Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 7 (46.845) Città del Vaticano domenica 11 gennaio 2015 . Un milione di persone attese alla manifestazione per le vittime della violenza Il Papa all’incontro promosso a cinque anni dal terremoto ad Haiti Uniti contro il terrore Tre pilastri per ricostruire Ancora tensione a Parigi all’indomani dei blitz delle forze speciali PARIGI, 10. È una risposta di civiltà la manifestazione contro il terrorismo che vedrà domani un milione di persone sfilare a Parigi. A fianco del presidente, François Hollande, nella capitale francese dove il clima di tensione resta altissimo ci saranno numerosi leader di Paesi europei e non solo, compresi alcuni islamici. Tra gli altri hanno annunciato la loro presenza il cancelliere tedesco Angela Merkel, il premier britannico David Cameron, il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, il presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, il primo ministro turco, Ahmet Davutoğlu. «La tristezza del lutto e la convinzione che abbiamo qualcosa da difendere insieme, unisce i francesi», scrive l’arcivescovo di Parigi, cardinale André Vingt-Trois, in un messaggio che sarà letto domani in tutte le chiese della diocesi. «La maggio- ranza dei nostri concittadini ha vissuto questa situazione come un appello a riscoprire un certo numero di valori fondamentali della nostra Repubblica, come la libertà di religione o la libertà d’opinione. Le manifestazioni spontanee di questi ultimi giorni sono state contraddistinte da un grande raccoglimento, senza segni di odio né di violenza», scrive ancora il cardinale, secondo il quale il fatto «che uomini nati nel nostro Paese, nostri concittadini possano pensare che la sola risposta giusta a uno sbeffeggiamento o a un insulto sia la morte dei loro autori, pone la nostra società davanti a gravi interrogativi». Il fatto, poi, «che gli ebrei francesi paghino ancora una volta un tributo agli sconvolgimenti che agitano la nostra comunità nazionale, raddoppia la loro gravità». Il messaggio si conclude con l’invito alla preghiera per le vittime e per il Paese. «Nessuno si lasci andare al panico o all’odio; nessuno si lasci andare alla semplificazione di identificare qualche fanatico con una religione intera. E preghiamo anche per i terroristi, perché scoprano la verità del giudizio di Dio». Hollande, che ieri si è rivolto alla Nazione in un discorso trasmesso in diretta televisiva, ha presieduto oggi una riunione per definire le misure di sicurezza. Il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, subito dopo ha detto che la Francia prenderà «tutte le misure necessarie affinché la manifestazione si possa svolgere nella sicurezza più assoluta». Il ministro ha comunque confermato che il Paese è ancora a rischio e la necessità di mantenere il dispositivo antiterrorismo e anzi di rafforzarlo «in alcune istituzioni e luoghi di culto». Ancora questa mattina, intanto, ci sono stati falsi allarmi di sparatorie in due sinagoghe di Parigi, mentre la polizia ha dovuto far sgomberare il parco di Eurodisney per la notizia, rivelatasi per fortuna infondata, della presenza di una bomba. Al suo significato politico e civile, la manifestazione di domani affianca l’omaggio alle vittime: i dodici morti della strage perpetrata mercoledì dai due fratelli francesi d’origine algerina, Said e Cherif Kouachi, e le quattro persone uccise ieri, in un negozio di cibo kosher, da parte di un altro terrorista, il francese di origine maliana Amedy Coulibaly. L’uomo, di cui sembra accertata la complicità con i fratelli Kouachi, era stato autore anche della sparatoria di giovedì a Montrouge, alla periferia della capitale, nel corso della quale era stata assassinata una poliziotta. I tre terroristi sono stati uccisi negli interventi della polizia in una tipografia di Dammartin-en-Goële — dove i due fratelli si erano asserragliati ieri mattina dopo una fuga di due giorni — e appunto nel negozio kosher nella zona di Port de Vincennes, alla periferia di Parigi, dove aveva fatto irruzione Coulibaly, secondo alcune fonti insieme con la sua complice, Hayat Boumeddiene, tuttora ricercata dalla polizia e ritenuta molto pericolosa. Nelle moschee di Francia y(7HA3J1*QSSKKM( +\!z!#!#!#! Tra dolore e paura la preghiera del venerdì PARIGI, 10. L’appello a prendere nettamente le distanze dai jihadisti, lanciato due giorni fa dai rappresentanti della comunità musulmana in Francia, è stato raccolto ieri dagli imam delle principali moschee del Paese i quali, durante la tradizionale preghiera del venerdì, hanno condannato le violenze commesse in nome dell’islam. «Denunciamo con la più grande determinazione questi delitti odiosi compiuti dai terroristi, la cui azione criminale rischia di mettere in pericolo la nostra volontà di vivere insieme», ha detto — riferisce la France Presse — il rettore della Grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, chiedendo a tutti i musulmani di Francia di partecipare in massa alle manifestazioni previste domani per rendere omaggio alle vittime dell’attentato a «Charlie Hebdo». Gli autori di questi crimini «non sono musulmani» perché «il profeta non ha predicato la violenza contro i non musulmani», ha affermato Abdel Qader Achour nella moschea fondamentalista «Omar Ibn Al Khattab» di Parigi. La Francia, ha aggiunto, «è il nostro Paese, ci viviamo da tre o quattro generazioni, non dobbiamo avere paura» (il riferimento è anche ai numerosi atti intimidatori degli ultimi giorni contro le moschee). A Montpellier, l’imam della moschea dell’Unione, Mustafa Riad, ha invitato a rispondere con la vignetta a una vignetta, con l’articolo di stampa a un articolo di stampa, ma «non con le armi». E a Bordeaux (dove ieri si è svolta una marcia silenziosa promossa dai rappresentanti dei vari culti) il teologo, e rettore della moschea, Tareq Oubrou — uno dei quattro imam che mercoledì scorso hanno partecipato all’udienza generale di Papa Francesco in piazza San Pietro — ha espresso la «collera» dei musulmani la cui fede è «confiscata da folli», da «ignoranti», da «squilibrati». E ha invitato i credenti a «uscire dal silenzio». In Germania responsabili delle comunità cristiana, ebraica e musulmana hanno pubblicato sul quotidiano «Bild» un manifesto in cui si ribadisce che non si può uccidere in nome di Dio. Lunedì migliaia di musulmani parteciperanno a Berlino a una marcia silenziosa per condannare le azioni criminose in Francia. Una scritta inneggiante alla pace formata da candele accese (Afp) Una donna lava il pavimento della cattedrale di Port-au-Prince distrutta dal terremoto (LaPresse/Ap) La ricostruzione materiale e spirituale di Haiti — devastata cinque anni fa dal terremoto — deve poggiare «su tre pilastri fondamentali: la persona umana, la comunione ecclesiale e la Chiesa locale». Lo ha ricordato Papa Francesco sabato mattina, 10 gennaio, durante l’udienza ai partecipanti all’incontro organizzato a Roma dal Pontificio Consiglio Cor Unum e dalla Pontificia Commissione per l’America latina nell’anniversario del sisma. «Tanto è stato realizzato in questo periodo per ricostruire il Paese» ha affermato il Pontefice, riconoscendo tuttavia «che molto lavoro resta ancora da fare». Un lavoro, ha aggiunto, la cui priorità «dev’essere quella di aiutare l’uomo, ogni uomo, a vivere pienamente come persona». Non va dimenticato inoltre, ha proseguito, che «la carità è ancora più vera e più incisiva se vissuta nella comunione». Tra un mese si rinnovano presidenza e Parlamento federali Il voto in Nigeria ostaggio di Boko Haram ABUJA, 10. Mentre il nord-est della Nigeria resta ostaggio di un terrorismo che si è ormai fatto guerra civile, il Paese si accinge tra un mese ad andare al voto per rinnovare presidenza e Parlamento. Il presidente Goodluck Jonathan, che si ricandida, è giudicato da molti osservatori sempre più impopolare a causa dell’inefficacia delle forze di sicurezza di fronte alla feroce sfida di Boko Haram, il gruppo terrorista islamista che da cinque anni devasta gli Stati nordorientali e non solo. E infatti la stampa locale non sta dando molto credito nemmeno all’ultima controffensiva lanciata in queste ore dall’esercito contro i miliziani di Boko Haram che hanno occupato la città di Baga, nel Borno. Qui e in altri villaggi, nei giorni scorsi, i miliziani hanno ucciso migliaia di persone e costretto altrettante alla fuga. «Le forze di sicurezza hanno risposto rapidamente e hanno schierato un numero significativo di uomini, hanno condotto raid aerei contro gli obiettivi dei miliziani» ha riferito il portavoce della sicurezza nazionale nigeriana, Mike Omeri. L’annuncio ha trovato però scettici molti commentatori, che ricordano come nessun esito abbia dato finora la decisione presa da Jonathan nel maggio Cento anni fa il terremoto con epicentro nella Marsica E Benedetto XV aprì le porte di Santa Marta GIUSEPPE MAGLIOZZI A PAGINA 4 del 2013 di proclamare lo stato d’emergenza nel Borno, nello Yobe e nell’Adamawa. Il gruppo islamista, anzi, ha consolidato il suo controllo sui territori dell’area e ha più volte portato la sua sfida anche oltre confine, specialmente in Camerun. Secondo analisti locali e internazionali, il principale sfidante di Jonathan, Muhammadu Buhari, vede au- mentare i propri consensi anche nel sud a maggioranza cristiana del Paese e non solo tra le popolazioni musulmane del nord, quelle in ultima analisi più colpite dalla ferocia di Boko Haram, dopo che all’inizio l’azione del gruppo si era concentrata sulle strutture governative, gli interessi occidentali e poi le minoranze cristiane. Buhari e l’opposizione attaccano il Governo federale sia per le mancate politiche sociali — in un Paese dalle immense risorse petrolifere, i cui guadagni ben di rado si trasformano in sviluppo per le popolazioni — sia per l’impreparazione delle truppe inviate contro Boko Haram, spesso accusate a loro volta di violenze contro i civili. Lunedì sera inizia il viaggio del Papa in Sri Lanka e Filippine Ritorno in Asia A cinque mesi dalla visita in Corea, Papa Francesco torna in Asia, per il quarto viaggio nel continente, sul totale di sette compiuti durante il pontificato. Dopo essere stato nel 2014 in Terra Santa (24-26 maggio), a Seoul per la sesta giornata della gioventù asiatica (13-18 agosto) e in Turchia (28-30 novembre), il Pontefice inizia il 2015 dirigendosi in Sri Lanka e Filippine, in quello che dal punto di vista delle distanze è anche il viaggio più lungo: quasi 25.000 chilometri. Alla vigilia della partenza il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, presenta le attese della Chiesa filippina e il vescovo Edoardo Aldo Cerrato parla della canonizzazione del confratello oratoriano Joseph Vaz, apostolo dello Sri Lanka. PAGINA 6 Dal Papa infine l’auspicio che «la Chiesa in Haiti diventi sempre più viva e feconda, per testimoniare Cristo e per dare il suo contributo al progresso di quel Paese». PAGINA 7 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Haiti Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Eugene Martin Nugent, Arcivescovo titolare di Domnach Sechnaill, finora Nunzio Apostolico in Madagascar, in Maurizio e nelle Seychelles e Delegato Apostolico nelle Isole Comore, con funzioni di Delegato Apostolico in La Riunione. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Osorno (Cile) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Juan Barros Madrid, finora Ordinario Militare per il Cile. Nomina di Vescovo Coadiutore Il Santo Padre ha nominato Vescovo Coadiutore della Diocesi di Albenga-Imperia (Italia) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Guglielmo Borghetti, finora Vescovo della Diocesi di Pitigliano-Sovana-O rbetello. Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi metropolitana di Genova (Italia) il Reverendo Monsignore Nicolò Anselmi, del clero della medesima Arcidiocesi, Parroco della parrocchia di Santa Maria delle Vigne e Vicario Episcopale per la Pastorale Universitaria, Giovanile e dello Sport, assegnandogli il titolo vescovile di Utica. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 11 gennaio 2015 L’incontro dello scorso aprile al Quirinale tra la sovrana e il presidente Napolitano (LaPresse/Ap) Si rinnova il gruppo G77 In difesa del sud del mondo PRETORIA, 10. Si appresta a voltare pagina il Gruppo dei 77 (G77), la più grande organizzazione intergovernativa dei Paesi in via di sviluppo e delle economie emergenti. Ieri il Sudafrica, succedendo alla Bolivia, ha ufficialmente assunto la presidenza del Gruppo, annunciando un nuovo impegno e, a breve, anche un nuovo vertice tra i Paesi membri su questioni legate allo sviluppo, al lavoro e alla sicurezza alimentare. Pretoria – ha sottolineato un portavoce del Governo sudafricano – avrà la responsabilità di parlare a nome «di due terzi dei Paesi membri dell’Onu su questioni di sviluppo», e di negoziare a loro nome. Il vice ministro delle Relazioni internazionali del Sudafrica, Luwellyn Landers, accettando la responsabilità conferita al suo Paese, ha ricordato il ruolo svolto dal presidente boliviano, Evo Morales, nell’anno in cui La Paz ha guidato l’organismo. Il Sudafrica, ha dichiarato Landers, raccoglierà l’eredità lasciata dal Paese latinoamericano, portando avanti un’agenda per lo sviluppo del sud del mondo, e mettendo in primo piano le esigenze dei più deboli. Il G77 — i cui componenti oggi sono 134, compresa la Cina — ha il compito di promuovere la cooperazione nel sud del mondo, sia in campo tecnico che economico e di difendere gli interessi collettivi dei Paesi membri per quanto riguarda i temi economici discussi in sede Onu. Il nome e la sigla che lo contraddistinguono derivano dal numero dei Paesi che lo fondarono nel 1964. Il primo incontro del gruppo si tenne ad Algeri dal 10 al 25 ottobre 1967, al termine del quale i membri approvarono l’adozione della Carta di Algeri. Nuovo primo ministro in Mali BAMAKO, 10. Modibo Keïta è da ieri il nuovo primo ministro del Mali in sostituzione di Moussa Mara, in carica per appena dieci mesi. L’avvicendamento alla guida del Governo di Bamako viene giudicato da molti osservatori un tentativo del presidente Ibrahim Boubakar Keïta di avviare una nuova fase politica. La stampa maliana sottolinea infatti che a Moussa Mara va attribuita parte della responsabilità di nuovi scontri e tensioni con i gruppi arabi e tuareg del nord del Paese, in particolare nella zona di Kidal. Secondo questa lettura, l’esperienza di Modibo Keïta, che finora ha ricoperto l’incarico di Alto rappresentante del Governo nei colloqui di pace con tali gruppi, che si protraggono da mesi, potrebbe essere preziosa per aprire una fase di distensione. In particolare, il nuovo primo ministro è chiamato a concretizzare le promesse poste dagli accordi di pace sottoscritti con i gruppi tuareg e arabi nel luglio scorso in Burkina Faso, prima che nuovi negoziati fossero avviati in Algeria, dove sono fermi dall’inizio di dicembre. Non si tratta di un compito facile. È infatti tutt’altro che stabilizzata la situazione nel nord del Mali, a oltre due anni dall’intervento armato francese contro i gruppi jihadisti che pochi mesi prima erano subentrati ai tuareg insorti all’inizio del 2012 contro l’allora Governo di Bamako, poi rovesciato da un colpo di Stato militare. La transizione imposta dalla comunità internazionale, formalmente conclusa con l’elezione alla presidenza di Keïta, non si è consolidata al nord. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Negli ultimi sette anni il tasso di disoccupazione non aveva mai raggiunto un valore così basso Riparte il mercato del lavoro statunitense WASHINGTON, 10. L’anno migliore dal 1999. Il mercato del lavoro americano riparte a pieno ritmo e chiude il 2014 con 2,95 milioni di posti di lavoro creati, il livello più alto degli ultimi quindici anni. I salari però non tengono il passo, facendo temere per i consumi, nonostante il calo dei prezzi del petrolio. La ripresa del mercato del lavoro va ad aggiungersi all’indicazione positiva del pil (prodotto interno lordo), salito del cinque per cento nel quarto trimestre. «Lavorerò con il Congresso per investire nelle infrastrutture americane, ampliare il mercato per beni e servizi oltreoceano, riformare il sistema dell’immigrazione e aumentare il salario minimo» ha dichiarato il presidente Obama, commentando i dati. Il tasso di disoccupazione sotto la presidenza Obama ha raggiunto il picco del dieci per cento nell’ottobre del 2009. Lo scorso dicembre, invece, l’economia americana ha creato 252.000 posti di lavoro: il tasso di senza lavoro è sceso al 5,6 per cento, ai minimi da giugno 2008. Cartello che indica una fiera per trovare lavoro a Lincoln (La Presse/Ap) La regina Elisabetta II scrive al presidente Napolitano Stima e ammirazione ROMA, 10. La regina Elisabetta II ha inviato al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, una lettera personale nella quale esprime la «sua stima per il presidente che si appresta a lasciare l’incarico, e la sua ammirazione per i molti anni di dedito servizio all’Italia». Lo ha reso noto oggi Sfida all’ultimo voto per le presidenziali croate Intervento dell’inviato speciale León L’Onu auspica una soluzione politica alla crisi libica TRIPOLI, 10. La soluzione alla crisi può essere soltanto politica, attraverso colloqui tra tutte le parti in causa: questo il messaggio dell’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Bernardino León, il quale ha ieri invitato tutte le fazioni a sedersi intorno al tavolo delle trattative «prima che sia troppo tardi», sottolineando inoltre come il tempo per affrontare la crisi politica e di sicurezza stia «scadendo». I libici — ha sottolineato León — «hanno bisogno di superare le divergenze con lavoro e unità se vogliono salvare il Paese». L’inviato delle Nazioni Unite ha incontrato ieri sia i vertici del Congresso nazionale (il Parlamento a maggioranza islamista di base a Tripoli), che quelli della Camera dei rappresentanti (l’assemblea legislativa eletta la scorsa estate e costretta a trasferirsi a Tobruk). E ieri sulla Libia è intervenuto anche il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, il quale ha assicurato che «l’Italia è pronta eventualmente a un intervento di peacekeeping». Dopo lo scoppio della ribellione, l’intervento della Nato e la morte di Gheddafi, ucciso dalle truppe del Consiglio nazionale di transizione nell’ottobre 2011, il Paese africano è caduto in un vortice di violenza, caos politico e crisi istituzionale senza precedenti. Nel 2014 lo scontro tra le forze politiche è andato crescendo, portando alla deposizione del primo ministro Abushagur a seguito della sfiducia votata in marzo dal Parlamento. Le successive elezioni legislative, tenutesi a giugno, hanno re- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Gaetano Vallini ZAGABRIA, 10. In un clima di grande incertezza si è chiusa ieri in Croazia la campagna elettorale per il ballottaggio delle presidenziali di domenica. La sfida vede contrapposti il presidente uscente, il socialdemocratico Ivo Josipović, e la sfidante, la diplomatica Kolinda Grabar-Kitarović, candidata dal centro-destra, all’opposizione. Entrambi si sono detti convinti della vittoria, ma questa volta non ci sono sondaggi che indichino un favorito alla guida del Paese della ex Jugoslavia, da un anno e mezzo membro a pieno titolo dell’Unione europea. Al primo turno, due settimane fa, nessuno dei candidati ha ottenuto il 50 per cento necessario all’elezione diretta. Josipović è arrivato primo — anche se di stretta misura — con il 38,4 per cento dei consensi, solo ventiduemila voti in più e con appena l’1,2 per cento di vantaggio rispetto alla sua sfidante. León incontra il vice presidente del Congresso nazionale libico Saleh Almkhozom (Afp) Rimossi altri vertici in Gambia dopo il golpe fallito no localizzate le miniere, a Cambulatsisse, nella provincia centrale di Tete — è stato distrutto. La ferrovia, trasporto strategico anche per il commercio di altri settori vitali all’economia del Paese, doveva essere ristrutturata con un investimento di 163 milioni di euro. I lavori erano iniziati nel giugno 2013. L’obiettivo era quello di ampliare la capacità di trasporto fino a venti milioni di tonnellate per anno contro i 6,5 milioni attuali. Al momento, ovviamente, i lavori sono bloccati e non è stata indicata la data di ripresa. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione riconosciuto dai Paesi della comunità internazionale. Il Congresso generale nazionale a maggioranza islamista, decaduto con le elezioni di giugno, ha quindi eletto un proprio premier, Al Hassi, dando di fatto vita a un Governo parallelo con sede a Tripoli, e con proprie formazioni militari. Violato il cessate il fuoco in Ucraina Piogge torrenziali in Mozambico bloccano la via del carbone MAPUTO, 10. Le piogge torrenziali in Mozambico, che cadono incessantemente da dicembre, continuano a provocare ingenti danni al Paese africano e alla sua economia. La Sena Railway Line, principale direttrice ferroviaria dell’export di carbone della multinazionale brasiliana Vale, che collega la provincia di Tete al porto centrale di Beira, sull’Oceano indiano, è stata interrotta. Come ha reso noto la società delle Ferrovie mozambicana, un tratto dei binari — quello che va dalla stazione di Moatize, dove so- gistrato la vittoria delle forze liberali su quelle islamiste, e a settembre il nuovo Governo di Al Thani ha ottenuto il voto di fiducia del Parlamento riunito, come detto, a Tobruk per motivi di sicurezza. Tuttavia, due mesi dopo la Corte suprema ha giudicato incostituzionale il Parlamento di Tobruk, pur l’ambasciata britannica a Roma. Nella lettera — si legge in un comunicato — «Sua Maestà ha ringraziato ancora una volta il presidente per l’ospitalità durante la visita reale dello scorso aprile a Roma e ha inviato al presidente e alla signora Clio i suoi migliori auguri per il futuro». Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va BANJUL, 10. Altri due ministri sono stati rimossi in Gambia dal presidente Yayah Jammeh, contro il quale è fallito lo scorso 30 dicembre un tentativo di colpo di Stato. Si tratta del secondo rimpasto di Governo. Il titolare del dicastero della Giustizia, Basiru Mahoney, è stato sostituito da Aboubacarr Senghorre, ex responsabile dell’Educazione superiore e della Ricerca. Ha perso il suo incarico anche Kalilou Bayo, ministro degli Affari presidenziali e della Funzione pubblica, sostituito Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale dal suo vice, Lamin Nyabally. La stampa governativa, nel darne notizia, non ha indicato i motivi del provvedimento che, a giudizio della gran parte degli osservatori, conferma comunque la determinazione di Jammeh, al potere da oltre vent’anni, a stroncare qualunque dissenso. Nei giorni scorsi, il presidente aveva già rimosso i ministri degli Esteri, dell’Informazione e dei Trasporti, anche in questi casi senza che ne venissero rese pubbliche le ragioni. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 KIEV, 10. Due guardie nazionali di Kiev sono state uccise ieri in uno scontro armato con i separatisti nei pressi di Lugansk, una delle roccaforti dei ribelli filorussi nel sud-est ucraino. Lo ha reso noto lo stesso corpo della guardia nazionale. Precedentemente, le autorità ucraine avevano denunciato l’uccisione di quattro propri soldati nel sud-est del Paese, accusando i separatisti di violare il nuovo cessate il fuoco scattato il 9 dicembre e di avere intensificato gli attacchi con il lancio di razzi e l’uso di mortai. Anche i filorussi accusano a loro volta le truppe di Kiev di non rispettare la tregua. Lunedì prossimo, i ministri degli Esteri di Ucraina, Russia, Germania e Francia si incontreranno a Berlino per discutere del sanguinoso conflitto nel Donbass. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri di Kiev. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 11 gennaio 2015 pagina 3 Le tempeste di neve ostacolano l’azione delle agenzie dell’Onu in tutto il Vicino oriente Inverno drammatico per milioni di piccoli profughi Attentato a Rawalpindi Pakistan segnato dall’instabilità ISLAMABAD, 10. Ancora tensione in Pakistan. Almeno otto persone sono morte ieri a Rawalpindi in un attentato contro un’area utilizzata dagli sciiti per le loro funzioni religiose. Come rendono noto i media pakistani, centinaia di persone erano convenute nell’area di Chutian Hatian quando l’ordigno è scoppiato fra la folla, causando la strage. Secondo la polizia, potrebbe essersi trattato dell’opera di un attentatore suicida. L’instabilità continua dunque a caratterizzare la scena pakistana, attraversata da profondi conflitti etnico-religiosi e fortemente condizionata dal terrorismo interno che, specie in anni recenti, non solo ha ripetutamente insanguinato città e regioni del Paese, ma ha anche colpito personalità politiche di primissimo piano: dall’ex primo ministro Benazir Bhutto, uccisa nel dicembre 2007 durante la campagna elettorale, al governatore dell’importante regione del Punjab, Salman Taseer, ucciso nel gennaio del 2011 per avere criticato la legge sulla blasfemia, fino a Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze religiose, assassinato nel marzo del 2011. Dopo l’uccisione di Osama Bin Laden, avvenuta il primo maggio 2011 nei pressi di Islamabad a seguito di un blitz delle forze militari statunitensi, i dubbi sulla possibile connivenza fra servizi segreti pakistani e gruppi terroristici hanno di fatto portato a un rilevante incremento delle tensioni tra il Paese e gli Stati Uniti. E a complicare le cose c’è anche la situazione difficilissima che si registra in Afghanistan dopo la conclusione ufficiale della missione internazionale Isaf. Ieri i talebani hanno sequestrato nella provincia centrale di Logar otto sminatori della ong Halo Trust, impadronendosi anche dei veicoli su cui viaggiavano. Come scrive l’agenzia di stampa Pajhwok, un responsabile locale ha indicato che il gruppo, che operava nella zona da un anno, potrebbe essere stato trasferito dai rapitori nel distretto di Zarghoon Shahr. Le ricerche per localizzare i sequestrati sono cominciate, ma con difficoltà perché — riferisce sempre la stampa locale — la sicurezza nella zona è molto bassa a causa della presenza di basi dei talebani. BEIRUT, 10. Le agenzie dell’Onu intensificano l’impegno a protezione dei milioni di profughi, tra sfollati interni e rifugiati all’estero, provocati dai quasi quattro anni del conflitto siriano. Un conflitto, questo, sul quale si è innestata non solo l’offensiva del cosiddetto Stato islamico (Is) in Iraq e Siria, ma anche le operazioni militari internazionali per contrastare la prima. Particolarmente penosa è la condizione dei bambini rifugiati siriani in Libano che affrontano l’inverno sotto le tende in campi di fortuna a elevate altitudini. L’Unicef, il fondo dell’Onu per l’infanzia, ha potuto avviare finora la distribuzione di abiti invernali, coperte, teli e biscotti ad alto valore energetico a settantacinquemila di questi bambini nelle aree più critiche. Soprattutto nell’ultima settimana, però, le strade principali e le autostrade sono state bloccate dalla neve, impedendo ai camion pronti con gli aiuti e alle unità mediche mobili di raggiungere tali aree. L’Unicef prevede un impegno economico di undici milioni e mezzo di dollari per garantire assistenza a un totale di 456.500 piccoli profughi. «Le nostre squadre e i partner locali stanno lavorando ora dopo ora per aiutare i bambini e le famiglie più vulnerabili ad affrontare la tempesta. Ogni singolo sforzo deve essere fatto subito per scongiurare tragedie che potrebbero essere evita- Giura il nuovo presidente Lo Sri Lanka si prepara a voltare pagina te» si legge in un comunicato della responsabile dell’Unicef in Libano, Annamaria Laurini. In una simile, drammatica situazione si trovano anche le centinaia di migliaia di sfollati iracheni, soprattutto nella regione autonoma del Kurdistan investita dall’ondata di maltempo che sta colpendo tutto il Medio oriente. La neve sta cadendo abbondante nelle province curde di Sulaimaniya, Erbil e Duhuk, dove i profughi, tra i quali ci sono anche i membri di minoranze cristiane e degli yazidi, sono ospitati in ricoveri di fortuna. Nel frattempo, il terrorismo di matrice fondamentalista islamica che dichiara di aderire all’Is lancia nuove sfide. In particolare, nuove operazioni sarebbero in preparazione in Libia, dove un gruppo affiliato all’Is ha rivendicato l’altro ieri l’uccisione a Barqah, a sud di Bengasi, di due giornalisti tunisini, Sofiene Chourabi e Madhir Ktari, scomparsi lo scorso settembre nei pressi della frontiera tra Libia e Tunisia. Accordo tra Bangladesh e Organizzazione mondiale delle Migrazioni In difesa dei rohingya COLOMBO, 10. Il nuovo capo dello Stato srilankese, Maithripala Sirisena, che due giorni fa ha vinto le elezioni presidenziali anticipate, ha giurato ieri sera nelle mani del giudice capo della Corte suprema. Poco dopo ha prestato giuramento come primo ministro anche Ranil Wickremesinghe, leader dell’opposizione e già capo del Governo dal 2001 al 2005, Nel suo primo discorso alla Nazione, Sirisena — che ha saputo raccogliere i consensi delle minoranze tamil e musulmana — ha detto di non avere intenzione di rimanere per un secondo mandato e che intende promuovere relazioni amichevoli con ogni Paese. Sirisena — dicono gli analisti politici — ha un ambizioso piano di riforme costituzionali, che puntano a trasformare lo Sri Lanka in una Repubblica parlamentare, con un primo ministro capo dell’Esecutivo e un presidente garante della Costituzione. Il capo dello Stato uscente, Mahinda Rajapaksa, che ha guidato il Paese dal 2005, ha garantito un trasferimento pacifico dei poteri. Commentando l’esito del voto, l’arcivescovo di Kandy, Joseph Vianney Fernando, ha dichiarato all’agenzia Fides: «Ci sono buone speranze e buoni auspici che inizi per lo Sri Lanka una nuova stagione di prosperità e di pace». DACCA, 10. L’Organizzazione mondiale delle Migrazioni (Oim) e il Governo del Bangladesh hanno firmato ieri un importante accordo per migliorare le condizioni sanitarie generali in due distretti di Cox’s Bazar, un’area presso il confine con il Myanmar dove sono concentrati centinaia di migliaia di profughi, soprattutto di etnia rohingya. In particolare, agli sfollati — che fuggono dalle ripetute violenze nello Stato del Myanmar del Rakhine — è destinato un progetto del valore di 18 milioni di dollari. Questi fondi consentiranno all’Oim di fornire assistenza umanitaria agli immigrati che vivono in condizioni assai precarie in campi fatiscenti, e alle comunità locali che li ospitano. In totale, secondo fonti dell’O rganizzazione mondiale delle Migrazioni, a beneficiarne saranno 100.000 persone. Tra le priorità, il miglioramento della situazione igienico-sanitaria nei distretti individuati (che dovrà essere garantito con l’attività di apposite squadre itineranti), l’incremento dei servizi governativi già presenti e, in generale, una migliore informazione. Al centro degli interventi anche la fornitura di materiali per sterilizzare l’acqua dei pozzi e per l’igiene delle latrine negli insediamenti di rifugiati. L’Oim si è impegnata poi a sostenere il Governo di Dacca riguardo i progetti di carattere umanitario, già avviati e finanziati dall’Amministrazione di Washington e dai Governi Superate tutte le aspettative soprattutto per impianti solari ed eolici Netta crescita degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili WASHINGTON, 10. Netto incremento delle energie pulite nel mondo nel 2014. Gli investimenti — soprattutto per impianti solari ed eolici off shore — hanno infatti raggiunto quota 310 miliardi di dollari, con un balzo del 16 per cento rispetto al 2013 e di cinque volte superiore rispetto ai 60,2 miliardi di dieci anni prima. Il record storico resta ancora quello del 2011, a 317,5 miliardi, ricorda Bloomberg New Energy Finance, che ieri ha diffuso l’ultimo rapporto sul settore, rilevando che comunque l’andamento del 2014 è stato migliore delle aspettative. A trainare il mercato — dice il rapporto — è stata la Cina, uno dei maggiori Paesi inquinatori della Terra, con una fetta di investimenti del 32 per cento per 89,5 miliardi di dollari. Modesto, solo l’un per cento, l’aumento segnato in Europa, per un totale di 66 miliardi di dollari. Negli Bambini siriani in un campo profughi nella valle della Bekaa in Libano (Reuters) Stati Uniti la crescita degli investimenti nelle energie rinnovabili è stata invece dell’otto per cento, in Giappone del 12, in Canada del 26, in India del 14 e in Sud Africa del 5 per cento. Guardando all’Europa, gli investimenti in Francia sono aumentati del 26 per cento, in particolare grazie al finanziamento del progetto Cestas, il più grande impianto europeo da 300 megawatt. L’eolico in mare ha visto una scalata del 232 per cento in Olanda. Il solare ha fatto la parte del leone (più 25 per cento sul 2013) concentrando la metà degli investimenti, in tutto il mondo, pari a 149,6 miliardi di dollari; subito dopo l’eolico (più 11 per cento) e al terzo posto le tecnologie energetiche intelligenti (che comprendono smart grid, stoccaggio di potenza, efficienza e trasporto elettrico), con una crescita del 10 per cento e impegnando 37,1 miliardi. di Londra e Stoccolma. «L’intervento è stato attentamente valutato e pianificato — ha dichiarato Sarat Dash, capo della missione bengalese dell’Oim — e sostiene la strategia nazionale del Governo per i profughi dal Myanmar». Proprio a questo proposito, centinaia di manifestanti hanno contestato ieri a Sittwe, capoluogo del Rakhine, il relatore speciale delle Nazioni Unite sui Diritti umani nel Myanmar, Yanghee Lee, che si trova nella regione in visita ufficiale. Secondo fonti di stampa, i dimostranti hanno chiesto a Lee «di essere imparziale» nel presentare la sua prossima relazione all’Onu sulla difficile situazione dei diritti umani nel Rakhine. Da oltre due anni, nello Stato al confine con il Bangladesh, la minoranza musulmana dei rohingya subisce le continue violenze da parte di estremisti buddisti. Procedimento in Thailandia contro l’ex premier Yingluck BANGKOK, 10. Si è tenuta ieri nel Parlamento di Bangkok la prima udienza nel procedimento di impeachment contro l’ex premier thailandese, Yingluck Shinawatra, deposta lo scorso maggio poco prima del colpo di Stato con cui il generale Prayuth Chan-ocha ha assunto il potere. Se condannata, rischia l’interdizione dalla politica per cinque anni. In un Parlamento nominato dai militari e da essi dominato, Yingluck ha negato l’accusa rivoltale sulla gestione di un controverso programma di sussidi ai coltivatori di riso, che — secondo l’allora opposizione e l’attuale giunta militare — sarebbe stato fonte di corruzione su larga scala. «Posso garantire che ho governato il Paese con onestà, interamente sotto l’autorità a me conferita, con trasparenza e giustizia», ha detto Yingluck, al Governo per quasi tre anni, prima donna premier nella storia del Paese del sud-est asiatico. Il verdetto dell’Assemblea parlamentare è atteso entro la fine di gennaio. Secondo gli analisti, l’impeachment fa parte delle manovre dell’establishment militare-giudiziario per estromettere il gruppo dei Shinawatra dalla politica nazionale, dopo cinque elezioni consecutive vinte dal 2001 dal magnate Thaksin Shinawatra (fratello maggiore di Yingluck, dal 2006 in auto-esilio) o dai suoi affiliati, puntando in particolare sul blocco elettorale rappresentato dal popoloso nord-est rurale. La giunta militare è molto popolare tra la borghesia di Bangkok, che prima del golpe aveva manifestato per sette mesi nella capitale contro l’allora Governo Yingluck. Cooperazione per rilanciare l’economia indiana NEW DELHI, 10. Nuova collaborazione economica internazionale per rilanciare l’economia indiana: con questo obiettivo il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e il segretario di Stato americano, John Kerry, saranno da domani in India per una conferenza economica con il premier Narendra Modi. Il forum internazionale, finalizzato a promuovere gli investimenti stranieri — e statunitensi in particolare — in India e in tutto il sud est asiatico, si svolge nella città occidentale di Ahmadabad. Ban Kimoon sarà in visita in India fino a martedì prossimo: il segretario ge- nerale terrà un discorso al summit degli investitori e avrà una serie di colloqui diretti con il presidente indiano, Pranab Mikherjee, con il premier Modi e con il ministro degli Esteri, Sushma Swaraj. Negli incontri bilaterali — sottolinea la stampa internazionale — il segretario generale potrebbe sollevare anche il caso dei marò italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso dei pescatori indiani. Nei giorni scorsi Ban Ki-moon aveva espresso preoccupazione per la vicenda che vede contrapporsi due Paesi membri dell’O nu. