Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 53 (47.487) Città del Vaticano domenica 5 marzo 2017 . Primi contatti militari Salvate oltre cento persone ma venticinque migranti risultano dispersi L’utero in affitto Disgelo tra Nato e Russia Naufragio al largo della Libia Una nuova schiavitù per le donne MOSCA, 4. Il capo di stato maggiore russo, generale Valery Gerasimov, ha parlato ieri al telefono con il comandante del comitato militare della Nato, il generale ceco Petr Pavel. Si è trattato del primo colloquio fra i vertici militari dei due blocchi dal 2014. Nella telefonata fra Gerasimov e Pavel, avvenuta su iniziativa della Nato, è stata «confermata la necessità di adottare passi per ridurre le tensioni, stabilizzare la situazione in Europa», ha precisato — come riferisce l’agenzia Interfax — il ministero della difesa a Mosca, che ha espresso la preoccupazione della Russia per il dispiegamento di un sistema di protezione rafforzato e per un aumento dell’attività militare dell’Alleanza atlantica vicino ai suoi confini. Il mese scorso nella capitale dell’Azerbaigian, Gerasimov aveva incontrato il capo degli stati maggiori riuniti americano, Joseph D unford. Fonti dell’Alleanza atlantica hanno confermato che il colloquio ha avuto luogo precisando che «è nell’interesse della Nato e della Russia avere dei canali di comunicazione attivi tra militari e che questi canali restino aperti». Come detto, è la prima volta che un generale russo si è intrattenuto direttamente con un omologo dell’Alleanza atlantica dopo la decisione di congelare i rapporti e la cooperazione in seguito all’annessione della Crimea da parte di Mosca. Le relazioni bilaterali si erano deteriorate con l’inizio del conflitto tra le forze di Kiev e i separatisti filorussi nell’est ucraino, con i paesi occidentali che accusavano Mosca di sostenere i ribelli. Poi si sono registrate una serie di vicendevoli accuse con la Nato che si diceva preoccupata per le vaste manovre militari russe e Mosca che denunciava il rafforzamento dell’Alleanza atlantica nei paesi baltici e in Polonia. La notizia del colloquio è stata diffusa dal ministero della difesa di Mosca. In precedenza, il comandante delle forze aeree statunitensi in Europa e in Africa, generale Tod Wolters, aveva denunciato che aerei militari dell’Alleanza atlantica hanno sfiorato aerei russi, tre Su-24 e un Il-38 per la pattuglia marittima, in quattro incidenti separati il 10 febbraio scorso. Negli ultimi sei mesi il numero di questi incidenti si è stabilizzato, ha aggiunto Wolters. è stato dibattito in Italia sull’ordinanza del giudice di Trento che ha accettato di considerare due uomini come genitori di due gemelli, nati attraverso il ricorso all’utero in affitto. Ma il dibattito è stato pesantemente falsato dal prevalere di un punto di vista parziale: considerare cioè questa decisione come inevitabile, perfettamente in linea con il progresso umano, e di conseguenza giudicare ogni atteggiamento critico come un segno di assurda resistenza alla modernità. È una modalità che imprime su ogni intervista, anche a coloro che sono contrari a questa decisione, una interpretazione obbligata. Sarebbe infatti solo questione di tempo per vedere realizzato anche in Italia ogni “sogno di genitorialità” che coinvolge l’utero in affitto e l’accettazione di due persone dello stesso sesso come genitori. Colpisce una donna come me, femminista, il fatto che in un momento come questo in cui tante energie e tante voci sono impegnate nel denunciare, giustamente, la violenza sulle donne, siano invece così poche le donne che denunciano quanto sta avvenendo contro di loro sul piano fondamentale della maternità. Cioè che la vendita del corpo femminile — tradizionalmente limitata alle prestazioni sessuali o, un tempo, all’allattamento — si sia estesa all’intero corpo della donna, al suo interno, all’utero, e a un tempo lungo, i nove mesi di una gravidanza. Una nuova schiavitù che non può essere giudicata diversamente solo perché è pagata e volontaria. Le penose condizioni legali imposte alla donna — come accettare l’aborto se così decidono i committenti, ad esempio, oppure di avere già dei figli affinché si affezioni di meno al bambino che porta in grembo — non fanno che rivelare maggiormente il carattere disumano della transazione. Così come l’altra condizione alla quale sempre, per “prudenza”, si ricorre: non utilizzare mai l’ovulo della madre che affitta, ma acquistarlo da un’altra donna. Con il risultato che la figura materna viene definitivamente distrutta, fatta a pezzi. C’ Migranti soccorsi dalla guardia costiera libica nel porto di Tripoli (Ap) ROMA, 4. Venticinque dispersi e oltre cento tratti in salvo. Sono i numeri della nuova tragedia dell’immigrazione registrata nelle ultime ore nel Mediterraneo. I migranti erano salpati da Tripoli e diretti in Italia: hanno inviato una chiamata di emergenza questa mattina. Dopo dodici ore di navigazione la loro imbarcazione è naufragata. Tra le persone tratte in salvo si contano anche sei donne — hanno precisato fonti libiche — aggiungendo che da gennaio la guardia costiera ha tratto in salvo oltre 2000 migranti, «un numero molto più alto rispetto allo stesso periodo del 2016» hanno sottolineato le stesse fonti, senza fornire dettagli. E sempre in queste ore, a conferma della gravità della situazione sulle coste italiane, la nave Aquarius è giunta a Pozzallo con oltre 500 persone a bordo. Si tratta di 423 uomini e 90 donne, di cui otto incinte. Provengono prevalentemente dalla Nigeria e dal Bangladesh, ma tra loro vi è anche un gruppo di famiglie siriane. I minori sono 138, dei quali 92 non accompagnati. 33 i bambini sotto i 13 anni: 19 hanno meno di 5 anni e sette non hanno nemmeno un anno. Sono tutti stati Le credenziali dell’ambasciatore dell’Iraq y(7HA3J1*QSSKKM( +/!"!@!z!,! di LUCETTA SCARAFFIA recuperati nelle ultime 24 ore da cinque imbarcazioni (tre gommoni e due barconi) al largo delle coste libiche. La guardia costiera italiana ha comunicato che nella sola giornata di ieri sono stati salvati più di 900 migranti nel Mediterraneo. In questo quadro, ieri, è giunta la nuova denuncia dell’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, secondo cui le nuove politiche di rimpatrio europee «mettono in pericolo i bambini». Solo pochi giorni fa fonti europee hanno fatto sapere che i paesi membri dell’Unione potrebbero in futuro dover rimpatriare almeno un milione di migranti. Insieme ad altre organizzazioni che si occupano di diritti dei bambini (Oim, Unhcr, Save the children e altre ong), l’Unicef ha messo in rilievo che il recente piano di azione adottato dalla commissione «incoraggia gli stati membri a effettuare rimpatri rapidi, che vanno a limitare tutele di base e diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti i migranti, anche nei casi in cui siano coinvolti i bambini». È essenziale che «vengano applicate delle procedure forti che seguano il principio dell’interesse superiore prima della decisione di rimpatrio di ogni bambino, anche di quelli accompagnati dalle proprie famiglie. Tutto ciò non può tradursi in un esercizio di routine». Quando si valuta — dicono le organizzazioni — «se il rimpatrio possa essere nell’interesse superiore del bambino, l’opinione del bambino stesso dovrebbe essere debitamente presa in considerazione. I rimpatri forzati e la detenzione sono estremamente pericolosi per i bambini e le famiglie. I bambini non dovrebbero mai essere detenuti per motivi d’immigrazione, neanche come ultima possibilità». E sempre ieri, sul tema è intervenuto il commissario dell’Ue all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, secondo cui «la protezione dei bambini lungo la rotta migratoria è una priorità, e la nostra normativa ha salvaguardie molto forti per i migranti minori che cercano protezione in Europa». La prima valutazione «deve essere sempre il miglior interesse del bambino» ha spiegato il commissario. «I migranti minori non accompagnati dovrebbero esse- re considerati prima di tutto e soprattutto bambini, prima che migranti. La legge Ue garantisce i diritti fondamentali dei minori». Sul tema della solidarietà e del valore del volontariato è intervenuto ieri anche il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. «Viviamo un tempo successivo alla lunga crisi economica che ha fatto crescere la povertà e ampliato le diseguaglianze. Il volontariato è utile anche su questo fronte: nell’essere un antidoto nei momenti di crisi» ha detto il titolare del Quirinale. «Pensiamo ai bisogni di tante periferie, sociali ed esistenziali. Pensiamo ai migranti che arrivano nel nostro paese. Pensiamo ai malati e alle persone non autosufficienti. Pensiamo alla famiglie che devono affrontare oneri pesanti e bisogni inattesi». Pellegrino di Roma FELICE ACCRO CCA A PAGINA Parola in armonia Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Omer Ahmed Karim Berzinji, Ambasciatore della Repubblica dell’Iraq, per la presentazione delle Lettere Credenziali. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Eminentissimo Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Kuching (Malaysia), presentata da Sua Eccellenza Monsignor John Ha Tiong Hock. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Cartago (Costa Rica), presentata da Sua Eccellenza Monsignor José Francisco Ulloa Rojas. Provviste di Chiese Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo di Kuching (Malaysia) Sua Eccellenza Monsignor Simon Poh Hoon Seng, finora Vescovo titolare di Sfasferia e Ausiliare della medesima Arcidiocesi. La Sistina prova in Sistina la sera del 16 febbraio scorso 5 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha nominato Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana Sua Eccellenza Monsignor Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno. Il Papa sulla musica sacra La vicenda di Ernesto Buonaiuti Nella mattina di sabato 4 marzo, Papa Francesco ha ricevuto in udienza Sua Eccellenza il signor Omer Ahmed Karim Berzinji, ambasciatore della Repubblica dell’Iraq, per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede È quello che hanno fatto i due padri, per assicurarsi che i figli fossero veramente solo di loro proprietà. Con l’assenso della legge canadese. Come è possibile che non si veda un atto profondamente misogino in questa operazione di tipo commerciale, che vuole essere nobilitata da un desiderio che non può essere considerato un diritto per nessuno? Si tratta infatti di una cosciente e voluta distruzione della figura materna, portata a termine con pervicacia, in modo che quei bambini una madre non ce l’abbiano mai. Tutti sanno che due padri non sostituiscono una madre, così come due madri non possono sostituire un padre. Se la vita, talvolta, impone a degli esseri umani di convivere fin dall’origine con questa grave mancanza, si deve cercare di porvi rimedio. Ma creare la mancanza volontariamente — per di più protetti dalla legge — solo per esaudire il desiderio di due adulti è veramente un atto crudele. E la cultura che ci circonda, che insiste nell’interpretare questa situazione abnorme come un risultato del progresso che avanza, quasi come se fosse animato da uno spirito proprio, e quindi non controllabile, sta macchiandosi di gravi colpe. L’allarme si deve invece lanciare, e ad alta voce. E sono soprattutto le donne, le più danneggiate da queste assurde manipolazioni, a dover lottare per difendere se stesse e i bambini. PAGINA 7 Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Cartago (Costa Rica) il Reverendo Mario Enrique Quirós Quirós, del clero della Diocesi di Cartago, già Formatore e Direttore Spirituale nel Seminario Maggiore Nazionale. