosissimi» e serie di metafore relative alla Chiesa Hugo Rahner si interessò dell’argogustosi. Veniamo così a sapere che la «pessimi», dispregiatori di «tutti i Cristo nelle vesti del dio sole Apollo facendo riferimento anche a quella mento in particolare nel celebre studio sera in cui fu ricevuto nell’Ordine — popoli del mondo» — scrive che (mosaico del III secolo, Necropoli vaticana) utilizzata da Hugo Rahner, il patrologo del 1939 Mysterium Lunae, nel quale si era un giovedì — malgrado Salimbe- «quando hanno bevuto più del negesuita, fratello di Karl, che in quegli anni appropria di quanto la scienza e la poesia ne avesse cenato splendidamente in cessario credono di poter vincere e approfondiva il rapporto tra il cristia- antica avevano sviluppato a partire casa di suo padre, i frati lo fecero tenere in possesso» chiunque. Ecco nesimo antico e le conoscenze su sole e dall’osservazione del cielo. Si passa da mangiare ancora benissimo. Tutta- allora che il grosso esercito di franluna, presi a immagine di Cristo e della Empedocle, «il sole ha raggi che viva- luce della luna», a Prisciano, «la luna è via, per lui le cose cambiarono pre- cesi e «di altre genti» inviato nel sto al peggio. «In seguito — afferma 1283 da Martino IV contro la ribelle mente dardeggiano, mentre graziosa è la debole perciò è feconda», per arrivare alChiesa. le parole di Anassagora riprese già da Platone e poi da Ippolito Romano: «La luna non possiede una luce propria, ma la riceve dal sole». Rahner tratta della luna nelle sue varie simbologie, in particolare facendo riferiNuova biografia dello scrittore praghese mento alla “luna raggiante” evidenzia come «già il Veggente di Patmos aveva insegnato a considerare la Chiesa come la grande donna che sta sulla luna, al di sopra d’ogni mutevolezza, della corruttibilità terrena, della legge del fato, sopra il Non si sarebbero mai rimarginate le nuova biografia intitolata Kafka di nea come il genitore ricorresse in regno dello spirito di questo mondo». E ferite che segnarono, sin dall’adoleReiner Stach (Francoforte sul Meno, realtà di rado alla violenza fisica nei ciò proprio perché quella donna, che è a scenza, il sensibilissimo animo di Fischer, 2015, pagine 607, dollari 34) suoi confronti: ma era il pensiero, o un tempo Maria e la Chiesa, «è rivestita Franz Kafka. A infierire su una vulin cui si mette in luce come il trava- meglio il timore che fosse sempre sul di sole, del Sole di giustizia che è Crinerabilità mai domata fu il padre delgliato rapporto con il papà Hermann punto di farlo, a esercitare una pressto», scrive Agostino nel commento al lo scrittore austro-ungarico (cecoslonon solo inflisse «piaghe» sulla sensi- sione quasi insostenibile. E la trasforSalmo 142, 3. vacco a partire dal 1918), con il quale bilità del ragazzo, ma rappresentò an- mazione di Gregor Samsa, commesso Ma, ritornando alle parole dell’arcive«sin dall’età della ragione», come che una sorta di musa per il futuro viaggiatore che, ne La Metamorfosi, scovo Montini, proprio attraverso la mescrive lo stesso Kafka, si aprì un inscrittore. Le sue opere, infatti, sono una mattina si ritrova insetto, simbotafora «traluce dagli scritti di Ambrogio sanabile conflitto. In una notte indominate dall’angoscia di fronte leggia il segreto desiderio dello scritil concetto complesso e reale della Chievernale del 1888, Franz, cinque all’esistenza e da un senso di inade- tore che un tale destino arrida anche sa, quello d’un’entità umana e mistica inanni, si alza per chiedere ai geniguatezza nel rapporto con il mondo. a lui: potrebbe essere infatti questa la sieme, socialmente organizzata, ma comtori un po’ d’acqua. Non ottiene Tanto che gran parte della critica risolutiva via di fuga — smettere i paginata da coefficienti spirituali: la fede risposta, ma non demorde, e la riconcorda nel riconoscere nello scritto- panni umani — per eludere la tirannia e la carità. Ed è da questo considerare la chiesta si fa pressante. Alla fine il re di Praga «un perfetto interprete del padre e per sottrarsi alla crudeltà Chiesa nella sua duplice realtà, divina e padre si alza, ma non per andare letterario» dell’esistenzialismo. L’epi- del mondo che, a dispetto di qualsiumana, che sgorga l’inesauribile riferiin cucina: trascina il figlio fino in sodio cui fa riferimento la nuova bio- voglia tentativo di analisi, «non ci è mento del pensiero di Ambrogio alla balcone e lì lo lascia. L’inquiegrafia è citato dallo stesso Kafka nella dato di capire nei suoi misteriosi intante episodio è ricordato nella famosa Lettera al padre, in cui sottoli- granaggi». (gabriele nicolò) Chiesa medesima». (marcello filotei) di FELICE ACCRO CCA ella cosiddetta Carta di Milano si afferma che il diritto al cibo è «un diritto umano fondamentale»: un diritto che, in realtà, per tanti è tale solo a parole. Si è dedicato un anno intero per riflettere su tali questioni, certo non nuove, poiché il cibo non è stato mai equamente diviso tra gli abitanti di questo mondo, potendo alcuni (pochi) averne fino alla nausea e altri (molti) mancarne fino a morire di fame. Questa tragica situazione è oggi sotto gli occhi di tutti, ma i secoli passati non sono stati meno crudeli con gli anelli deboli della catena. Ce ne offre la riprova uno dei più straordinari cronisti del medioevo occidentale, quel Salimbene da Parma, nato nel 1221 da famiglia di agiata condizione sociale ed entrato tra i frati minori nel 1238, che ci ha lasciato in dono una Cronaca conservatasi autografa nel codice Vaticano N infatti rammaricato — poi mi diedero sempre dei cavoli, con i quali dovetti cibarmi tutti i giorni della mia vita; e giammai nel secolo avevo mangiato cavoli, anzi li detestavo tanto che non avrei nemmeno mangiato carni che fossero