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 11 gennaio 2015 17 gennaio 1915 Corsia dell’ospizio di Santa Marta (13 gennaio 1915) La pietà del Papa Cento anni fa il terremoto con epicentro nella Marsica che provocò oltre ventottomila morti E Benedetto XV aprì le porte di Santa Marta di GIUSEPPE MAGLIOZZI a quando è residenza di Papa Francesco, che vi celebra Messa ogni mattina, Santa Marta è divenuto il complesso edilizio più famoso del mondo. Sorse nel 1884, quando Leone XIII lo volle come ricovero d’emergenza per fronteggiare un’incombente epidemia di colera e l’affidò alle Suore Vincenziane, che vi sono tuttora, come ricorda il direttore dell’O sservatore D In questa ininterrotta opera di carità merita di essere ricordato, a cento anni di distanza, il ricovero ospedaliero offerto ai feriti dello spaventoso terremoto che il 13 gennaio 1915 colpì una vasta area dell’Italia centrale, con epicentro nella Marsica. Le scosse, che toccarono il settimo grado della scala Mercalli, provocarono 28.188 morti nella piana del Fucino, in Abruzzo, in particolare ad Avezzano e a Pescina, e nel Lazio, a Sora. Ad Avezzano restò in piedi una sola casa. Su 13.000 abitanti tri e si aprì una larga crepa nella scala a chiocciola che porta alla cupola. Come riferì il 14 gennaio il giornale spagnolo «Abc», Papa Benedetto XV avvertì il terremoto mentre si trovava in Biblioteca: per alcuni istanti pregò in ginocchio, poi subito inviò qualcuno in città ad accertarsi dei danni e dette disposizioni d’accogliere i profughi nella Villa di Castel Gandolfo e i feriti in Vaticano nell’Ospizio di Santa Marta, informandone direttamente il sindaco di Roma. Come leggiamo nel diario delle Suore Vincenziane, già dal 14 gennaio entrarono in funzione una corsia per le donne, assistite dalle stesse suore, e una per gli uomini, affidata ai Fatebenefratelli. I feriti In data 15 il quotidiano «Abc» segnalò la prima visita del Papa già la sera del 14, precisando che arrivò a Santa Marta attraversando la Basilica e che si trattenne a conversare con i malati e a distribuire aiuti. In data 17 viene segnalata una seconda visita. «L’Osservatore Romano» del 17 gennaio annotò che i ricoverati in quel momento erano 130 e precisò che c’erano stati 4 decessi, oltre a un bambino nato già morto. Inoltre, fornì questo elenco del personale: «Quei miseri sono affidati alle solerti e sapienti cure dei dottori Amici, Proli, Cagiati, Serafini, Petacci, De Paolis ed Angeli, ai quali presiede il dott. Battistini. Il corpo sanitario è efficacemente coadiuvato dai Religiosi Fate-Be- Un prete piuttosto strano Dopo le terribili scosse sismiche che devastarono la Marsica il 13 gennaio 1915, provocando quasi trentamila vittime, fu don Orione tra i primi ad arrivare in soccorso della popolazione martoriata. Tragico lo scenario che si trovò di fronte: macerie ovunque, strade e ferrovie distrutte. E, soprattutto, tantissimi orfani rimasti soli. Tra le prime preoccupazioni di don Orione vi fu dunque quella di portare i più piccoli in luoghi sicuri. Ma la mancanza di mezzi di trasporto rendeva la situazione ancora più critica. Don Orione non si perse d’animo, tanto da arrivare a sequestrare un’auto del re Vittorio Emanuele III in visita nei luoghi sinistrati. L’auto fu poi regalata dal re a don Orione come testimonia un telegramma del ministero degli Interni del 23 gennaio 1915, che “legalizza” il dono. Tra gli orfani raccolti dal santo anche Ignazio Silone e suo fratello Romoletto. Ed è Ignazio, in qualità di testimone oculare, a raccontare l’episodio in Uscita di sicurezza. In un passo del racconto si legge: «Assieme ad altri, anch’io osservai tutta la scena. Appena il piccolo prete col suo carico di ragazzi si fu allontanato, chiesi attorno a me “Chi è quell’uomo straordinario?” Una vecchia che gli aveva affidato il suo nipotino, mi rispose “Un certo don Orione, un prete piuttosto strano”». La prima pagina dell’Osservatore Romano del 17 gennaio del 1915 interamente dedicata al terremoto Romano Giuseppe Angelini nell’editoriale che ripubblichiamo in questa pagina. Nel 1996 vi si inaugurò l’attuale residenza per le riunioni dei cardinali e di altri ecclesiastici, ma nello scorrere di quasi un secolo e mezzo le suore hanno continuato a portare avanti attività assistenziali. L’ultima “novità” risale al 1922: l’organizzazione di un Dispensario pediatrico in cui nel 2014 sono affluiti 480 bambini d’ogni provenienza e fede e dove sono stati distribuiti cibi e indumenti a famiglie disagiate. ne morirono 10.700. Si trattò di uno dei più gravi terremoti mai avvenuti in Italia, superato solamente da quelli del 1394 e del 1885. Ci furono danni in 250 comuni distribuiti in otto Province: L’Aquila, Teramo, Ascoli Piceno, Perugia, Chieti, Campobasso, Caserta e Roma. A Roma la scossa principale fu violentissima, la gente fuggì in strada, compresi quelli che erano in grado di farlo tra i malati ricoverati negli ospedali. Nel porticato di San Pietro crollò una colonna e in basilica si ruppero 150 ve- cominciarono ad affluire in treno a Roma la sera del 14 e furono smistati in tutti gli ospedali, compreso quello dei Fatebenefratelli all’Isola Tiberina e quello in Vaticano di Santa Marta, nel quale i ricoveri si protrassero fino al 6 aprile. I dimessi venivano subito trasferiti nei centri di accoglienza, così da fare spazio alle migliaia di feriti che i treni continuavano a riversare su Roma. Come poi attestò monsignor Ferrazza nell’opuscolo commemorativo «La Marsica», edito nel primo anniversario del terremoto, «tra le linde corsie di Santa Marta videro tanti nostri fortunati fratelli, quasi bianca visione, aggirarsi l’Augusto Pontefice ed al suono della sua parola affettuosa e cara sentirono rinascere nei cuori sanguinanti la speranza e la vita». ne-Fratelli e dalle Figlie della Carità, con a capo la veneranda ed infaticabile suor Teresa. Sono adibiti all’Ospizio parecchi infermieri ed altri dipendenti dalla Prefettura dei Sacri Palazzi. L’Ill.mo e R.mo Monsignor Misciattelli, Vice-Prefetto dei medesimi Sacri Palazzi, presiede all’andamento ge- Le scosse toccarono il settimo grado della scala Mercalli Ad Avezzano restò in piedi una sola casa Su 13000 abitanti ne morirono 10700 nerale e conforta spesso di sua presenza i malati». «L’Osservatore Romano» del 19 gennaio dette notizia dell’arrivo di altri tre feriti, della dimissione di sette ormai guariti e di un ulteriore decesso. Precisò inoltre che dalle 12 alle 13 i parenti e gli amici potevano visitare gli infermi. In data 24 gennaio, sempre «L’O sservatore Romano», segnalò la visita del sindaco di Roma, il principe Prospero Colonna, che fu accolto dal dirigente dell’O spedale, monsignor Misciattelli, dal cappellano, monsignor Zampini, e dal Primario, professor Battistini. Dopo aver visitato i malati, il sindaco chiese di «presentare i suoi omaggi al Santo Padre esprimendogli tutta la sua ammirazione per la carità e il modo ammirabile col quale sono assistiti e curati quei poveri infortunati». Durante queste visite ufficiali era presente Giuseppe Felici (1839-1923), che fin dal 1902 aveva ottenuto d’essere riconosciuto come fotografo pontificio, titolo che poi si trasmise di padre in figlio fino agli attuali pronipoti. Fu grazie a lui che nell’Archivio della nostra Curia Generalizia si conserva la foto qui riprodotta, nella quale si vedono tre nostri confratelli mentre assistono nella corsia di Santa Marta le vittime del terremoto della Marsica, come avevano già fatto nello stesso ospedale a partire dal 4 gennaio 1909 per le vittime del sisma di Messina. L’atto pietoso compiuto dal Santo Padre Benedetto XV nel recarsi a visitare i feriti ricoverati presso l’ospizio di Santa Marta, che la paterna Sua carità aveva destinato a ricevere quegli infelici, è stato accolto da tutti e apprezzato nel suo giusto valore, considerandolo per quello che era realmente, l’espressione cioè della bontà squisita dell’animo Suo, del Suo spirito sacerdotale e della Sua carità e sollecitudine pastorale. Di quella carità, che come Lo spinge a levare insistentemente la paterna Sua voce per richiamare governi e popoli a sentimenti di pace, per arrestare il furore delle armi e ridonare una parte dei prigionieri alle loro famiglie, così Lo muove ad accorrere al letto degli infermi da Lui ospitati, vittime di un immane disastro che la Provvidenza, negli imperscrutabili suoi decreti, ha permesso che venisse di nuovo a colpire la patria nostra. Con la generosa Sua ospitalità, col conforto recato a quegli infelici, con la Sua stessa presenza, Benedetto XV oltre che dimostrare il Suo paterno interessamento per le altrui sventure, ha voluto altresì dare un nobile esempio che servisse a tutti di sprone per quel magnifico slancio di carità che nella patria nostra, sempre uguale a se stessa nella sventura, si va in modo così magnifico manifestando. Abbiamo detto che l’atto magnanimo di Benedetto XV è stato universalmente apprezzato per quello che era realmente e ci è grato ripeterlo, sebbene non sia mancata qualche voce isolata che, basandosi sopra dati di fatto assolutamente insussistenti, ha preteso di dare alla visita del Santo Padre all’Ospizio di Santa Marta, un significato ed una interpretazione assolutamente arbitraria; ciò che dimostra negli autori di queste voci una assai manchevole conoscenza, come delle cose presenti, così di quelle passate, che ci sembra però non inutile di rievocare. Quando Leone XIII, nella minaccia di una invasione colerica, concepì il magnanimo disegno e prese la nobile iniziativa di destinare ad uso di Lazzaretto o di ospedale, i vasti locali di Santa Marta, fu appunto guidato da un duplice nobilissimo intendimento; fare opera salutare e caritatevole verso l’umanità sofferente e in pari tempo, accogliendo un certo numero di infelici presso la Sua residenza, e in un locale dipendente dalla Sua giurisdizione, rendere a Se stesso possibile l’adempimento di quella missione di personale carità che è retaggio e gloria fulgidissima della Chiesa di Gesù Cristo e dei Romani Pontefici. La Provvidenza, allontanando allora la fosca minaccia dalla nostra città, non permise che quel grande Pontefice avesse occasione di compiere il caritatevole ufficio che si era proposto, ma il degno suo Successore, il Pontefice Pio X, al primo annunzio dell’immane disastro che aveva colpito la Calabria e la Sicilia, si affrettava a dischiudere le porte di quell’asilo ospitale ai numerosi feriti ed infermi di quelle regioni, che vi furono ricoverati e che ebbero quivi cure sapienti, assistenza caritatevole e affettuosa. Il venerando Pontefice, lieto di aver potuto ospitare tanti infelici, avrebbe voluto recarsi Esso stesso a confortarli personalmente con la Sua voce paterna, ma le malferme condizioni della Sua salute non permisero neppure allora che venisse attuato questo pietoso intendimento. Bene però ha potuto compierlo ora, nella piena vigoria delle sue forze, Benedetto XV, che scendendo dalla Sua dimora, a traverso la Basilica di S. Pietro e la Canonica Vaticana, si è recato nell’Ospizio di Santa Marta, a confortare i dolori fisici e morali degli infelici da lui ospitati, dimostrando ancora una volta come il Vicario di Gesù Cristo non è soltanto il rappresentante della autorità divina sopra la terra, ma anche la personificazione vivente della divina misericordia. Né ci si dica, come ha detto taluna di quelle voci, alle quali abbiamo sopra accennato, che noi ristabilendo in tal guisa la verità dei fatti, avremmo rimpicciolito l’atto nobilissimo compiuto da Benedetto XV. Se v’ha qualcuno, cui possa muoversi questo rimprovero, sono appunto coloro che all’atto stesso hanno cercato di attribuire un significato che non aveva, che non poteva avere, come rimpicciolisce sempre la