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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 7 (46.845)
Città del Vaticano
domenica 11 gennaio 2015
.
Un milione di persone attese alla manifestazione per le vittime della violenza
Il Papa all’incontro promosso a cinque anni dal terremoto ad Haiti
Uniti contro il terrore
Tre pilastri
per ricostruire
Ancora tensione a Parigi all’indomani dei blitz delle forze speciali
PARIGI, 10. È una risposta di civiltà
la manifestazione contro il terrorismo che vedrà domani un milione di
persone sfilare a Parigi. A fianco del
presidente, François Hollande, nella
capitale francese dove il clima di
tensione resta altissimo ci saranno
numerosi leader di Paesi europei e
non solo, compresi alcuni islamici.
Tra gli altri hanno annunciato la loro presenza il cancelliere tedesco Angela Merkel, il premier britannico
David Cameron, il presidente del
Consiglio italiano Matteo Renzi, il
presidente del Governo spagnolo,
Mariano Rajoy, il primo ministro
turco, Ahmet Davutoğlu.
«La tristezza del lutto e la convinzione che abbiamo qualcosa da difendere insieme, unisce i francesi»,
scrive l’arcivescovo di Parigi, cardinale André Vingt-Trois, in un messaggio che sarà letto domani in tutte
le chiese della diocesi. «La maggio-
ranza dei nostri concittadini ha vissuto questa situazione come un appello a riscoprire un certo numero di
valori fondamentali della nostra Repubblica, come la libertà di religione
o
la
libertà
d’opinione.
Le
manifestazioni spontanee di questi
ultimi giorni sono state contraddistinte da un grande raccoglimento,
senza segni di odio né di violenza»,
scrive ancora il cardinale, secondo il
quale il fatto «che uomini nati nel
nostro Paese, nostri concittadini possano pensare che la sola risposta
giusta a uno sbeffeggiamento o a un
insulto sia la morte dei loro autori,
pone la nostra società davanti a gravi interrogativi». Il fatto, poi, «che
gli ebrei francesi paghino ancora
una volta un tributo agli sconvolgimenti che agitano la nostra comunità nazionale, raddoppia la loro gravità».
Il messaggio si conclude con l’invito alla preghiera per le vittime e
per il Paese. «Nessuno si lasci andare al panico o all’odio; nessuno si lasci andare alla semplificazione di
identificare qualche fanatico con una
religione intera. E preghiamo anche
per i terroristi, perché scoprano la
verità del giudizio di Dio».
Hollande, che ieri si è rivolto alla
Nazione in un discorso trasmesso in
diretta televisiva, ha presieduto oggi
una riunione per definire le misure
di sicurezza. Il ministro dell’Interno,
Bernard Cazeneuve, subito dopo ha
detto che la Francia prenderà «tutte
le misure necessarie affinché la manifestazione si possa svolgere nella
sicurezza più assoluta». Il ministro
ha comunque confermato che il Paese è ancora a rischio e la necessità di
mantenere il dispositivo antiterrorismo e anzi di rafforzarlo «in alcune
istituzioni e luoghi di culto».
Ancora questa mattina, intanto, ci
sono stati falsi allarmi di sparatorie
in due sinagoghe di Parigi, mentre
la polizia ha dovuto far sgomberare
il parco di Eurodisney per la notizia,
rivelatasi per fortuna infondata, della presenza di una bomba.
Al suo significato politico e civile,
la manifestazione di domani affianca
l’omaggio alle vittime: i dodici morti
della strage perpetrata mercoledì dai
due fratelli francesi d’origine algerina, Said e Cherif Kouachi, e le quattro persone uccise ieri, in un negozio
di cibo kosher, da parte di un altro
terrorista, il francese di origine maliana Amedy Coulibaly. L’uomo, di
cui sembra accertata la complicità
con i fratelli Kouachi, era stato autore anche della sparatoria di giovedì a
Montrouge, alla periferia della capitale, nel corso della quale era stata
assassinata una poliziotta.
I tre terroristi sono stati uccisi negli interventi della polizia in una tipografia di Dammartin-en-Goële —
dove i due fratelli si erano asserragliati ieri mattina dopo una fuga di
due giorni — e appunto nel negozio
kosher nella zona di Port de Vincennes, alla periferia di Parigi, dove
aveva fatto irruzione Coulibaly, secondo alcune fonti insieme con la
sua complice, Hayat Boumeddiene,
tuttora ricercata dalla polizia e ritenuta molto pericolosa.
Nelle moschee di Francia
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Tra dolore
e paura
la preghiera
del venerdì
PARIGI, 10. L’appello a prendere
nettamente le distanze dai jihadisti, lanciato due giorni fa dai rappresentanti della comunità musulmana in Francia, è stato raccolto
ieri dagli imam delle principali
moschee del Paese i quali, durante la tradizionale preghiera del
venerdì, hanno condannato le
violenze commesse in nome
dell’islam. «Denunciamo con la
più grande determinazione questi
delitti odiosi compiuti dai terroristi, la cui azione criminale rischia
di mettere in pericolo la nostra
volontà di vivere insieme», ha
detto — riferisce la France Presse
— il rettore della Grande moschea
di Parigi, Dalil Boubakeur, chiedendo a tutti i musulmani di
Francia di partecipare in massa
alle manifestazioni previste domani per rendere omaggio alle vittime dell’attentato a «Charlie Hebdo». Gli autori di questi crimini
«non sono musulmani» perché
«il profeta non ha predicato la
violenza contro i non musulmani», ha affermato Abdel Qader
Achour nella moschea fondamentalista «Omar Ibn Al Khattab»
di Parigi. La Francia, ha aggiunto, «è il nostro Paese, ci viviamo
da tre o quattro generazioni, non
dobbiamo avere paura» (il riferimento è anche ai numerosi atti
intimidatori degli ultimi giorni
contro le moschee). A Montpellier,
l’imam
della
moschea
dell’Unione, Mustafa Riad, ha invitato a rispondere con la vignetta
a una vignetta, con l’articolo di
stampa a un articolo di stampa,
ma «non con le armi». E a Bordeaux (dove ieri si è svolta una
marcia silenziosa promossa dai
rappresentanti dei vari culti) il
teologo, e rettore della moschea,
Tareq Oubrou — uno dei quattro
imam che mercoledì scorso hanno
partecipato all’udienza generale
di Papa Francesco in piazza San
Pietro — ha espresso la «collera»
dei musulmani la cui fede è «confiscata da folli», da «ignoranti»,
da «squilibrati». E ha invitato i
credenti a «uscire dal silenzio».
In Germania responsabili delle
comunità cristiana, ebraica e musulmana hanno pubblicato sul
quotidiano «Bild» un manifesto
in cui si ribadisce che non si può
uccidere in nome di Dio. Lunedì
migliaia di musulmani parteciperanno a Berlino a una marcia silenziosa per condannare le azioni
criminose in Francia.
Una scritta inneggiante alla pace formata da candele accese (Afp)
Una donna lava il pavimento della cattedrale di Port-au-Prince distrutta dal terremoto
(LaPresse/Ap)
La ricostruzione materiale e spirituale di Haiti — devastata cinque
anni fa dal terremoto — deve poggiare «su tre pilastri fondamentali:
la persona umana, la comunione
ecclesiale e la Chiesa locale». Lo
ha ricordato Papa Francesco sabato
mattina, 10 gennaio, durante
l’udienza ai partecipanti all’incontro organizzato a Roma dal Pontificio Consiglio Cor Unum e dalla
Pontificia Commissione per l’America latina nell’anniversario del sisma. «Tanto è stato realizzato in
questo periodo per ricostruire il
Paese» ha affermato il Pontefice,
riconoscendo tuttavia «che molto
lavoro resta ancora da fare». Un lavoro, ha aggiunto, la cui priorità
«dev’essere quella di aiutare l’uomo, ogni uomo, a vivere pienamente come persona». Non va dimenticato inoltre, ha proseguito, che «la
carità è ancora più vera e più incisiva se vissuta nella comunione».
Tra un mese si rinnovano presidenza e Parlamento federali
Il voto in Nigeria ostaggio di Boko Haram
ABUJA, 10. Mentre il nord-est della
Nigeria resta ostaggio di un terrorismo che si è ormai fatto guerra civile, il Paese si accinge tra un mese ad
andare al voto per rinnovare presidenza e Parlamento.
Il presidente Goodluck Jonathan,
che si ricandida, è giudicato da molti
osservatori sempre più impopolare a
causa dell’inefficacia delle forze di sicurezza di fronte alla feroce sfida di
Boko Haram, il gruppo terrorista
islamista che da cinque anni devasta
gli Stati nordorientali e non solo. E
infatti la stampa locale non sta dando molto credito nemmeno all’ultima
controffensiva lanciata in queste ore
dall’esercito contro i miliziani di Boko Haram che hanno occupato la
città di Baga, nel Borno. Qui e in altri villaggi, nei giorni scorsi, i miliziani hanno ucciso migliaia di persone e costretto altrettante alla fuga.
«Le forze di sicurezza hanno risposto rapidamente e hanno schierato un numero significativo di uomini, hanno condotto raid aerei contro
gli obiettivi dei miliziani» ha riferito
il portavoce della sicurezza nazionale
nigeriana, Mike Omeri. L’annuncio
ha trovato però scettici molti commentatori, che ricordano come nessun esito abbia dato finora la decisione presa da Jonathan nel maggio
Cento anni fa il terremoto
con epicentro nella Marsica
E Benedetto XV aprì
le porte di Santa Marta
GIUSEPPE MAGLIOZZI
A PAGINA
4
del 2013 di proclamare lo stato
d’emergenza nel Borno, nello Yobe e
nell’Adamawa. Il gruppo islamista,
anzi, ha consolidato il suo controllo
sui territori dell’area e ha più volte
portato la sua sfida anche oltre confine, specialmente in Camerun.
Secondo analisti locali e internazionali, il principale sfidante di Jonathan, Muhammadu Buhari, vede au-
mentare i propri consensi anche nel
sud a maggioranza cristiana del Paese e non solo tra le popolazioni musulmane del nord, quelle in ultima
analisi più colpite dalla ferocia di
Boko Haram, dopo che all’inizio
l’azione del gruppo si era concentrata sulle strutture governative, gli interessi occidentali e poi le minoranze
cristiane.
Buhari e l’opposizione attaccano il
Governo federale sia per le mancate
politiche sociali — in un Paese dalle
immense risorse petrolifere, i cui
guadagni ben di rado si trasformano
in sviluppo per le popolazioni — sia
per l’impreparazione delle truppe inviate contro Boko Haram, spesso accusate a loro volta di violenze contro
i civili.
Lunedì sera inizia il viaggio del Papa in Sri Lanka e Filippine
Ritorno in Asia
A cinque mesi dalla visita in Corea,
Papa Francesco torna in Asia, per il
quarto viaggio nel continente, sul
totale di sette compiuti durante il
pontificato. Dopo essere stato nel
2014 in Terra Santa (24-26 maggio),
a Seoul per la sesta giornata della
gioventù asiatica (13-18 agosto) e in
Turchia (28-30 novembre), il Pontefice inizia il 2015 dirigendosi in Sri
Lanka e Filippine, in quello che dal
punto di vista delle distanze è anche il viaggio più lungo: quasi
25.000 chilometri. Alla vigilia della
partenza il cardinale Luis Antonio
Tagle, arcivescovo di Manila, presenta le attese della Chiesa filippina
e il vescovo Edoardo Aldo Cerrato
parla della canonizzazione del confratello oratoriano Joseph Vaz, apostolo dello Sri Lanka.
PAGINA 6
Dal Papa infine l’auspicio che «la
Chiesa in Haiti diventi sempre più
viva e feconda, per testimoniare
Cristo e per dare il suo contributo
al progresso di quel Paese».
PAGINA 7
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza
Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marc
Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.
Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in
Haiti Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Eugene Martin Nugent, Arcivescovo titolare di Domnach
Sechnaill,
finora
Nunzio
Apostolico in Madagascar, in
Maurizio e nelle Seychelles e
Delegato Apostolico nelle
Isole Comore, con funzioni
di Delegato Apostolico in La
Riunione.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Osorno (Cile)
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Juan Barros
Madrid, finora Ordinario
Militare per il Cile.
Nomina di Vescovo
Coadiutore
Il Santo Padre ha nominato Vescovo Coadiutore della
Diocesi di Albenga-Imperia
(Italia) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Guglielmo Borghetti, finora Vescovo della Diocesi di Pitigliano-Sovana-O rbetello.
Nomina di Vescovo
Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi metropolitana di
Genova (Italia) il Reverendo
Monsignore Nicolò Anselmi,
del clero della medesima Arcidiocesi, Parroco della parrocchia di Santa Maria delle
Vigne e Vicario Episcopale
per la Pastorale Universitaria,
Giovanile e dello Sport, assegnandogli il titolo vescovile
di Utica.