state cotte con essi». Vi furono, in ogni caso, delle eccezioni. Narrando la visita che nel 1248 Luigi IX fece al Capitolo pro- Luce riflessa Le ferite (mai rimarginate) di Kafka L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 lunedì-martedì 6-7 luglio 2015 Per fermare la follia distruttrice dell’Is in Iraq Appello della Chiesa caldea ai musulmani moderati L’enciclica del Papa in Indonesia Apostolato della casa comune GIACARTA, 6. La Laudato si’ è un passo «enorme» nella difesa dell’ambiente, ma non può bastare «l’euforia generale» che ha seguito la pubblicazione dell’enciclica. Occorre impegnarsi per diffondere e mettere in atto le indicazioni del Papa. È quan- La Laudato si’ per i cattolici del Bangladesh DACCA, 6. Per facilitare la diffusione della Laudato si’ di Papa Francesco, l’arcivescovo di Dhaka, Patrick D’Rozario, presidente della Conferenza episcopale del Bangladesh, ha deciso di pubblicare una lettera pastorale contenente ampi stralci dell’enciclica tradotti in lingua locale. La Chiesa in Bangladesh risponde così alla raccomandazione rivolta dal Papa per un cambiamento radicale degli stili di vita, produzione e consumo delle risorse della madre terra. Nel documento il presule invita i cattolici a seguire le linee guida del Pontefice e chiede soprattutto ai sacerdoti di diffonderne gli insegnamenti. Evangelii gaudium in lingua bahasha KUALA LUMPUR, 6. L’esortazione apostolica di Francesco Evangelii gaudium sarà tradotta in bahasha, la lingua indigena parlata dalla maggioranza della popolazione di Malaysia e Indonesia. Il progetto — riferisce l’agenzia Fides — è curato dalle Pontificie opere missionarie (Pom) in Malaysia, in particolare come ausilio per i catechisti, ma anche per tutti i fedeli che vorranno beneficiarne. Il testo tradotto sarà infatti distribuito gratuitamente a parrocchie e comunità. Il documento viene ritenuto fondamentale per un corretto approccio all’evangelizzazione, come è stato sottolineato in un recente incontro dei direttori diocesani delle Pom di Malaysia, Singapore e Brunei. to sottolinea suor Alfonsa Triatmi, esperta di ambiente e in prima fila nella promozione di coltivazioni biologiche nella provincia del Central Java. Per la religiosa, ideatrice e sostenitrice di un programma di agricoltura sostenibile per contadini cristiani e musulmani, l’enciclica del Papa rafforza ancora di più gli sforzi enormi compiuti in Indonesia per la promozione e diffusione di un’agricoltura che sia rispettosa della «casa comune». Da più di 14 anni, infatti, un gruppo di suore indonesiane, guidate da suor Alfonsa, promuove metodi di agricoltura biologica in grado di salvaguardare l’ambiente e provvedere al sostentamento della popolazione. Una sorta di apostolato laico e “del mondo”, come sono solite chiamarlo, che ha attirato l’attenzione di molti contadini — la maggior parte musulmani — e che di recente ha anche ottenuto il certificato di qualità governativo. In questo contesto, la diocesi di Purwokerto ha sostenuto con forza il lavoro delle tre suore della congregazione delle Figlie di Maria e Giuseppe. La religiosa ricorda la propria attività fra i contadini, i primi a «nutrire la terra e a usare fertilizzanti non chimici per generare la vita dal suolo». E, riferisce l’agenzia AsiaNews, rivolge un appello alle persone di buon senso, affinché utilizzino «in modo saggio tutte le forme di energia: elettrica, idrica» e incorag- gino gli altri «a partecipare ad attività che siano volte alla tutela dell’ambiente». Anche suor Alfonsa rilancia l’allarme sullo stato di tutela dell’ambiente. «La natura si sta deteriorando perché il nostro stile di vita è cattivo e distruttivo». Oggi oltre 140 famiglie si sono unite alla comunità per la produzione di riso biologico. «Ed è coinvolto solo un piccolo numero di agricoltori cattolici — spiega la religiosa — perché la maggioranza sono musulmani, con i quali abbiamo intrecciato un saldo legame di amicizia. Il mio punto di vista è chiaro e semplice: voglio educare i contadini alla produzione di alimenti biologici, nel contesto di un programma di sviluppo ambientale ecosostenibile». Fra i massimi esperti di tematiche ambientali in Indonesia vi è anche padre Vincentius Kirjito, sacerdote dell’arcidiocesi di Semarang, in prima fila nella difesa delle risorse idriche. Grazie alle sue iniziative, egli ha saputo far nascere nelle persone la consapevolezza dell’importanza dell’acqua piovana. «Quello che faccio — spiega — è proteggere la natura, facendo sì che le persone usino l’acqua piovana per sostentarsi». In questo contesto, e a sostegno della sua attività, «la pubblicazione della Laudato si’ ha promosso l’idea che tutti debbano proteggere la natura, nutrirla e prendersene cura». BAGHDAD, 6. «I musulmani moderati devono reagire alla follia distruttrice dello Stato islamico e cercare di interagire con tutta la popolazione e di collaborare con il resto della società. Solo così possono fare il bene comune, il bene di tutta la gente e quindi anche il loro bene». È quanto ha sottolineato monsignor Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei, in merito agli ultimi tragici episodi che stanno insanguinando diverse regioni del pianeta. «Il mio appello — ha spiegato il vescovo ausiliare nel corso di un’intervista al sito Vatican insider — è rivolto agli islamici moderati: loro sanno che avere fede significa accogliere la volontà di Dio. Per noi cristiani va sempre peggio». Rimanere cristiani in Iraq è sempre più difficile e pericoloso, stessa situazione anche per le altre minoranze religiose del Paese. «La situazione in Iraq — ha precisato monsignor Warduni — si aggrava ogni giorno. Pur in condizioni disperate, il nostro impegno sul territorio — assicura a nome della locale comunità