grandezza magnifica della carità chiunque si provi a costringerla e ad asservirla, perfino quando non vi è alcun pretesto per farlo, come nel caso presente, a intendimenti ed a scopi d’interesse politico. (A.) L’OSSERVATORE ROMANO pagina 5 domenica 11 gennaio 2015 Nella Cronaca di Antiochia l’eccezionale normalità della convivenza Nessuna meraviglia di EGIDIO PICUCCI La Cronaca di Antiochia che il padre cappuccino Domenico Bertogli, da ventisette anni parroco della minuscola comunità cattolica locale, prepara e invia anche al Papa ha superato le diciassette edizioni. Messe insieme formerebbero una preziosa appendice agli Atti degli Apostoli del ventunesimo secolo, i cui protagonisti sarebbero i pellegrini che ogni anno visitano la città e tornano raccontando «quello che hanno visto e udito» nella città di Luca, di Ignazio e di Giovanni Crisostomo. Nessuno, dei novantuno gruppi passati quest’anno in città, tralascerebbe di parlare della Grotta di San Pietro (culla dell’ecumenismo antiocheno), dove cattolici e ortodossi celebrano insieme le feste di Pasqua e Natale, nonché degli auguri natalizi che ogni anno il sindaco affida a un cartello posto sulla strada che porta alla missione cattolica. Anche se il 25 dicembre in Turchia è un comune giorno dell’anno. Nessuna meraviglia per chi sa che qui la convivenza pacifica tra giudeo-cristiani e pagano-cristiani risale ai tempi degli Apostoli e che quella tra cristiani e musulmani ha secoli sulle spalle. A proposito della Grotta, il quotidiano «Habertürk» ha scritto che, se il turismo religioso in Turchia «è notevolmente diminuito, tanto che alcune agenzie hanno disdetto viaggi già programmati», gran parte della colpa ricade sulla sua prolungata chiusura (quasi due anni) per la sistemazione che, tuttavia, secondo quanto si legge nella cronaca, le darà un’eleganza nuova, facendola uscire dal suo splendido e potente squallore. Ha aperto le visite del 2014 l’addetto militare dell’ambasciata cinese in Turchia con moglie e figlia, prima autorità di quella nazione in visita alla Chiesa cattolica, seguito da quattro monaci russi della Siberia. Gli avvicendamenti sono durati tutto l’anno con personalità politiche, artisti, registi, vescovi cattolici, siro-ortodossi, protestanti, confusi tra pellegrini arrivati a piedi, come Pascal e Françoise di Nizza, o il padre cappuccino Romano Mantovi, che ha attraversato tutta l’Anatolia infocata dalla canicola di luglio. Antiochia, capoluogo della nascente Chiesa cristiana, è meta ambita di chi crede di possedere meno pietà e meno scienza religiosa se non la visitasse e la conoscesse non per quello che ha oggi ma per quello che vi accadde con la prima comunità formata dagli ellenisti di Ci- pro e di Cirene arrivati da Gerusalemme. I musulmani del luogo non lo sanno, ma quel viavai di pellegrini diretti alla missione cattolica, al suo giardino odoroso di zagare in cui gli sposi amano farsi fotografare (perfino cinque coppie in un giorno), e che il direttore della Polizia della provincia di Hatay, Ali Doğan Uludağ, ha voluto abbellire con un fiore raro da mettervi a dimora, li costringe a interrogarsi sul perché di tanto interesse e di tanta passione di gente che arriva da tutti i continenti, e a non protestare (come si farebbe altrove) perché il nuovo sindaco si è impegnato a «tener pulite le strade di accesso alla chiesa e a garantire la manutenzione degli alberi del giardino». Sede titolare di tre patriarcati cattolici (dei Siri, dei Greco-Melkiti e dei Maroniti) nonché del patriarcato greco-ortodosso e della Chiesa ortodossa siriaca, la città, più che dei suoi abitanti, è dei credenti di tutto il mondo. Nessuna meraviglia, quindi, che accetti il matrimonio di un cattolico con un’armena, celebrato in una chiesa ortodossa con i relativi sacerdoti, che sul campanile della chiesa svetti una croce, che la campana suoni per la liturgia quotidiana, che accompagni la preparazione al sacerdozio di un seminarista suo concittadino che studia in Italia, che collabori all’assistenza dei poveri dopo la soppressione della Caritas locale, che si prepari ad accogliere le Suore di Madre Teresa, che il Coro della civiltà, vanto cittadino, sia composto da cristiani, musulmani ed ebrei, che anche un sacerdote cattolico, invitato a tutte le manifestazioni civili, sia premiato, insieme ad altri leader religiosi, per aver contribuito allo sviluppo della vita sociale, economica e intellettuale dell’Hatay. La cronaca di padre Domenico spazia anche sulla vita civile, mutevole, mutata, con notizie che i media non pubblicano. Parla infatti del numero delle scuole (61.936) e degli alunni (17.532.098), dell’aumento delle moschee (quindicimila in un anno, per un totale di novantamila), delle condoglianze fatte per la prima volta dal capo dello Stato agli armeni per i fatti del 1915, delle promesse elettorali del premier: aprire la scuola teologica ortodossa di Chalki, costruire un ulteriore ponte sul Bosforo, aprire l’aeroporto più grande d’Europa, riconvertire Aghia Sofia in moschea. Il parroco di Antiochia, divenuto “narratore”, è persuaso che il particolare è segno della storia, cioè del carattere storico dei fatti. E non l’ha trascurato. Ciò che unisce l’esperienza di fede delle religioni monoteiste L’amore di Dio è rispetto di MATTEO CO CO La sera dell’8 gennaio a San Giovanni Rotondo è stata scritta una bella pagina per favorire il dialogo interreligioso tra le varie confessioni monoteiste. L’incontro tra cristiani, ebrei e musulmani (promosso da più associazioni culturali) è stato incoraggiato dal monaco Efrem Massimo Valentini del santuario di Santa Maria di Pulsano, da Yehudah Pagliara della Comunità ebraica di Napoli e da Rachid El Messki, imam della moschea di Foggia. Tutti hanno riflettuto sull’esperienza che l’uomo affronta durante il cammino di fede in cui si mette in viaggio e in sintonia col suo Dio e, vicendevolmente, col suo prossimo. Le voci che sono risuonate all’interno del Chiostro di San Francesco, nel “Palazzo di città” del Comune garganico, sono state quelle che hanno rimarcato, sì, le diversità, ma anche e soprattutto i punti di comprensione, amore, pace e rispetto del messaggio di armonia del creato. Infatti, Michele Memeo, teologo che ha moderato il confronto, ha da subito posto l’accento sulla rivelazione di un Dio eterno e dinamico che intima ad Abramo di seguire un percorso di verticalità che non si fossilizza su riti e sacrifici perché, pur essendo le tre tradizioni sorte in tempi e luoghi determinati e determinanti, in tutti i casi l’amore di Dio elimina le differenze perché l’amore esige il rispetto. Ecco anche perché, dice Efrem, queste religioni nei documenti fondativi hanno il pellegrinaggio come esercizio ascetico (andare a Gerusalemme significherà, per traslazione, andare verso il luogo del martirio) sulla via e sulla linea di Dio in un viaggio che si completa solo nell’al di là, faccia a faccia con l’Eterno. Suggestioni e notazioni che sono proseguite con il riferimento di Yehudah all’Uno padrone del Tutto e Signore del mondo creato che non può essere solo aggregazione di atomi e semplice materialità, questo mondo creato con la commutazione (e omologazione anche) delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico (che essendo anche numeri possono avere infinite combinazioni) deve essere un mondo meno materiale proprio perché l’uomo si eleva e deve renderlo tale, uscire da se stesso e andare verso Colui che fa la pace nei cieli e sulla terra, un Dio (HaSchem) che dobbiamo ringraziare quotidianamente per le elargizioni gratuite che disinteressatamente ci fa ogni giorno. È a Lui che dobbiamo dimostrare riconoscenza con la nostra fedeltà. «Il nome — ha concluso Yehudah — lo possiamo ringraziare intonando il canto della shalom, della pace, perché con la nostra voce e la nostra bocca pos- siamo lodarlo e, appunto, onorarlo». E se il commento ebraico è stato tutto di ordine e indirizzo spirituale, altrettanto sentito e accorato è stato l’intervento di Rachid, il quale, attestando che Allah è l’Unico Dio, ha citato le sure e gli ayāt del Corano che qualificano Dio come misericordioso (al-Rahman) e l’uomo come rispettoso di ogni prossimo e di ogni forma di vita finanche animale. Sgombrando il campo dal dubbio che l’islam possa essere una religione contro l’uomo, come in questi giorni a sproposito qualcuno vorrebbe far credere, l’imam Rachid El Messki si è soffermato soprattutto sull’uguaglianza tra gli uomini e sulla sottomissione totale a Dio l’Onnipotente, quindi sulla determinazione di non causare mai danno ad alcuna cosa vivente. Un dialogo che, sulle direttrici lungo le quali si è sviluppato, può essere, a mio avviso, condivisibile e parteci- Appello dei vescovi maroniti La strada per il bene del Libano salemme — incontreranno la piccola comunità cattolica (duecento persone su duemilacinquecento cristiani) e visiteranno le scuole e gli ospedali cristiani, che svolgono un importante servizio in tutta la regione. A Hebron e a Sderot, città israeliana quest’ultima più volte colpita da lanci di razzi palestinesi, i vescovi incontreranno altre comunità cristiane al fine di conoscere da vicino anche le sofferenze della parte israeliana del conflitto. Nel corso dei lavori, i vescovi si recheranno anche nella valle del Cremisan, dove l’erezione di un muro di sicurezza sembra destinato a separare dalle loro terre oltre cinquanta famiglie cristiane che vivono tra Beit Sahour e Beit Jala, minacciandone la loro stessa sopravvivenza. A Betlemme i vescovi faranno visita a diverse realtà di carità come case famiglie per anziani, per vedove, per bambini abbandonati e disabili, il Caritas Baby Hospital, e centri di riabilitazione. I lavori prevedono anche un incontro con i vescovi locali cattolici di diversi riti, il nunzio apostolico di Terra santa e alcuni ambasciatori dei Paesi rappresentati nel Coordinamento. Città della pace «Gerusalemme città della pace» è stato il tema del trentaquattresimo Colloquio ebraicocristiano, svoltosi a Camaldoli dal 4 all’8 dicembre 2013, i cui atti vengono adesso pubblicati dal trimestrale «Vita monastica». L’appuntamento, dedicato alla figura del cardinale Carlo Maria Martini “uomo del dialogo”, ha costituito il passo conclusivo di un ciclo di incontri in cui sono stati affrontati temi fondamentali nel rapporto ebraico-cristiano come l’alleanza, la Scrittura e il popolo di Dio. Il significato simbolico di Gerusalemme è stato esaminato, con il contributo di numerosi esperti, dal punto di vista biblico, teologico, letterario e nella prospettiva non solo del dialogo tra ebrei e cristiani ma anche di quello con i musulmani. Gerusalemme divisa, ha sintetizzato Amos Luzzato nelle sue conclusioni, «diventa motivo di scontro. Unita, invece, potrebbe essere movente di unità anche tra vecchi avversari». La Segreteria di Stato comunica che è deceduta la Alle periferie della Terra santa quelle periferie esistenziali di Terra santa che il clima di conflitto e l’instabilità politica ed economica della regione hanno fatto emergere con ulteriore drammaticità. «È per questo — ha aggiunto il segretario generale del Ccee — che andremo ancora quest’anno laddove si trovano le persone più vulnerabili e sofferenti per portare un messaggio di pace e di speranza, testimoniando loro la vicinanza delle nostre Chiese. La nostra visita vuole anche essere un sostegno alla missione della Chiesa locale, sempre vicina a chi soffre. Vogliamo allo stesso tempo approfondire la realtà di queste periferie sociali per sostenere più efficacemente nei nostri Paesi di provenienza un’azione per la giustizia e la pace. Così facendo, vogliamo ribadire e assicurare il nostro sostegno alla Chiesa locale, in particolare attraverso le numerose organizzazioni cattoliche già presenti sul territorio». A Gaza i vescovi e gli altri componenti della delegazione — una cinquantina di persone, compresi i rappresentanti di organismi ecclesiali internazionali come Caritas, Catholic Relief Services, Pax Christi, Ordine equestre del Santo Sepolcro di Geru- Colloqui ebraico-cristiani † Inizia il pellegrinaggio dei presuli d’Europa, Nord America e Sud Africa GERUSALEMME, 10. «Benché la