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 5 marzo 2017 Il cancelliere tedesco Angela Merkel con il premier tunisino Youssef Chahed (Afp) Unionisti primo partito ma cresce il Sinn Féin Irlanda del Nord divisa a metà LONDRA, 4. Il partito unionista democratico (Dup) ha vinto di stretta misura le elezioni anticipate nell’Irlanda del Nord per il rinnovo dell’assemblea legislativa, un seggio appena davanti ai repubblicani del Sinn Féin, che hanno sfiorato uno storico sorpasso. L’assemblea di Stormont a Belfast cambia dunque assetto: i partiti unionisti per la prima volta hanno perso la maggioranza assoluta. Ora si rischia uno stallo politico che minaccia la stessa divisione del potere tra unionisti e repubblicani, prevista dagli accordi del Venerdì santo del 1998, in uno scenario in cui le tensioni tra le due comunità si sono acuite con la Brexit. Gli unionisti, favorevoli a rimanere nel Regno Unito, hanno perso significativamente potere conquistando 28 dei 90 seggi dell’assemblea regionale, contro i 27 del Sinn Féin, l’ex braccio politico dei paramilitari dell’Ira favorevole alla riunificazione dell’isola e delle due Irlande. A maggio 2016, il Dup aveva conquistato 38 deputati, contro i 28 del Sinn Féin, in un’assemblea che allora contava 108 seggi. Risultato deludente anche per l’altro grande partito unionista, l’Ulster Unionist party (Uup), che ha ottenuto 10 seggi, superato dall’Sdlp, il partito socialdemocratico e laburista, con 12 seggi. Il leader dell’Uup, Mike Nesbitt, ha annunciato le dimissioni. Il voto è stato caratterizzato da un’affluenza del 64,8 per cento degli aventi diritto, cioè 10 punti in più di 10 mesi fa e un record degli ultimi 20 anni. Il Dup e il Sinn Féin hanno adesso tre settimane di tempo per mettersi d’accordo sulla formazione di una coalizione di governo e risolvere le questioni che hanno portato alle elezioni anticipate. Gli accordi di pace del 1998 — che posero fine al sanguinoso conflitto civile nordirlandese, i cosiddetti “Troubles” — prevedono la pari dignità tra unionisti e repubblicani. Questo principio si traduceva, fino al gennaio scorso, in un esecutivo guidato dalla leader del Dup, Arlene Foster, e dal vicepremier del Sinn Féin, Martin McGuinness. Ma a inizio anno McGuinness si è dimesso, ufficialmente per motivi di salute, ma soprattutto — ricordano Theresa May esclude ulteriori poteri alla Scozia Fossa comune con i resti di 800 bambini a Tuam LONDRA, 4. Theresa May ha deciso di applicare la linea dura nei confronti della Scozia. Ieri, ha infatti sfidato apertamente il first minister di Edimburgo, Nicola Sturgeon, leader dello Scottish national party (Snp), che chiede maggiore autonomia da Londra dopo la Brexit e minaccia un nuovo referendum per l’indipendenza come contromisura rispetto alla Brexit e all’uscita dal mercato unico europeo. Intervenendo al congresso del Partito conservatore scozzese riunito a Glasgow, il primo ministro britannico ha categoricamente escluso la concessione di nuovi poteri a Edimburgo che, a suo giudizio, «renderebbero il Regno Unito più debole e scollegato». May — informa la stampa — ha ribadito che il suo obiettivo principale è proteggere l’integrità del Regno Unito, che verrebbe compromessa da un’ulteriore autonomia legislativa e di spesa assegnata alla Scozia. Evidentemente, commentano i media britannici, la premier si sente sicura rispetto alla minaccia di un nuovo referendum. Nonostante l’ampia maggioranza politica di cui gode in Scozia, lo Scottish national party, sul tema del referendum, non raccoglie altrettanti consensi. Solamente il 35 per centro degli scozzesi, infatti, vuole un nuovo referendum prima della Brexit e i favorevoli all’indipendenza sono fermi al 45 per cento, ben al di sotto della maggioranza che sarebbe necessaria a Sturgeon per indire una nuova consultazione sul divorzio da Londra. Durante il convegno a Glasgow, Sturgeon è stata accusata dal primo ministro britannico di perseguire il suo interesse politico e non quello del popolo scozzese. Non è stata da meno la first minister, che rivolta a May ha detto: «Il suo governo qui non ha mandato». E poi ha accusato May di «ostinazione e intransigenza» nel gestire i rapporti con le amministrazioni emerse dal processo di devolution, in particolare rispetto alla separazione con l’Ue. DUBLINO, 4. Orrore in Irlanda. A Tuam, nel prato di un ex orfanotrofio, è stata scoperta ieri una fossa comune con i resti di ottocento bambini. Dai primi test del dna è emerso che appartenevano a bimbi deceduti tra il 1925 e il 1961, in particolare durante gli anni cinquanta. I più grandi avevano tre anni. La struttura della contea di Galway era gestita da suore, le Sorelle del buon soccorso (congregazione cattolica fondata nel 1822), e ospitava ragazze madri che avevano avuto figli fuori dal matrimonio, i loro bimbi e anche molti orfani. Stando agli inquirenti che stanno ricostruendo la storia (la commissione è stata istituita dal governo nel 2015), le donne e i loro bambini erano costretti a vivere in misere condizioni, tanto che spesso morivano di fame e stenti. In quei casi, venivano sepolti in modo sbrigativo e senza formalità, spesso senza nemmeno che i cadaveri fossero identificati. A Tuam gli inquirenti hanno scoperto una struttura divisa in celle senza lapidi né nomi. I vescovi irlandesi e le Sorelle del buon soccorso hanno espresso il loro pieno sostegno all’inchiesta per fare la massima chiarezza sui fatti accaduti a Tuam e in altri 17 istituti. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va gli analisti politici — a seguito di un aspro scontro politico con il Dup e Foster, coinvolti in uno scandalo sui rimborsi per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Se i negoziati fallissero, il ministro britannico per l’Irlanda del Nord, James Brokenshire, potrebbe decidere di amministrare temporaneamente l’Irlanda del Nord, per la prima volta in 10 anni. Lo scontro sulle sovvenzioni energetiche nasconde infatti un faccia a faccia più pesante sulla Brexit. Il Dup ha fatto campagna a favore dell’uscita dall’Unione europea, mentre il Sinn Féin era contro: ha prevalso il no con il 56 per cento dei voti e il voto pro-Ue dimostra anche l’esistenza di un orientamento ormai maggioritario in favore della riunificazione dell’isola. I nazionalisti nordirlandesi hanno sempre guardato all’Ue come un contrappeso rispetto a Londra. L’elemento più disastroso della Brexit, sostengono gli osservatori, sarebbe il ritorno della frontiera fisica con la Repubblica dell’Irlanda, con pesanti conseguenze economiche e, soprattutto, il rischio di un ritorno alle divisioni del passato. Sul rimpatrio di migranti e per finanziare progetti di sviluppo Intesa tra Berlino e Tunisi TUNISI, 4. Germania e Tunisia hanno raggiunto un’intesa per un accordo sul rimpatrio di migranti, a cui si aggiungerà un aiuto di 250 milioni di euro versato da Berlino per finanziare progetti di sviluppo che creino posti di lavoro nelle aree più povere del paese nordafricano. L’intesa è stata annunciata a Tunisi in una conferenza stampa congiunta tra il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente tunisino, Béji Caïd Essebsi. L’accordo segue l’attentato di dicembre al mercato di Berlino, perpetrato da un cittadino tunisino che le autorità tedesche non erano riuscite a rimpatriare perché il suo paese natale non aveva spedito i documenti necessari. «La Tunisia è il faro della speranza», ha detto il cancelliere nel suo discorso ieri al parlamento tunisino del Bardo. Merkel ha evidenziato le crisi alle quali la Tunisia si è trovata e si trova a fare fronte, a partire dagli omicidi politici del passato fino alle sfide più importanti per il futuro, esprimendo la sua soddisfazione per i traguardi raggiunti, prendendo ad esempio il premio Nobel per la pace del 2015 assegnato al Quartetto del dialogo nazionale. Il cancelliere tedesco ha inoltre affermato «che l’istituzione della Corte Costituzionale, l’attuazione della decentralizzazione e la prossima tenuta delle elezioni comunali» sono le sfide più grandi che attendono il paese. «Non si possono negare i progressi realizzati dalla Tunisia dalla rivoluzione del 2011 a oggi e la Germania, in qualità di paese amico, vi vuole accompagnare su questa via» ha concluso la Merkel tra gli applausi dei deputati. Il nuovo ambasciatore dell’Iraq L’inviato dell’Onu preoccupato per la situazione dei civili Violenta battaglia nella zona petrolifera libica Scontri nella zona di Ras Lanuf (Reuters) TRIPOLI, 4. L’inviato dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, ha condannato l’escalation nella zona petrolifera libica, dove una milizia jihadista ha strappato due terminal all’esercito del generale Khalifa Haftar che fa riferimento al parlamento di Tobruk, definendola «una minaccia grave ai mezzi di sussistenza di milioni di cittadini libici». Kobler chiede moderazione a tutte le parti «per evitare ulteriori escalation e per assicurare la protezione dei civili, delle risorse naturali della Libia e delle infrastrutture petrolifere». Ed è tornata a riaccendersi l’area della Mezzaluna petrolifera libica, già teatro lo scorso settembre di pesanti scontri armati. Le brigate della difesa di Bengasi, potente milizia jihadista, hanno preso il controllo dei due importanti terminal di Ras Lanuf e Al Sidra, scontrandosi con i soldati di Tobruk, che fanno capo al generale Haftar, che dallo scorso settembre li controllavano. A renderlo noto è stato il portavoce dei jihadisti, Faisal Al Zwei, precisando che un migliaio di miliziani, con circa 200 veicoli, si sono scontrati con le forze armate dell’est libico, costringendo quest’ultime alla ritirata. Al Zwei ha poi aggiunto che a sostegno dei miliziani si sono aggiunti alcuni combattenti fedeli a Ibrahim Jedran, la formazione vicina a Tripoli, che controllava i terminal ma che lo scorso settembre venne cacciata proprio dalle forze di Haftar. Cinque mesi fa in un blitz a sorpresa i soldati di Tobruk entrarono nell’area della Mezzaluna petrolifera e conquistarono senza combattere proprio Ras Lanuf e Al Sidra, sottraendole alle guardie di Jedran. Anche il governo di Tripoli del premier Fayez Al Sarraj ha condannato quanto accaduto ieri e ha precisato di non avere alcun ruolo. Secondo alcune fonti nei combattimenti si sarebbero registrate molte vittime fra le fila dei soldati libici, mentre l’aviazione avrebbe condotto diversi raid aerei per respingere l’avanzata dei jihadisti. Ma le forze militari dell’est non hanno al momento confermato tali bilanci. Inondazioni nello Zimbabwe Le acque che hanno invaso la zona di Bulawayo in Zimbabwe (Afp) GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va HARARE, 4. Almeno 250 persone sono morte a causa delle inondazioni che stanno flagellando da dicembre lo Zimbabwe, paese già duramente colpito dalla siccità. Oltre 2000 sarebbero gli sfollati a causa dell’emergenza. «Non ci sono abbastanza tende, cibo e medicine» è l’allarme lanciato ieri dal ministro delle comunità territoriali di Harare. «Dopo avere sofferto per gli effetti della siccità, ora la popolazione è alle prese con le inondazioni», ha dichiarato Bishow Parajuli, responsabile del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo in Zimbabwe. È il distretto di Tsholotsho, nel sudovest del paese africano, a essere stato maggiormente colpito. Dopo la siccità causata dal fenomeno atmosferico «El Niño», lo Zimbabwe ha subito in pieno gli effetti della «Niña», fenomeno inverso, caratterizzato dalle forti precipitazioni. Le immagini trasmesse dalle televisioni mostrano i soccorsi aerei alla popolazione di interi villaggi distrutti dalle acque. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Sua Eccellenza il signor Omer Ahmed Karim Berzinji, nuovo ambasciatore della Repubblica dell’Iraq presso la Santa Sede, è nato il 10 gennaio 1960. È sposato e ha quattro figli. Si è laureato all’università di Baghdad. Ha ricoperto, tra gli altri, i seguenti incarichi: membro del sindacato degli avvocati (19842004) e dell’unione dei giuristi iracheni; lettore presso l’Istituto europeo per le scienze umane in Francia - sezione olandese per la lingua araba e storia islamica (2002-2003); lettore per i diritti umani nei corsi per i diplomatici organizzati nell’istituto diplomatico del ministero degli Affari esteri iracheno e ambasciatore presso il ministero degli Affari esteri con l’incarico di capo del dipartimento per i diritti umani (2004-2009); ambasciatore in Libano (20092013); ambasciatore in Romania (2013-2015); sottosegretario per gli Affari legali e per le relazioni multilaterali (dal 2015). A Sua Eccellenza il signor Omer Ahmed Karim Berzinji, nuovo ambasciatore della Repubblica dell’Iraq presso la Santa Sede, nel momento in cui si accinge a ricoprire il suo alto incarico, giungano le felicitazioni del nostro giornale. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 5 marzo 2017 pagina 3 L’aula di una scuola distrutta da una bomba a Duma nei pressi di Damasco (Reuters) Terzo anno consecutivo Cala il budget militare cinese PECHINO, 4. Il budget militare della Cina salirà di circa il 7 per cento quest’anno: lo ha annunciato oggi Fu Ying, portavoce del congresso nazionale del popolo. Il totale della spesa per la difesa si attesterà intorno all’1,3 per cento del pil, ha aggiunto Fu, in occasione della conferenza stampa di presentazione del congresso che si apre domani. I numeri più dettagliati, come di consueto, saranno diffusi dal premier Li Keqiang nel suo discorso di apertura. Con il budget 2015 in aumento annuo del 10,1 per cento e quello 2016 del 7,6 per cento (per la prima volta in sei anni a cifra singola e non doppia), il 2017 si profila in ulteriore discesa per il terzo anno di fila. La scelta del 2016 era stata motivata come il desiderio di riflettere un’economia cresciuta ai ritmi più bassi da 25 anni, un periodo in cui il budget militare è aumentato a doppia cifra, a eccezione del 2010 (più 7,5 per cento). Il portavoce Fu ha ribadito che le forze militari cinesi hanno lo scopo di «pura difesa» costituendo una forza di stabilizzazione dell’Asia. «Sosteniamo il dialogo per le risoluzioni pacifiche, mentre allo stesso tempo abbiamo bisogno di avere la capacità di difendere la nostra sovranità e i nostri interessi. Il rafforzamento delle capacità cinesi porta benefici per preservare la pace e la sicurezza nella regione e non il contrario». Se sarà confermato l’aumento del 7 per cento circa, il budget dovrebbe segnare 67 miliardi di yuan (quasi 10 miliardi di dollari) in più, salendo per la prima volta al totale di 1.000 miliardi di yuan (145 miliardi di dollari). La percentuale di pil cinese corrispondente alle spese militari è minima rispetto a quella di altri paesi e sotto la soglia del 2 per cento. «Il gap della nostra capacità rispetto agli Stati Uniti è enorme, ma lo sviluppo e la costruzione delle nostre forze armate continuerà in base alla necessità di rispettare i bisogni di difesa della nostra sovranità e sicurezza nazionali», ha concluso Fu. Nuova legge sulle spose bambine nel Bangladesh Dai colloqui tra governo e opposizione a Ginevra Un’agenda chiara per la Siria DAMASCO, 4. «C’è un’agenda chiara» su tutti i punti cruciali della crisi siriana. Questo, nelle parole dell’inviato dell’Onu, Staffan de Mistura, è il principale risultato della quarta sessione di colloqui tra governo e opposizione siriani che si è conclusa ieri a Ginevra. De Mistura ha detto di aspettarsi che «governo di Damasco e opposizioni perseguano la chiara tabella di marcia enunciata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per giungere a scrivere insieme una bozza di costituzione entro dodici mesi e di tenere libere e giuste elezioni sotto la supervisione Onu entro un ulteriore anno e mezzo». De Mistura ha anche annunciato l’intenzione di invitare al più presto le parti di nuovo nella città svizzera per una ulteriore tornata di negoziati di pace. «Il treno è pronto, è nella stazione» ha detto il diplomatico italo-svedese. «Credo che ora abbiamo un’agenda chiara davanti su quattro aree di discussione, compresa una sulla richiesta di Damasco contro il terrorismo». Il documento finale, composto da dodici punti, è stato siglato da tutte le delegazioni presenti. Poco prima della conclusione ufficiale dei colloqui un esponente dell’opposizione siriana, Nasr El Hariri, aveva detto ai giornalisti che la tornata di trattative, non ancora conclusa, «non aveva prodotto risultati chiari», ma aveva comunque ottenuto «progressi maggiori rispetto a quelle precedenti». Fra questi, l’aver affrontato per la prima volta il tema della transizione politica e quindi il futuro della attuale leadership. Era la quarta volta che le delegazioni di governo e opposizione tornavano nella città svizzera sotto l’egida di Onu e Russia per prolungare il cessate il fuoco e cercare una soluzione alla crisi. Sul terreno, intanto, la situazione è critica. Fonti militari di Mosca hanno registrato undici violazioni del cessate il fuoco nelle ultime 24 ore, di cui sette nella provincia di Latakia, due in quella di Hama e due in quella di Damasco. La Turchia invece ha denunciato tredici violazioni della tregua: tre nella provincia di Aleppo, tre nella provincia di Homs, una nella provincia di Hama, cinque nella provincia di Damasco e una in quella di Daraa. La tregua riguarda soltanto le aree del paese in cui non sono presenti formazioni jihadiste. C’è poi lo spettro delle armi chimiche. L’O rganizzazione dell’Onu per la proibizione delle armi Altre vittime civili del conflitto afghano Il re saudita in Indonesia JAKARTA, 4. Strettissime misure di sicurezza sono state predisposte nell’isola indonesiana di Bali, dove il re Salman dell’Arabia Saudita è giunto nell’ambito di un viaggio iniziato lunedì scorso in Malaysia, e che in circa un mese prevede anche tappe in Brunei, Giappone, Cina e nelle Maldive. Al suo seguito, informa la Bbc, ci sono 620 persone che fanno parte del suo entourage, così come 800 delegati, tra cui dieci ministri e 25 principi. Per trasportarli tutti in Indonesia — informa la stampa locale — sono stati necessari ben 27 voli per Jakarta e nove per Bali. Offensiva contro Al Qaeda nello Yemen SANA’A, 4. Decine di bombardamenti aerei e di droni, raid di elicotteri anche se il Pentagono ha smentito incursioni di forze speciali sul terreno. È comunque un’operazione senza precedenti quella che gli Stati Uniti stanno conducendo da tre giorni contro miliziani di Al Qaeda nella penisola arabica (Aqpa) nello Yemen. L’operazione lanciata a partire da mercoledì sera dalle forze statunitensi è concentrata in un triangolo tra le province meridionali di Bayda, Shabwa e Abyan, dove Al Qaeda ha rafforzato negli ultimi anni la sua presenza, approfittando della guerra in corso tra il governo del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, riconosciuto internazionalmente e sostenuto da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, e i ribelli huthi. Il Pentagono ha confermato l’attuazione di almeno 30 raid aerei, smentendo però l’utilizzo di forze a terra. Da fonti locali si è appreso che gli ultimi attacchi si sono concentrati in particolare sulla cittadina di Wadi Yabsham, dove vive colui che è considerato il numero due di Al Qaeda, Saad Atef, ma sulla cui sorte non si hanno notizie. Alcuni residenti — come hanno riferito le emittenti Al Jazeera e Al Arabya — parlano di feriti anche tra i civili. Bombardamenti sono segnalati anche nel distretto di Yakla, nella provincia di Bayda, teatro della prima operazione a terra autorizzata dalla nuova amministrazione Trump, alla fine di gennaio. chimiche (Opac) ha aperto un’inchiesta su otto presunti attacchi condotti con gas tossici. È quanto si legge in un rapporto presentato al Consiglio di sicurezza dal direttore generale dell’O pac, Ahmet Üzümcü. E la questione dell’uso delle armi chimiche si pone anche in Iraq. La Croce rossa internazionale ha denunciato ieri che all’ospedale di Rozhawa, nei pressi di Mosul, sono stati curati sette pazienti con sintomi dovuti ad agenti chimici tossici. La Croce rossa ha quindi condannato l’uso delle armi chimiche, ricordando che esso «è assolutamente proibito in base alle leggi umanitarie internazionali». Sono quasi 50.000 i civili fuggiti da Mosul ovest, dove le forze speciali irachene affrontano i miliziani dell’Is. Nelle ultime ore i governativi hanno riconquistato un altro quartiere. A parlare esplicitamente di crisi umanitaria è il Cremlino. «L’assalto a Mosul — ha dichiarato ieri il generale russo Serghiei Rudskoi — dura da oltre quattro mesi, ma il compito non è stato ancora eseguito in pieno. Il disastro umanitario, incomparabile per dimensioni con la situazione ad Aleppo alla fine del 2016, continua nella città». Soldato afghano nella provincia di Laghman (Ansa) KABUL, 4. Almeno nove civili, fra cui quattro bambini, sono morti ieri in un raid aereo dell’aviazione afghana nella provincia occidentale di Farah. Lo riferiscono oggi i media a Kabul. A quanto si è appreso l’attacco aereo è stato sferrato nell’area di Farah Road del distretto di Bala Balok, e il vicegovernatore provinciale, Yonus Rasuli, ha confermato l’esistenza di vittime civili, fra cui quattro bambini in tenera età. Intensi scontri sono in corso da giorni nella zona tra forze di sicurezza afghane e talebani che, a detta delle autorità locali, hanno le lo- ro postazioni in abitazioni civili. Il direttore dell’ospedale civile di Farah City, Abdul Hakim Rasouli, ha reso noto, riferisce l’agenzia di stampa Pajhwok, che le persone decedute sono nove, mentre i feriti ricoverati sono una ventina, fra cui molte donne. E intanto, nelle ultime 24 ore le forze di sicurezza afghane hanno ucciso almeno 149 talebani, ferendone altri 73 in operazioni realizzate nelle province di Laghman, Nangarhar, Kapisa, Logar, Farah, Takhar, Baghlan ed Helmand. Per la sicurezza dell’anziano monarca le autorità indonesiane hanno dislocato 2500 agenti e soldati, oltre ad alcune navi della marina — con a bordo personale della polizia antiterrorismo — ancorate al largo della costa. Lo hanno confermato fonti militari a Jakarta. L’ultima visita ufficiale di un monarca saudita in Indonesia risale al 1970, quando re Faisal venne ricevuto dall’allora presidente Suharto. In quest’occasione, re Salman ricambia una visita effettuata nel 2015 in Arabia Saudita dall’attuale presidente Widodo. Aumentano le domande di asilo in Canada La Fed pronta ad alzare i tassi d’interesse OTTAWA, 4. Il numero di migranti africani e siriani che ha presentato una domanda di asilo in Canada, dopo aver attraversato il confine con gli Stati Uniti, è in aumento dall’inizio dell’anno, secondo quanto rende noto la polizia di frontiera. Tra il primo gennaio e il 21 febbraio, circa 4000 persone hanno presentato domanda di asilo in Canada, circa 1500 candidati in più rispetto allo stesso periodo del 2016. I funzionari canadesi non hanno fornito dettagli sulla situazione dei migranti, limitandosi a dire che «alcuni di loro hanno trascorso poco tempo negli Stati Uniti», mentre altri hanno avuto la loro domanda di asilo respinta da parte di Washington. WASHINGTON, 4. Il presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, ha dichiarato che la banca centrale statunitense «probabilmente aumenterà i tassi di interesse durante il meeting di marzo». Altri aumenti — ha poi aggiunto il presidente — saranno possibili nelle successive riunioni dell'anno, se l’economia seguirà l’andamento atteso. Parlando all'Executives