cattolica — è quello di preservare spazi di dialogo. Al bene comune serve il buon senso. E invece purtroppo sta prendendo sempre più campo il fanatismo e per questo va tutto male». Secondo il vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei, l’unico argine possibile per fermare l’avanzata dei jihadisti è «solo una reazione dei sunniti moderati. I fondamentalisti fanatici agli ordini di al-Baghdadi — ha spiegato il presule — non hanno mai letto le sacre Scritture altrimenti saprebbero che Dio è misericordioso. Quelli che sono contrari al dialogo fanno il male di tutti, per questo è determinante il ruolo dei musulmani moderati». Il vescovo non ha dubbi nell’affermare che «il prevalere del moderatismo equivale alla vittoria del bene comune ed è l’unica salvezza in questa situazione esplosiva per l’intero scacchiere internazionale. Deve essere una priorità geopolitica per l’occidente e per le Nazioni Unite. Se in Iraq e nel resto del Medio oriente stiamo così male — ha sottolineato monsignor Warduni — è proprio perché il mondo tace, non fa niente. E così noi cristiani siamo in mezzo, tra due fuochi. Come le altre minoranze cerchiamo soltanto di sopravvivere, ma quando usciamo di casa la mattina non sappiamo se vi faremo ritorno la sera. Siamo minacciati, attaccati, perseguita- Sostegno e aiuti umanitari per i terremotati Caritas in Nepal sempre presente KATHMANDU, 6. Continua senza sosta l’attività di sostegno e la fornitura di aiuti umanitari messi a punto dalla rete Caritas in Nepal, avviati già all’indomani del terremoto del 25 aprile scorso. Nei due mesi successivi al sisma l’ente caritativo nepalese ha raggiunto oltre 269.000 persone bisognose di assi- Seminario dedicato ai medici cattolici bengalesi Persone al centro DACCA, 6. «Come medici, infermieri e operatori sanitari non dovete curare i pazienti solo dal punto di vista fisico. Dovete curare anche il loro spirito». È l’invito rivolto da monsignor Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi e presidente di Caritas Bangladesh, ai partecipanti a un seminario sul tema «Aggiornare le cure e l’educazione medica». L’incontro promosso da Caritas Bangladesh ha inteso fare il punto sul contributo che la Chiesa cattolica fornisce in termini di assistenza sanitaria al Paese. Pur contando circa 300.000 fedeli, pari allo 0,3 per cento della popolazione, la comunità cattolica gestisce una settantina di strutture sanitarie, tra cui sette ospedali. Una presenza significativa, dunque, in una realtà a prevalente tradizione musulmana, che deve però necessariamente stare al passo con i tempi. Per questo, periodicamente vengono organizzati seminari di aggiornamento al fine di formare il personale sanitario. Attualmente, in tutto il Paese operano più di cento medici e oltre 1.000 infermieri appartenenti alla comunità cristiana. «Noi vogliamo rendere effettivo l’insegnamento della Chiesa cattolica attraverso i nostri servizi medici. In questo modo possiamo formare operatori sanitari cattolici», ha ti. Gli spietati miliziani dello Stato islamico non hanno misericordia, non hanno Dio. Uccidono senza un barlume di umanità». Nell’ultimo anno, poco più di centoventicinquemila cristiani sono stati costretti a fuggire dai loro villaggi solo perché hanno scelto di rimanere cristiani rifiutando le condizioni imposte dallo Stato islamico. detto Edwar Pallab Rozario, medico e membro di Caritas Bangladesh. Nel corso del suo intervento, come riferito dall’agenzia AsiaNews, monsignor Gervas ha sottolineato l’importanza della formazione e la difficoltà dell’impegno a cui gli operatori sanitari sono continuamente chiamati. «Molti malati vengono nelle nostre cliniche mediche per ricevere i trattamenti, ma alcune strutture non riescono a soddisfare tutte le richieste che arrivano», ha ammesso il presule, che appellandosi direttamente ai responsabili delle strutture ha detto: «Voi dovete curare i pazienti con onestà. E per fornire il miglior trattamento possibile, dovete essere aggiornati ed esperti nella vostra professione». Tuttavia, l’onestà e la competenza da sole certamente non bastano, occorre avere anche particolare attenzione nei confronti del paziente che si ha di fronte nella sua interezza, corpo e spirito. Il presule ha ricordato che per l’operatore sanitario cattolico «la cura dell’anima è la cosa più importante nel vostro lavoro». stenza e ha fornito circa 54.000 alloggi alle famiglie. La popolazione colpita ha ricevuto cibo, materiali per costruire alloggi temporanei, kit per l’igiene e beni di prima necessità. Caritas Nepal ha raggiunto numerose comunità isolate come quelle di Chepang e di Tamang, che vivono in villaggi remoti. Inoltre, sono state aiutate persone socialmente escluse e comunità indigenti come dalit e musulmani. Nei giorni scorsi, Caritas Nepal ha anche organizzato due giornate di formazione e riflessione per tutto il personale coinvolto, con la partecipazione del vicario apostolico in Nepal, monsignor Paul Simick. Durante l’incontro — come riferito dall’agenzia Fides — sono stati illustrati i frutti di un intenso lavoro di assistenza, svolto anche grazie agli aiuti e al sostegno di Caritas Internationalis. L’organizzazione sta programmando di raggiungere altre 11.000 famiglie, anche progettando di servire le comunità locali con iniziative di microcredito, programmi di formazione professionale, soprattutto nei settori dell’agricoltura e delle imprese rurali, avviando la fase della ripresa e della ricostruzione del tessuto sociale ed economico. Caritas Nepal offrirà anche alcuni incentivi, borse di studio e piccoli prestiti per la costruzione di abitazioni, destinate a chi ha visto la propria casa completamente distrutta, e intende contribuire alla ricostruzione di scuole e di