Terra santa sia sempre molto presente nei nostri telegiornali, rischiamo di dimenticare come decenni di instabilità politica, conflitto armato e terrorismo hanno generato periferie esistenziali che coinvolgono sempre più anche la comunità cristiana e cattolica dell’intera regione». Con queste parole monsignor Duarte Nuno Queiroz de Barros da Cunha, segretario generale del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee), spiega il senso del pellegrinaggio che in questi giorni — dal 10 al 15 gennaio — vede protagonisti i membri del Coordinamento per la Terra santa, la delegazione di vescovi d’Europa, del Nord America e del Sud Africa che, come è spiegato in un comunicato degli organizzatori, «intende testimoniare l’attenzione della Chiesa a favore delle comunità cristiane e dell’assemblea dei vescovi cattolici in Terra santa». Gaza, Hebron, Betlemme, Gerusalemme e Sderot saranno le principali città toccate dai presuli del Coordinamento. Quest’anno — l’iniziativa si svolge dal 1998 sempre nel mese di gennaio — il programma della visitapellegrinaggio si concentra attorno a pato senza esasperare mai i toni e semmai mediando sempre per “costruire nella diversità”. Alla fine le conclusioni, affidate a Federico Massimo Ceschin, vicepresidente dell’Associazione europea delle Vie Francigene, sono state quelle che hanno opportunamente riassunto il tono stesso del dialogo sviluppatosi, poiché proprio Ceschin ha inquadrato l’Europa come continente di pace che si sforza di recuperare alcune matrici identitarie per creare vie, ritrovare e ripercorrere quei motivi che, nel Consiglio d’Europa allargato a quarantanove Paesi, tracciano gli elementi comuni della nostra storia. Mettersi in cammino è uscire dal consueto e, oggi, la Puglia è strategica per iniziare un cammino d’Abramo verso la Terra Santa, verso un Oriente dilaniato che ha bisogno urgente di pace, proprio in quel Mediterraneo da sempre crocevia di cultura nel quale noi ci troviamo. Ecco perché, in fondo, aspettando altre occasioni come questa o cercando di organizzarle e favorirle, dobbiamo essere e ritrovarci tutti uniti, pur nella diversità che è ricchezza. E se le tre religioni monoteiste per eccellenza, abramitiche, fondano, io credo, la loro speranza nella Parola (o parole) che l’Eterno ci ha donato nei sacri testi (Bibbia, Corano, la perfetta Torah del Creatore) è attraverso di essa/e che dobbiamo pervenire alla verità, alla pace vera di cui tutti quanti abbiamo essenzialmente bisogno. Signora BEIRUT, 10. I vescovi maroniti fanno sentire di nuovo la loro voce per il bene comune del Libano. Riunitisi, presso la sede patriarcale di Bkerkè, per il loro incontro mensile presieduto dal patriarca di Antiochia dei Maroniti, Béchara Boutros Raï, i presuli hanno ancora una volta esortato i parlamentari a eleggere in tempi rapidi il nuovo presidente della Repubblica libanese, la cui carica è ormai vacante dal 25 maggio scorso. L'inizio del nuovo anno — si legge in un comunicato diffuso al termine della riunione — deve rappresentare un tempo favorevole per «rinsaldare nuovi legami nazionali e lasciarsi alle spalle il tunnel buio in cui il Paese è sprofondato a causa della vacatio della carica presidenziale». Dopo l’insuccesso di ben diciassette sessioni parlamentari convocate per l’elezione presidenziale e andate fallite per la mancanza di accordo tra i blocchi contrapposti che dominano la scena politica del Paese, i vescovi maroniti ribadiscono che la paralisi istituzionale sta esponendo il Libano a pericoli gravi — visti i conflitti che sconvolgono tutta l’area mediorientale — e invitano i membri delle varie parti politiche a «operare nello spirito del superiore interesse nazionale». L’assemblea dei presuli maroniti ha inoltre accolto con favore l’avvio di contatti, iniziati o annunciati, tra leader e gruppi politici finora in contrasto, invitando nel contempo tutte le forze a non limitarsi a incontri bilaterali e ad aprirsi a un dialogo globale, che abbia come punto di riferimento comune il Patto nazionale e la Costituzione. «Il Libano — si legge nel comunicato finale dell’assemblea episcopale maronita — non avrà un futuro luminoso se rimane prigioniero degli assi regionali e interni, ostaggio di interessi parziali o settari. Per questo serve trovare meccanismi che impediscano di bloccare le elezioni presidenziali alla scadenza di ogni mandato, o di provocare la paralisi delle altre istituzioni». ELENA RUIZ DE MONTEMAYOR madre di S.E. Mons. Luis Mariano Montemayor, Nunzio Apostolico in Senegal, Capo Verde, Guinea-Bissau. Nell’esprimere sentita partecipazione al suo dolore, i Superiori e gli Officiali della Segreteria di Stato e del Servizio Diplomatico della Santa Sede assicurano il ricordo nella preghiera mentre invocano dal Signore conforto per tutti i familiari della cara defunta. † La comunità di S. Maria sopra Minerva annuncia la dipartita, nel suo centunesimo anno, di Padre REGINALD O (EMILIO) BERNINI, O.P. Ricordandone il lungo e generoso ministero sacerdotale ed invocando l’intercessione della B. V. Maria e di S. Domenico, lo affida con fiducia al Signore. Le esequie saranno celebrate il 12 gennaio 2015, alle ore 11, nella chiesa del Convento S. Domenico di Fiesole. pagina 6 L’OSSERVATORE ROMANO domenica 11 gennaio 2015 L’oratoriano Joseph Vaz sarà canonizzato a Colombo Clandestino con la candela accesa di LUIS ANTONIO G. TAGLE* Dal 15 al 19 gennaio Papa Francesco metterà piede sul suolo filippino. Con la sua visita pastorale il nostro Paese sarà onorato per la quarta volta della presenza di un successore di Pietro. Già nel 1970 Paolo VI incluse le Filippine nel suo pellegrinaggio apostolico in Asia e Oceania. Giovanni Paolo II vi è stato due volte: nel 1981 e nel 1995 per la giornata mondiale della gioventù. Vent’anni dopo diamo il benvenuto a Francesco. Ogni visita papale è unica, essendo caratterizzata dalle personalità uniche dei Pontefici e dal mutare delle circostanze nel Paese, nella Chiesa e nel mondo. Durante una conversazione con Papa Francesco egli mi ha espresso un desiderio: «Non devo essere io al centro del viaggio apostolico nelle Filippine. Il centro deve essere Gesù». Ho fatto del mio meglio per comunicare questo auspicio del Pontefice alla nazione filippina e alle persone impegnate nei preparativi per la visita. Il suo sentimento dovrebbe essere anche il nostro. La sua comprensione di questo pellegrinaggio, incentrata su Cristo, dovrebbe indicarci il fulcro dei numerosi avvenimenti che si terranno. Il tema della visita apostolica — misericordia e compassione — dovrebbe essere qualificato come la misericordia e la compassione di Gesù manifestate nei Vangeli. Alla luce di questo desiderio del Papa, vorrei sottolineare alcune attese relative alla visita. Anzitutto, Francesco arriva dopo la celebrazione dell’anno del laicato nelle Filippine (2014). Ci attendiamo lo slancio e l’incoraggiamento che il successore di Pietro potrà dare ai nostri fedeli laici, approfondendo il loro incontro personale con Gesù e portando il Vangelo di Gesù in tutti gli aspetti della vita: coscienza, famiglia, cultura, politica, finanza, scienze, arti, sport, migrazione, lavoro, ecumenismo, dialogo tra le religioni e comunicazioni sociali. Attendiamo dal Papa indicazioni agli uomini e alle donne ordinati e consacrati per promuovere la comunione con i fedeli laici. Ci aspettiamo che egli ci invii di nuovo come missionari ovunque ci troviamo, specialmente in Asia. Attendiamo con ansia che Francesco ci confermi, proprio come un tempo Gesù disse a Pietro: «Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Luca, 22, 32). Ma dobbiamo ascoltare Papa Francesco. Non basta vederlo, avvicinarsi a lui o addirittura toccarlo. Abbiamo chiesto al nostro popolo filippino di ascoltare il Vangelo di Gesù che giungerà a noi attraverso il Pontefice. La visita apostolica potrà fare la differenza nella Chiesa e nella società filippina solo se ascolteremo e se agiremo conformemente a quanto avremo udito. In secondo luogo, Francesco arriva dopo la serie di catastrofi, naturali o causate dall’uomo, che il popolo filippino ha vissuto nel 2013 e nel 2014: terremoti, tifoni (il più forte dei quali è stato Haiyan) e conflitti armati. Non dobbiamo però dimenticare la catastrofe quotidiana della povertà e dell’ineguaglianza, che si vedono nei bambini e nelle famiglie che vivono per strada, dei senzatetto, della tratta di esseri umani, della disoccupazione e della sottoccupazione, della migrazione forzata, della prostituzione, degli stupefacenti, della corruzione, delle persone scomparse e del degrado ambientale. Il Papa porterà la compassione di Gesù a quanti sono stanchi, sfiniti e considerano la vita gravosa. Si aspettano di essere rassicurati che Gesù continua a essere il pastore che ha compassione per le folle affamate. Ci attendiamo una sfida rinnovata agli ordinati e ai religiosi a incarnare l’amore, la pazienza e la guarigione di Gesù mentre portano la buona novella ai poveri. Ci aspettiamo l’invito del Papa a quanti modellano il governo, la cultura e l’economia, a ritornare all’amore come legge suprema che deve dare forma alle loro politiche e ai loro programmi. Ci aspettiamo che il Quando Clemente XI, il 26 noscritti perché egli fu veramente un vembre 1706, confermava la fondasacerdote santo». Da vent’anni padre Joseph si era zione e ne elogiava l’operato, padre introdotto clandestinamente a Cey- Vaz era già partito per Ceylon. Sul lon, oppressa dalla dura persecuzio- finire del 1686, infatti, mentre la cone scatenata contro i cattolici dagli munità, ricca di vocazioni e di buoolandesi che avevano conquistato ni frutti, già poteva reggersi senza l’isola. Quando vi giunse, in abito di lui, sentì giunto il momento di rida schiavo e nella condizione di spondere alla mai sopita vocazione mendicante, tutti i sacerdoti erano a favore di quei cattolici abbandostati uccisi o espulsi, le chiese profa- nati. In compagnia di João, un ragazzo che lo avrebbe seguito fino Papa Francesco nelle Filippine nate o distrutte, i fedeli dispersi, teralla fine con amore di figlio, dopo rorizzati dalla minaccia di morte; mesi di faticosi tentativi riuscì a quando chiuse i suoi giorni, era fio- sbarcare sulla costa di Ceylon. rente una Chiesa di settantamila ferPur nel timore di essere scoperto, venti cattolici, con quindici chiese, iniziò la ricerca dei cattolici, la magquattrocento cappelle, dieci sacerdo- gior parte dei quali, sotto la sferza ti e numerosi catechisti laici che cu- della persecuzione, aveva assunto ravano la formazione del popolo esteriormente gli usi calvinisti e non servendosi dei manuali che padre osava esporsi. Padre Vaz si pose al Vaz aveva composto in lingua loca- collo la corona del rosario e incole. Questo piccolo uomo, con la minciò a bussare di porta in porta, Pontefice incoraggi ogni sforzo per re che ha sperimentato la misericorsantità della sua vita e il suo zelo chiedendo l’elemosina. Tra l’indiffeforgiare la pace, specialmente in al- dia di Dio. Le sue parole e i suoi apostolico, aveva pocune zone di Mindanao, e promuo- gesti semplici renderanno Gesù e la sto radici così prova la buona volontà tra le persone Chiesa più accessibili ai filippini. fonde che non sarebdi religioni differenti. Attendiamo Attendiamo il successore di Pietro: bero state estirpate con ansia in Papa Francesco l’amore fratello, padre e amico. Il popolo dalle successive temche Pietro una volta confessò a Gepeste. delle Filippine è pieno di gioia. sù quando egli gli chiese: «Simone Era nato in India, di Giovanni, mi vuoi bene tu più di nel villaggio materno costoro?» (Giovanni, 21, 15). Questo *Cardinale arcivescovo di Manila di Benaulim, territoamore verso Gesù fece di Pietro un rio di Goa, il 21 apripastore con la missione di nutrire e le 1651, in una famicurare le pecore di Gesù. Noi vedreglia di Bramini Konkany divenuta cristiamo l’amore di Francesco per Gesù na dal XVI secolo. attraverso la sua carità pastorale verCompiuti gli studi so di noi. preparatori, proseguì Infine, Papa Francesco verrà da in Goa la formazione noi come una persona uguale a noi umanistica nell’unio, con le sue stesse parole, «come versità