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pagina 2
domenica 11 gennaio 2015
L’incontro dello scorso aprile al Quirinale
tra la sovrana e il presidente Napolitano (LaPresse/Ap)
Si rinnova il gruppo
G77
In difesa
del sud
del mondo
PRETORIA, 10. Si appresta a voltare pagina il Gruppo dei 77 (G77),
la più grande organizzazione intergovernativa dei Paesi in via di
sviluppo e delle economie emergenti. Ieri il Sudafrica, succedendo alla Bolivia, ha ufficialmente
assunto la presidenza del Gruppo,
annunciando un nuovo impegno
e, a breve, anche un nuovo vertice
tra i Paesi membri su questioni legate allo sviluppo, al lavoro e alla
sicurezza alimentare.
Pretoria – ha sottolineato un
portavoce del Governo sudafricano – avrà la responsabilità di parlare a nome «di due terzi dei Paesi membri dell’Onu su questioni
di sviluppo», e di negoziare a loro
nome. Il vice ministro delle Relazioni internazionali del Sudafrica,
Luwellyn Landers, accettando la
responsabilità conferita al suo
Paese, ha ricordato il ruolo svolto
dal presidente boliviano, Evo Morales, nell’anno in cui La Paz ha
guidato l’organismo. Il Sudafrica,
ha dichiarato Landers, raccoglierà
l’eredità lasciata dal Paese latinoamericano,
portando
avanti
un’agenda per lo sviluppo del sud
del mondo, e mettendo in primo
piano le esigenze dei più deboli.
Il G77 — i cui componenti oggi
sono 134, compresa la Cina — ha il
compito di promuovere la cooperazione nel sud del mondo, sia in
campo tecnico che economico e di
difendere gli interessi collettivi dei
Paesi membri per quanto riguarda
i temi economici discussi in sede
Onu. Il nome e la sigla che lo
contraddistinguono derivano dal
numero dei Paesi che lo fondarono nel 1964. Il primo incontro del
gruppo si tenne ad Algeri dal 10
al 25 ottobre 1967, al termine del
quale i membri approvarono
l’adozione della Carta di Algeri.
Nuovo
primo ministro
in Mali
BAMAKO, 10. Modibo Keïta è da
ieri il nuovo primo ministro del
Mali in sostituzione di Moussa
Mara, in carica per appena dieci
mesi. L’avvicendamento alla guida
del Governo di Bamako viene giudicato da molti osservatori un tentativo del presidente Ibrahim
Boubakar Keïta di avviare una
nuova fase politica. La stampa
maliana sottolinea infatti che a
Moussa Mara va attribuita parte
della responsabilità di nuovi scontri e tensioni con i gruppi arabi e
tuareg del nord del Paese, in particolare nella zona di Kidal. Secondo questa lettura, l’esperienza
di Modibo Keïta, che finora ha ricoperto l’incarico di Alto rappresentante del Governo nei colloqui
di pace con tali gruppi, che si
protraggono da mesi, potrebbe essere preziosa per aprire una fase
di distensione. In particolare, il
nuovo primo ministro è chiamato
a concretizzare le promesse poste
dagli accordi di pace sottoscritti
con i gruppi tuareg e arabi nel luglio scorso in Burkina Faso, prima
che nuovi negoziati fossero avviati
in Algeria, dove sono fermi
dall’inizio di dicembre.
Non si tratta di un compito facile. È infatti tutt’altro che stabilizzata la situazione nel nord del
Mali, a oltre due anni dall’intervento armato francese contro i
gruppi jihadisti che pochi mesi
prima erano subentrati ai tuareg
insorti all’inizio del 2012 contro
l’allora Governo di Bamako, poi
rovesciato da un colpo di Stato
militare. La transizione imposta
dalla comunità internazionale, formalmente conclusa con l’elezione
alla presidenza di Keïta, non si è
consolidata al nord.
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Negli ultimi sette anni il tasso di disoccupazione non aveva mai raggiunto un valore così basso
Riparte il mercato
del lavoro statunitense
WASHINGTON, 10. L’anno migliore
dal 1999. Il mercato del lavoro americano riparte a pieno ritmo e chiude
il 2014 con 2,95 milioni di posti di
lavoro creati, il livello più alto degli
ultimi quindici anni. I salari però
non tengono il passo, facendo temere per i consumi, nonostante il calo
dei prezzi del petrolio. La ripresa
del mercato del lavoro va ad aggiungersi all’indicazione positiva del pil
(prodotto interno lordo), salito del
cinque per cento nel quarto trimestre. «Lavorerò con il Congresso per
investire nelle infrastrutture americane, ampliare il mercato per beni e
servizi oltreoceano, riformare il sistema dell’immigrazione e aumentare il
salario minimo» ha dichiarato il presidente Obama, commentando i dati. Il tasso di disoccupazione sotto la
presidenza Obama ha raggiunto il
picco del dieci per cento nell’ottobre
del 2009. Lo scorso dicembre, invece, l’economia americana ha creato
252.000 posti di lavoro: il tasso di
senza lavoro è sceso al 5,6 per cento,
ai minimi da giugno 2008.
Cartello che indica una fiera per trovare lavoro a Lincoln (La Presse/Ap)
La regina Elisabetta
II
scrive al presidente Napolitano
Stima
e ammirazione
ROMA, 10. La regina Elisabetta II
ha inviato al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, una lettera personale nella
quale esprime la «sua stima per il
presidente che si appresta a lasciare
l’incarico, e la sua ammirazione per
i molti anni di dedito servizio
all’Italia». Lo ha reso noto oggi
Sfida
all’ultimo voto
per le presidenziali
croate
Intervento dell’inviato speciale León
L’Onu auspica una soluzione politica
alla crisi libica
TRIPOLI, 10. La soluzione alla crisi
può essere soltanto politica, attraverso colloqui tra tutte le parti in
causa: questo il messaggio dell’inviato speciale delle Nazioni Unite
in Libia, Bernardino León, il quale
ha ieri invitato tutte le fazioni a sedersi intorno al tavolo delle trattative «prima che sia troppo tardi»,
sottolineando inoltre come il tempo
per affrontare la crisi politica e di
sicurezza stia «scadendo».
I libici — ha sottolineato León —
«hanno bisogno di superare le divergenze con lavoro e unità se vogliono salvare il Paese». L’inviato
delle Nazioni Unite ha incontrato
ieri sia i vertici del Congresso nazionale (il Parlamento a maggioranza
islamista di base a Tripoli), che
quelli della Camera dei rappresentanti (l’assemblea legislativa eletta la
scorsa estate e costretta a trasferirsi
a Tobruk).
E ieri sulla Libia è intervenuto
anche il presidente del Consiglio
italiano, Matteo Renzi, il quale ha
assicurato che «l’Italia è pronta
eventualmente a un intervento di
peacekeeping».
Dopo lo scoppio della ribellione,
l’intervento della Nato e la morte di
Gheddafi, ucciso dalle truppe del
Consiglio nazionale di transizione
nell’ottobre 2011, il Paese africano è
caduto in un vortice di violenza,
caos politico e crisi istituzionale
senza precedenti.
Nel 2014 lo scontro tra le forze
politiche è andato crescendo, portando alla deposizione del primo
ministro Abushagur a seguito della
sfiducia votata in marzo dal Parlamento. Le successive elezioni legislative, tenutesi a giugno, hanno re-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Gaetano Vallini
ZAGABRIA, 10. In un clima di grande incertezza si è chiusa ieri in
Croazia la campagna elettorale per
il ballottaggio delle presidenziali di
domenica. La sfida vede contrapposti il presidente uscente, il socialdemocratico Ivo Josipović, e la
sfidante, la diplomatica Kolinda
Grabar-Kitarović, candidata dal
centro-destra, all’opposizione. Entrambi si sono detti convinti della
vittoria, ma questa volta non ci sono sondaggi che indichino un favorito alla guida del Paese della ex
Jugoslavia, da un anno e mezzo
membro a pieno titolo dell’Unione
europea. Al primo turno, due settimane fa, nessuno dei candidati ha
ottenuto il 50 per cento necessario
all’elezione diretta. Josipović è arrivato primo — anche se di stretta
misura — con il 38,4 per cento dei
consensi, solo ventiduemila voti in
più e con appena l’1,2 per cento di
vantaggio rispetto alla sua sfidante.
León incontra il vice presidente del Congresso nazionale libico Saleh Almkhozom (Afp)
Rimossi altri vertici in Gambia
dopo il golpe fallito
no localizzate le miniere, a Cambulatsisse, nella provincia centrale di
Tete — è stato distrutto. La ferrovia,
trasporto strategico anche per il
commercio di altri settori vitali
all’economia del Paese, doveva essere ristrutturata con un investimento
di 163 milioni di euro. I lavori erano iniziati nel giugno 2013. L’obiettivo era quello di ampliare la capacità di trasporto fino a venti milioni
di tonnellate per anno contro i 6,5
milioni attuali. Al momento, ovviamente, i lavori sono bloccati e non
è stata indicata la data di ripresa.
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
segretario di redazione
riconosciuto dai Paesi della comunità internazionale.
Il Congresso generale nazionale a
maggioranza islamista, decaduto
con le elezioni di giugno, ha quindi
eletto un proprio premier, Al Hassi,
dando di fatto vita a un Governo
parallelo con sede a Tripoli, e con
proprie formazioni militari.
Violato
il cessate il fuoco
in Ucraina
Piogge torrenziali in Mozambico
bloccano la via del carbone
MAPUTO, 10. Le piogge torrenziali
in Mozambico, che cadono incessantemente da dicembre, continuano a provocare ingenti danni al
Paese africano e alla sua economia.
La Sena Railway Line, principale
direttrice ferroviaria dell’export di
carbone della multinazionale brasiliana Vale, che collega la provincia
di Tete al porto centrale di Beira,
sull’Oceano indiano, è stata interrotta. Come ha reso noto la società
delle Ferrovie mozambicana, un
tratto dei binari — quello che va
dalla stazione di Moatize, dove so-
gistrato la vittoria delle forze liberali
su quelle islamiste, e a settembre il
nuovo Governo di Al Thani ha ottenuto il voto di fiducia del Parlamento riunito, come detto, a Tobruk per
motivi di sicurezza.
Tuttavia, due mesi dopo la Corte
suprema ha giudicato incostituzionale il Parlamento di Tobruk, pur
l’ambasciata britannica a Roma.
Nella lettera — si legge in un comunicato — «Sua Maestà ha ringraziato ancora una volta il presidente per l’ospitalità durante la visita reale dello scorso aprile a Roma e ha inviato al presidente e alla
signora Clio i suoi migliori auguri
per il futuro».
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
BANJUL, 10. Altri due ministri sono
stati rimossi in Gambia dal presidente Yayah Jammeh, contro il
quale è fallito lo scorso 30 dicembre un tentativo di colpo di Stato.
Si tratta del secondo rimpasto di
Governo.
Il titolare del dicastero della
Giustizia, Basiru Mahoney, è stato
sostituito da Aboubacarr Senghorre, ex responsabile dell’Educazione
superiore e della Ricerca. Ha perso
il suo incarico anche Kalilou Bayo,
ministro degli Affari presidenziali e
della Funzione pubblica, sostituito
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
dal suo vice, Lamin Nyabally. La
stampa governativa, nel darne notizia, non ha indicato i motivi del
provvedimento che, a giudizio della gran parte degli osservatori, conferma comunque la determinazione
di Jammeh, al potere da oltre
vent’anni, a stroncare qualunque
dissenso.
Nei giorni scorsi, il presidente
aveva già rimosso i ministri degli
Esteri, dell’Informazione e dei Trasporti, anche in questi casi senza
che ne venissero rese pubbliche le
ragioni.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
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KIEV, 10. Due guardie nazionali di
Kiev sono state uccise ieri in uno
scontro armato con i separatisti nei
pressi di Lugansk, una delle roccaforti dei ribelli filorussi nel sud-est
ucraino. Lo ha reso noto lo stesso
corpo della guardia nazionale. Precedentemente, le autorità ucraine
avevano denunciato l’uccisione di
quattro propri soldati nel sud-est
del Paese, accusando i separatisti di
violare il nuovo cessate il fuoco
scattato il 9 dicembre e di avere intensificato gli attacchi con il lancio
di razzi e l’uso di mortai. Anche i
filorussi accusano a loro volta le
truppe di Kiev di non rispettare la
tregua. Lunedì prossimo, i ministri
degli Esteri di Ucraina, Russia,
Germania e Francia si incontreranno a Berlino per discutere del sanguinoso conflitto nel Donbass. Lo
ha annunciato il ministero degli
Esteri di Kiev.
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domenica 11 gennaio 2015
pagina 3
Le tempeste di neve ostacolano l’azione delle agenzie dell’Onu in tutto il Vicino oriente
Inverno drammatico
per milioni di piccoli profughi
Attentato a Rawalpindi
Pakistan
segnato
dall’instabilità
ISLAMABAD, 10. Ancora tensione in
Pakistan. Almeno otto persone sono morte ieri a Rawalpindi in un
attentato contro un’area utilizzata
dagli sciiti per le loro funzioni religiose. Come rendono noto i media pakistani, centinaia di persone
erano convenute nell’area di Chutian Hatian quando l’ordigno è
scoppiato fra la folla, causando la
strage. Secondo la polizia, potrebbe essersi trattato dell’opera di un
attentatore suicida.