ospedali danneggiati. L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 6-7 luglio 2015 pagina 7 L’attaccamento alla fede cattolica della comunità lituana sparsa in mezza Europa Emigranti con il Vangelo in mano VILNIUS, 6. Da Londra a Dublino, a Oslo, dagli Stati Uniti all’Australia: dal febbraio 1991, dopo cioè la riconquistata indipendenza dall’Unione Sovietica, si calcola che almeno 650.000 persone, su una popolazione di tre milioni di abitanti, abbiano lasciato la Lituania e che solo centomila vi abbiano fatto ritorno. «Ma la Chiesa non abbandona la sua gente», spiega a Sir Europa monsignor Edmundas Putrimas, direttore della pastorale per i migranti. «Cer- chiamo di essere vicini a loro, all’estero, con i sacerdoti al servizio delle nostre comunità», aggiunge, ricordando due parole-chiave, carità e Vangelo. Assieme alla lingua nazionale i lituani emigranti hanno portato con sé la fede cattolica (la professa il 77 per cento della popolazione). In mezzo mondo. Come a Londra, per esempio, dove si trovano anziani, rimasti legati alle tradizioni nazionali e alla religione, ma anche seconde e Appello dei vescovi della Slovacchia Più attenzione verso i migranti e i rifugiati BRATISLAVA, 6. «Siamo convinti che dal punto di vista umano e cattolico sia necessario prestare più attenzione alla situazione di migranti e rifugiati». È quanto si legge in una dichiarazione rilasciata dalla Conferenza episcopale slovacca, durante l’assemblea plenaria, in merito al dibattito sul crescente numero di migranti in arrivo nei Paesi europei. «Per prima cosa è compito degli Stati e della comunità internazionale decidere quale sia il modo migliore per prestare assistenza, anche contribuendo a risolvere i problemi nei Paesi di origine dei migranti e dei rifu- giati», dichiarano i vescovi, sottolineando che la Chiesa cattolica in Slovacchia «intende sostenere questo processo con tutti i mezzi a sua disposizione per esprimere solidarietà e amore cristiano alle persone in difficoltà». Durante i lavori — riferisce il Sir — l’episcopato slovacco ha approvato quattro progetti di aiuto umanitario a sostegno dei cristiani perseguitati e dei rifugiati, finanziati da istituzioni ufficiali della Chiesa cattolica in Slovacchia e dall’ufficio nazionale di Caritas per un totale di oltre 190.000 euro. terze generazioni, che conservano più facilmente la lingua rispetto alla fede. La prima ondata migratoria lituana risale all’inizio del Novecento, per sfuggire al regime zarista, la seconda si è avuta nel secondo dopoguerra. Da allora nel Regno Unito si sono installate tre principali comunità lituane, per un totale di duecentomila persone. «La secolarizzazione arriva ovunque», osserva don Petras Tverijonas, che opera nella zona est di Londra, ma — evidenziando l’attaccamento alla fede cattolica della comunità lituana — «nelle tre messe domenicali abbiamo quattrocento partecipanti alle funzioni; qui a Londra abbiamo concentrato la preparazione ai battesimi e ai matrimoni per le tre comunità dell’isola. Lo scorso anno abbiamo preparato per il battesimo i genitori di duecentocinquanta bambini e le coppie che hanno seguito il corso prematrimoniale sono state duecentotrenta». Anche se, racconta don Tverijonas, per sposarsi si preferisce tornare a casa. L’integrazione non è facile, «anche perché i lituani sono riservati e un po’ timidi». Nella vicina Dublino c’è don Egidijus Arnasius, approdato in Irlanda dopo essere stato per tre anni cappellano dei lituani in Australia. «Sono stato accolto molto bene dagli irlandesi e dalla Conferenza episcopale locale, con la quale si collabora proficuamente», racconta, sottolineando che «i lituani arrivati in Irlanda venivano dall’alienante esperienza comunista. Per questo sono piuttosto guardinghi, prudenti. Forse c’è timore di confrontarsi con la comunità locale». Molti andavano in chiesa a pregare e ad accendere candele, ma non a messa. L’obiettivo è entrare in una relazione più profonda con la comunità locale. Ma «il lavoro da fare è ancora tanto», conclude don Arnasius, anche perché «assimilarsi, in un Paese del nord Europa, spesso vuol dire accettare l’ateismo diffuso». In Norvegia — riferisce il Sir — è attivo don Oskaras Volskis, da una parte cappellano per i lituani, dall’altra al servizio di una parrocchia locale e di un gruppo di cattolici polacchi. Non nasconde problematiche legate alla lingua: «Se la nostra gente non ha la messa in lituano non partecipa affatto». Anche don Valdemaras Lisovskis, a Oslo da tre anni, spiega l’importanza di celebrare la messa in lituano: «Se abbandoniamo la nostra lingua perderemo la gente». Dalla Caritas di Friburgo Il cardinale Ouellet per l’anno giubilare celestiniano Una guida per contrastare la povertà giovanile Profezia della misericordia FRIBURGO, 6. «Piccolo manuale per acquistare e consumare senza indebitarsi»: è il titolo della pubblicazione di oltre 40 pagine che la Caritas di Friburgo rilancia nel quadro di un programma di prevenzione alla povertà tra i giovani. Il manuale in lingua francese, edizione aggiornata e adattata di una precedente versione, sarà distribuito negli incontri con gli studenti del secondo anno delle superiori. «In Svizzera i giovani tra i 12 e i 18 anni consumano beni per 600 milioni di franchi l’anno e uno su tre ha già dei debiti»: per questo la direzione per la sanità e gli affari sociali del cantone Vaud ha affidato alla Caritas e a una serie di organizzazioni sociali il progetto contro l’indebitamento. Il libretto — secondo gli autori — vuole proporre «una lettura del quotidiano, che permetta di valutare meglio i nostri bisogni reali», illustra diritti e doveri dei consumatori, mette in evidenza i possibili rischi che possono compromettere l’equilibrio finanziario (disoccupazione, nascita di un figlio, malattia, divorzio) e illustra «le conseguenze di un indebitamento mal gestito» oltre a indicare «che cosa si può fare per uscirne al meglio». Si parla così di come preparare un bilancio, come cercare casa, i rischi degli acquisti on-line e di quelli fatti a rate. Infine, vengono forniti una serie di indirizzi utili a cui rivolgersi per preparare un budget famigliare, vacanze e mezzi di trasporto economici, nonché svaghi a prezzi contenuti. A ottocento anni di distanza dal suo tempo, quale messaggio può offrire all’uomo di oggi san Pietro Celestino, più noto come Celestino V? A questo interrogativo ha cercato di dare una risposta il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, domenica pomeriggio, 5 luglio, nella cattedrale di Isernia, dedicata ai santi apostoli Pietro e Paolo. L’occasione è stata la chiusura dell’anno giubilare celestiniano, indetto il 5 luglio 2014, nella piazza della cattedrale, da Papa Francesco, durante la visita pastorale alle diocesi di Campobasso-Boiano e Isernia-Venafro. Nell’omelia della messa il cardinale Ouellet si è detto grato per aver potuto condividere con il popolo di Isernia un tratto, seppur breve, del suo cammino cristiano. Ha poi additato l’esempio di Celestino V, quale uomo ancorato alla croce di Cristo, che per lui ha sempre rappresentato il centro della sua vita e dalla quale ha ricavato la forza per affrontare i momenti più difficili. Da qui l’invito del porporato a imparare a rimanere ancorati a Cristo nel confronto con il cambiamento epocale che stiamo vivendo e che mette a dura prova i valori cristiani dell’esistenza, avvolgendo tutto nella spesso confusa cultura globale. Del resto, la misericordia, che ha animato l’intera vita di Pietro da Morrone, è realmente profezia di un mondo nuovo. Per questo Celestino può essere considerato profeta anche per il nostro tempo e il suo messaggio è più che mai attuale. Insieme con il cardinale hanno concelebrato l’arcivescovo di Campobasso-Boiano, monsignor Bregantini, il vescovo di Isernia-Venafro, monsignor Camillo Cibotti, e alcuni vescovi della Conferenza episcopale abruzzese-molisana, oltre a un’ottantina di sacerdoti. Monsignor Cibotti, nel suo saluto al cardinale, ha parlato del popolo isernino come espressione di mitezza, di dolcezza, generosità e profonda religiosità. Al termine, il cardinale ha inaugurato e benedetto due lapidi: una in cattedrale, per commemorare l’anno giubilare celestiniano, l’altra in piazza Andrea d’Isernia, per ricordare la visita di Papa Francesco alla città. Durante il volo verso Quito Telegrammi a capi di Stato Papa Francesco è partito alla volta di Quito dall’aeroporto di Fiumicino alle 9.15 di domenica 5 luglio. Il congedo dalla residenza di Santa Marta in Vaticano è avvenuto in forma privata. Successivamente il Pontefice ha raggiunto in automobile lo scalo romano, dove è stato salutato, tra gli altri, dall’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia. Accompagnano il Papa: il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato; il prefetto della Segreteria per la comunicazione, monsignor Dario Edoardo Viganò, che è anche direttore del Centro Televisivo Vaticano; il segretario della Pontificia Commissione per l’America latina, Guzmán Carriquiry Lecour; i monsignori Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, e Diego Ravelli, cerimoniere pontificio; A sua Eccellenza On. Sergio Mattarella Presidente della Repubblica Italiana Palazzo del Quirinale 00187 Roma Nel momento in cui lascio Roma per recarmi in Ecuador, Bolivia e Paraguay, per sostenere la missione della Chiesa locale e portare un messaggio di speranza, mi è caro rivolgere a lei, signor presidente, il mio deferente saluto, che accompagno con fervidi auspici per il benessere spirituale, civile e sociale del popolo italiano, cui invio volentieri la benedizione apostolica. FRANCISCUS Excelentíssimo Senhor Anibal Cavaco Silva Presidente da Republica Portuguesa Lisboa Ao sobrevoar Portugal numa visita pastoral que me leva ao Equador, Bolívia e Paraguai, tenho o prazer de saudar vossa Excelência formulando cordiais votos para sua pessoa e inteira nação sobre a qual invoco benevolência divina para que seja consolidada nela esperança e alegria de viver na harmonia e bem-estar de todos seus filhos. FRANCISCUS PP. PP. A su Majestad Felipe VI Rey de España Palacio de la Zarzuela Madrid Al sobrevolar el territorio español para dar comienzo a mi visita pastoral a Ecuador, Bolivia y Paraguay, me es grato enviar un cordial saludo a vuestra majestad y a la reina, y renovar mi afecto y cercanía al pueblo español, para el que pido al Señor copiosas gracias y un creciente progreso espiritual y social en pacífica convivencia. FRANCISCUS l’agostiniano Juan Fernando del Rio Sendino, della sezione spagnola della Segreteria di Stato. Con loro anche gli aiutanti di Camera, Mariotti e Zanetti, il medico Polisca, il responsabile dell’organizzazione del viaggio Gasbarri, il direttore della Radio Vaticana e della Sala stampa della Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi, e il direttore del nostro giornale. Nella capitale ecuadoriana si sono uniti al seguito l’arcivescovo di Quito e presidente della Conferenza episcopale Fausto Gabriel Trávez Trávez, il cardinale Raùl Eduardo Vela Chiriboga, arcivescovo emerito; il nunzio apostolico Giacomo Guido Ottonello, con monsignor Mihaita Blaj, segretario della nunziatura. Subito dopo il decollo, Francesco ha inviato i seguenti telegrammi ai capi di Stato dei Paesi sorvolati. PP. Al Excmo. Sr. Nicolás Maduro Moros Presidente de la República Bolivariana de Venezuela Caracas Al volar sobre el territorio venezolano para dar inicio a mi visita pastoral a Ecuador, Bolivia