dei gesuiti e essere umano comune», un peccatoquella filosofica e teologica presso il MANILA, 10. Milioni di persone socollegio domenicano no scese ieri nelle strade di Manila di San Tommaso per accompagnare la tradizionale d’Aquino. Ordinato processione del Nazareno Nero. La sacerdote nel 1676, iniziò nel suo villagprocessione, aperta da una concelegio natio a esercitare brazione eucaristica presieduta dal il ministero sacerdocardinale arcivescovo Luis Antonio tale, ma fu presto inG. Tagle, si è svolta quest’anno alla vitato a predicare vigilia del viaggio apostolico di Panella cattedrale e a pa Francesco. dedicarsi al servizio La statua del Nazareno Nero arridelle confessioni e vò nelle Filippine il 31 maggio 1606, della direzione spiriquando i primi missionari agostiniatuale. ni misero piede a Manila. Realizzata L’ardore missionain Messico, rappresenta il Cristo inrio che lo animava Un disegno raffigurante il prossimo santo ginocchiato sotto il peso della croce. gli fece scoprire fin La tradizione ricorda che un incenda allora la triste dio distrusse la nave dei missionari realtà di Ceylon e avrebbe voluto renza dei buddisti e degli induisti, lasciando però la statua intatta, anrecarvisi; le autorità della diocesi lo notò qualcuno che guardava con inche se annerita dal fumo (ma seconinviarono invece nel Kanara, dove la teresse quel segno della pietà cattodo un’altra versione il colore della Santa Sede aveva eretto un vicariato lica: incominciò da una famiglia, e statua è quello originale voluto apostolico, ma dove si era scatenata quando fu sicuro della sua fedeltà da tempo una triste contesa di com- rivelò la propria identità. dall’artista). Posta nella chiesa di Fu quello l’inizio della rievangepetenze e giurisdizioni che turbava Bagumbayan il 10 settembre dello la vita dei fedeli. Fu l’umiltà e la lizzazione dell’isola, proseguita nel stesso anno, la statua venne spostata straordinaria dedizione di Vaz a ri- villaggio di Jaffna, per due anni, nel 1608 nella parrocchia di San Niconciliare i pastori. Rientrato a Goa nell’esercizio segreto del ministero, cola di Tolentino, dove è rimasta sinel 1684, nella solitudine e nell’om- con la celebrazione notturna della no alla fine del 1700. L’arcivescovo bra in cui l’ingratitudine lo aveva la- messa e l’ascolto di quelli che a lui di Manila, Basilio Sancho de Santa sciato, padre Joseph sentì forte il si rivolgevano per la confessione e il Justa y Rufina, ne ordinò il trasferidesiderio di entrare in un ordine re- colloquio spirituale. mento nella basilica di Quiapo (diIl rifiorire della comunità cattoliligioso; trovò sul monte Boa Vista stretto di Manila), sua ultima destitre sacerdoti indiani che avevano ca attirò l’attenzione delle autorità nazione. iniziato la vita comune presso la olandesi, ma padre Vaz — mentre La devozione suscitata dall’icona chiesa di Santa Croce dei Miracoli e l’ira del governatore si scatenava e incontrò il favore della Santa Sede chiese di farne parte. Eletto superio- non pochi furono i martiri — fu che nel 1650 — durante il pontificato re, fu il vero fondatore della comu- messo in salvo dagli stessi fedeli che di Innocenzo X — ha istituito canonità, alla quale diede una nitida fi- lo indussero a fuggire nell’interno nicamente la Cofradía de Nuestro sionomia spirituale e la forma giuri- dell’isola, nel piccolo Stato di KanSanto Jesús Nazareno. Anche Pio dica della congregazione di San Fi- dy ancora formalmente autonomo. VII, nel XIX secolo, riconobbe la delippo Neri di cui era giunta notizia Il re lo fece imprigionare, ma, inforvozione legata all’immagine del Cridal Portogallo, dove l’Oratorio fon- mato dai sorveglianti sulla santità di sto, concedendo l’indulgenza plenadato dal venerabile Bartolomeo de vita del prigioniero, gli divenne amico e padre Vaz ebbe la possibiliQuental era fiorente. ria «a chi lo prega in maniera pia». tà di predicare e di diffondere la fede in tutto il regno, percorrendone a piedi il territorio e dovunque ristabilendo la presenza della Chiesa. L’epidemia di vaiolo scoppiata Dal 13 al 15 gennaio in Ungheria un incontro promosso dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 1697 avrebbe completamente distrutto la popolazione se — per testimonianza dello stesso re — la carità e l’intelligenza di padre Vaz non avesse provveduto a curare i malati e a dettare norme igieniche che di Dal 13 al 15 gennaio 2015 si svolgerà a Eszter- missione dottrinale, quale organo consultivo di Ratzinger, si svolse in America latina, a Bogotá fatto contennero il contagio. gom in Ungheria un incontro tra i superiori del- aiuto alle medesime Conferenze episcopali e ai (1984); seguirono incontri in Africa (Kinshasa, Nella notte del 15 gennaio 1711, rila Congregazione per la dottrina della fede e i singoli vescovi nella loro sollecitudine per la 1987); in Europa (Vienna, 1989); in Asia (Hongcevendo il viatico, alla comunità presidenti delle commissioni dottrinali delle dottrina della fede. Kong, 1993); di nuovo in America latina (Guaoratoriana che gli chiedeva un ultiConferenze episcopali europee. L’appuntamento Per rafforzare la collaborazione fra la Congre- dalajara, 1996) e in America del nord (San Franmo ricordo, Vaz disse: «Ricordate manifesta la volontà da parte della Congregazio- gazione e le commissioni, nel 1982 si decise di cisco, 1999). Durante la prefettura del cardinale che non si può facilmente compiere ne di sostenere gli episcopati locali — come sug- riunire periodicamente i presidenti delle comWilliam Levada si svolse un altro incontro in al momento della morte quello che gerito anche da Papa Francesco — nel loro im- missioni a livello continentale. Una delle caratAfrica, a Dar es Salaam (2009). si è trascurato di fare per tutta la vipegno per la promozione e la tutela della dottri- teristiche originali di questi incontri consiste nel Ora il cardinale Péter Erdö, arcivescovo di ta». E tenendo in mano una candela na della fede, tenendo conto delle specifiche sfi- fatto che sono i superiori della Congregazione a accesa, con il nome di Gesù sulle de da affrontare oggi nel continente europeo. spostarsi nei vari continenti, sottolineando in tal Esztergom-Budapest e presidente del Consiglio labbra chiuse il suo faticoso pelleCon l’Istruzione del 23 febbraio 1967 la Con- modo l’importanza delle istanze locali e regio- delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee), ha grinaggio terreno. gregazione per la dottrina della fede, per incari- nali e la loro responsabilità nell’affrontare le accolto la richiesta del cardinale Gerhard L. co di Paolo VI, aveva chiesto alle Conferenze questioni dottrinali. Il primo di questi incontri, Müller, prefetto della Congregazione per la dot*Vescovo di Ivrea episcopali di istituire al loro interno una com- nel periodo della prefettura del cardinale Joseph trina della fede, per un nuovo incontro. di ED OARD O ALD O CERRATO* Come uno di noi Non solo per l’India e lo Sri Lanka è motivo di gioia la canonizzazione del beato Joseph Vaz, che Papa Francesco celebrerà il 14 gennaio a Colombo; lo è anche per l’O ratorio di San Filippo Neri, che vede iscritto nell’albo dei santi un suo sacerdote, del quale Giovanni Paolo II disse, beatificandolo vent’anni fa: «In considerazione di tutto ciò che padre Vaz fu e fece, di come lo fece e delle circostanze nelle quali riuscì a svolgere la grande opera di salvare una Chiesa in pericolo, è giusto salutarlo come il più grande missionario cristiano che l’Asia abbai mai avuto». Ebbero coscienza di questa straordinaria grandezza già i suoi confratelli che scrissero, il 17 gennaio 1711, mentre padre Vaz era esposto alla venerazione dei fedeli nella chiesa cattolica di Kandy: «Il 16 gennaio si è spento il venerabile P. Vaz, Vicario generale di questa missione e padre dei missionari. Il dolore e la desolazione causati dalla sua perdita sono grandissimi e non possono sufficientemente essere de- Milioni di persone alla processione del Nazareno Nero Per rafforzare la collaborazione con gli episcopati europei L’OSSERVATORE ROMANO domenica 11 gennaio 2015 pagina 7 Nomine episcopali Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in Cile e in Italia. Juan Barros Madrid vescovo di Osorno (Cile) Il Pontefice all’incontro promosso a cinque anni dal terremoto ad Haiti Tre pilastri per ricostruire Persona umana, comunione ecclesiale, Chiesa locale Sabato 10 gennaio Papa Francesco ha ricevuto nella Sala Clementina i partecipanti all'incontro organizzato a Roma dal Pontificio Consiglio Cor Unum e dalla Pontificia Commissione per l’America latina nel quinto anniversario del terremoto ad Haiti. A loro ha ricordato: «Sia ciò che si è fatto, sia ciò che, sempre con l’aiuto di Dio, si potrà fare, poggia su tre pilastri fondamentali: la persona umana, la comunione ecclesiale e la Chiesa locale». Cari fratelli e sorelle, a cinque anni dal catastrofico terremoto in Haiti, ringrazio il Pontificio Consiglio Cor Unum e la Pontificia Commissione per l’America Latina per aver organizzato questo incontro. Esprimo la mia riconoscenza ai Vescovi di Haiti, come pure a tutti voi e alle istituzioni che rappresentate. Il mio grato pensiero va anche a tutti i fedeli che hanno voluto in tanti modi soccorrere il popolo haitiano dopo quella tragedia, che ha lasciato dietro di sé morte, distruzione e anche disperazione. Con l’aiuto portato ai nostri fratelli e sorelle in Haiti abbiamo manifestato che la Chiesa è un grande corpo, dove le varie membra hanno cura le une delle altre (cfr. 1 Cor 12,25). È in questa comunione animata dallo Spirito Santo, che trova la sua ragione profonda il nostro servizio alla Chiesa. Tanto è stato realizzato in questo periodo per ricostruire il Paese! Tuttavia, non ci nascondiamo che molto lavoro resta ancora da fare. E sia ciò che si è fatto, sia ciò che, sempre con l’aiuto di Dio, si potrà fare, poggia su tre pilastri fondamentali: la persona umana, la comunione ecclesiale e la Chiesa locale. La persona è al centro dell’azione della Chiesa. Abbiamo appena celebrato il Natale, e proprio l’Incarnazione ci dice quanto è im- portante l’uomo per Dio, il quale ha voluto assumere la natura umana. Allora la nostra prima preoccupazione dev’essere quella di aiutare l’uomo, ogni uomo, a vivere pienamente come persona. Non c’è vera ricostruzione di un Paese senza ricostruzione della persona nella sua pienezza. Questo comporta far sì che ogni persona in Haiti abbia il necessario dal punto di vista materiale, ma al tempo stesso che possa vivere la propria libertà, le proprie responsabilità e la propria vita spirituale e religiosa. La persona umana ha un orizzonte trascendente che le è proprio, e la Chiesa per prima non può trascurare questo orizzonte, che ha come sua meta l’incontro con Dio. Perciò, anche in questa fase di ricostruzione, l’attività umanitaria e quella pastorale non sono concorrenti, ma complementari, hanno bisogno l’una dell’altra: contribuiscono insieme a formare in Haiti delle persone mature e dei cristiani, che a loro volta potranno spendersi per il bene dei loro fratelli. Che ogni tipo di aiuto offerto dalla Chiesa a quel Paese possa avere questa ansia per il bene integrale della persona! Un secondo aspetto fondamentale è la comunione ecclesiale. In Haiti si è verificata una buona cooperazione di molte istituzioni ecclesiali — diocesi, istituti religiosi, organismi caritativi — ma anche di molti singoli fedeli. Ciascuno con la propria peculiarità ha prestato un’importante opera benefica. Tale pluralità di soggetti, e dunque di approcci all’opera di assistenza e di sviluppo, è un fattore positivo, perché è segno della vitalità della Chiesa e della generosità di tanti. Anche per questo ringraziamo Dio, che suscita in molti il desiderio di farsi prossimo e di seguire così la legge della carità che è il cuore del Vangelo. Ma la carità è ancora più vera e più incisiva se vissuta nella comunione. La comunione testimonia che la carità non è solo aiutare l’altro, ma è una dimensione che permea tutta la vita e rompe tutte quelle barriere di individualismo che ci impediscono di incontrarci. La carità è la vita intima della Chiesa e si manifesta nella comunione ecclesiale. Comunione