L’instabilità continua dunque a
caratterizzare la scena pakistana,
attraversata da profondi conflitti
etnico-religiosi e fortemente condizionata dal terrorismo interno
che, specie in anni recenti, non
solo ha ripetutamente insanguinato città e regioni del Paese, ma ha
anche colpito personalità politiche
di primissimo piano: dall’ex primo
ministro Benazir Bhutto, uccisa
nel dicembre 2007 durante la campagna elettorale, al governatore
dell’importante regione del Punjab, Salman Taseer, ucciso nel
gennaio del 2011 per avere criticato la legge sulla blasfemia, fino a
Shahbaz Bhatti, ministro per le
minoranze religiose, assassinato
nel marzo del 2011. Dopo l’uccisione di Osama Bin Laden, avvenuta il primo maggio 2011 nei
pressi di Islamabad a seguito di
un blitz delle forze militari statunitensi, i dubbi sulla possibile
connivenza fra servizi segreti pakistani e gruppi terroristici hanno di
fatto portato a un rilevante incremento delle tensioni tra il Paese e
gli Stati Uniti.
E a complicare le cose c’è anche
la situazione difficilissima che si
registra in Afghanistan dopo la
conclusione ufficiale della missione internazionale Isaf. Ieri i talebani hanno sequestrato nella provincia centrale di Logar otto sminatori della ong Halo Trust, impadronendosi anche dei veicoli su
cui viaggiavano. Come scrive
l’agenzia di stampa Pajhwok, un
responsabile locale ha indicato
che il gruppo, che operava nella
zona da un anno, potrebbe essere
stato trasferito dai rapitori nel distretto di Zarghoon Shahr. Le ricerche per localizzare i sequestrati
sono cominciate, ma con difficoltà
perché — riferisce sempre la stampa locale — la sicurezza nella zona
è molto bassa a causa della presenza di basi dei talebani.
BEIRUT, 10. Le agenzie dell’Onu intensificano l’impegno a protezione
dei milioni di profughi, tra sfollati
interni e rifugiati all’estero, provocati dai quasi quattro anni del conflitto siriano. Un conflitto, questo, sul
quale si è innestata non solo l’offensiva del cosiddetto Stato islamico
(Is) in Iraq e Siria, ma anche le operazioni militari internazionali per
contrastare la prima. Particolarmente
penosa è la condizione dei bambini
rifugiati siriani in Libano che affrontano l’inverno sotto le tende in campi di fortuna a elevate altitudini.
L’Unicef, il fondo dell’Onu per
l’infanzia, ha potuto avviare finora
la distribuzione di abiti invernali,
coperte, teli e biscotti ad alto valore
energetico a settantacinquemila di
questi bambini nelle aree più critiche. Soprattutto nell’ultima settimana, però, le strade principali e le autostrade sono state bloccate dalla neve, impedendo ai camion pronti con
gli aiuti e alle unità mediche mobili
di raggiungere tali aree.
L’Unicef prevede un impegno
economico di undici milioni e mezzo di dollari per garantire assistenza
a un totale di 456.500 piccoli profughi. «Le nostre squadre e i partner
locali stanno lavorando ora dopo
ora per aiutare i bambini e le famiglie più vulnerabili ad affrontare la
tempesta. Ogni singolo sforzo deve
essere fatto subito per scongiurare
tragedie che potrebbero essere evita-
Giura il nuovo presidente
Lo Sri Lanka
si prepara a voltare pagina
te» si legge in un comunicato della
responsabile dell’Unicef in Libano,
Annamaria Laurini.
In una simile, drammatica situazione si trovano anche le centinaia
di migliaia di sfollati iracheni, soprattutto nella regione autonoma del
Kurdistan investita dall’ondata di
maltempo che sta colpendo tutto il
Medio oriente. La neve sta cadendo
abbondante nelle province curde di
Sulaimaniya, Erbil e Duhuk, dove i
profughi, tra i quali ci sono anche i
membri di minoranze cristiane e degli yazidi, sono ospitati in ricoveri di
fortuna.
Nel frattempo, il terrorismo di
matrice fondamentalista islamica che
dichiara di aderire all’Is lancia nuove sfide. In particolare, nuove operazioni sarebbero in preparazione in
Libia, dove un gruppo affiliato all’Is
ha rivendicato l’altro ieri l’uccisione
a Barqah, a sud di Bengasi, di due
giornalisti tunisini, Sofiene Chourabi e Madhir Ktari, scomparsi lo
scorso settembre nei pressi della
frontiera tra Libia e Tunisia.
Accordo tra Bangladesh e Organizzazione mondiale delle Migrazioni
In difesa dei rohingya
COLOMBO, 10. Il nuovo capo dello
Stato
srilankese,
Maithripala
Sirisena, che due giorni fa ha vinto
le elezioni presidenziali anticipate,
ha giurato ieri sera nelle mani del
giudice capo della Corte suprema.
Poco dopo ha prestato giuramento
come primo ministro anche Ranil
Wickremesinghe, leader dell’opposizione e già capo del Governo dal
2001 al 2005,
Nel suo primo discorso alla Nazione, Sirisena — che ha saputo
raccogliere i consensi delle minoranze tamil e musulmana — ha detto di non avere intenzione di rimanere per un secondo mandato e
che intende promuovere relazioni
amichevoli con ogni Paese.
Sirisena — dicono gli analisti politici — ha un ambizioso piano di
riforme costituzionali, che puntano
a trasformare lo Sri Lanka in una
Repubblica parlamentare, con un
primo ministro capo dell’Esecutivo
e un presidente garante della Costituzione. Il capo dello Stato
uscente, Mahinda Rajapaksa, che
ha guidato il Paese dal 2005, ha
garantito un trasferimento pacifico
dei poteri.
Commentando l’esito del voto,
l’arcivescovo di Kandy, Joseph
Vianney Fernando, ha dichiarato
all’agenzia Fides: «Ci sono buone
speranze e buoni auspici che inizi
per lo Sri Lanka una nuova stagione di prosperità e di pace».
DACCA, 10. L’Organizzazione mondiale delle Migrazioni (Oim) e il
Governo del Bangladesh hanno firmato ieri un importante accordo per
migliorare le condizioni sanitarie generali in due distretti di Cox’s Bazar, un’area presso il confine con il
Myanmar dove sono concentrati
centinaia di migliaia di profughi, soprattutto di etnia rohingya.
In particolare, agli sfollati — che
fuggono dalle ripetute violenze nello
Stato del Myanmar del Rakhine — è
destinato un progetto del valore di
18 milioni di dollari. Questi fondi
consentiranno all’Oim di fornire assistenza umanitaria agli immigrati
che vivono in condizioni assai precarie in campi fatiscenti, e alle comunità locali che li ospitano.
In totale, secondo fonti dell’O rganizzazione mondiale delle Migrazioni, a beneficiarne saranno 100.000
persone. Tra le priorità, il miglioramento della situazione igienico-sanitaria nei distretti individuati (che
dovrà essere garantito con l’attività
di apposite squadre itineranti), l’incremento dei servizi governativi già
presenti e, in generale, una migliore
informazione.
Al centro degli interventi anche la
fornitura di materiali per sterilizzare
l’acqua dei pozzi e per l’igiene delle
latrine negli insediamenti di rifugiati. L’Oim si è impegnata poi a sostenere il Governo di Dacca riguardo i
progetti di carattere umanitario, già
avviati e finanziati dall’Amministrazione di Washington e dai Governi
Superate tutte le aspettative soprattutto per impianti solari ed eolici
Netta crescita degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili
WASHINGTON, 10. Netto incremento
delle energie pulite nel mondo nel
2014. Gli investimenti — soprattutto
per impianti solari ed eolici off shore — hanno infatti raggiunto quota
310 miliardi di dollari, con un balzo
del 16 per cento rispetto al 2013 e di
cinque volte superiore rispetto ai
60,2 miliardi di dieci anni prima.
Il record storico resta ancora quello del 2011, a 317,5 miliardi, ricorda
Bloomberg New Energy Finance,
che ieri ha diffuso l’ultimo rapporto
sul settore, rilevando che comunque
l’andamento del 2014 è stato migliore delle aspettative.
A trainare il mercato — dice il rapporto — è stata la Cina, uno dei
maggiori Paesi inquinatori della Terra, con una fetta di investimenti del
32 per cento per 89,5 miliardi di dollari. Modesto, solo l’un per cento,
l’aumento segnato in Europa, per un
totale di 66 miliardi di dollari. Negli
Bambini siriani in un campo profughi nella valle della Bekaa in Libano (Reuters)
Stati Uniti la crescita degli investimenti nelle energie rinnovabili è stata invece dell’otto per cento, in
Giappone del 12, in Canada del 26,
in India del 14 e in Sud Africa del 5
per cento. Guardando all’Europa,
gli investimenti in Francia sono aumentati del 26 per cento, in particolare grazie al finanziamento del progetto Cestas, il più grande impianto
europeo da 300 megawatt. L’eolico
in mare ha visto una scalata del 232
per cento in Olanda. Il solare ha
fatto la parte del leone (più 25 per
cento sul 2013) concentrando la metà degli investimenti, in tutto il
mondo, pari a 149,6 miliardi di dollari; subito dopo l’eolico (più 11 per
cento) e al terzo posto le tecnologie
energetiche intelligenti (che comprendono smart grid, stoccaggio di
potenza, efficienza e trasporto elettrico), con una crescita del 10 per
cento e impegnando 37,1 miliardi.
di Londra e Stoccolma. «L’intervento è stato attentamente valutato e
pianificato — ha dichiarato Sarat
Dash, capo della missione bengalese
dell’Oim — e sostiene la strategia
nazionale del Governo per i profughi dal Myanmar».
Proprio a questo proposito, centinaia di manifestanti hanno contestato ieri a Sittwe, capoluogo del Rakhine, il relatore speciale delle Nazioni Unite sui Diritti umani nel
Myanmar, Yanghee Lee, che si trova
nella regione in visita ufficiale. Secondo fonti di stampa, i dimostranti
hanno chiesto a Lee «di essere imparziale» nel presentare la sua prossima relazione all’Onu sulla difficile
situazione dei diritti umani nel Rakhine. Da oltre due anni, nello Stato
al confine con il Bangladesh, la minoranza musulmana dei rohingya
subisce le continue violenze da parte
di estremisti buddisti.
Procedimento in Thailandia
contro l’ex premier Yingluck
BANGKOK, 10. Si è tenuta ieri nel
Parlamento di Bangkok la prima
udienza nel procedimento di impeachment contro l’ex premier
thailandese, Yingluck Shinawatra,
deposta lo scorso maggio poco prima del colpo di Stato con cui il
generale Prayuth Chan-ocha ha assunto il potere. Se condannata, rischia l’interdizione dalla politica
per cinque anni.
In un Parlamento nominato dai
militari e da essi dominato,
Yingluck ha negato l’accusa rivoltale sulla gestione di un controverso programma di sussidi ai coltivatori di riso, che — secondo l’allora
opposizione e l’attuale giunta militare — sarebbe stato fonte di corruzione su larga scala. «Posso garantire che ho governato il Paese con
onestà, interamente sotto l’autorità
a me conferita, con trasparenza e
giustizia», ha detto Yingluck, al
Governo per quasi tre anni, prima
donna premier nella storia del Paese del sud-est asiatico. Il verdetto
dell’Assemblea parlamentare è atteso entro la fine di gennaio.
Secondo gli analisti, l’impeachment fa parte delle manovre
dell’establishment militare-giudiziario per estromettere il gruppo dei
Shinawatra dalla politica nazionale, dopo cinque elezioni consecutive vinte dal 2001 dal magnate
Thaksin Shinawatra (fratello maggiore di Yingluck, dal 2006 in auto-esilio) o dai suoi affiliati, puntando in particolare sul blocco elettorale rappresentato dal popoloso
nord-est rurale.
La giunta militare è molto popolare tra la borghesia di Bangkok,
che prima del golpe aveva manifestato per sette mesi nella capitale
contro l’allora Governo Yingluck.
Cooperazione per rilanciare
l’economia indiana
NEW DELHI, 10. Nuova collaborazione economica internazionale per
rilanciare l’economia indiana: con
questo obiettivo il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e il
segretario di Stato americano, John
Kerry, saranno da domani in India
per una conferenza economica con
il premier Narendra Modi.
Il forum internazionale, finalizzato a promuovere gli investimenti
stranieri — e statunitensi in particolare — in India e in tutto il sud est
asiatico, si svolge nella città occidentale di Ahmadabad. Ban Kimoon sarà in visita in India fino a
martedì prossimo: il segretario ge-
nerale terrà un discorso al summit
degli investitori e avrà una serie di
colloqui diretti con il presidente indiano, Pranab Mikherjee, con il
premier Modi e con il ministro degli Esteri, Sushma Swaraj.