y Paraguay, me es grato enviar un cordial saludo a vuestra excelencia, manifestando mi afecto y cercanía por el pueblo venezolano, a la vez que pido al Señor abundantes gracias que le ayuden a progresar cada día más en solidaridad y pacífica convivencia. FRANCISCUS PP. Sull’aereo con i giornalisti Dopo il decollo da Roma, il Papa ha voluto incontrare i 75 giornalisti che lo stanno accompagnando nel viaggio. Dal microfono padre Lombardi ha sottolineato la grande quantità di richieste di accredito — oltre cento — pervenute alla Sala stampa della Santa Sede e ha informato il Pontefice che un migliaio di operatori dell’informazione seguono la visita nelle cinque città interessate: Quito e Guayaquil, La Paz e Santa Cruz de la Sierra, Asunción. Francesco da parte sua ha ringraziato per il lavoro «molto impegnativo» che attende i media, sottolineando che «dare notizie delle cose che accadono» in questi otto giorni può servire «a fare tanto bene». Infine, augurando «buon viaggio», ha salutato personalmente ciascuno dei presenti. Al Excmo. Dr. Juan Manuel Santos Calderón Presidente de la República de Colombia Bogotá d.c. Al sobrevolar el territorio colombiano para dar comienzo a mi visita pastoral a Ecuador, Bolivia y Paraguay, me es grato enviar un cordial saludo a vuestra excelencia, reiterando mi cercanía y afecto por el pueblo colombiano, para el que pido al Señor abundantes gracias que lo hagan progresar en los valores humanos y espirituales que le caracterizan, en la reconciliacion y la convivencia pacífica, deseándole al mismo tiempo una creciente prosperidad. FRANCISCUS PP. In un messaggio di risposta, il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha fatto pervenire al Pontefice il suo «più sincero ringraziamento» sottolineando come l’«Italia e la comunità internazionale guardano con grande interesse» a questa «missione nel continente latinoamericano, in Paesi che, ciascuno con la propria specificità, vivono un periodo di grande fermento, sul piano politico, economico e sociale». Il presidente si è detto certo che la presenza del Papa in Ecuador, Bolivia e Paraguay «porterà un forte messaggio di fiducia per il futuro della regione, cui l’Italia e l’Europa guardano con viva attenzione, ma anche un atteso incoraggiamento per quanti, in quei Paesi, vivono ancora in condizioni di povertà, degrado sociale e incertezza coltivando la speranza di un domani migliore». Buon viaggio anche dai clochard Come è ormai tradizione, Papa Francesco alla vigilia della partenza, nella serata di sabato 4 luglio, si è recato nella basilica di Santa Maria Maggiore per affidare alla Vergine il suo viaggio apostolico in America latina. Il Pontefice ha deposto davanti all’immagine della Salus populi Romani un mazzo di fiori caratterizzato dai colori delle bandiere dei tre Paesi in cui si reca e si è trattenuto in preghiera per circa venti minuti. La mattina successiva, intorno alle 8, prima di raggiungere l’aeroporto di Fiumicino, Francesco ha ricevuto il saluto di otto clochard — tra i quali due donne — che vivono in ripari di fortuna nella zona di San Pietro e che usufruiscono del servizio docce allestito sotto il colonnato. L’incontro è avvenuto in presenza dell’elemosiniere, l’arcivescovo Konrad Krajewski, che li ha accompagnati, ed è durato alcuni minuti. Al termine il Papa ha dato la sua benedizione ai senzatetto. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 lunedì-martedì 6-7 luglio 2015 In Ecuador il Papa esalta la bellezza naturale del Paese e richiama la simbologia di Cristo e della Chiesa Le chiavi del futuro Valorizzazione delle differenze, partecipazione, dialogo, tutela dei più deboli All’aeroporto di Quito, dove il Pontefice è giunto nel pomeriggio di domenica 5 luglio (quando in Italia erano circa le 22), si è svolta la cerimonia di benvenuto, alla presenza, fra gli altri, del presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, che ha rivolto a Francesco un indirizzo di saluto. Rispondendo alle sue parole il Papa ha pronunciato in spagnolo il discorso che pubblichiamo in una traduzione italiana. Signor Presidente, Distinte Autorità del Governo, Fratelli nell’Episcopato, Signore e Signori, amici tutti, ringrazio Dio per avermi concesso di venire di nuovo in America Latina e di trovarmi oggi qui con voi, in questa bella terra dell’Ecuador. Provo gioia e gratitudine nel vedere il caloroso benvenuto: è una prova in più del carattere accogliente che distingue così bene le genti di questa nobile Nazione. La ringrazio, Signor Presidente, per le sue parole — la ringrazio per la sua consonanza con il mio pensiero: mi ha citato troppo, grazie! —, che ricambio con i miei migliori auguri per il compimento della Sua missione: che possa realizzare quanto desidera per il bene del suo popolo. Saluto cordialmente le distinte Autorità del Governo, i miei fratelli Vescovi, i fedeli della Chiesa nel Paese e tutti coloro che oggi mi aprono le porte del loro cuore, della loro famiglia e della loro Patria. A tutti voi il mio affetto e la mia sincera riconoscenza. Ho visitato l’Ecuador in diverse occasioni per motivi pastorali; così anche oggi, vengo come testimone della misericordia di Dio e della fede in Gesù Cristo. La stessa fede che per secoli ha plasmato l’identità di questo popolo e ha dato tanti buoni frutti, tra i quali risaltano figure luminose come santa Marianna di Gesù, il santo fratello Michele Febres, santa Narcisa di Gesù o la beata Mercedes di Gesù Molina, beatificata a Guayaquil trent’anni fa durante la visita del Papa san Giovanni Paolo II. Essi hanno vissuto la fede con intensità ed entusiasmo, e praticando la misericordia hanno contribuito, in diversi ambiti, a migliorare la società ecuadoriana del loro tempo. Oggi, anche noi