Club of Chicago, Yellen ha spiegato che «sulle politiche di bilancio c'è grande incertezza: dobbiamo essere pazienti». Poi una battuta sull’immigrazione: «Sulla crescita della forza di lavoro noi non possiamo fare molto. L’immigrazione aiuta la crescita della forza lavoro» ha detto Yellen. DACCA, 4. Proteste e condanne da parte delle organizzazioni per i diritti umani dopo l’approvazione, ieri in Bangladesh, di una nuova legge che consente alle minori di 18 anni di sposarsi per volontà dei genitori in «circostanze particolari» e, qualora ciò avvenga, «per il loro bene». Il punto contestato, oltre all’abbassamento dell’età, riguarda proprio queste «circostanze particolari», perché — rilevano gli analisti — la legge non chiarisce quali esse siano, lasciando troppo spazio all’interpretazione. Il timore delle organizzazioni per i diritti umani, scrive la Cnn sul suo sito, è che i genitori possano costringere le ragazze vittime di stupro a sposare i loro violentatori. Il governo bengalese ha difeso il provvedimento, dichiarando di avere totale fiducia nei giudici e nei tribunali locali, che dovranno valutare le «circostanze particolari». Secondo i dati diffusi da Human Rights Watch, il Bangladesh ha la più alta percentuale di spose bambine di tutta l’Asia. Il 52 per cento delle donne nel paese si sposano entro i 18 anni, rivela l’Unicef. E il 18 per cento di queste sono spose già a 15, una delle più alte percentuali al mondo. In Groenlandia è già primavera WASHINGTON, 4. Il riscaldamento globale sta sconvolgendo sempre di più il clima. In Groenlandia, l’erba sui prati è spuntata con un mese di anticipo, mentre al Polo sud il mare ghiacciato intorno alla terraferma ha raggiunto la sua estensione minima. Sempre in Antartide è stata registrata la temperatura più alta mai rilevata, 17,5 gradi sopra lo zero, mentre l’Australia brucia in un’estate bollente. Il servizio geologico statunitense rivela come quest’anno la primavera sia arrivata con ben 22 giorni di anticipo. D’altronde, c’è poco da stupirsi. Il 2016 è stato l’anno più caldo in assoluto dal 1880, da quando si fanno rilevazioni scientifiche della temperatura (terzo anno da record consecutivo). I ghiacci del Polo nord negli ultimi anni hanno registrato riduzioni senza precedenti, mentre in Antartide la superficie di mare ghiacciato intorno al continente ha raggiunto il suo nuovo minimo, 2.123.790 chilometri quadrati. Le piattaforme di ghiaccio antartiche perdono ogni anno fra 63 e 80 miliardi di tonnellate di massa, pari a 10 metri di spessore e l’Organizzazione meteorologica mondiale ha reso noto il nuovo valore massimo di temperatura mai registrato nella zona: 17,5 gradi Celsius rilevati sulla punta nord della penisola antartica. E collegata ai mutamenti climatici è senza dubbio l’ondata di caldo torrido in Australia, dove negli ultimi due mesi in alcune zone meridionali il termometro ha sfiorato 45 gradi centigradi. Gli scienziati del Climate change research center concordano che, se non si riducono drasticamente le emissioni di gas serra, queste intense ondate di calore saranno la norma in futuro. Se non si riuscisse a contenere il riscaldamento globale entro 2 gradi dai livelli pre-industriali — soglia limite indicata anche dall’Accordo sul clima di Parigi — estati calde da record come quella in Australia potrebbero verificarsi non più ogni mezzo secolo (come stimato per le condizioni attuali), ma ogni cinque anni. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 5 marzo 2017 Un cammino millenario Tra storia e leggenda Vitalità della carta in Giappone S’intitola Le antiche Chiese cristiane d’oriente, un cammino millenario (Roma, Città Nuova, 2016, pagine 283, euro 26) la nuova edizione di una panoramica scritta oltre un decennio fa da Paolo Siniscalco. Il libro, aggiornato al punto da risultare come impianto del tutto nuovo, descrive la realtà antichissima e oggi per molti aspetti dolorosa, delle Chiese nate e caratterizzatesi originalmente lungo i secoli nell’attuale Vicino e Medio oriente, là dove il cristianesimo stesso ha avuto origine: da Gerusalemme e dall’antica Giudea ad Antiochia e alla Siria, per estendersi in Egitto e nella regione anatolica, poi ancora a oriente fino all’Armenia, alla Georgia e all’India, e verso mezzogiorno fino all’Etiopia. Aggiornato bibliograficamente, il libro ha una nuova introduzione che ripercorre in modo sintetico le vicissitudini dei cristiani orientali fino alla drammatica situazione attuale, soffermandosi brevemente sulla realtà poco conosciuta ma vitale della diaspora nei paesi occidentali. E se rispetto all’edizione precedente viene sacrificata la parte letteraria, resta fondamentale e utile la rassegna del cristianesimo come è venuto sviluppandosi nelle diverse regioni dell’oriente. (g.m.v.) da Tokyo CRISTIAN MARTINI GRIMALDI gni anno vengono acquistati circa trecento milioni di nuovi computer, e solo lo scorso anno quasi un miliardo di nuovi smartphone. Stiamo parlando di strumenti capaci di immagazzinare informazioni che solo vent’anni fa probabilmente sarebbero state stampate su carta. Il grande numero delle vendite di questo tipo di prodotti e il loro utilizzo universale ha ispirato a molti analisti le più fosche previsioni sulla fine di un’intera era geologica: quella del “cartaceo”. È però bene sottolineare che questi analisti quasi sempre provengono da occidente, infatti le cose viste da oriente appaiono alquanto diverse. Basta viaggiare su qualunque treno giapponese per accorgersi che i lettori di libri, manga e giornali stampati su supporti di carta sono infinitamente superiori ai lettori di materiale digitale. La scrittura a mano, ormai quasi in via d’estinzione in occidente, è invece ancora fondamentale per lo studio della lingua giapponese che si apprende sui banchi di scuola, scrivendo rigorosamente su dei fogli di carta (kanji rensyu cyou) a quadratini prestampati dove appunto i giovani, da sette fino a vent’anni, si esercitano nella composizione dei vari kanji. Non solo, la carta in Giappone è ancora utilizzata per cose che in altre parti del mondo sono già state rimpiazzate con materiali di altro tipo: gli ankicado, ovvero una sorta di “pizzini” tenuti insieme da un cerchietto di metallo, sono utilizzati moltissimo dagli studenti di tutte le età come appunti per fissare l’apprendimento mnemonico: stiamo parlando di generazioni dalle quali ci si aspetterebbe piuttosto l’utilizzo di note di tipo digitale, tutti i ragazzi da dieci anni in su sono infatti dotati di smartphone. Il noshi, una decorazione di carta rosso e bianco, rimpiazza la plastica per avvolgere i regali per i festeggiamenti particolarmente importanti: la nascita di un figlio, un fidanzamento annunciato, e così via. Per non parlare dell’uso degli hagaki, ovvero le cartoline scritte a mano che vengono spedite l’ultimo giorno dell’anno a colleghi, professori e amici, a volte nell’ordine delle centinaia. Non è un caso che il volume di recupero della carta in Giappone è aumentato costantemente dal 1980, quasi triplicando da 8,1 milioni di tonnellate alle 21,4 del 2015. Gli sforzi di recupero sono stati alimentati anche da una maggiore consapevolezza dei problemi ambientali e di riciclaggio delle risorse. La tecnica di fabbricazione della carta è stata introdotta in Giappone dalla Cina all’inizio del VII secolo. Il suo processo di produzione ha subito notevoli cambiamenti, dando luogo a un tipo di carta che possiede una duplice qualità di robustezza e morbidezza che impedisce lo strappo quando viene maneggiata: il washi. Il washi è prodotto in modo simile a quello della carta normale, ma con metodi ancora manuali. Si tratta di un processo lungo e complicato che è spesso praticato al freddo dell’inverno, difatti l’acqua corrente utilizzata deve essere fredda e pura, questo punto è essenziale in quanto il freddo inibisce i batteri, impedendo la decomposizione delle fibre. Il washi giapponese viene utilizzato per creare vari oggetti artistici ma in modo particolare è conosciuto per l’utilizzo che se ne fa nella creazione degli origami. Se l’origine degli origami si fa risalire al gioco, col tempo questo semplice passatempo è entrato nella leggenda: ad esempio il Senbazuru, le mille gru di origami tenute insieme da corde. Un’antica leggenda giapponese promette a tutti coloro che ripiegheranno mille gru in origami l’esaudimento di un desiderio da parte degli dei. Un’altra versione racconta che non si tratta di un solo desiderio, bensì di eterna buona fortuna, a esempio una vita lunga o il recupero da una malattia o un infortunio. Per questo gli origami di gru sono regali popolari che solitamente si fanno ad amici speciali e familiari. Ma le mille gru di origami sono diventate popolari soprattutto con la storia di Sadako Sasaki, una ragazza giapponese che aveva 24 mesi quando venne esposta alle radiazioni del bombardamento atomico di Hiroshima. Sasaki si ammalò di leucemia e, all’età di 12 anni, dopo aver trascorso moltissimo tempo in ospedale, ispirata dalla leggenda Senbazuru, iniziò a fare gru di origami con l’obiettivo di giungere alle fatidiche mille. Alcune versioni della storia di Sadako raccontano che era riuscita a piegare solo 644 gru prima di morire, nell’ottobre del 1955, ma il Museo di Hiroshima racconta una versione differente: Sadako non solo aveva completato le mille gru ma aveva perfino continuato a farle nonostante il suo desiderio non si fosse realizzato. Oggi c’è una statua a Hiroshima Peace Park che ricorda la storia di Sadako, e ogni anno il giorno di Obon (la festività degli antenati), la gente lascia centinaia di origami di gru presso la statua in memoria della giovane ragazza. O In Egitto un festival del cinema dedicato alle donne Il risveglio della questione femminile da Assuan ROSSELLA FABIANI er l’Egitto è stata una novità. Un festival internazionale del cinema dedicato alle donne. Che, per di più, ha avuto come palcoscenico Assuan, la più grande città meridionale del paese, al confine con il Sudan. «La scelta di fare questo festival proprio ad Assuan, dal 20 al 26 febbraio, rientra nella volontà di coinvolgere l’intero paese nelle iniziative» sottolinea Ahmed Awaad, responsabile del Fondo per lo sviluppo culturale e consigliere del ministero della cultura. Awaad ricorda poi che quest’anno Assuan è stata dichiarata «capitale della cultura africana» e il 2017 anno delle donne. E risale all’inizio di febbraio la nomina per la prima volta di una donna, Nadia Abdou, come governatore di una provincia del paese, quella di Béheira, nel nord-ovest dell’Egitto. Alla serata di apertura, oltre al ministro della cultura e del governatore di Assuan c’erano alcune protagoniste della società femminile egiziana: dalla consigliera economica del presidente Al-Sisi, Alba Abdel Latif, a Maya Morsy, presidente del Consiglio nazionale delle donne; da Inès Abdel Daim, direttrice dell’Opera House del Cairo, a Ines el Deghedi, regista impegnata nelle questioni sociali; dalla scrittrice Azza Kamel, all’attrice e produttrice Elham Shahein. Il festival, oltre a mostrare una trentina di film selezionati da vari paesi, ha affrontato la tematica femminile anche attraverso incontri, conferenze e workshop. Tema di questa prima edizione è stata la violenza di genere. «Parliamo di donne e alle donne, ma è a tutta la società che ci rivolgiamo» dice Azza Kamel, scrittrice, attivista e responsabile del Nut Forum (dal nome della divinità femminile che sorregge il cielo nell’iconografia faraonica), nato nell’ambito di una manifestazione appena conclusasi in Alto Egitto che ha riunito scrittrici, attiviste, registe giornaliste e deputate provenienti da vari paesi del Mediterraneo per discutere della violenza contro le donne. «Un tema