Negli incontri bilaterali — sottolinea la stampa internazionale — il
segretario generale potrebbe sollevare anche il caso dei marò italiani,
Massimiliano Latorre e Salvatore
Girone, accusati di aver ucciso dei
pescatori indiani. Nei giorni scorsi
Ban Ki-moon aveva espresso
preoccupazione per la vicenda che
vede contrapporsi due Paesi membri dell’O nu.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 11 gennaio 2015
17 gennaio 1915
Corsia dell’ospizio di Santa Marta
(13 gennaio 1915)
La pietà
del Papa
Cento anni fa il terremoto con epicentro nella Marsica che provocò oltre ventottomila morti
E Benedetto XV
aprì le porte di Santa Marta
di GIUSEPPE MAGLIOZZI
a quando è residenza
di Papa Francesco,
che vi celebra Messa
ogni mattina, Santa
Marta è divenuto il
complesso edilizio più famoso del
mondo. Sorse nel 1884, quando
Leone XIII lo volle come ricovero
d’emergenza
per
fronteggiare
un’incombente epidemia di colera
e l’affidò alle Suore Vincenziane,
che vi sono tuttora, come ricorda
il
direttore
dell’O sservatore
D
In questa ininterrotta opera di
carità merita di essere ricordato, a
cento anni di distanza, il ricovero
ospedaliero offerto ai feriti dello
spaventoso terremoto che il 13
gennaio 1915 colpì una vasta area
dell’Italia centrale, con epicentro
nella Marsica. Le scosse, che toccarono il settimo grado della scala
Mercalli, provocarono 28.188 morti nella piana del Fucino, in
Abruzzo, in particolare ad Avezzano e a Pescina, e nel Lazio, a
Sora. Ad Avezzano restò in piedi
una sola casa. Su 13.000 abitanti
tri e si aprì una larga crepa nella
scala a chiocciola che porta alla
cupola. Come riferì il 14 gennaio
il giornale spagnolo «Abc», Papa
Benedetto XV avvertì il terremoto
mentre si trovava in Biblioteca:
per alcuni istanti pregò in
ginocchio, poi subito inviò qualcuno in città ad accertarsi dei
danni e dette disposizioni d’accogliere i profughi nella Villa di Castel Gandolfo e i feriti in Vaticano
nell’Ospizio di Santa Marta, informandone direttamente il sindaco di Roma.
Come leggiamo nel diario delle
Suore Vincenziane, già dal 14 gennaio entrarono in funzione una
corsia per le donne, assistite dalle
stesse suore, e una per gli uomini,
affidata ai Fatebenefratelli. I feriti
In data 15 il quotidiano «Abc»
segnalò la prima visita del Papa
già la sera del 14, precisando che
arrivò a Santa Marta attraversando la Basilica e che si trattenne a
conversare con i malati e a distribuire aiuti. In data 17 viene segnalata una seconda visita.
«L’Osservatore Romano» del 17
gennaio annotò che i ricoverati in
quel momento erano 130 e precisò
che c’erano stati 4 decessi, oltre a
un bambino nato già morto. Inoltre, fornì questo elenco del personale: «Quei miseri sono affidati
alle solerti e sapienti cure dei dottori Amici, Proli, Cagiati, Serafini,
Petacci, De Paolis ed Angeli, ai
quali presiede il dott. Battistini. Il
corpo sanitario è efficacemente
coadiuvato dai Religiosi Fate-Be-
Un prete piuttosto strano
Dopo le terribili scosse sismiche che devastarono la Marsica il
13 gennaio 1915, provocando quasi trentamila vittime, fu don
Orione tra i primi ad arrivare in soccorso della popolazione
martoriata. Tragico lo scenario che si trovò di fronte: macerie
ovunque, strade e ferrovie distrutte. E, soprattutto, tantissimi
orfani rimasti soli. Tra le prime preoccupazioni di don Orione
vi fu dunque quella di portare i più piccoli in luoghi sicuri.
Ma la mancanza di mezzi di trasporto rendeva la situazione
ancora più critica. Don Orione non si perse d’animo, tanto da
arrivare a sequestrare un’auto del re Vittorio Emanuele III in
visita nei luoghi sinistrati. L’auto fu poi regalata dal re a don
Orione come testimonia un telegramma del ministero degli
Interni del 23 gennaio 1915, che “legalizza” il dono. Tra gli
orfani raccolti dal santo anche Ignazio Silone e suo fratello
Romoletto. Ed è Ignazio, in qualità di testimone oculare, a
raccontare l’episodio in Uscita di sicurezza. In un passo del
racconto si legge: «Assieme ad altri, anch’io osservai tutta la
scena. Appena il piccolo prete col suo carico di ragazzi si fu
allontanato, chiesi attorno a me “Chi è quell’uomo
straordinario?” Una vecchia che gli aveva affidato il suo
nipotino, mi rispose “Un certo don Orione, un prete piuttosto
strano”».
La prima pagina dell’Osservatore Romano del 17 gennaio del 1915
interamente dedicata al terremoto
Romano
Giuseppe
Angelini
nell’editoriale che ripubblichiamo
in questa pagina.
Nel 1996 vi si inaugurò l’attuale
residenza per le riunioni dei cardinali e di altri ecclesiastici, ma nello scorrere di quasi un secolo e
mezzo le suore hanno continuato
a portare avanti attività assistenziali. L’ultima “novità” risale al
1922: l’organizzazione di un Dispensario pediatrico in cui nel
2014 sono affluiti 480 bambini
d’ogni provenienza e fede e dove
sono stati distribuiti cibi e indumenti a famiglie disagiate.
ne morirono 10.700. Si trattò di
uno dei più gravi terremoti mai
avvenuti in Italia, superato solamente da quelli del 1394 e del
1885. Ci furono danni in 250 comuni distribuiti in otto Province:
L’Aquila, Teramo, Ascoli Piceno,
Perugia, Chieti, Campobasso, Caserta e Roma.
A Roma la scossa principale fu
violentissima, la gente fuggì in
strada, compresi quelli che erano
in grado di farlo tra i malati ricoverati negli ospedali. Nel porticato di San Pietro crollò una colonna e in basilica si ruppero 150 ve-
cominciarono ad affluire in treno
a Roma la sera del 14 e furono
smistati in tutti gli ospedali, compreso quello dei Fatebenefratelli
all’Isola Tiberina e quello in Vaticano di Santa Marta, nel quale i
ricoveri si protrassero fino al 6
aprile. I dimessi venivano subito
trasferiti nei centri di accoglienza,
così da fare spazio alle migliaia di
feriti che i treni continuavano a riversare su Roma.
Come poi attestò monsignor
Ferrazza nell’opuscolo commemorativo «La Marsica», edito nel primo anniversario del terremoto,
«tra le linde corsie di Santa Marta
videro tanti nostri fortunati fratelli, quasi bianca visione, aggirarsi
l’Augusto Pontefice ed al suono
della sua parola affettuosa e cara
sentirono rinascere nei cuori sanguinanti la speranza e la vita».
ne-Fratelli e dalle Figlie della Carità, con a capo la veneranda ed
infaticabile suor Teresa. Sono adibiti all’Ospizio parecchi infermieri
ed altri dipendenti dalla Prefettura dei Sacri Palazzi. L’Ill.mo e
R.mo Monsignor Misciattelli, Vice-Prefetto dei medesimi Sacri Palazzi, presiede all’andamento ge-
Le scosse toccarono il settimo grado
della scala Mercalli
Ad Avezzano
restò in piedi una sola casa
Su 13000 abitanti
ne morirono 10700
nerale e conforta spesso di sua
presenza i malati».
«L’Osservatore Romano» del 19
gennaio dette notizia dell’arrivo di
altri tre feriti, della dimissione di
sette ormai guariti e di un ulteriore decesso. Precisò inoltre che dalle 12 alle 13 i parenti e gli amici
potevano visitare gli infermi. In
data 24 gennaio, sempre «L’O sservatore Romano», segnalò la visita del sindaco di Roma, il principe Prospero Colonna, che fu accolto dal dirigente dell’O spedale,
monsignor Misciattelli, dal cappellano, monsignor Zampini, e dal
Primario, professor Battistini. Dopo aver visitato i malati, il sindaco
chiese di «presentare i suoi omaggi al Santo Padre esprimendogli
tutta la sua ammirazione per la
carità e il modo ammirabile col
quale sono assistiti e curati quei
poveri infortunati».
Durante queste visite ufficiali
era presente Giuseppe Felici
(1839-1923), che fin dal 1902 aveva
ottenuto d’essere riconosciuto come fotografo pontificio, titolo che
poi si trasmise di padre in figlio
fino agli attuali pronipoti. Fu grazie a lui che nell’Archivio della
nostra Curia Generalizia si conserva la foto qui riprodotta, nella
quale si vedono tre nostri confratelli mentre assistono nella corsia
di Santa Marta le vittime del terremoto della Marsica, come avevano già fatto nello stesso ospedale
a partire dal 4 gennaio 1909 per le
vittime del sisma di Messina.
L’atto pietoso compiuto dal Santo
Padre Benedetto XV nel recarsi a visitare i feriti ricoverati presso l’ospizio di Santa Marta, che la paterna
Sua carità aveva destinato a ricevere
quegli infelici, è stato accolto da tutti e apprezzato nel suo giusto valore,
considerandolo per quello che era
realmente, l’espressione cioè della
bontà squisita dell’animo Suo, del
Suo spirito sacerdotale e della Sua
carità e sollecitudine pastorale. Di
quella carità, che come Lo spinge a
levare insistentemente la paterna Sua
voce per richiamare governi e popoli
a sentimenti di pace, per arrestare il
furore delle armi e ridonare una parte dei prigionieri alle loro famiglie,
così Lo muove ad accorrere al letto
degli infermi da Lui ospitati, vittime
di un immane disastro che la Provvidenza, negli imperscrutabili suoi decreti, ha permesso che venisse di
nuovo a colpire la patria nostra.
Con la generosa Sua ospitalità,
col conforto recato a quegli infelici,
con la Sua stessa presenza, Benedetto XV oltre che dimostrare il Suo paterno interessamento per le altrui
sventure, ha voluto altresì dare un
nobile esempio che servisse a tutti di
sprone per quel magnifico slancio di
carità che nella patria nostra, sempre
uguale a se stessa nella sventura, si
va in modo così magnifico manifestando.
Abbiamo detto che l’atto magnanimo di Benedetto XV è stato universalmente apprezzato per quello che
era realmente e ci è grato ripeterlo,
sebbene non sia mancata qualche
voce isolata che, basandosi sopra dati di fatto assolutamente insussistenti, ha preteso di dare alla visita del
Santo Padre all’Ospizio di Santa
Marta, un significato ed una interpretazione assolutamente arbitraria;
ciò che dimostra negli autori di queste voci una assai manchevole conoscenza, come delle cose presenti, così di quelle passate, che ci sembra
però non inutile di rievocare.
Quando Leone XIII, nella minaccia di una invasione colerica, concepì il magnanimo disegno e prese la
nobile iniziativa di destinare ad uso
di Lazzaretto o di ospedale, i vasti
locali di Santa Marta, fu appunto
guidato da un duplice nobilissimo
intendimento; fare opera salutare e
caritatevole verso l’umanità sofferente e in pari tempo, accogliendo un
certo numero di infelici presso la
Sua residenza, e in un locale dipendente dalla Sua giurisdizione, rendere a Se stesso possibile l’adempimento di quella missione di personale
carità che è retaggio e gloria fulgidissima della Chiesa di Gesù Cristo
e dei Romani Pontefici.
La Provvidenza, allontanando allora la fosca minaccia dalla nostra
città, non permise che quel grande
Pontefice avesse occasione di compiere il caritatevole ufficio che si era
proposto, ma il degno suo Successore, il Pontefice Pio X, al primo annunzio dell’immane disastro che aveva colpito la Calabria e la Sicilia, si
affrettava a dischiudere le porte di
quell’asilo ospitale ai numerosi feriti
ed infermi di quelle regioni, che vi
furono ricoverati e che ebbero quivi
cure sapienti, assistenza caritatevole
e affettuosa. Il venerando Pontefice,
lieto di aver potuto ospitare tanti infelici, avrebbe voluto recarsi Esso
stesso a confortarli personalmente
con la Sua voce paterna, ma le malferme condizioni della Sua salute
non permisero neppure allora che
venisse attuato questo pietoso intendimento.
Bene però ha potuto compierlo
ora, nella piena vigoria delle sue forze, Benedetto XV, che scendendo
dalla Sua dimora, a traverso la Basilica di S. Pietro e la Canonica Vaticana, si è recato nell’Ospizio di Santa Marta, a confortare i dolori fisici
e morali degli infelici da lui ospitati,
dimostrando ancora una volta come
il Vicario di Gesù Cristo non è soltanto il rappresentante della autorità
divina sopra la terra, ma anche la
personificazione vivente della divina
misericordia.
Né ci si dica, come ha detto taluna di quelle voci, alle quali abbiamo
sopra accennato, che noi ristabilendo in tal guisa la verità dei fatti,
avremmo rimpicciolito l’atto nobilissimo compiuto da Benedetto XV. Se
v’ha qualcuno, cui possa muoversi
questo rimprovero, sono appunto coloro che all’atto stesso hanno cercato
di attribuire un significato che non
aveva, che non poteva avere, come
rimpicciolisce sempre la grandezza
magnifica della carità chiunque si
provi a costringerla e ad asservirla,
perfino quando non vi è alcun pretesto per farlo, come nel caso presente, a intendimenti ed a scopi d’interesse politico. (A.)