possiamo trovare nel Vangelo le chiavi che ci permettono di affrontare le sfide attuali, apprezzando le differenze, promuovendo il dialogo e la partecipazione senza esclusioni, affinché i passi avanti in progresso e sviluppo che si stanno ottenendo si consolidino e garantiscano un futuro migliore per tutti, riservando una speciale attenzione ai nostri fratelli più fragili e alle minoranze più vulnerabili, che sono il debito che ancora ha tutta l’America Latina. Per questo scopo, Signor Presidente, potrà contare sempre sull’impegno e la collaborazione della Chiesa, per servire questo popolo ecuadoriano che si è alzato in piedi con dignità. Amici tutti, comincio con attese e con speranza i giorni che abbiamo davanti. In Ecuador si trova il punto più vicino allo spazio esterno: è il Chimborazo, chiamato per questo il luogo “più vicino al sole”, alla luna e alle stelle. Noi cristiani paragoniamo Gesù Cristo con il sole, e la luna con la Chiesa; e la luna non ha luce propria, e se la luna si nasconde dal sole diventa scura. Il sole è Gesù Cristo, e se la Chiesa si separa o si nasconde da Gesù Cristo diventa oscura e non dà testimonianza. Che in queste giornate si renda Nel saluto del presidente Correa Diritti costituzionali per la natura «L’Ecuador ama la vita. La nostra costituzione obbliga a riconoscere e garantire la vita, inclusa la cura e la protezione dal concepimento». Lo ha ricordato il presidente ecuadoriano Rafael Correa nel saluto rivolto a Papa Francesco all’arrivo a Quito. La costituzione del Paese, ha fatto notare il presidente, stabilisce «di riconoscere e proteggere la famiglia come nucleo fondamentale della società» e impone «di occuparci della nostra casa comune». Si tratta, infatti, della prima costituzione «nella storia dell’umanità a concedere diritti alla natura». Correa ha voluto ricordare in proposito che il 20 per cento del territorio è protetto con 44 riserve e parchi naturali. «La gamma multicolore della nostra flora e fauna — ha detto — si completa e si arricchisce di più con la diversità delle nostre culture umane». In- fatti nel Paese «ci sono, oltre a una maggioranza meticcia, 14 nazionalità indigene con le loro corrispondenti lingue ancestrali, compresi due popoli non ancora raggiunti, che hanno preferito l’isolamento volontario nel cuore della selva vergine». Per questo, la costituzione definisce l’Ecuador come uno Stato unitario, ma «plurinazionale e multiculturale». Correa si è anche concesso qualche battuta, ricordando che gli argentini dicono che il Papa è argentino, i brasiliani che Dio è brasiliano, ma senza dubbio il paradiso è ecuadoriano. Rivolgendo lo sguardo all’America, Correa ha detto che il grande peccato sociale del continente è l’ingiustizia, affermando che l’«opulenza di pochi accanto alla più intollerabile povertà sono colpi quotidiani inferti contro la dignità uma- na». Secondo il presidente, infatti, la fondamentale questione morale in America latina è «precisamente la questione sociale»; tanto più — ha rimarcato — se si considera che «per la prima volta nella storia, la povertà e la miseria nel nostro continente non sono conseguenze della mancanza di risorse», ma delle conseguenze negative «di sistemi politici, sociali ed economici» che non rispettano la dignità delle persone. Il presidente poi ha ricordato come il Papa — definito come «un gigante morale per credenti e non credenti» — abbia denunciato con forza la tragedia della migrazione, che «ben conosce il nostro Paese». La soluzione, ha aggiunto, non è «più frontiere; è solidarietà, è umanità, è creare le condizioni di prosperità e pace che disincentivano le persone a migrare». Alla metà del mondo dal nostro inviato GIANLUCA BICCINI Mitad del mundo: i cartelli stradali e le mappe turistiche di Quito indicano che da queste parti passa la linea dell’equatore. Ed è da qui che Francesco ha voluto iniziare il viaggio più lungo del pontificato. Il primo in Paesi in cui si parla la sua lingua natale e le cui culture hanno molto in comune con quelle della sua patria, l’Argentina. Tornando ad attraversare l’oceano Atlantico, due anni dopo la visita in Brasile, il Papa ha scelto tre piccoli Paesi dell’America latina — Ecuador, Bolivia e Paraguay — caratterizzati da una significativa presenza di popolazioni indigene e da una fortissima identità cristiana. Anzi cattolica, con percentuali ancora molto elevate. Tre nazioni in qualche modo periferiche ma in progressiva crescita, che sperimentano modelli di economia inclusiva, eppure ancora segnate da ampie sacche di miseria. Nelle quali la Chiesa continua a svolgere un ruolo di primo piano. Insomma ben rappresentative della descrizione contenuta nel documento conclusivo di Aparecida, il testo del 2007 votato dal Celam e approvato da Benedetto XVI, di cui il cardinale Bergoglio fu il principale artefice: «Sotto il profilo storico il nostro continente latino-americano è marcato da due realtà: la povertà e il cristianesimo. Un continente con molti poveri e con molti cristiani». E l’Ecuador, prima tappa del viaggio, riassume bene entrambe le caratteristiche e tutte le contraddizioni dell’America latina, come il Papa ha potuto vedere sin dal suo arrivo in un Paese che conosce bene, per esserci stato in passato diverse volte. Per questo nel primo discorso pronunciato nella terra dell’ultimo sovrano inca Atahualpa, ha auspicato che il progresso e lo sviluppo in atto «garantiscano un futuro migliore per tutti», soprattutto per «le minoranze più vulnerabili». E ha chiesto dignità, dando voce a chi non ce l’ha, invocando una maggiore giustizia so- più evidente a tutti noi la vicinanza del «sole che sorge dall’alto» (cfr. Lc 1, 78), e che siamo riflesso della sua luce, del suo amore. Da qui voglio abbracciare l’intero