sensibile e spesso anche un tabù — sottolinea Kamel — ma per fortuna non siamo sole: il governo ci ha P dato il suo sostegno e anche lo shayk Ahmad al-Tayyib, imam di al-Azhar, da tempo lavora a favore delle donne nonostante attorno a lui molte forze remino contro, come quelle dei salafiti e dei fanatici che si sono pronunciati contro la realizzazione di questo festival. Nella nuova Costituzione egiziana ci sono diciannove articoli che tutelano i diritti delle donne. Quello che manca ancora, però, sono le leggi che mettano in pratica questi principi». E «bisogna lavorare anche per il cambiamento dell’immagine della donna nei giornali e nelle tv egiziane» insiste Karima Kamal, giornalista e attivista. Contro le donne si continuano a pronunciare anatemi da parte di fanatici, come è accaduto alla presidente onoraria del festival, l’attrice e produttrice egiziana Elham Shahein, attaccata e minacciata dai salafiti nel 2012 e poi riuscita a ottenere giustizia da un tribunale egiziano. «Anche se la mentalità di alcuni fanatici non cambierà mai, è importante coinvolgere i capi religiosi perché con le loro parole possono cambiare la mentalità degli uomini» afferma la libanese Ghida Anani, fondatrice di Abaad (“D imensione”), associazione che dal 2011 si batte per i diritti delle donne e contro la violenza di genere. «Ottenere un loro coinvolgimento funziona di più di una qualsiasi campagna a livello nazionale. Quando, tre anni fa, abbiamo fatto una campagna insieme al mufti del Libano, dopo la sua dichiarazione di condanna molte donne hanno avuto il coraggio di denunciare gli abusi subiti. Lavoriamo insieme anche al patriarca del Libano, il cardinale Béchara Boutros Raï, mentre con la comunità sciita è più difficile» dice Kamal. Fra le battaglie portate avanti da Abaad, l’approvazione di una legge che punisca i reati di stupro contro le donne e l’abolizione dell’articolo 522 del codice penale libanese che dal 1948 consente di ricorrere al «matrimonio riparatore» che è soltanto una copertura a molestie e a violenze sessuali. Ad Assuan, Anani ha mostrato il documentario Ana Ahlaam (“Io sono Ahlaam”), girato nel campo di Rashidiya, a Tiro, e tratto dalla storia vera di una donna che ha subito violenze e abusi dal marito. Nel documentario, tra i di- versi interventi, anche quello dello shayk Hasan Mousa, membro della Dar al Fatwa di Tiro, che rimarca una differenza tra religione e tradizione: «Se le donne oggi sono oppresse nella società e se i loro diritti sono diminuiti non è colpa dell’islam, anche se questa oppressione ricorre nelle società musulmane. Il problema è nelle persone e non nell’islam. Sono le persone che opprimono le donne». Rimane però il peso di un pensiero religioso estremista. «Oggi in Egitto dobbiamo confrontarci con il wahabismo. Per questo i salafiti e i religiosi si sono opposti alla realizzazione di questo festival» dice ancora Kamel. «Avere riunito tutte queste donne ad Assuan non è stato semplice, ma la strada è tracciata e soprattutto dobbiamo lavo- le donne in Libia non fa che aumentare. Non c’è stato di diritto, non c’è costituzione e le donne sono quelle che pagano di più». Molte attiviste, lei compresa insieme alla madre Fawsia Gabriel, sono state costrette a espatriare. Oggi Langhi vive al Cairo e ad Assuan ha portato il documentario Justice for Salwa in memoria dell’avvocatessa e attivista per i diritti umani più nota in Libia, Salwa Bugaighis, assassinata a Bengasi nel giugno del 2014. Al festival erano presenti anche la giudice libica Naima Gebril, le egiziane Manal Hanafy, responsabile degli affari femminili del ministero della solidarietà sociale, e Magda Mahmoud, direttore del magazine «Hawaa» (“Eva”), la marocchina Ayat Aznak e l’algerina Amal Benkaci- rare insieme agli altri paesi». E «questo festival può diventare una piattaforma importante per tutto il Medio oriente» ribadisce la poetessa e regista emiratina Nujoom al-Ghanem che con il suo lavoro ha cambiato la percezione della donna degli Emirati. Ad Assuan c’era anche Zahra’ Langhi, attivista e cofondatrice della Lybian Women’s Platform for Peace, movimento nato nel 2011 che afferma: «Dalla caduta di Gheddafi la violenza contro mi. E vi erano anche donne nubiane. Impegnate e combattive, le nubiane godono di maggiore rispetto e autonomia: «Il figlio maschio non viene chiamato con il nome del padre ma con quello della madre — dice Sana Sir elKhatim — e anche nei balli si può notare una differenza: se nelle danze egiziane l’uomo balla sempre da solo accompagnato dal suo bastone, tra i nubiani uomini e donne danzano insieme». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 5 marzo 2017 pagina 5 Ernesto Buonaiuti La vicenda umana e intellettuale di Ernesto Buonaiuti Pellegrino di Roma di FELICE ACCRO CCA n anziano frate agostiniano, all’epoca già più che ottuagenario, mi si avvicinò un giorno a Latina — dove dimorò per un ventennio prima di spegnersi nel convento di Genazzano — porgendomi una busta: «La lascio a te — mi disse — perché so che è in buone mani». La busta, per la verità, portava già i segni del tempo, cosa che m’incuriosì: vi trovai dentro il ricordino della prima messa di Ernesto Buonaiuti, forse un unicum ormai, che il buon padre Lucio Fabbroni, mite e saggio, aveva a sua volta ricevuto in dono non ricordo più da chi. In alto, l’immagine del Cristo sembra quasi poggiare sulla scritta «Redemtor [sic] noster aspice Deus»; in U basso, l’altare sul quale, tra candidi gigli, sono posati il libro (vi si legge il verso del salmo 115: «Calicem salutaris accipiam et nomen Domini invocabo!»), la stola, il calice. Sul retro la scritta: «Nella santa letizia di questo giorno / 20 dicembre 1903 / con ardenti voti desiderato / Don Ernesto Buonaiuti / salendo per la prima volta l’altare / nel tempio di San Filippo Neri / in Roma / la madre i parenti gli amici / a Gesù dolcissimo raccomanda / per se [sic] lo prega / perché sempre meno indegno rendendosi / dell’altissimo divino favore / torna (sic; una mano ha corretto a penna: “torni”) a bene di molti / il suo sacerdozio / S. C.». Buonaiuti, che nel 1903 — come ricorderà egli stesso nella propria autobiografia, Pellegrino di Roma — aveva cominciato a insegnare filosofia «nelle scuole di Propaganda Fide» e «a tenere lezioni di storia dei dogmi nelle scuole dell’Apollinare» dov’era succeduto a Umberto Benigni, ormai vicino al suo trapasso ricorderà quel momento tanto importante della sua vita sacerdotale con ancora palpabile emozione: «Fu giornata — scrisse — di inenarrabile ed indelebile trepidazione interiore. Tutta la mia preparazione intellettuale, tutta la complessa macerazione delle mie esperienze, dalle aspre durezze della mia adolescenza, al paziente e silenzioso tirocinio seminaristico, alle ultime sorprendenti acquisizioni della cultura e della conoscenza del mondo nell’ultimo biennio, sembravano traboccare in una consapevolezza mistica e tagliente del grande compito del sacerdozio, in un mondo che, sotto le forme di un ordinamento saldo e normale, nascondeva già elementi di inquietudine e di sconvolgimento, che non avrebbero tardato molto a fruttificare». Il documento è interessante anche perché consente di chiarire un dubbio relativo alla cronologia di quei giorni, insinuato da Mario Niccoli, cui si deve un’ottima edizione del testo autobiografico. Buonaiuti, infatti, scrisse correttamente: «Il cardinal Respighi, successo al Parocchi nel Vicariato di Roma, mi consacrava sacerdote il 19 dicembre del 1903 nella Basilica Lateranense, e il giorno successivo io celebravo la mia prima messa nella cappella di San Filippo, alla Chiesa Nuova». Niccoli, tuttavia, nutrì qualche perplessità su quel «giorno successivo», scrivendo in nota: «Mi pare di ricordare che la data della prima messa di Buonaiuti sia il 21 e non il 20 dicembre. Almeno così egli diceva». Ora il documento trasmessomi da padre Lucio Fabbroni chiude la questione. Ernesto Buonaiuti, più tardi colpito da ripetuti provvedimenti disciplinari fino alla scomunica maggiore, era na- La storia di Guglielmina e Peter Così lontani, così vicini di SILVIA GUIDI l tempo, rifletteva tra sé in quelle settimane prima di partire per l’Italia, precipita accadimenti e coincidenze con l’esattezza di un cronometro. E le sue lancette sembrano quasi scandire una dimensione parallela, capace di sorprendere oltre ogni aspettativa e immaginazione. Ciò che per sessant’anni tra muri e reticenze non si era voluto o potuto sapere apprendere o approfondire stava rivelandosi nel giro di qualche settimana con l’incedere di una slavina». Complicati arabeschi di circostanze portano Guglielmina e Peter, i protagonisti del libro Nel segno dei padri di Giacomo Marinelli Andreoli (Venezia, Marsilio, 2017, pagine 188, euro 16,50), a incontrarsi. Guglielmina è la figlia di Vittorio, uno dei quaranta civili fucilati nella rappresaglia che la Wermacht mise in atto a Gubbio il 22 giugno 1944, dopo l’uccisione di un ufficiale medico tedesco, Kurt Staudacher, da parte di un gruppo di giovani armati del Gap locale. Peter è il figlio di Kurt. Guglielmina e Peter si riconoscono nella comune fatica di essere cresciuti senza un padre, e si scrivono, a lungo. Sentono il bisogno di raccontarsi tante cose, e la responsabilità di ricucire storie lacerate dal conflitto, di riparare brecce e restaurare sentieri, come dice la Scrittura (Isaia, 58, 12) Un incontro tanto fortuito, quanto segretamente desiderato. Ursula, la moglie di Peter, sapendo che da tempo suo marito desiderava visitare l’Italia «aveva organizzato ogni dettaglio. La meta non rientrava nei canonici tour lungo la penisola, Roma, Firenze, Venezia o costiera amalfitana. La destinazione, quel cimitero militare a Pomezia, non si trovava nelle guide turistiche, ma era tristemente nota a tante famiglie tedesche». Per Peter la vita non è mai stata facile. Per trent’anni non è potuto uscire dalla Germania dell’est. Caduto il muro, ha già 46 anni, ma a quel punto erano stati i postumi della poliomielite che lo ha colpito da bambino a frenare qualsiasi progetto o desiderio di recuperare il tempo perduto. Poi la decisione, improvvisa, di vedere i luoghi dove è morto suo padre. Nonostante la tristezza del tema trattato, il libro è pieno di fotogrammi vivaci, allegri, che spiccano sullo sfondo plumbeo testimoniando un tenace amore per la vita: come le ultime lettere di Kurt alla moglie, in cui l’ufficiale, per non angosciarla, glissa sulle atrocità della «I guerra, soffermandosi a descrivere le deliziose ciliegie che ha trovato lungo la strada, o la grande bellezza della campagna umbra nella luce calda del tramonto. O dettagli teneri e commoventi, come Guglielmina adolescente, che si intrufola alle feste e ai veglioni di carnevale col cappotto, perché un vestito lungo elegante proprio non se lo potevano permettere. In esergo al libro, i versi accorati di Francesco Petrarca: «E se cosa di qua del ciel si cura / le anime che di lassù son cittadine / e hanno i corpi abbandonati in terra / del lungo odio civil ti pregan fine», malinconico contrappunto alla confessione di Peter: «Siamo come due bambini persi, diventati vecchi, che si incontrano dopo una lunga vita per riconciliarsi. Pur non avendo commesso niente che meriti una riconciliazione». Dalla copertina del libro di Giacomo Marinelli Andreoli «Nel segno dei padri» (archivio della Fondazione Ranieri di Sorbello) to nel quartiere romano di Ripetta; rimasto, ancora fanciullo, orfano del padre, entrò in seminario a quattordici anni. Dotato di straordinario ingegno, lettore onnivoro e insaziabile (in Pellegrino di Roma rivelerà di aver let- gramma dei modernisti e le Lettere di un prete modernista — queste ultime da lui stesso giudicate «Peccatum iuventutis