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 5
domenica 11 gennaio 2015
Nella Cronaca di Antiochia l’eccezionale normalità della convivenza
Nessuna
meraviglia
di EGIDIO PICUCCI
La Cronaca di Antiochia che il padre cappuccino Domenico Bertogli,
da ventisette anni parroco della minuscola comunità cattolica locale,
prepara e invia anche al Papa ha
superato le diciassette edizioni.
Messe insieme formerebbero una
preziosa appendice agli Atti degli
Apostoli del ventunesimo secolo, i
cui protagonisti sarebbero i pellegrini che ogni anno visitano la città
e tornano raccontando «quello che
hanno visto e udito» nella città di
Luca, di Ignazio e di Giovanni Crisostomo.
Nessuno, dei novantuno gruppi
passati quest’anno in città, tralascerebbe di parlare della Grotta di San
Pietro (culla dell’ecumenismo antiocheno), dove cattolici e ortodossi
celebrano insieme le feste di Pasqua
e Natale, nonché degli auguri natalizi che ogni anno il sindaco affida
a un cartello posto sulla strada che
porta alla missione cattolica. Anche
se il 25 dicembre in Turchia è un
comune giorno dell’anno. Nessuna
meraviglia per chi sa che qui la
convivenza pacifica tra giudeo-cristiani e pagano-cristiani risale ai
tempi degli Apostoli e che quella
tra cristiani e musulmani ha secoli
sulle spalle.
A proposito della Grotta, il quotidiano «Habertürk» ha scritto che,
se il turismo religioso in Turchia «è
notevolmente diminuito, tanto che
alcune agenzie hanno disdetto viaggi già programmati», gran parte
della colpa ricade sulla sua prolungata chiusura (quasi due anni) per
la sistemazione che, tuttavia, secondo quanto si legge nella cronaca, le
darà un’eleganza nuova, facendola
uscire dal suo splendido e potente
squallore. Ha aperto le visite del
2014 l’addetto militare dell’ambasciata cinese in Turchia con moglie
e figlia, prima autorità di quella nazione in visita alla Chiesa cattolica,
seguito da quattro monaci russi della Siberia. Gli avvicendamenti sono
durati tutto l’anno con personalità
politiche, artisti, registi, vescovi cattolici, siro-ortodossi, protestanti,
confusi tra pellegrini arrivati a piedi, come Pascal e Françoise di Nizza, o il padre cappuccino Romano
Mantovi, che ha attraversato tutta
l’Anatolia infocata dalla canicola di
luglio.
Antiochia, capoluogo della nascente Chiesa cristiana, è meta ambita di chi crede di possedere meno
pietà e meno scienza religiosa se
non la visitasse e la conoscesse non
per quello che ha oggi ma per quello che vi accadde con la prima comunità formata dagli ellenisti di Ci-
pro e di Cirene arrivati da Gerusalemme. I musulmani del luogo non
lo sanno, ma quel viavai di pellegrini diretti alla missione cattolica, al
suo giardino odoroso di zagare in
cui gli sposi amano farsi fotografare
(perfino cinque coppie in un giorno), e che il direttore della Polizia
della provincia di Hatay, Ali Doğan
Uludağ, ha voluto abbellire con un
fiore raro da mettervi a dimora, li
costringe a interrogarsi sul perché
di tanto interesse e di tanta passione di gente che arriva da tutti i
continenti, e a non protestare (come
si farebbe altrove) perché il nuovo
sindaco si è impegnato a «tener pulite le strade di accesso alla chiesa e
a garantire la manutenzione degli
alberi del giardino».
Sede titolare di tre patriarcati cattolici (dei Siri, dei Greco-Melkiti e
dei Maroniti) nonché del patriarcato greco-ortodosso e della Chiesa
ortodossa siriaca, la città, più che
dei suoi abitanti, è dei credenti di
tutto il mondo. Nessuna meraviglia,
quindi, che accetti il matrimonio di
un cattolico con un’armena, celebrato in una chiesa ortodossa con i
relativi sacerdoti, che sul campanile
della chiesa svetti una croce, che la
campana suoni per la liturgia quotidiana, che accompagni la preparazione al sacerdozio di un seminarista suo concittadino che studia in
Italia, che collabori all’assistenza
dei poveri dopo la soppressione
della Caritas locale, che si prepari
ad accogliere le Suore di Madre Teresa, che il Coro della civiltà, vanto
cittadino, sia composto da cristiani,
musulmani ed ebrei, che anche un
sacerdote cattolico, invitato a tutte
le manifestazioni civili, sia premiato, insieme ad altri leader religiosi,
per aver contribuito allo sviluppo
della vita sociale, economica e intellettuale dell’Hatay.
La cronaca di padre Domenico
spazia anche sulla vita civile, mutevole, mutata, con notizie che i media non pubblicano. Parla infatti
del numero delle scuole (61.936) e
degli alunni (17.532.098), dell’aumento delle moschee (quindicimila
in un anno, per un totale di novantamila), delle condoglianze fatte per
la prima volta dal capo dello Stato
agli armeni per i fatti del 1915, delle
promesse elettorali del premier:
aprire la scuola teologica ortodossa
di Chalki, costruire un ulteriore
ponte sul Bosforo, aprire l’aeroporto più grande d’Europa, riconvertire
Aghia Sofia in moschea.
Il parroco di Antiochia, divenuto
“narratore”, è persuaso che il particolare è segno della storia, cioè del
carattere storico dei fatti. E non
l’ha trascurato.
Ciò che unisce l’esperienza di fede delle religioni monoteiste
L’amore di Dio è rispetto
di MATTEO CO CO
La sera dell’8 gennaio a San Giovanni Rotondo è stata scritta una
bella pagina per favorire il dialogo
interreligioso tra le varie confessioni
monoteiste. L’incontro tra cristiani,
ebrei e musulmani (promosso da
più associazioni culturali) è stato
incoraggiato dal monaco Efrem
Massimo Valentini del santuario di
Santa Maria di Pulsano, da Yehudah Pagliara della Comunità ebraica di Napoli e da Rachid El Messki, imam della moschea di Foggia.
Tutti hanno riflettuto sull’esperienza che l’uomo affronta durante il
cammino di fede in cui si mette in
viaggio e in sintonia col suo Dio e,
vicendevolmente, col suo prossimo.
Le voci che sono risuonate all’interno del Chiostro di San Francesco, nel “Palazzo di città” del Comune garganico, sono state quelle
che hanno rimarcato, sì, le diversità,
ma anche e soprattutto i punti di
comprensione, amore, pace e rispetto del messaggio di armonia del
creato. Infatti, Michele Memeo,
teologo che ha moderato il confronto, ha da subito posto l’accento
sulla rivelazione di un Dio eterno e
dinamico che intima ad Abramo di
seguire un percorso di verticalità
che non si fossilizza su riti e sacrifici perché, pur essendo le tre tradizioni sorte in tempi e luoghi determinati e determinanti, in tutti i casi
l’amore di Dio elimina le differenze
perché l’amore esige il rispetto.
Ecco anche perché, dice Efrem,
queste religioni nei documenti fondativi hanno il pellegrinaggio come
esercizio ascetico (andare a Gerusalemme significherà, per traslazione,
andare verso il luogo del martirio)
sulla via e sulla linea di Dio in un
viaggio che si completa solo nell’al
di là, faccia a faccia con l’Eterno.
Suggestioni e notazioni che sono
proseguite con il riferimento di
Yehudah all’Uno padrone del Tutto
e Signore del mondo creato che
non può essere solo aggregazione
di atomi e semplice materialità,
questo mondo creato con la commutazione (e omologazione anche)
delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico
(che essendo anche numeri possono
avere infinite combinazioni) deve
essere un mondo meno materiale
proprio perché l’uomo si eleva e deve renderlo tale, uscire da se stesso
e andare verso Colui che fa la pace
nei cieli e sulla terra, un Dio (HaSchem) che dobbiamo ringraziare
quotidianamente per le elargizioni
gratuite che disinteressatamente ci
fa ogni giorno. È a Lui che dobbiamo dimostrare riconoscenza con la
nostra fedeltà. «Il nome — ha concluso Yehudah — lo possiamo ringraziare intonando il canto della
shalom, della pace, perché con la
nostra voce e la nostra bocca pos-
siamo lodarlo e, appunto, onorarlo». E se il commento ebraico è stato tutto di ordine e indirizzo spirituale, altrettanto sentito e accorato
è stato l’intervento di Rachid, il
quale, attestando che Allah è l’Unico Dio, ha citato le sure e gli ayāt
del Corano che qualificano Dio come misericordioso (al-Rahman) e
l’uomo come rispettoso di ogni
prossimo e di ogni forma di vita finanche animale.
Sgombrando il campo dal dubbio che l’islam possa essere una religione contro l’uomo, come in questi giorni a sproposito qualcuno
vorrebbe far credere, l’imam Rachid
El Messki si è soffermato soprattutto sull’uguaglianza tra gli uomini e
sulla sottomissione totale a Dio
l’Onnipotente, quindi sulla determinazione di non causare mai danno ad alcuna cosa vivente. Un dialogo che, sulle direttrici lungo le
quali si è sviluppato, può essere, a
mio avviso, condivisibile e parteci-
Appello dei vescovi maroniti
La strada per il bene
del Libano
salemme — incontreranno la piccola
comunità cattolica (duecento persone
su duemilacinquecento cristiani) e visiteranno le scuole e gli ospedali cristiani, che svolgono un importante
servizio in tutta la regione. A Hebron
e a Sderot, città israeliana quest’ultima più volte colpita da lanci di razzi
palestinesi, i vescovi incontreranno altre comunità cristiane al fine di conoscere da vicino anche le sofferenze
della parte israeliana del conflitto.
Nel corso dei lavori, i vescovi si recheranno anche nella valle del Cremisan, dove l’erezione di un muro di sicurezza sembra destinato a separare
dalle loro terre oltre cinquanta famiglie cristiane che vivono tra Beit
Sahour e Beit Jala, minacciandone la
loro stessa sopravvivenza. A Betlemme i vescovi faranno visita a diverse
realtà di carità come case famiglie per
anziani, per vedove, per bambini abbandonati e disabili, il Caritas Baby
Hospital, e centri di riabilitazione. I
lavori prevedono anche un incontro
con i vescovi locali cattolici di diversi
riti, il nunzio apostolico di Terra santa e alcuni ambasciatori dei Paesi rappresentati nel Coordinamento.
Città
della pace
«Gerusalemme città della pace» è stato il tema del trentaquattresimo Colloquio ebraicocristiano, svoltosi a Camaldoli
dal 4 all’8 dicembre 2013, i cui
atti vengono adesso pubblicati
dal trimestrale «Vita monastica». L’appuntamento, dedicato
alla figura del cardinale Carlo
Maria Martini “uomo del dialogo”, ha costituito il passo
conclusivo di un ciclo di incontri in cui sono stati affrontati
temi fondamentali nel rapporto
ebraico-cristiano come l’alleanza, la Scrittura e il popolo di
Dio. Il significato simbolico di
Gerusalemme è stato esaminato, con il contributo di numerosi esperti, dal punto di vista
biblico, teologico, letterario e
nella prospettiva non solo del
dialogo tra ebrei e cristiani ma
anche di quello con i musulmani. Gerusalemme divisa, ha
sintetizzato Amos Luzzato nelle sue conclusioni, «diventa
motivo di scontro. Unita,
invece, potrebbe essere movente di unità anche tra vecchi avversari».
La Segreteria di Stato comunica che
è deceduta la
Alle periferie della Terra santa
quelle periferie esistenziali di Terra
santa che il clima di conflitto e l’instabilità politica ed economica della
regione hanno fatto emergere con ulteriore drammaticità. «È per questo —
ha aggiunto il segretario generale del
Ccee — che andremo ancora quest’anno laddove si trovano le persone più
vulnerabili e sofferenti per portare un
messaggio di pace e di speranza, testimoniando loro la vicinanza delle
nostre Chiese. La nostra visita vuole
anche essere un sostegno alla missione della Chiesa locale, sempre vicina
a chi soffre. Vogliamo allo stesso tempo approfondire la realtà di queste
periferie sociali per sostenere più efficacemente nei nostri Paesi di provenienza un’azione per la giustizia e la
pace. Così facendo, vogliamo ribadire
e assicurare il nostro sostegno alla
Chiesa locale, in particolare attraverso le numerose organizzazioni cattoliche già presenti sul territorio».