tra i Vescovi e con i Vescovi, che sono i primi responsabili del servizio di carità. Comunione tra i diversi carismi e le istituzioni di carità, perché nessuno di noi lavora per se stesso, ma in nome di Cristo, che ci ha mostrato la via del servizio. Sarebbe una contraddizione vivere la carità separati! Questa non è carità, la carità si fa come corpo ecclesiale, sempre. Vi invito perciò a rafforzare tutte quelle metodologie che consentano di lavorare insieme. La comunione ecclesia- le si riflette anche nella collaborazione con le Autorità dello Stato e con le Istituzioni internazionali, perché tutti cerchino l’autentico progresso del popolo haitiano, nello spirito del bene comune. Infine, vorrei sottolineare l’importanza della Chiesa locale, perché è in essa che l’esperienza cristiana si fa tangibile. È necessario che la Chiesa in Haiti diventi sempre più viva e feconda, per testimoniare Cristo e per dare il suo contributo al progresso di quel Paese. A tale riguardo, desidero incoraggiare i Vescovi di Haiti, i sacerdoti e tutti gli operatori pastorali, perché con il loro zelo e la loro comunione fraterna susciti- La messa conclusiva celebrata dal segretario di Stato Cieli aperti sull’acqua L’opera caritativa realizzata ad Haiti conferma che, per svolgere al meglio la propria azione a servizio dei popoli, la Chiesa deve vivere la comunione e affidarsi sempre allo Spirito Santo. Lo ha ricordato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nella messa celebrata sabato 10 gennaio nella chiesa di Santa Maria in Traspontina, a conclusione della giornata di studio promossa a cinque anni dal terremoto. Aprendo la sua riflessione con un «grazie» rivolto «a Dio perché abbiamo visto all’opera la sua grazia, pur in mezzo a fatiche e sofferenze umane», il porporato ha indicato il significato concreto che i quattro simboli della festa del Battesimo del Signore hanno oggi per il popolo di Haiti e anche per la Chiesa intera. Il primo è il Giordano, un fiume dal profilo umile proprio come «l’opera della ricostruzione» dopo la tragedia. «Il Signo- I lavori del convegno Tra memoria e speranza Non solo memoria ma anche speranza. A cinque anni dal devastante sisma che nel gennaio 2010 colpì l’isola di Haiti, il bilancio della «ricostruzione materiale e spirituale del Paese» va fatto con «uno sguardo di speranza», capace di «tener conto e valorizzare tutto ciò che si sta realizzando» e di aiutare il popolo dell’isola ad «affrontare con nobiltà, dignità e coraggio, con incrollabile fede in Dio, la propria vita e il proprio destino». Così il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America latina, ha sintetizzato il senso dell’incontro promosso sabato 10 gennaio in Vaticano. «Ogni ricostruzione autentica — ha affermato il porporato salutando i presenti nella sala San Pio X, in via della Conciliazione — inizia e ricomincia dalle persone, dalla presa di coscienza della loro dignità e responsabilità, dagli affetti familiari, dalla solidarietà con i più bisognosi, dalla coscienza di essere parte integrante di un popolo, dal rilancio della tradizione cattolica come risposta ai loro desideri di amore e verità, giustizia e solidarietà». Nel suo intervento il cardinale non ha mancato di sottolineare «la sollecitudine apostolica della Santa Sede» verso il Paese caraibico la personale testimonianza di attenzione da parte di Papa Francesco, che «porta sempre nel suo cuore le sofferenze e le speranze del popolo di Haiti». Dal porporato anche espressioni di riconoscenza per le Conferenze episcopali, le congregazioni religiose maschili e femminili e le numerose agenzie cattoliche di aiuto, assistenza e cooperazione che si sono impegnate nella ricostruzione dell’isola: una vera e propria «corrente di solidarietà ecclesiale» che — ha ricordato — ha coinvolto anche governi e istituzioni politiche e civili di diversi Paesi del mondo. Successivamente il cardinale Robert Sarah, presidente uscente del Pontificio Consiglio Cor Unum ha introdotto i lavori — ai quali sono intervenuti, fra gli altri, il cardinale Chibly Langlois, vescovo di Les Cayes e presidente dell’episcopato haitiano, e monsignor Thomas Gerard Wenski, arcivescovo di Miami — spiegando che «la fase di risposta all’emergenza sta per finire e ora bisogna pensare alla ricostruzione, allo sviluppo, alla riabilitazione del Paese e delle persone», anche attraverso un «lavoro di sensibilizzazione, di ascolto, il dialogo», nel segno del rispetto della dignità delle persone. Del resto il porporato conosce molto bene la realtà di Haiti, essendoci ritornato nel novembre scorso, dopo il primo viaggio fatto nel gennaio 2011, a un anno dal sisma. In questa occasione ha incontrato il presidente della Repubblica, l’epi- no nei fedeli un rinnovato impegno nella formazione cristiana e nella evangelizzazione gioiosa e fruttuosa. La testimonianza della carità evangelica è efficace quando è sostenuta dal rapporto personale con Gesù nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio e nell’accostamento ai Sacramenti. Qui sta la “forza” della Chiesa locale. Nel rinnovare a ciascuno di voi il mio cordiale ringraziamento, vi esorto a proseguire nel cammino che avete iniziato, assicurandovi la mia costante preghiera e la mia benedizione. Maria nostra Madre vi guidi e vi protegga. Vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie. scopato locale, rappresentanti di congregazioni religiose, organizzazioni ed enti di beneficenza che hanno operano sul territorio, e ha visitato le strutture già completate grazie anche al contributo di carità del Papa. «Ho visto un miglioramento della situazione generale» ha confidato, aggiungendo che comunque «c’è ancora molto da fare». Per questo è importante promuovere occasioni per «ascoltare, condividere esperienze e agire in sinergia». Si tratta — ha concluso — «di dare nuovo impulso alla ricostruzione e continuare il lavoro iniziato per restituire speranza e dignità ai nostri fratelli di Haiti». Concetti simili sono stati poi riproposti dal porporato nel saluto rivolto a Papa Francesco all’inizio dell’udienza nella Sala Clementina. Ringraziando il Pontefice per la sua «forte attenzione per i Paesi più poveri e per le persone che versano in condizioni di sofferenza», il presidente di Cor Unum ha chiesto un incoraggiamento in particolare alla Chiesa locale e alle congregazioni religiose attive ad Haiti «per il tanto lavoro che ancora rimane da svolgere». E ha sottolineato che «la comunione è essenziale per realizzare opere buone indirizzate alla persona umana e al suo sviluppo integrale». re — ha detto — era con voi nei giorni duri del terremoto, ha misteriosamente ma realmente sofferto con voi, e continua a essere con voi ogni volta che altri uomini e donne condividono la vostra condizione di bisogno e di precarietà. La storia della comunione generata da una situazione di disagio è stata un luogo nel quale Cristo stesso si è immerso, proprio mentre altri scappavano o manifestavano indifferenza o spirito di cupidigia e di interesse». Il secondo simbolo, ha proseguito, «è il rito al quale Gesù si sottomette: non aveva bisogno di essere purificato e tuttavia si mette in fila con i peccatori». Proprio «questa legge della carità spiega bene quanto è successo» e «rivela anche la radice ultima di tante insufficienze, distrazioni, ritardi o approssimazioni, quando anche non di veri e propri peccati di omissione che si sono verificati. Una radice che possiamo chiamare “mancanza di carità”». E ha invitato «a superare tutti gli ostacoli fatti di personalismi, protagonismi, interessi di parte che impediscono anche alla Chiesa di svolgere al meglio la sua missione al servizio della persona». La comunione, ha ribadito, «deve diventare il messaggio programmatico di questo incontro». Il terzo simbolo è l’acqua che «quando supera i suoi argini ha un effetto devastante». È per questo che «l’azione dello Spirito anima ogni azione della Chiesa», soprattutto quella «caritativa che non può essere ridotta a semplice azione umana». Infatti «l’azione della Chiesa non è per vincolare l’uomo, ma per liberarlo e dilatarlo nella libertà; non è per soggiogare un popolo, ma per portarlo alla sua pienezza». E «nasce da questa missione anche il desiderio che la Chiesa ha di collaborare con istanze pubbliche, nazionali e internazionali, per far sì che la persona possa essere pienamente se stessa e che un popolo diventi realmente protagonista del suo futuro». L’ultimo simbolo, ha concluso il cardinale, «sono i cieli che si aprono»: ci ricordano che «noi siamo chiamati a manifestare, con le parole, le opere e la vita, la carità che è la misericordia del nostro Dio in mezzo agli uomini di Haiti». Nato il 15 luglio 1956 a Santiago de Chile, dopo studi alla facoltà di scienze economiche e amministrative della Pontificia università cattolica del Cile, è entrato nel Pontificio seminario maggiore della capitale, dove ha frequentato i corsi filosofici e teologici. Ordinato sacerdote il 29 giugno 1984, ha svolto il ministero di parroco e ha collaborato con la Conferenza episcopale dirigendo il settore ecclesiale della commissione pastorale. Nel 1994 ha conseguito la licenza in teologia presso la Pontificia università cattolica del Cile. Nominato vescovo titolare di Bilta e ausiliare di Valparaíso il 12 aprile 1995, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 29 giugno successivo. Il 21 novembre 2000 è stato trasferito alla sede residenziale di Iquique. Il 9 ottobre 2004 è stato nominato ordinario militare. Guglielmo Borghetti coadiutore di AlbengaImperia (Italia) Nato il 25 marzo 1954 in Avenza di Carrara, diocesi di Massa Carrara - Pontremoli, dopo il liceo classico ha conseguito la laurea in filosofia con indirizzo psicologico all’Università di Pisa. Entrato in seminario ha completato la formazione teologica. Ordinato sacerdote il 17 ottobre 1982, nella diocesi di Massa Carrara Pontremoli è stato: dal 1974 al 1992, insegnante di religione; dal 1982 al 1986, vice rettore e dal 1986 al 1992 rettore del seminario; dal 1992 al 1997 parroco della cattedrale di Massa Carrara; dal 1993 al 2010 direttore spirituale del seminario e direttore dell’ufficio per le vocazioni; dal 1993 al 1996, vicario episcopale per la pastorale; dal 1997 al 2010 parroco in Santa Maria della Rosa in Montignoso; dal 1999 al 2010 preside dello studio teologico interdiocesano di Camaiore. È stato docente di psicologia della personalità presso la scuola «Edith Stein» di Savona, — per la formazione di educatori di comunità ecclesiali — canonico della cattedrale di Massa Carrara, autore di vari articoli per il settimanale diocesano e per altre riviste. Eletto alla sede di PitiglianoSovana-Orbetello il 25 giugno 2010 è stato ordinato vescovo il successivo 15 settembre. Nicolò Anselmi ausiliare di Genova (Italia) Nato a Genova il 9 maggio 1961, è laureato in ingegneria meccanica all’Università del capoluogo ligure. Dopo il servizio militare è entrato nel seminario arcivescovile maggiore e ha conseguito il baccalaureato in teologia presso la facoltà teologica di Genova. Ordinazione sacerdote il 9 maggio 1992, è stato vicario parrocchiale dei Santi Pietro e Bernardo alla Foce dal 1992 al 1996; responsabile del servizio pastorale giovanile dell’arcidiocesi dal 1993 al 2007; assistente diocesano dei giovani di Azione cattolica dal 1994 al 2001; insegnante di religione dal 1994 al 2007; responsabile della pastorale giovanile dell’episcopato ligure dal 1997 al 2007; amministratore parrocchiale di San Giovanni Bosco della Rimessa dal 2001 al 2005, anno in cui ha partecipato al IV convegno ecclesiale di Verona; vice direttore del centro diocesano vocazioni dal 2005 al 2007; docente al seminario maggiore di Genova dal 2006 al 2007 e responsabile del servizio nazionale di pastorale giovanile dal 2007 al 2012. È stato anche assistente dell’Agesci Liguria. Attualmente è vicario episcopale per la pastorale universitaria, giovanile e dello sport, dirigendo al contempo l’ufficio università e quello per la pastorale giovanile, ed è parroco prevosto della basilica di Santa Maria delle Vigne.
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