meae!» e sulle quali sorvolò nella sua autobiografia — egli sarebbe approdato alla fase più radicale del L’immaginetta a ricordo della prima messa di don Ernesto Buonaiuti celebrata alla Chiesa Nuova il 20 dicembre 1903 to il De Germania di Tacito scendendo e salendo gli scaloni dell’Apollinare, incolonnato in fila silenziosa con gli altri seminaristi), dimostrò sempre una «innata tendenza — come scrisse Raffaello Morghen, il quale ben lo conobbe e intensamente l’amò — a posizioni di pensiero arrischiate e sottili». È incredibile la quantità di saggi e discussioni a cui ha dato adito la triste vicenda di quest’uomo che lo stesso Morghen qualificò come «un isolato». E tale, di fatto, egli fu, anche all’interno di quel variegato gruppo modernista che certo non costituì un blocco compatto, al pari, peraltro, di quella parte del mondo ecclesiastico che non ne condivise mai le idee e che, in taluni casi, vi si oppose aspramente: nulla avevano ad esempio in comune personaggi del calibro di Enrico Rosa, gesuita scrittore e poi direttore della Civiltà Cattolica, con figure anche squallide quali Alberto Cavallanti o i fratelli Scotton, e del tutto diverso dall’uno e dagli altri fu il più giovane Giuseppe De Luca, che pure con Buonaiuti ebbe rapporti anche molto tesi. Certamente, secondo quanto riconobbe ancora Morghen, «egli andò qualche volta oltre il segno, e perse il senso della misura e il controllo della sua penna». È il caso del famoso convegno dell’estate 1907 a Molveno, dove nel fresco delle Dolomiti si radunarono in gran segreto alla presenza del barone Friedrich von Hügel e di letterati come Antonio Fogazzaro, gli esponenti di maggior spicco del “modernismo” italiano. «Per parecchi giorni, mattina e sera, noi ci trovammo riuniti all’ombra degli abeti e dei larici — così ricordava Buonaiuti quasi quarant’anni più tardi — a ragionare di quei problemi di critica neo testamentaria e di storia dei dogmi, su cui ci sembrava dovesse convergere ormai più imperiosamente tutta la polemica religiosa». Benché riluttante a parlare, Buonaiuti prese tuttavia la parola nella «discussione animatissima» «sulla celebrazione dell’agape cristiana e le origini della liturgia eucaristica». «Ricordo ancora — scriverà in Pellegrino di Roma — che mi infervorai nel dire e che per quanto le mie enunciazioni suonassero forti e sconcertanti, lasciarono una scia di impressioni sorprese e leggermente scandalizzate, che dovettero pesare da allora per sempre sul giudizio che i miei compagni di convegno finirono col formarsi su di me». L’anno seguente, con il Pro- suo pensiero; ciononostante, poté continuare per molti anni ancora nel proprio lavoro, dal momento che le più forti sanzioni disciplinari nei suoi confronti non risalgono a Pio X, ma furono prese sotto i pontificati di Benedetto XV e Pio XI. Eppure, a differenza di gran parte dei modernisti che ruppero con la Chiesa, gettando alle ortiche — oltre alla tonaca — anche la loro fede, in Buonaiuti non venne meno l’ardente desiderio della comunione sacramentaria che tiene uniti i fedeli del Cristo e sempre egli si mantenne fedele agli obblighi dello stato sacerdotale. Ne è una prova il fatto che quando per potergli assegnare una cattedra la facoltà teologica di Losanna gli chiese di aderire al protestantesimo, egli — malgrado fosse in evidenti ristrettezze economiche — declinò senz’altro l’invito. Allo stesso modo va letto anche il suo rifiuto, nel 1931, di prestare giuramento al partito fascista (solo una dozzina fra tutti i docenti universitari italiani ebbe quell’ardire): la formula proposta, scrisse infatti a riguardo, «mi apparve subito radicalmente inaccettabile. Nel mio caso personale essa poi mi parve suonasse offensivo oltraggio a tutti i miei più saldi propositi di restar fedele, specialmente nella mia qualità di scomunicato vitando, alle basilari prescrizioni della professione cristiana». La vicenda di Buonaiuti resta emblematica di quel doloroso travaglio, nel corso del quale furono più volte superati i limiti: dell’ortodossia come pure della carità! Il salesiano don Domenico Ercolini, in un’ancora inedita, accorata e struggente lettera a Giovanni Mercati, il 12 giugno 1909 esclamava: «Oh che angoscia mi han fatto tutte queste miserande cadute! e gli abusi e le malvagità che lì attorno si son dette e fatte!». Molte cadute indubbiamente vi furono, ma quanta e quale incidenza ebbero su di esse atteggiamenti inflessibili e perfino persecutori — come scriveva nel gennaio 1909 padre Giovanni Genocchi a monsignor Mignot, vescovo di Albi — non è dato sapere. Mentre molto lavoro lascia ancora agli storici, quella dolorosa esperienza insegna che una grande umiltà è sempre necessaria, anche alle menti più vive. E una sana duttilità e un’invincibile carità sono sempre auspicabili in tutti, anche alle anime più appassionatamente attaccate alle verità della fede. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 5 marzo 2017 Gli anglicani e l’eredità della Riforma BRUXELLES, 4. «La politica dell’avanzare a tentoni che da tempo rappresenta la strategia» dell’Unione europea «non è più sufficiente». Infatti, «se si vuole rianimare il progetto europeo, bisogna avere una visione chiara sui suoi benefici principali e un discorso pubblico che chiarisca l’identità e l’avvenire oltre che i valori che essa incarna». È quanto sostiene la Conferenza delle commissioni europee Iustitia et Pax, che a conclusione di un incontro che si è tenuto nei giorni scorsi in Slovenia, a Lubiana, ha lanciato l’annuale campagna intitolata «Europa al crocevia». La Conferenza delle commissioni europee Iustitia et Pax è una rete composta da 31 commissioni nazionali che ha tra i suoi principali obiettivi quello di contribuire a diffondere la dottrina sociale della Chiesa nelle società europee e nelle istituzioni continentali. In questa prospettiva, ogni anno, solitamente all’inizio della quaresima, viene lanciata una Concerted Actions, cioè un contributo alla costruzione della ca- Dalle radici alle prospettive Documento della Conferenza delle commissioni Iustitia et Pax Europa al crocevia sa comune europea. Nel 2017 l’accento viene posto, e non potrebbe essere altrimenti, sulla fase assai delicata che si trovano a vivere le istituzioni comunitarie. Il dato di partenza è la constatazione che l’Unione europea sta attraversando non una ma diverse crisi contemporaneamente. Infatti, dopo la crisi del debito sovrano nella zona euro che non sembra ancora del tutto risolta, gli stati membri non trovano l’accor- Negli Stati Uniti apprezzamento per ebrei e cattolici WASHINGTON, 4. Gli americani guardano con sempre maggiore positività e simpatia alle religioni. In particolare, e a dispetto dei gravi episodi di cronaca delle ultime settimane, sono gli ebrei, insieme ai cattolici, a raccogliere il maggiore consenso tra la popolazione statunitense. È quanto emerge da uno studio condotto dal Pew Research Center al termine di un anno elettorale in cui la politica è risultata particolarmente divisiva. Dal sondaggio, condotto dal 9 al 23 gennaio, viene dunque fuori che gli americani esprimono nei confronti delle religioni sentimenti più positivi oggi, rispetto a pochi anni fa. Solo il giudizio sui cristiani evangelici resta sostanzialmente invaria- Con i battisti un mese al femminile LAND OVER, 4. Trentuno preghiere, una per ogni giorno del mese di marzo, per dare voce alle sofferenze delle donne di tutto il mondo. È l’iniziativa lanciata in questi giorni dalla Lott Carey Global Christian Missional Community, una rete missionaria fondata nel 1897 da battisti afroamericani. L’organizzazione, che si ispira all’opera del reverendo Lott Carey, ha pubblicato per il quinto anno consecutivo una guida in cui sono pubblicate le intenzioni di preghiera scritte da pastori che vivono in paesi dei diversi continenti e che evidenziano le particolari problematicità cui è soggetto l’universo femminile. Il fenomeno delle spose bambine, la violenza di genere, la disparità sanitaria, la povertà, la tratta umana, il dramma delle rifugiate sono infatti alcuni dei temi intorno a cui si sviluppano le intenzioni di preghiera. La Lott Carey, impegnata a diffondere la testimonianza cristiana nel mondo, fornisce sostegno finanziario e assistenza tecnica alle comunità evangeliche a essa collegate, lavorando su quattro aree specifiche: risposta alle calamità naturali; lotta alla tratta di esseri umani; iniziative di promozione sanitaria; emancipazione delle donne. Una decina di anni fa l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia ha stretto una collaborazione con la Lott Carey, all’interno della quale è nata una partnership che lega i battisti italiani a quelli dello Zimbabwe. to al 61 per cento rispetto all’analogo sondaggio del 2014. Mentre la valutazione per musulmani e atei, pur restando bassa, comunque sale rispettivamente dal 40 al 48 e dal 41 al 50 per cento. Gli americani esprimono invece maggiore apprezzamento verso i cattolici ed ebrei che si attesta attorno al 67 per cento. Intanto, da un altro studio effettuato dal Pew Research Center, risulta che, secondo proiezioni effettuate a partire dalla crescita prevista della popolazione soprattutto nei paesi asiatici, gli islamici sono destinati a diventare, nel 2070, il gruppo religioso più esteso. In quell’anno, il paese con il maggior numero di fedeli dell’islam sarebbe l’India. do nemmeno sull’ingresso e la distribuzione al loro interno di immigrati e rifugiati. E questo, mentre il Regno Unito con un referendum popolare ha deciso di abbandonare l’unione. In tali circostanze, rileva la Conferenza delle commissioni europee Iustitia et Pax, la vecchia strategia del “tirare avanti” rischia di non essere più sufficiente. E, viene sottolineato, nemmeno «un lungo processo di revisione dei trattati fondamentali servirà a risolvere i problemi attuali». E questo perché «in un mondo in rapido cambiamento, si impongono una reinterpretazione del ruolo e della responsabilità dell’Europa, tanto più necessaria perché si tratta di un insieme di stati strettamente legati tra loro». Tenendo però sempre bene a mente, questo il monito, che «la politica non è la ricerca dei propri interessi con mezzi strategici e tattici». Per questo, dall’organismo europeo presieduto dall’arcivescovo di Luxembourg, Jean-Claude Hollerich, arrivano «dieci proposte concrete» per contribuire al dibattito su «un modo pragmatico per il futuro dell’Unione». Tra i temi affrontati: il sistema europeo comune per l’asilo e le migrazioni, la difesa dei diritti sociali, le politiche di commercio e l’impatto della digitalizzazione, il futuro dell’eurozona e gli sforzi europei per combattere i cambiamenti climatici. Nel corso dell’anno le singole commissioni si impegneranno a sviluppare il lavoro su questi temi in base alla specificità dei contesti. In primo piano, come accennato, la necessità di una riforma condivisa del diritto d’asilo per le popolazioni che fuggono da guerre e persecuzioni. Una riforma, viene rilevato, che non può ignorare alcuni principi fondamentali: il diritto illimitato di richiedere asilo, senza preclusioni di provenienza geografica o di appartenenza religiosa; l’obbligo di accoglienza per gli stati che hanno aderito al trattato di Schengen; la solidarietà nel condividere i costi amministrativi e gli sforzi umani per accogliere i richiedenti asilo. Quello della necessità di governare i flussi migratori e di rivedere il sistema di accoglienza nei paesi dell’Unione è uno dei temi che maggiormente negli ultimi tempi ha interessato il lavoro delle commissioni nazionali Iustitia et Pax. Nel loro ultimo incontro, tenutosi a ottobre in Lussemburgo, era stato diffuso un documento con una serie di appelli perché con