A Gaza i vescovi e gli altri componenti della delegazione — una cinquantina di persone, compresi i rappresentanti di organismi ecclesiali internazionali come Caritas, Catholic
Relief Services, Pax Christi, Ordine
equestre del Santo Sepolcro di Geru-
Colloqui ebraico-cristiani
†
Inizia il pellegrinaggio dei presuli d’Europa, Nord America e Sud Africa
GERUSALEMME, 10. «Benché la Terra
santa sia sempre molto presente nei
nostri telegiornali, rischiamo di dimenticare come decenni di instabilità
politica, conflitto armato e terrorismo
hanno generato periferie esistenziali
che coinvolgono sempre più anche la
comunità cristiana e cattolica dell’intera regione». Con queste parole
monsignor Duarte Nuno Queiroz de
Barros da Cunha, segretario generale
del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee), spiega il senso
del pellegrinaggio che in questi giorni — dal 10 al 15 gennaio — vede protagonisti i membri del Coordinamento per la Terra santa, la delegazione
di vescovi d’Europa, del Nord America e del Sud Africa che, come è spiegato in un comunicato degli organizzatori, «intende testimoniare l’attenzione della Chiesa a favore delle comunità cristiane e dell’assemblea dei
vescovi cattolici in Terra santa».
Gaza, Hebron, Betlemme, Gerusalemme e Sderot saranno le principali
città toccate dai presuli del Coordinamento. Quest’anno — l’iniziativa si
svolge dal 1998 sempre nel mese di
gennaio — il programma della visitapellegrinaggio si concentra attorno a
pato senza esasperare mai i toni e
semmai mediando sempre per “costruire nella diversità”.
Alla fine le conclusioni, affidate a
Federico Massimo Ceschin, vicepresidente dell’Associazione europea
delle Vie Francigene, sono state
quelle che hanno opportunamente
riassunto il tono stesso del dialogo
sviluppatosi, poiché proprio Ceschin ha inquadrato l’Europa come
continente di pace che si sforza di
recuperare alcune matrici identitarie
per creare vie, ritrovare e ripercorrere quei motivi che, nel Consiglio
d’Europa allargato a quarantanove
Paesi, tracciano gli elementi comuni
della nostra storia. Mettersi in cammino è uscire dal consueto e, oggi,
la Puglia è strategica per iniziare
un cammino d’Abramo verso la
Terra Santa, verso un Oriente dilaniato che ha bisogno urgente di pace, proprio in quel Mediterraneo da
sempre crocevia di cultura nel quale
noi ci troviamo.
Ecco perché, in fondo, aspettando altre occasioni come questa o
cercando di organizzarle e favorirle,
dobbiamo essere e ritrovarci tutti
uniti, pur nella diversità che è ricchezza. E se le tre religioni monoteiste per eccellenza, abramitiche,
fondano, io credo, la loro speranza
nella Parola (o parole) che l’Eterno
ci ha donato nei sacri testi (Bibbia,
Corano, la perfetta Torah del Creatore) è attraverso di essa/e che dobbiamo pervenire alla verità, alla pace vera di cui tutti quanti abbiamo
essenzialmente bisogno.
Signora
BEIRUT, 10. I vescovi maroniti
fanno sentire di nuovo la loro
voce per il bene comune del Libano. Riunitisi, presso la sede
patriarcale di Bkerkè, per il loro
incontro mensile presieduto dal
patriarca di Antiochia dei Maroniti, Béchara Boutros Raï, i presuli hanno ancora una volta
esortato i parlamentari a eleggere in tempi rapidi il nuovo presidente della Repubblica libanese, la cui carica è ormai vacante
dal 25 maggio scorso. L'inizio
del nuovo anno — si legge in un
comunicato diffuso al termine
della riunione — deve rappresentare un tempo favorevole per
«rinsaldare nuovi legami nazionali e lasciarsi alle spalle il tunnel buio in cui il Paese è sprofondato a causa della vacatio
della carica presidenziale». Dopo l’insuccesso di ben diciassette sessioni parlamentari convocate per l’elezione presidenziale
e andate fallite per la mancanza
di accordo tra i blocchi contrapposti che dominano la scena politica del Paese, i vescovi maroniti ribadiscono che la paralisi
istituzionale sta esponendo il
Libano a pericoli gravi — visti i
conflitti che sconvolgono tutta
l’area mediorientale — e invitano
i membri delle varie parti politiche a «operare nello spirito del
superiore interesse nazionale».
L’assemblea dei presuli maroniti ha inoltre accolto con favore l’avvio di contatti, iniziati o
annunciati, tra leader e gruppi
politici finora in contrasto, invitando nel contempo tutte le forze a non limitarsi a incontri bilaterali e ad aprirsi a un dialogo
globale, che abbia come punto
di riferimento comune il Patto
nazionale e la Costituzione. «Il
Libano — si legge nel comunicato finale dell’assemblea episcopale maronita — non avrà un futuro luminoso se rimane prigioniero degli assi regionali e interni, ostaggio di interessi parziali
o settari. Per questo serve trovare meccanismi che impediscano
di bloccare le elezioni presidenziali alla scadenza di ogni mandato, o di provocare la paralisi
delle altre istituzioni».
ELENA RUIZ
DE MONTEMAYOR
madre di S.E. Mons. Luis Mariano
Montemayor, Nunzio Apostolico in
Senegal, Capo Verde, Guinea-Bissau.
Nell’esprimere sentita partecipazione al suo dolore, i Superiori e gli
Officiali della Segreteria di Stato e
del Servizio Diplomatico della Santa
Sede assicurano il ricordo nella preghiera mentre invocano dal Signore
conforto per tutti i familiari della cara defunta.
†
La comunità di S. Maria sopra Minerva annuncia la dipartita, nel suo
centunesimo anno, di
Padre
REGINALD O (EMILIO)
BERNINI, O.P.
Ricordandone il lungo e generoso
ministero sacerdotale ed invocando
l’intercessione della B. V. Maria e di
S. Domenico, lo affida con fiducia
al Signore.
Le esequie saranno celebrate il 12
gennaio 2015, alle ore 11, nella chiesa
del Convento S. Domenico di Fiesole.
pagina 6
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 11 gennaio 2015
L’oratoriano Joseph Vaz sarà canonizzato a Colombo
Clandestino
con la candela accesa
di LUIS ANTONIO G. TAGLE*
Dal 15 al 19 gennaio Papa Francesco
metterà piede sul suolo filippino.
Con la sua visita pastorale il nostro
Paese sarà onorato per la quarta
volta della presenza di un successore di Pietro. Già nel 1970 Paolo VI
incluse le Filippine nel suo pellegrinaggio apostolico in Asia e Oceania. Giovanni Paolo II vi è stato due
volte: nel 1981 e nel 1995 per la giornata mondiale della gioventù.
Vent’anni dopo diamo il benvenuto
a Francesco. Ogni visita papale è
unica, essendo caratterizzata dalle
personalità uniche dei Pontefici e
dal mutare delle circostanze nel Paese, nella Chiesa e nel mondo.
Durante una conversazione con
Papa Francesco egli mi ha espresso
un desiderio: «Non devo essere io
al centro del viaggio apostolico nelle Filippine. Il centro deve essere
Gesù». Ho fatto del mio meglio per
comunicare questo auspicio del
Pontefice alla nazione filippina e alle persone impegnate nei preparativi
per la visita. Il suo sentimento dovrebbe essere anche il nostro. La
sua comprensione di questo pellegrinaggio, incentrata su Cristo, dovrebbe indicarci il fulcro dei numerosi avvenimenti che si terranno. Il
tema della visita apostolica — misericordia e compassione — dovrebbe
essere qualificato come la misericordia e la compassione di Gesù manifestate nei Vangeli. Alla luce di questo desiderio del Papa, vorrei sottolineare alcune attese relative alla visita.
Anzitutto, Francesco arriva dopo
la celebrazione dell’anno del laicato
nelle Filippine (2014). Ci attendiamo lo slancio e l’incoraggiamento
che il successore di Pietro potrà dare ai nostri fedeli laici, approfondendo il loro incontro personale con
Gesù e portando il Vangelo di Gesù
in tutti gli aspetti della vita: coscienza, famiglia, cultura, politica,
finanza, scienze, arti, sport, migrazione, lavoro, ecumenismo, dialogo
tra le religioni e comunicazioni sociali. Attendiamo dal Papa indicazioni agli uomini e alle donne ordinati e consacrati per promuovere la
comunione con i fedeli laici. Ci
aspettiamo che egli ci invii di nuovo
come missionari ovunque ci troviamo, specialmente in Asia. Attendiamo con ansia che Francesco ci confermi, proprio come un tempo Gesù
disse a Pietro: «Io ho pregato per
te, che non venga meno la tua fede;
e tu, una volta ravveduto, conferma
i tuoi fratelli» (Luca, 22, 32).
Ma dobbiamo ascoltare Papa
Francesco. Non basta vederlo, avvicinarsi a lui o addirittura toccarlo.
Abbiamo chiesto al nostro popolo
filippino di ascoltare il Vangelo di
Gesù che giungerà a noi attraverso
il Pontefice. La visita apostolica potrà fare la differenza nella Chiesa e
nella società filippina solo se ascolteremo e se agiremo conformemente
a quanto avremo udito.
In secondo luogo, Francesco arriva dopo la serie di catastrofi, naturali o causate dall’uomo, che il popolo filippino ha vissuto nel 2013 e
nel 2014: terremoti, tifoni (il più forte dei quali è stato Haiyan) e conflitti armati. Non dobbiamo però
dimenticare la catastrofe quotidiana
della povertà e dell’ineguaglianza,
che si vedono nei bambini e nelle
famiglie che vivono per strada, dei
senzatetto, della tratta di esseri
umani, della disoccupazione e della
sottoccupazione, della migrazione
forzata, della prostituzione, degli
stupefacenti, della corruzione, delle
persone scomparse e del degrado
ambientale.
Il Papa porterà la compassione di
Gesù a quanti sono stanchi, sfiniti e
considerano la vita gravosa. Si
aspettano di essere rassicurati che
Gesù continua a essere il pastore
che ha compassione per le folle affamate. Ci attendiamo una sfida rinnovata agli ordinati e ai religiosi a
incarnare l’amore, la pazienza e la
guarigione di Gesù mentre portano
la buona novella ai poveri. Ci aspettiamo l’invito del Papa a quanti modellano il governo, la cultura e
l’economia, a ritornare all’amore come legge suprema che deve dare
forma alle loro politiche e ai loro
programmi. Ci aspettiamo che il
Quando Clemente XI, il 26 noscritti perché egli fu veramente un
vembre 1706, confermava la fondasacerdote santo».
Da vent’anni padre Joseph si era zione e ne elogiava l’operato, padre
introdotto clandestinamente a Cey- Vaz era già partito per Ceylon. Sul
lon, oppressa dalla dura persecuzio- finire del 1686, infatti, mentre la cone scatenata contro i cattolici dagli munità, ricca di vocazioni e di buoolandesi che avevano conquistato ni frutti, già poteva reggersi senza
l’isola. Quando vi giunse, in abito di lui, sentì giunto il momento di rida schiavo e nella condizione di spondere alla mai sopita vocazione
mendicante, tutti i sacerdoti erano a favore di quei cattolici abbandostati uccisi o espulsi, le chiese profa- nati. In compagnia di João, un ragazzo che lo avrebbe seguito fino
Papa Francesco nelle Filippine
nate o distrutte, i fedeli dispersi, teralla fine con amore di figlio, dopo
rorizzati dalla minaccia di morte;
mesi di faticosi tentativi riuscì a
quando chiuse i suoi giorni, era fio- sbarcare sulla costa di Ceylon.
rente una Chiesa di settantamila ferPur nel timore di essere scoperto,
venti cattolici, con quindici chiese, iniziò la ricerca dei cattolici, la magquattrocento cappelle, dieci sacerdo- gior parte dei quali, sotto la sferza
ti e numerosi catechisti laici che cu- della persecuzione, aveva assunto
ravano la formazione del popolo esteriormente gli usi calvinisti e non
servendosi dei manuali che padre osava esporsi. Padre Vaz si pose al
Vaz aveva composto in lingua loca- collo la corona del rosario e incole. Questo piccolo uomo, con la minciò a bussare di porta in porta,
Pontefice incoraggi ogni sforzo per re che ha sperimentato la misericorsantità della sua vita e il suo zelo chiedendo l’elemosina. Tra l’indiffeforgiare la pace, specialmente in al- dia di Dio. Le sue parole e i suoi
apostolico, aveva pocune zone di Mindanao, e promuo- gesti semplici renderanno Gesù e la
sto radici così prova la buona volontà tra le persone Chiesa più accessibili ai filippini.
fonde che non sarebdi religioni differenti. Attendiamo Attendiamo il successore di Pietro:
bero state estirpate
con ansia in Papa Francesco l’amore fratello, padre e amico. Il popolo
dalle successive temche Pietro una volta confessò a Gepeste.
delle Filippine è pieno di gioia.
sù quando egli gli chiese: «Simone
Era nato in India,
di Giovanni, mi vuoi bene tu più di
nel villaggio materno
costoro?» (Giovanni, 21, 15). Questo *Cardinale arcivescovo di Manila
di Benaulim, territoamore verso Gesù fece di Pietro un
rio di Goa, il 21 apripastore con la missione di nutrire e
le 1651, in una famicurare le pecore di Gesù. Noi vedreglia di Bramini Konkany divenuta cristiamo l’amore di Francesco per Gesù
na dal XVI secolo.
attraverso la sua carità pastorale verCompiuti gli studi
so di noi.