Ecuador. Dalla cima del Chimborazo, fino alla costa del Pacifico; dalla selva amazzonica fino alle isole Galápagos; non perdete mai la capacità di rendere grazie a Dio per quello che ha fatto e fa per voi; la capacità di difendere il piccolo e il semplice, di aver cura dei vostri bambini e dei vostri anziani, che sono la memoria del vostro popolo, di avere fiducia nella gioventù, e di provare meraviglia per la nobiltà della vostra gente e la bellezza singolare del vostro Paese — che secondo il Signor Presidente è il paradiso [si riferisce a un’espressione del discorso del Presidente]. Che il Sacro Cuore di Gesù e il Cuore Immacolato di Maria, ai quali l’Ecuador è stato consacrato, effondano su di voi grazia e benedizione. Tante grazie! ciale, per il riscatto di tutto il continente. L’aereo Alitalia con a bordo il Pontefice è atterrato intorno alle 14.50 locali di domenica 5 luglio, quando a Roma erano quasi le 22. Dopo oltre diecimila chilometri, lungo i quali ha sorvolato la penisola iberica, l’oceano Atlantico, i Caraibi, il Venezuela e la Colombia, il velivolo si è infilato in una sorta di gola tra i monti dell’altopiano, per un atterraggio spettacolare all’aeroporto internazionale Mariscal Sucre, intitolato all’eroe dell’indipendenza ecuadoriana. Lo scalo si trova a 2300 metri di altitudine nella cittadina di Tababela, a una ventina di chilometri dal centro della capitale. Subito sono saliti a dare il benvenuto al Papa il nunzio apostolico Giacomo Guido Ottonello e il capo del Protocollo ecuadoriano. Sceso dalla scaletta anteriore, Francesco è stato accolto dal capo dello Stato, Rafael Correa. E da un forte vento che gli ha fatto volare lo zucchetto bianco. Davanti al padiglione presidenziale ha quindi avuto luogo la cerimonia di benvenuto alla presenza di autorità statali, della presidenza della Conferenza episcopale – in rappresentanza dei cinquanta presuli del Paese — e di un piccolo gruppo di fedeli nei colorati abiti tradizionali delle 14 nazionalità indigene. Alcuni calzavano semplici scarpe di tessuto e corda, altri sandali e infradito, altri ancora erano a piedi nudi. In Ecuador costituiscono una quota consistente della popolazione. In prevalenza sono di etnia quechua. Ma se questi ultimi vivono per lo più sulle Ande, nel versante orientale, quello amazzonico, prevalgono gli shuar (o jivaros) mentre Esmeraldas, sulla costa occidentale, è terra di neri discendenti degli schiavi africani, ugualmente numerosi a Guayaquil. Li accomuna una forte religiosità, che si esprime in colorate forme di spiritualità popolare, con processioni molto partecipate e la venerazione di immagini sacre nelle case, nelle chiese e nelle piazze. Una religiosità che trova il suo culmine nella devozione mariana, come testimonia la grande statua della Vergine alata che dall’alta collina del Panecillo domina tutta la capitale. Gli inni sono stati eseguiti dall’orchestra sinfonica giovanile, accompagnata dal coro Manos blancas, che attraverso il linguaggio dei segni rea- lizza coreografie per coinvolgere anche bambini sordomuti. I saluti militari e lo scambio dei discorsi ufficiali hanno preceduto l’omaggio floreale — consegnato da un bimbo con il caratteristico poncho e da una ragazzina — con cui si è conclusa la cerimonia. Congedatosi dal presidente, dopo che si era brevemente intrattenuto con lui nella sala del Protocollo, il Papa si è trasferito alla sede della nunziatura di Quito, sua residenza in Ecuador. Per raggiungere la capitale si sale di altri cinquecento metri sul livello del mare. Francesco ha percorso gran parte del tragitto su una utilitaria e gli ultimi otto chilometri sulla papamobile, dalla quale ha ammirato la splendida città alle falde del vulcano Pichincha, dichia- rata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, con il suo centro storico meglio conservato e meno alterato di tutta l’America latina. Ma la città, che ospita la collezione più importante d’arte coloniale dell’America, ha anche un volto moderno e dinamico, con quartieri in cui oltre ai grattacieli non mancano numerosi parchi. Lungo il percorso una folla immensa ha salutato il Pontefice con tutto il calore di cui sono capaci i latinoamericani. Donne, uomini e soprattutto tanti bambini a rappresentare i circa 16 milioni di ecuadoriani, dei quali quasi 14 milioni sono cattolici. Si tratta della più popolosa tra le nazioni visitate in questo viaggio, dove la cura pastorale è affidata a una cinquantina di vescovi, poco più di duemila preti, circa cinquemila religiose e altrettanti missionari laici. In questa nazione — che ha dato i natali a personaggi come Mariana de Jesús, il giglio di Quito, canonizzata da Pio XII nel 1950, e il santo fratel Miguel Febres Cordero — venne anche Giovanni Paolo II, esattamente trent’anni fa, nel 1985. E come in quella circostanza, anche oggi la festa non è stata solo per i quiteños: dalle cime innevate del Chimborazo, il vulcano attivo alto 6 mila metri, alla costa del Pacifico, dalla selva amazzonica alle isole Galapagos, sono giunti da tutto l’Ecuador per dare il benvenuto al Papa. Che ha ricambiato fermandosi a lungo a salutare, stringendo mani, dispensando abbracci e carezze e lasciandosi immortalare in quelli che sono diventati ormai gli immancabili selfie. Molti i volti sorridenti, così come quelli rigati dalle lacrime di gioia. Un’atmosfera di entusiasmo popolare che si è vissuta anche a fine giornata quando, poco dopo le 20, Papa Francesco è uscito dalla sede della nunziatura apostolica per salutare migliaia di persone. Prima di impartire la benedizione il Pontefice ha incoraggiato il popolo dell’Ecuador a proseguire sulla strada del dialogo per costruire il proprio futuro.
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