riguardo alle migrazioni la questione della «sicurezza» non sia mai disgiunta dal rispetto dei diritti umani: «Diffidiamo dell’idea che l’Europa possa raggiungere la sua sicurezza costruendo muri» inefficaci di fronte «alla natura delle minacce alla sicurezza dell’Europa così diversificate e complesse». Di qui gli appelli: all’Ue per una «politica di pace basata sullo sviluppo umano integrale»; ai politici perché ogni loro scelta sia «nel rispetto della dignità umana e del principio dello stato di diritto»; alla Chiesa perché sia «sacramento di pace»; a ogni cittadino perché contribuisca a «costruire una comunità sicura e pacifica con il dialogo e in spirito di fraternità». Appello del Consiglio delle Chiese La voce dei cristiani per il Sud Sudan JUBA, 4. Un appello alla comunità internazionale affinché fornisca assistenza umanitaria immediata e intervenga nel contempo per fermare i combattimenti che stanno devastando il paese è stato lanciato, nei giorni scorsi, dal Consiglio delle Chiese del Sud Sudan. «Il nostro paese — sottolineano in un comunicato i leader religiosi dell’organismo ecumenico, che comprende tutte le confessioni cristiane — è in preda a una crisi umanitaria drammatica, e la carestia è stata ufficialmente dichiarata». L’appello è stato firmato dal sacerdote cattolico James Oyet Latansio, segretario generale del consiglio delle Chiese, e dal reverendo Peter Gai Lual Marrow, moderatore della Chiesa presbiteriana del Sud Sudan. «Questa — ha detto padre Latansio — è un’esortazione a pregare per sostenere una leadership forte e responsabile e per un’assistenza umanitaria efficace. Questi elementi, che ci hanno reso una nazione, sono necessari per salvare in questo momento il nostro paese». Il Consiglio delle Chiese sottolinea che «milioni di persone sono coinvolte dal conflitto, con un gran numero di sfollati e centinaia di migliaia in fuga nei paesi vicini, in particolare l’Uganda, dove si trovano ad affrontare terribili disagi nei campi profughi». Le Nazioni Unite hanno denunciato che gli stupri, le uccisioni di civili e la paura di essere arrestati sono tra le principali ragioni che spingono migliaia di persone a fuggire dal paese. Si tratta dell’emergenza umanitaria più grave di tutta l’Africa. Il Sud Sudan, oltre a essere dilaniato dalla guerra civile scoppiata nel 2013 è colpito da una grave crisi alimentare. Il conflitto ha pregiudicato i raccolti e la produzione agricola. Di qui, l’appello dei leader religiosi: «Ci appelliamo alla comunità internazionale e agli amici del popolo del Sud Sudan affinché ci venga fornita un’assistenza su larga scala. Ma facciamo appello anche alle parti in conflitto per fermare la guerra, per porre fine alle violenze contro il nostro popolo, per fermare il saccheggio di cibo e aprire corridoi umanitari affidabili per permettere alla popolazione di raggiungere le aree sicure e alle merci di giungere a destinazione. La nostra gente — conclude il comunicato del Consiglio delle Chiese — sta lottando semplicemente per sopravvivere». Cosa dice la Riforma oggi agli anglicani che vogliono vivere la fede cristiana in una prospettiva ecumenica? Questa domanda è stata alla base del convegno «Anglicanism Catholic and Reformed: Revisiting the Reformation Legacy 1517-2017», che si è svolto a Savannah, in Georgia. Il convegno è stato organizzato dalla Prayer Book Society, un’organizzazione internazionale impegnata nella promozione della conoscenza della dimensione ecumenica della tradizione anglicana, a partire pro- frontarsi proprio per comprendere le radici comuni che per secoli sono state sepolte dalle difficoltà di dialogo tra cristiani. In questo orizzonte si collocano anche gli interventi sulla «percezione» del Prayer Book nei secoli XIX e XX da parte di liturgisti di Chiese diverse: questa «percezione» ha avuto conseguenze «sulla identità, sull’unità e sulla missione» della Comunione anglicana. Durante i lavori, si è riflettuto sull’autorità della Scrittura e sulle modalità di lettura Thomas Cranmer prio dalla conoscenza del Common Prayer Book, considerato una fonte preziosa per il superamento delle divisioni tra cristiani. In questa prospettiva, si colloca il convegno che ha raccolto studiosi di diverse tradizioni cristiane che si sono incontrati, sotto la presidenza del reverendo Gavin Dunbar, presidente della Prayer Book Society degli Stati Uniti e del canonico Alistair Macdonald-Radcliff, che fa parte del comitato direttivo internazionale della Prayer Book Society. Il convegno si è aperto con un intervento di Giller Harp, docente di storia al Grove City College, che ha affrontato il tema dell’identità anglicana alla luce del recupero del suo rapporto con la Riforma del XVI secolo, grazie ai numerosi studi che hanno aiutato a conoscere meglio il contesto storico-teologico nel quale vennero maturando le scelte che portarono alla nascita della Comunione anglicana; per Harp in occasione del cinquecentesimo anniversario dell’inizio della Riforma appare particolarmente opportuno, e per certi versi necessario, l’inizio di un nuovo processo con il quale fare i conti con la sua origine, tanto più in un tempo nel quale vivo è il dibattito al suo interno sul futuro della Comunione anglicana. Proprio il rapporto della tradizione anglicana con la Riforma protestante del XVI secolo ha costituito il filo conduttore di diversi interventi: si è discusso di come la liturgia inglese abbia parlato della trasformazione della vita morale in assenza di un linguaggio che descriva la «santificazione», delineando un cammino che ha plasmato la vita di tante comunità. La natura della liturgia anglicana, così come si è venuta formando nel XVI secolo, rappresenta un aspetto centrale nella vita della comunità sul quale, come è stato detto, non solo gli anglicani, ma tutti i cristiani sono chiamati a con- in grado di promuovere l’unità della Chiesa così come era stato pensato, in parte, anche nel corso del XVI secolo, per comprendere cosa i cristiani potevano fare e cosa devono realizzare per la promozione della comunione visibile tra cristiani. Il tema dell’autorità della Scrittura, anche alla luce delle proposte formulate nei primi secoli del cristianesimo, è stato poi ripreso nell’orizzonte di come gli anglicani si sono interrogati nel corso dei secoli, ponendo una particolare attenzione all’esperienza del movimento di Oxford nel quale era evidente «l’eco dei riformatori inglesi» che avevano a cuore la dimensione evangelica e il rispetto della tradizione nella vita della Chiesa. Sullo stato del dialogo ecumenico tra anglicani, cattolici e riformati, soprattutto su quali devono essere gli obiettivi comuni, ci si è interrogati in varie occasioni, soprattutto nei momenti di dibattito, dove è emerso, con chiarezza, come il cinquecentesimo anniversario della nascita della Riforma deve essere un tempo privilegiato per riscoprire quanto in comune hanno i cristiani per rendere più efficace l’annuncio di Cristo nel mondo. (riccardo burigana) † Il Preside, Monsignor Pierangelo Sequeri, e la comunità accademica del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II partecipano con profonda commozione al lutto per la scomparsa di GINA CICCHINELLI madre della Dottoressa Marinella Federici. I docenti, i colleghi e gli studenti si raccolgono nella preghiera di suffragio nella comune speranza nel Signore Risorto, affinché accolga la cara defunta nella Sua pace e doni consolazione ai suoi familiari. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 5 marzo 2017 pagina 7 Marc Chagall «La scala di Giacobbe» (1950) Il Papa invita a coniugare tradizione e attualità nella musica sacra Parola tradotta in armonia Un invito a coniugare tradizione e attualità è stato rivolto dal Papa ai partecipanti a un convegno internazionale di musica sacra ricevuti in udienza sabato mattina, 4 marzo, nella Sala Clementina. Cari fratelli e sorelle, sono lieto di incontrare tutti voi, convenuti a Roma da diversi Paesi per partecipare al Convegno su «Musica e Chiesa: culto e cultura a 50 anni dalla Musicam sacram», organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura e dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, in collaborazione con il Pontificio Istituto di Musica Sacra e il Pontificio Istituto Liturgico dell’Ateneo Sant’Anselmo. Vi saluto tutti cordialmente, ad iniziare dal Cardinale Gianfranco Ravasi, che ringrazio per la sua introduzione. Auspico che l’esperienza di incontro e di dialogo vissuta in questi giorni, nella riflessione comune sulla musica sacra e partico- larmente sui suoi aspetti culturali e artistici, risulti fruttuosa per le comunità ecclesiali. Mezzo secolo dopo l’Istruzione Musicam sacram, il convegno ha voluto approfondire, in un’ottica interdisciplinare ed ecumenica, il rapporto attuale tra la musica sacra e la cultura contemporanea, tra il repertorio musicale adottato e usato dalla comunità cristiana e le tendenze musicali prevalenti. Di grande rilievo è stata anche la riflessione sulla formazione estetica e musicale sia del clero e dei religiosi sia dei laici impegnati nella vita pastorale, e più direttamente nelle scholae cantorum. Il primo documento emanato dal Concilio Vaticano II fu proprio la Costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium. I Padri Conciliari ben avvertivano la difficoltà dei fedeli nel partecipare a una liturgia di cui non comprendevano più pienamente il linguaggio, le parole e i segni. Per concretizzare le linee fondamentali tracciate dalla Costituzione, furono emanate delle Istruzioni, tra cui, appunto, quella sulla musica sacra. Da allora, pur non essendo stati prodotti nuovi documenti del Magistero sull’argomento, vi sono stati diversi e significativi interventi pontifici che hanno orientato la riflessione e l’impegno pastorale. È tuttora di grande attualità la premessa della menzionata Istruzione: «L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando è celebrata in canto, con i ministri di ogni grado che svolgono il proprio ufficio, e con la partecipazione del popolo. In questa forma, infatti, la celebrazione acquista un’espressione più gioiosa, il mi- stero della sacra Liturgia e la sua natura gerarchica e comunitaria vengono manifestati più chiaramente, l’unità dei cuori è resa più profonda dall’unità delle voci, gli animi si innalzano più facilmente alle cose celesti per mezzo dello splendore delle cose sacre, e tutta la celebrazione prefigura più chiaramente la liturgia che si svolge nella Gerusalemme celeste» (n. 5). Più volte il Documento, seguendo le indicazioni conciliari, evidenzia l’importanza della partecipazione di tutta l’assemblea dei fedeli, definita «attiva, consapevole, piena», e sottolinea anche molto chiaramente che la «vera solennità di un’azione liturgica non dipende tanto dalla forma più ricca del canto e dall’apparato più fa- stoso delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo degno e religioso della celebrazione» (n. 11). Si tratta, perciò, innanzitutto, di partecipare intensamente al Mistero di Dio, alla “teofania” che si compie in ogni celebrazione eucaristica, in cui il Signore si fa presente in mezzo al suo popolo, chiamato a partecipare realmente alla salvezza attuata da Cristo morto e risorto. La partecipazione attiva e consapevole consiste, dunque, nel saper entrare profondamente in tale mistero, nel saperlo contemplare, adorare e accogliere, nel percepirne il senso, grazie in particolare al religioso silenzio e alla «musicalità del linguaggio con cui il Signore ci parla» (Omelia a S. Marta, 12 dicembre 2013). È in questa prospettiva che si muove la riflessione sul rinnovamento della musica sacra e sul suo prezioso apporto. Al riguardo, emerge una duplice missione che la Chiesa è chiamata a perseguire, specialmente attraverso quanti a vario titolo operano in questo settore. Si tratta, per un verso, di salvaguardare e valorizzare il ricco e multiforme patrimonio ereditato dal passato, utilizzandolo con equilibrio nel presente ed evitando il rischio di una visione nostalgica o “archeologica”. D’altra parte, è necessario fare in modo che la musica sacra e il canto liturgico siano pienamente “inculturati” nei linguaggi artistici e musicali dell’attualità; sappiano, cioè, incarnare e tradurre la Parola di Dio in canti, suoni, armonie che facciano vibrare il cuore dei nostri contemporanei, creando anche un opportuno clima emotivo, che disponga alla fede e susciti l’accoglienza e la piena partecipazione al mistero che si celebra. Certamente l’incontro con la modernità e l’introduzione delle lingue parlate nella Liturgia ha sollecitato tanti problemi: di linguaggi, di forme e di generi musicali. Talvolta è prevalsa una certa mediocrità, superficialità e banalità, a scapito della bellezza e intensità delle celebrazioni liturgiche. Per questo i vari protagonisti di questo ambito, musicisti e compositori, direttori e coristi di scholae cantorum, animatori della liturgia, possono dare un prezioso contributo al rinnovamento, soprattutto qualitativo, della musica sacra e del canto liturgico. Per favorire questo percorso, occorre promuovere un’adeguata formazione musicale, anche in quanti si preparano a diventare sacerdoti, nel dialogo con le correnti musicali del nostro tempo, con le istanze delle diverse aree culturali, e in atteggiamento ecumenico. Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio ancora per il vostro impegno nell’ambito della musica sacra. Vi accompagni la Vergine Maria, che nel Magnificat ha cantato la santità misericordiosa di Dio. Vi incoraggio a non perdere di vista questo importante obiettivo: aiutare l’assemblea liturgica e il popolo di Dio a percepire e partecipare, con tutti i sensi, fisici e spirituali, al mistero di Dio. La musica sacra e il canto liturgico hanno il compito di donarci il senso della gloria di Dio, della sua bellezza, della sua santità che ci avvolge come una “nube luminosa”. Vi chiedo per favore di pregare per me e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica. Nel saluto del cardinale Ravasi La scala dimenticata dagli angeli Donde hay musica, no puede haber cosa mala: con questa citazione di Miguel Cervantes nel Don Quijote il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, ha presentato al Papa i contenuti e gli obiettivi dell’incontro promosso a cinquant’anni dall’istruzione post-conciliare Musicam sacram. «È evidente — ha affermato il porporato — che “culto” e “cultura” hanno la stessa matrice etimologica che invita alla comune “coltivazione” del bello, del buono e del vero». E «una delle epifanie supreme del legame tra culto e cultura si rivela», ha proseguito il cardinale, proprio «nella musica che per secoli è stata sorella della liturgia e, quindi, della fede». Infatti «non per nulla la tradizione giudaica immaginava che, nella visione biblica di Giacobbe narrata dal capitolo 28 del libro della Genesi, gli angeli si fossero dimenticati di ritirare la scala sulla quale erano discesi ed erano poi risaliti dopo aver annunciato la promessa divina». Quella scala «è rimasta così sulla terra ed è la scala musicale le cui note sono come gli angeli di Dio che permettono agli uomini e alle donne di ascendere fino al mistero di Dio». «Non per nulla Bach — ha fatto presente il cardinale Ravasi — non esitava a insegnare ai suoi allievi che “il finis e la causa finale della musica dovrebbe essere la gloria di Dio e la ricreazione della mente umana”». Dunque, «culto e cultura sono intrecciati insieme, fede ed estetica, soli Deo gloria, come il sommo musicista scriveva in capo alle sue partiture, ma anche la “ricreazione della mente umana”, cioè la bellezza armonica, il “cantare Dio con arte”, come ribadiva già il salmista». In questa riflessione si inserisce, appunto, il convegno a cinquant’anni dalla Musicam sacram che ha visto riuniti insieme «un forte gruppo di liturgisti, operatori pastorali, musicisti e studiosi», provenienti da quaranta paesi. È emblematico il titolo dell’incontro — «Musica e Chiesa: culto e cultura» — che è stato convocato, ha ricordato il porporato, dal Pontificio Consiglio della cultura e dalla Congregazione per l’educazione cattolica, in collaborazione col Pontificio Quarant’anni di relazioni diplomatiche con il Ghana Decisione profetica Quarant’anni fa, «in tempi politicamente turbolenti per il Ghana» e nella non facile fase finale del pontificato di Paolo VI, il paese africano e la Santa Sede hanno preso la «decisione profetica di aprire le porte alla novità e alla freschezza di un rapporto che è diventato eccellente non solo in senso diplomatico». Così il nunzio apostolico Jean-Marie Speich, nella sera del 3 marzo, ha ricordato l’anniversario delle relazioni diplomatiche nel corso di un ricevimento svoltosi nella rappresentanza pontificia di Accra. Per sottolineare l’importanza dell’avvenimento, le celebrazioni sono state abbinate a quelle per il sessantesimo dell’indipendenza della nazione, la prima dell’Africa nera — come veniva chiamata allora — a emanciparsi dal colonialismo. E per la circostanza il Pontefice ha nominato suo inviato alla duplice commemorazione il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Il porporato, che è stato pronunzio apostolico ad Accra dalla fine del 1987 al 1991, era presente anche alla cerimonia di venerdì sera, insieme con quasi cinquecento ospiti in rappresentanza della società pluriculturale e plurireligiosa ghanese: autorità politiche — come il ministro Kofi Dzamesi, in rappresentanza del capo dello Stato, Nana Akufo-Addo — e ambasciatori; vescovi cattolici del paese e del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam); rappresentanti delle altre Chiese e confessioni cristiane e delle religioni tradizionali e, per la prima volta, l’imam a capo dei musulmani della nazione. L’arcivescovo Speich ha ripercorso nel suo intervento la storia delle relazioni diplomatiche tra Ghana e Santa Sede, illustrando il ruolo della Chiesa cattolica nel territorio della Costa d’Oro, com’era chiamato in epoca coloniale. Impegnata soprattutto nei campi dello sviluppo umano, dell’istruzione e della salute, la Chiesa gestisce oggi 4600 scuole di ogni ordine e grado, frequentate solo per il 25 per cento da studenti cattolici, e possiede oltre il 27 per cento delle strutture sanitarie. Ma — ha spiegato il nunzio — «il contributo della Chiesa cattolica in Ghana non può essere ridotto ai numeri e alle statistiche, perché abbiamo a che fare con le persone, persone che hanno una meravigliosa dignità indipendente- mente da origini, tribù e religioni di appartenenza». Successivamente il nunzio ha illustrato alcune iniziative promosse dalla Santa Sede a favore delle popolazioni africane, soprattutto attraverso la Caritas e il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, presieduto dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson. Infine ha richiamato il ruolo della comunità cattolica all’interno della Conferenza ghanese delle religioni per la pace e del Consiglio nazionale per la pace, che a livello locale hanno favorito la riconciliazione tra comunità rivali come gli Nyonka e gli Alavanyo nella regione del Volta, e i Kukumbas e i Namumbas nell’Upper East. Le celebrazioni proseguono nel pomeriggio del 4 marzo, quando il cardinale Bertello presiede i vespri nella cattedrale della capitale con l’atto di riconsacrazione del Ghana al Sacro Cuore di Gesù. Domenica l’inviato papale celebra la messa in cattedrale con i vescovi del paese e il 6 partecipa alle celebrazioni nazionali per l’anniversario dell’indipendenza. Il rendiconto 2015 della Santa Sede La Santa Sede ha registrato nel 2015 un disavanzo di 12,4 milioni di euro: è quanto emerge dal rendiconto annuale consolidato della Santa Sede, dello Stato della Città del Vaticano e degli enti a essi collegati. Lo ha reso noto il 4 marzo un comunicato della Segreteria per l’economia, in cui si evidenzia che le principali voci di entrata per il 2015, in aggiunta ai rendimenti degli investimenti, si riferiscono ai contributi relativi al canone 1271 del Codice di diritto canonico (24 milioni di euro) e ai contributi dall’Istituto per le opere di religione (50 milioni). Come negli anni precedenti la voce di spesa più significativa della Santa Sede si riferisce al costo del personale. E il Governatorato della Città del Vaticano ha registrato, sempre per il 2015, un surplus di 59,9 milioni di euro, principalmente dovuto alle ricorrenti entrate derivanti dalle attività culturali, in particolar modo quelle collegate ai Musei. Questo rendiconto rappresenta la prima informativa finanziaria predisposta in conformità con le politiche vaticane di financial management (Vfmp), approvate da Papa Francesco il 24 ottobre 2014, che si basano sui principi contabili internazionali per il settore pubblico. ateneo Sant’Anselmo e col Pontificio istituto di musica sacra, «dopo un ampio sondaggio presso le Conferenze episcopali». Durante i lavori, ha spiegato il cardinale Ravasi, «si è valutata la situazione contemporanea, i limiti e le criticità attuali, ma anche la possibilità di ritessere tale legame secondo i nuovi linguaggi musicali, tenendo conto sempre della specificità dell’atto liturgico». E così sono stati «affrontati temi come la figura del musicista ecclesiale, il confronto interculturale ed ecumenico con le diversità delle tradizioni musicali e liturgiche, la formazione per i vari ministeri della musica, il coinvolgimento dell’assemblea». Nomina episcopale in Costa Rica La nomina di oggi riguarda il Costa Rica. Mario Enrique Quirós Quirós vescovo di Cartago Nato il 19 gennaio 1967 a Paraíso, diocesi di Cartago, ha frequentato le scuole primarie e secondarie nel paese natale, proseguendo poi gli studi filosofici e teologici nel seminario maggiore nazionale. Ha ottenuto la licenza in teologia, con specializzazione in formazione sacerdotale, presso la Pontificia università bolivariana di Medellín in Colombia. Dal settembre 2013 ha svolto gli studi per il dottorato in teologia presso la Pontificia università di Salamanca in Spagna. Ordinato sacerdote l’8 dicembre 1994 per il clero di San José de Costa Rica, con l’erezione della diocesi di Cartago il 24 maggio 2005 si è incardinato nella nuova sede. Ha svolto il ministero come viceparroco di Barbacoas de Puriscal e nell’attuale cattedrale di Cartago e come formatore e direttore spirituale nel seminario maggiore nazionale. Nuovo assistente per l’Azione cattolica italiana «“Qualsiasi cosa vi dica, fatela”: queste parole che la Madre di Gesù dice ai servitori, a Cana di Galilea, mi aiutano ad accogliere senz’indugio la chiamata del Signore, ricevuta mediante la mediazione della Chiesa, a servire l’Azione cattolica italiana». Così il vescovo Gualtiero Sigismondi ha commentato la nomina ad assistente ecclesiastico generale dell’associazione, ringraziando il Papa «che mi affida questa responsabilità, senza sciogliere il vincolo sponsale che mi lega alla diocesi di Foligno». Nato nel 1961 a Ospedalicchio di Bastia Umbra, nell’arcidiocesi di Perugia - Città della Pieve, monsignor Sigismondi è stato ordinato sacerdote nel 1986 nel capoluogo umbro. È stato, tra l’altro, vicario generale dell’arcidiocesi perugina dal 2005 al 2008, anno in cui è stato eletto vescovo di Foligno. La nomina avviene alla vigilia di due importanti appuntamenti: i lavori della sedicesima assemblea nazionale e le celebrazioni per i centocinquant’anni dell’associazione.
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