preparatori, proseguì
Infine, Papa Francesco verrà da
in Goa la formazione
noi come una persona uguale a noi
umanistica nell’unio, con le sue stesse parole, «come
versità dei gesuiti e
essere umano comune», un peccatoquella filosofica e
teologica presso il
MANILA, 10. Milioni di persone socollegio domenicano
no scese ieri nelle strade di Manila
di San Tommaso
per accompagnare la tradizionale
d’Aquino. Ordinato
processione del Nazareno Nero. La
sacerdote nel 1676,
iniziò nel suo villagprocessione, aperta da una concelegio natio a esercitare
brazione eucaristica presieduta dal
il ministero sacerdocardinale arcivescovo Luis Antonio
tale, ma fu presto inG. Tagle, si è svolta quest’anno alla
vitato a predicare
vigilia del viaggio apostolico di Panella cattedrale e a
pa Francesco.
dedicarsi al servizio
La statua del Nazareno Nero arridelle confessioni e
vò nelle Filippine il 31 maggio 1606,
della direzione spiriquando i primi missionari agostiniatuale.
ni misero piede a Manila. Realizzata
L’ardore missionain Messico, rappresenta il Cristo inrio che lo animava
Un disegno raffigurante il prossimo santo
ginocchiato sotto il peso della croce.
gli fece scoprire fin
La tradizione ricorda che un incenda allora la triste
dio distrusse la nave dei missionari
realtà di Ceylon e avrebbe voluto renza dei buddisti e degli induisti,
lasciando però la statua intatta, anrecarvisi; le autorità della diocesi lo notò qualcuno che guardava con inche se annerita dal fumo (ma seconinviarono invece nel Kanara, dove la teresse quel segno della pietà cattodo un’altra versione il colore della
Santa Sede aveva eretto un vicariato lica: incominciò da una famiglia, e
statua è quello originale voluto
apostolico, ma dove si era scatenata quando fu sicuro della sua fedeltà
da tempo una triste contesa di com- rivelò la propria identità.
dall’artista). Posta nella chiesa di
Fu quello l’inizio della rievangepetenze e giurisdizioni che turbava
Bagumbayan il 10 settembre dello
la vita dei fedeli. Fu l’umiltà e la lizzazione dell’isola, proseguita nel
stesso anno, la statua venne spostata
straordinaria dedizione di Vaz a ri- villaggio di Jaffna, per due anni,
nel 1608 nella parrocchia di San Niconciliare i pastori. Rientrato a Goa nell’esercizio segreto del ministero,
cola di Tolentino, dove è rimasta sinel 1684, nella solitudine e nell’om- con la celebrazione notturna della
no alla fine del 1700. L’arcivescovo
bra in cui l’ingratitudine lo aveva la- messa e l’ascolto di quelli che a lui
di Manila, Basilio Sancho de Santa
sciato, padre Joseph sentì forte il si rivolgevano per la confessione e il
Justa y Rufina, ne ordinò il trasferidesiderio di entrare in un ordine re- colloquio spirituale.
mento nella basilica di Quiapo (diIl rifiorire della comunità cattoliligioso; trovò sul monte Boa Vista
stretto di Manila), sua ultima destitre sacerdoti indiani che avevano ca attirò l’attenzione delle autorità
nazione.
iniziato la vita comune presso la olandesi, ma padre Vaz — mentre
La devozione suscitata dall’icona
chiesa di Santa Croce dei Miracoli e l’ira del governatore si scatenava e
incontrò il favore della Santa Sede
chiese di farne parte. Eletto superio- non pochi furono i martiri — fu
che nel 1650 — durante il pontificato
re, fu il vero fondatore della comu- messo in salvo dagli stessi fedeli che
di Innocenzo X — ha istituito canonità, alla quale diede una nitida fi- lo indussero a fuggire nell’interno
nicamente la Cofradía de Nuestro
sionomia spirituale e la forma giuri- dell’isola, nel piccolo Stato di KanSanto Jesús Nazareno. Anche Pio
dica della congregazione di San Fi- dy ancora formalmente autonomo.
VII, nel XIX secolo, riconobbe la delippo Neri di cui era giunta notizia Il re lo fece imprigionare, ma, inforvozione legata all’immagine del Cridal Portogallo, dove l’Oratorio fon- mato dai sorveglianti sulla santità di
sto, concedendo l’indulgenza plenadato dal venerabile Bartolomeo de vita del prigioniero, gli divenne
amico e padre Vaz ebbe la possibiliQuental era fiorente.
ria «a chi lo prega in maniera pia».
tà di predicare e di diffondere la fede in tutto il regno, percorrendone
a piedi il territorio e dovunque ristabilendo la presenza della Chiesa.
L’epidemia di vaiolo scoppiata
Dal 13 al 15 gennaio in Ungheria un incontro promosso dalla Congregazione per la dottrina della fede
nel 1697 avrebbe completamente distrutto la popolazione se — per testimonianza dello stesso re — la carità e l’intelligenza di padre Vaz non
avesse provveduto a curare i malati
e a dettare norme igieniche che di
Dal 13 al 15 gennaio 2015 si svolgerà a Eszter- missione dottrinale, quale organo consultivo di Ratzinger, si svolse in America latina, a Bogotá
fatto contennero il contagio.
gom in Ungheria un incontro tra i superiori del- aiuto alle medesime Conferenze episcopali e ai (1984); seguirono incontri in Africa (Kinshasa,
Nella notte del 15 gennaio 1711, rila Congregazione per la dottrina della fede e i singoli vescovi nella loro sollecitudine per la 1987); in Europa (Vienna, 1989); in Asia (Hongcevendo il viatico, alla comunità
presidenti delle commissioni dottrinali delle dottrina della fede.
Kong, 1993); di nuovo in America latina (Guaoratoriana
che gli chiedeva un ultiConferenze episcopali europee. L’appuntamento
Per rafforzare la collaborazione fra la Congre- dalajara, 1996) e in America del nord (San Franmo ricordo, Vaz disse: «Ricordate
manifesta la volontà da parte della Congregazio- gazione e le commissioni, nel 1982 si decise di cisco, 1999). Durante la prefettura del cardinale
che non si può facilmente compiere
ne di sostenere gli episcopati locali — come sug- riunire periodicamente i presidenti delle comWilliam Levada si svolse un altro incontro in
al momento della morte quello che
gerito anche da Papa Francesco — nel loro im- missioni a livello continentale. Una delle caratAfrica, a Dar es Salaam (2009).
si è trascurato di fare per tutta la vipegno per la promozione e la tutela della dottri- teristiche originali di questi incontri consiste nel
Ora il cardinale Péter Erdö, arcivescovo di
ta». E tenendo in mano una candela
na della fede, tenendo conto delle specifiche sfi- fatto che sono i superiori della Congregazione a
accesa, con il nome di Gesù sulle
de da affrontare oggi nel continente europeo.
spostarsi nei vari continenti, sottolineando in tal Esztergom-Budapest e presidente del Consiglio
labbra chiuse il suo faticoso pelleCon l’Istruzione del 23 febbraio 1967 la Con- modo l’importanza delle istanze locali e regio- delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee), ha
grinaggio terreno.
gregazione per la dottrina della fede, per incari- nali e la loro responsabilità nell’affrontare le accolto la richiesta del cardinale Gerhard L.
co di Paolo VI, aveva chiesto alle Conferenze questioni dottrinali. Il primo di questi incontri, Müller, prefetto della Congregazione per la dot*Vescovo di Ivrea
episcopali di istituire al loro interno una com- nel periodo della prefettura del cardinale Joseph trina della fede, per un nuovo incontro.
di ED OARD O ALD O CERRATO*
Come
uno di noi
Non solo per l’India e lo Sri Lanka
è motivo di gioia la canonizzazione
del beato Joseph Vaz, che Papa
Francesco celebrerà il 14 gennaio a
Colombo; lo è anche per l’O ratorio
di San Filippo Neri, che vede iscritto nell’albo dei santi un suo sacerdote, del quale Giovanni Paolo II
disse, beatificandolo vent’anni fa:
«In considerazione di tutto ciò che
padre Vaz fu e fece, di come lo fece
e delle circostanze nelle quali riuscì
a svolgere la grande opera di salvare
una Chiesa in pericolo, è giusto salutarlo come il più grande missionario cristiano che l’Asia abbai mai
avuto».
Ebbero coscienza di questa
straordinaria grandezza già i suoi
confratelli che scrissero, il 17 gennaio 1711, mentre padre Vaz era
esposto alla venerazione dei fedeli
nella chiesa cattolica di Kandy: «Il
16 gennaio si è spento il venerabile
P. Vaz, Vicario generale di questa
missione e padre dei missionari. Il
dolore e la desolazione causati dalla
sua perdita sono grandissimi e non
possono sufficientemente essere de-
Milioni di persone alla processione
del Nazareno Nero
Per rafforzare la collaborazione con gli episcopati europei
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 11 gennaio 2015
pagina 7
Nomine
episcopali
Le nomine di oggi riguardano la
Chiesa in Cile e in Italia.
Juan Barros Madrid
vescovo di Osorno (Cile)
Il Pontefice all’incontro promosso a cinque anni dal terremoto ad Haiti
Tre pilastri per ricostruire
Persona umana, comunione ecclesiale, Chiesa locale
Sabato 10 gennaio Papa Francesco ha ricevuto nella Sala Clementina i
partecipanti all'incontro organizzato a Roma dal Pontificio Consiglio Cor Unum
e dalla Pontificia Commissione per l’America latina nel quinto anniversario del
terremoto ad Haiti. A loro ha ricordato: «Sia ciò che si è fatto, sia ciò che,
sempre con l’aiuto di Dio, si potrà fare, poggia su tre pilastri fondamentali: la
persona umana, la comunione ecclesiale e la Chiesa locale».
Cari fratelli e sorelle,
a cinque anni dal catastrofico terremoto in Haiti, ringrazio il Pontificio
Consiglio Cor Unum e la Pontificia
Commissione per l’America Latina
per aver organizzato questo incontro. Esprimo la mia riconoscenza ai
Vescovi di Haiti, come pure a tutti
voi e alle istituzioni che rappresentate. Il mio grato pensiero va anche a
tutti i fedeli che hanno voluto in
tanti modi soccorrere il popolo haitiano dopo quella tragedia, che ha
lasciato dietro di sé morte, distruzione e anche disperazione. Con l’aiuto portato
ai nostri fratelli e sorelle in Haiti abbiamo
manifestato
che
la
Chiesa è un grande
corpo, dove le varie
membra hanno cura le
une delle altre (cfr. 1
Cor 12,25). È in questa
comunione
animata
dallo Spirito Santo,
che trova la sua ragione profonda il nostro
servizio alla Chiesa.
Tanto è stato realizzato in questo periodo
per ricostruire il Paese!
Tuttavia, non ci nascondiamo che molto
lavoro resta ancora da
fare. E sia ciò che si è
fatto, sia ciò che, sempre con l’aiuto di Dio,
si potrà fare, poggia su
tre pilastri fondamentali: la persona umana,
la comunione ecclesiale e la Chiesa locale.
La persona è al centro
dell’azione della Chiesa. Abbiamo appena
celebrato il Natale, e
proprio l’Incarnazione
ci dice quanto è im-
portante l’uomo per Dio, il quale ha
voluto assumere la natura umana.
Allora la nostra prima preoccupazione dev’essere quella di aiutare l’uomo, ogni uomo, a vivere pienamente
come persona. Non c’è vera ricostruzione di un Paese senza ricostruzione della persona nella sua pienezza.
Questo comporta far sì che ogni
persona in Haiti abbia il necessario
dal punto di vista materiale, ma al
tempo stesso che possa vivere la
propria libertà, le proprie responsabilità e la propria vita spirituale e religiosa. La persona umana ha un
orizzonte trascendente che le è proprio, e la Chiesa per prima non può
trascurare questo orizzonte, che ha
come sua meta l’incontro con Dio.
Perciò, anche in questa fase di ricostruzione, l’attività umanitaria e
quella pastorale non sono concorrenti, ma complementari, hanno bisogno l’una dell’altra: contribuiscono
insieme a formare in Haiti delle persone mature e dei cristiani, che a loro volta potranno spendersi per il
bene dei loro fratelli. Che ogni tipo
di aiuto offerto dalla Chiesa a quel
Paese possa avere questa ansia per il
bene integrale della persona!
Un secondo aspetto fondamentale
è la comunione ecclesiale. In Haiti si è
verificata una buona cooperazione
di molte istituzioni ecclesiali — diocesi, istituti religiosi, organismi caritativi — ma anche di molti singoli fedeli. Ciascuno con la propria peculiarità ha prestato un’importante
opera benefica. Tale pluralità di soggetti, e dunque di approcci all’opera
di assistenza e di sviluppo, è un fattore positivo, perché è segno della
vitalità della Chiesa e della generosità di tanti. Anche per questo ringraziamo Dio, che suscita in molti il
desiderio di farsi prossimo e di seguire così la legge della carità che è
il cuore del Vangelo. Ma la carità è
ancora più vera e più incisiva se vissuta nella comunione. La comunione
testimonia che la carità non è solo
aiutare l’altro, ma è una dimensione
che permea tutta la vita e rompe tutte quelle barriere di individualismo
che ci impediscono di incontrarci.
La carità è la vita intima della Chiesa e si manifesta nella comunione
ecclesiale. Comunione tra i Vescovi e
con i Vescovi, che sono i primi responsabili del servizio di carità. Comunione tra i diversi carismi e le
istituzioni di carità, perché nessuno
di noi lavora per se stesso, ma in nome di Cristo, che ci ha mostrato la
via del servizio. Sarebbe una contraddizione vivere la carità separati!
Questa non è carità, la carità si fa
come corpo ecclesiale, sempre. Vi invito perciò a rafforzare tutte quelle
metodologie che consentano di lavorare insieme. La comunione ecclesia-
le si riflette anche nella collaborazione con le Autorità dello Stato e con
le Istituzioni internazionali, perché
tutti cerchino l’autentico progresso
del popolo haitiano, nello spirito del
bene comune.
Infine, vorrei sottolineare l’importanza della Chiesa locale, perché è in
essa che l’esperienza cristiana si fa
tangibile. È necessario che la Chiesa
in Haiti diventi sempre più viva e
feconda, per testimoniare Cristo e
per dare il suo contributo al progresso di quel Paese. A tale riguardo, desidero incoraggiare i Vescovi
di Haiti, i sacerdoti e tutti gli operatori pastorali, perché con il loro zelo
e la loro comunione fraterna susciti-
La messa conclusiva celebrata dal segretario di Stato
Cieli
aperti sull’acqua
L’opera caritativa realizzata ad
Haiti conferma che, per svolgere al
meglio la propria azione a servizio
dei popoli, la Chiesa deve vivere la
comunione e affidarsi sempre allo
Spirito Santo. Lo ha ricordato il
cardinale segretario di Stato Pietro
Parolin nella messa celebrata sabato 10 gennaio nella chiesa di Santa
Maria in Traspontina, a conclusione della giornata di studio promossa a cinque anni dal terremoto.
Aprendo la sua riflessione con
un «grazie» rivolto «a Dio perché
abbiamo visto all’opera la sua grazia, pur in mezzo a fatiche e sofferenze umane», il porporato ha indicato il significato concreto che i
quattro simboli della festa del Battesimo del Signore hanno oggi per
il popolo di Haiti e anche per la
Chiesa intera. Il primo è il Giordano, un fiume dal profilo umile proprio come «l’opera della ricostruzione» dopo la tragedia. «Il Signo-
I lavori del convegno
Tra memoria e speranza
Non solo memoria ma anche speranza. A cinque
anni dal devastante sisma che nel gennaio 2010
colpì l’isola di Haiti, il bilancio della «ricostruzione materiale e spirituale del Paese» va fatto
con «uno sguardo di speranza», capace di «tener
conto e valorizzare tutto ciò che si sta realizzando» e di aiutare il popolo dell’isola ad «affrontare con nobiltà, dignità e coraggio, con incrollabile fede in Dio, la propria vita e il proprio destino». Così il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi e presidente della
Pontificia Commissione per l’America latina, ha
sintetizzato il senso dell’incontro promosso sabato 10 gennaio in Vaticano.
«Ogni ricostruzione autentica — ha affermato
il porporato salutando i presenti nella sala San
Pio X, in via della Conciliazione — inizia e ricomincia dalle persone, dalla presa di coscienza
della loro dignità e responsabilità, dagli affetti familiari, dalla solidarietà con i più bisognosi, dalla
coscienza di essere parte integrante di un popolo,
dal rilancio della tradizione cattolica come risposta ai loro desideri di amore e verità, giustizia e
solidarietà». Nel suo intervento il cardinale non
ha mancato di sottolineare «la sollecitudine apostolica della Santa Sede» verso il Paese caraibico
la personale testimonianza di attenzione da parte
di Papa Francesco, che «porta sempre nel suo
cuore le sofferenze e le speranze del popolo di
Haiti». Dal porporato anche espressioni di riconoscenza per le Conferenze episcopali, le congregazioni religiose maschili e femminili e le numerose agenzie cattoliche di aiuto, assistenza e cooperazione che si sono impegnate nella ricostruzione dell’isola: una vera e propria «corrente di
solidarietà ecclesiale» che — ha ricordato — ha
coinvolto anche governi e istituzioni politiche e
civili di diversi Paesi del mondo.
Successivamente il cardinale Robert Sarah,
presidente uscente del Pontificio Consiglio Cor
Unum ha introdotto i lavori — ai quali sono intervenuti, fra gli altri, il cardinale Chibly Langlois, vescovo di Les Cayes e presidente dell’episcopato haitiano, e monsignor Thomas Gerard
Wenski, arcivescovo di Miami — spiegando che
«la fase di risposta all’emergenza sta per finire e
ora bisogna pensare alla ricostruzione, allo sviluppo, alla riabilitazione del Paese e delle persone», anche attraverso un «lavoro di sensibilizzazione, di ascolto, il dialogo», nel segno del rispetto della dignità delle persone.
Del resto il porporato conosce molto bene la
realtà di Haiti, essendoci ritornato nel novembre
scorso, dopo il primo viaggio fatto nel gennaio
2011, a un anno dal sisma. In questa occasione ha
incontrato il presidente della Repubblica, l’epi-
no nei fedeli un rinnovato impegno
nella formazione cristiana e nella
evangelizzazione gioiosa e fruttuosa.
La testimonianza della carità evangelica è efficace quando è sostenuta
dal rapporto personale con Gesù
nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio e nell’accostamento ai
Sacramenti. Qui sta la “forza” della
Chiesa locale.
Nel rinnovare a ciascuno di voi il
mio cordiale ringraziamento, vi esorto a proseguire nel cammino che
avete iniziato, assicurandovi la mia
costante preghiera e la mia benedizione. Maria nostra Madre vi guidi
e vi protegga. Vi chiedo, per favore,
di pregare per me. Grazie.
scopato locale, rappresentanti di congregazioni
religiose, organizzazioni ed enti di beneficenza
che hanno operano sul territorio, e ha visitato le
strutture già completate grazie anche al contributo di carità del Papa. «Ho visto un miglioramento della situazione generale» ha confidato, aggiungendo che comunque «c’è ancora molto da
fare».
Per questo è importante promuovere occasioni
per «ascoltare, condividere esperienze e agire in
sinergia». Si tratta — ha concluso — «di dare
nuovo impulso alla ricostruzione e continuare il
lavoro iniziato per restituire speranza e dignità ai
nostri fratelli di Haiti».
Concetti simili sono stati poi riproposti dal
porporato nel saluto rivolto a Papa Francesco
all’inizio dell’udienza nella Sala Clementina. Ringraziando il Pontefice per la sua «forte attenzione per i Paesi più poveri e per le persone che
versano in condizioni di sofferenza», il presidente
di Cor Unum ha chiesto un incoraggiamento in
particolare alla Chiesa locale e alle congregazioni
religiose attive ad Haiti «per il tanto lavoro che
ancora rimane da svolgere». E ha sottolineato
che «la comunione è essenziale per realizzare
opere buone indirizzate alla persona umana e al
suo sviluppo integrale».
re — ha detto — era con voi nei
giorni duri del terremoto, ha misteriosamente ma realmente sofferto
con voi, e continua a essere con voi
ogni volta che altri uomini e donne
condividono la vostra condizione
di bisogno e di precarietà. La storia della comunione generata da
una situazione di disagio è stata un
luogo nel quale Cristo stesso si è
immerso, proprio mentre altri scappavano o manifestavano indifferenza o spirito di cupidigia e di interesse».
Il secondo simbolo, ha proseguito, «è il rito al quale Gesù si sottomette: non aveva bisogno di essere
purificato e tuttavia si mette in fila
con i peccatori». Proprio «questa
legge della carità spiega bene
quanto è successo» e «rivela anche
la radice ultima di tante insufficienze, distrazioni, ritardi o approssimazioni, quando anche non di
veri e propri peccati di omissione
che si sono verificati. Una radice
che possiamo chiamare “mancanza
di carità”». E ha invitato «a superare tutti gli ostacoli fatti di personalismi, protagonismi, interessi di
parte che impediscono anche alla
Chiesa di svolgere al meglio la sua
missione al servizio della persona».
La comunione, ha ribadito, «deve
diventare il messaggio programmatico di questo incontro».
Il terzo simbolo è l’acqua che
«quando supera i suoi argini ha un
effetto devastante». È per questo
che «l’azione dello Spirito anima
ogni azione della Chiesa», soprattutto quella «caritativa che non
può essere ridotta a semplice azione umana». Infatti «l’azione della
Chiesa non è per vincolare l’uomo,
ma per liberarlo e dilatarlo nella libertà; non è per soggiogare un popolo, ma per portarlo alla sua pienezza». E «nasce da questa missione anche il desiderio che la Chiesa
ha di collaborare con istanze pubbliche, nazionali e internazionali,
per far sì che la persona possa essere pienamente se stessa e che un
popolo diventi realmente protagonista del suo futuro».
L’ultimo simbolo, ha concluso il
cardinale, «sono i cieli che si aprono»: ci ricordano che «noi siamo
chiamati a manifestare, con le parole, le opere e la vita, la carità che
è la misericordia del nostro Dio in
mezzo agli uomini di Haiti».
Nato il 15 luglio 1956 a Santiago
de Chile, dopo studi alla facoltà
di scienze economiche e amministrative della Pontificia università
cattolica del Cile, è entrato nel
Pontificio seminario maggiore della capitale, dove ha frequentato i
corsi filosofici e teologici. Ordinato sacerdote il 29 giugno 1984, ha
svolto il ministero di parroco e ha
collaborato con la Conferenza episcopale dirigendo il settore ecclesiale della commissione pastorale.
Nel 1994 ha conseguito la licenza
in teologia presso la Pontificia
università cattolica del Cile. Nominato vescovo titolare di Bilta e
ausiliare di Valparaíso il 12 aprile
1995, ha ricevuto l’ordinazione
episcopale il 29 giugno successivo.
Il 21 novembre 2000 è stato trasferito alla sede residenziale di Iquique. Il 9 ottobre 2004 è stato nominato ordinario militare.
Guglielmo Borghetti
coadiutore di AlbengaImperia (Italia)
Nato il 25 marzo 1954 in Avenza di Carrara, diocesi di Massa
Carrara - Pontremoli, dopo il liceo classico ha conseguito la laurea in filosofia con indirizzo psicologico all’Università di Pisa.
Entrato in seminario ha completato la formazione teologica. Ordinato sacerdote il 17 ottobre 1982,
nella diocesi di Massa Carrara Pontremoli è stato: dal 1974 al
1992, insegnante di religione; dal
1982 al 1986, vice rettore e dal
1986 al 1992 rettore del seminario;
dal 1992 al 1997 parroco della cattedrale di Massa Carrara; dal 1993
al 2010 direttore spirituale del seminario e direttore dell’ufficio per
le vocazioni; dal 1993 al 1996, vicario episcopale per la pastorale;
dal 1997 al 2010 parroco in Santa
Maria della Rosa in Montignoso;
dal 1999 al 2010 preside dello studio teologico interdiocesano di
Camaiore. È stato docente di psicologia della personalità presso la
scuola «Edith Stein» di Savona, —
per la formazione di educatori di
comunità ecclesiali — canonico
della cattedrale di Massa Carrara,
autore di vari articoli per il settimanale diocesano e per altre riviste. Eletto alla sede di PitiglianoSovana-Orbetello il 25 giugno
2010 è stato ordinato vescovo il
successivo 15 settembre.
Nicolò Anselmi
ausiliare di Genova
(Italia)
Nato a Genova il 9 maggio
1961, è laureato in ingegneria meccanica all’Università del capoluogo ligure. Dopo il servizio militare
è entrato nel seminario arcivescovile maggiore e ha conseguito il
baccalaureato in teologia presso la
facoltà teologica di Genova. Ordinazione sacerdote il 9 maggio
1992, è stato vicario parrocchiale
dei Santi Pietro e Bernardo alla
Foce dal 1992 al 1996; responsabile del servizio pastorale giovanile
dell’arcidiocesi dal 1993 al 2007;
assistente diocesano dei giovani di
Azione cattolica dal 1994 al 2001;
insegnante di religione dal 1994 al
2007; responsabile della pastorale
giovanile dell’episcopato ligure
dal 1997 al 2007; amministratore
parrocchiale di San Giovanni Bosco della Rimessa dal 2001 al
2005, anno in cui ha partecipato
al IV convegno ecclesiale di Verona; vice direttore del centro diocesano vocazioni dal 2005 al 2007;
docente al seminario maggiore di
Genova dal 2006 al 2007 e responsabile del servizio nazionale
di pastorale giovanile dal 2007 al
2012. È stato anche assistente
dell’Agesci Liguria. Attualmente è
vicario episcopale per la pastorale
universitaria, giovanile e dello
sport, dirigendo al contempo l’ufficio università e quello per la pastorale giovanile, ed è parroco
prevosto della basilica di Santa
Maria delle Vigne.