Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 6 (46.844) Città del Vaticano sabato 10 gennaio 2015 . Barricati con ostaggi i jihadisti ricercati Ban Ki-moon sollecita dialogo e tolleranza Francia nell’incubo Risposte di sicurezza e civiltà alla sfida del terrorismo Appello di Hollande all’unità della Nazione PARIGI, 9. La Francia, colpita dall’eccidio di mercoledì nella sede parigina del giornale satirico «Charlie Hebdo», resta immersa in queste ore nell’incubo del terrorismo e vive con apprensione e timore gli sviluppi che vedono diverse persone in ostaggio di terroristi jihadisti. I due fratelli francesi d’origine algerina, Said e Cherif Kouachi, autori dell’attacco a «Charlie Hebdo», si sono asserragliati questa mattina in una tipografia di Dammartin-enGoële, nel dipartimento di Seine-etMarne, dopo una fuga di due giorni braccati dalla polizia. I due hanno sicuramente in ostaggio il titolare della tipografia, il ventisettenne Michel Catalano, e secondo diverse fonti almeno altre quattro persone. La polizia, che sta conducendo una trattativa con i due, ha isolato la zona e provveduto a mettere in salvo gli studenti delle scuole della città. Dopo una sparatoria che ha provocato vittime, si è barricato con ostaggi — sembra quattro donne e un bambino ebrei — in un negozio di cibo kasher di Parigi anche l’uomo identificato come autore della sparatoria di ieri a Montrouge, alla periferia della città, nella quale è stata uccisa una poliziotta. Secondo fonti degli inquirenti l’uomo farebbe parte dello stesso gruppo jihadista, organizzato a Parigi per inviare combattenti in Iraq, al quale risulta appartenere Cherif Kouachi, il più giovane dei due fratelli. Il presidente, François Hollande, ha rivolto oggi un nuovo messaggio alla Nazione, con un appello all’unità. «La Francia vive una prova importante. Dobbiamo essere tutti pronti a lavorare per la nostra Repubblica», ha detto Hollande in un discorso trasmesso per televisione dalla sede del ministero dell’Interno, che ha raggiunto a piedi dall’Eliseo in quello che molti leggono come un gesto di rassicurazione per la cittadinanza. Hollande, pur ricordando come la strage nella sede di y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!#!=!"! Due giornalisti assassinati in Libia da miliziani dell’Is TUNISI, 9. Un gruppo libico affiliato al cosiddetto Stato islamico ha rivendicato ieri l’uccisione di due giornalisti tunisini, scomparsi lo scorso settembre in Libia, nei pressi della frontiera con la Tunisia, mentre erano impegnati in un reportage sugli sviluppi del conflitto. In una dichiarazione, pubblicata su un sito jihadista che mostra le immagini di Sofiene Chourabi e Madhir Ktari, i miliziani affermano che l’esecuzione dei due giornalisti è stata compiuta a Barqah, a sud di Bengasi. Nel frattempo, le autorità della regione autonoma del Kurdistan iracheno hanno lanciato l’allarme per quella che hanno definito la «situazione catastrofica» di centinaia di migliaia di profughi fuggiti davanti all’avanzata del cosiddetto Stato islamico nel nord dell’Iraq, che si trovano esposti a una ondata di maltempo che sta colpendo tutto il Medio oriente. La neve sta cadendo abbondante nelle province curde di Sulaimaniya, Erbil e Duhuk, dove molti profughi, tra i quali appartenenti alle minoranze cristiana e degli yazidi, sono ospitati in ricoveri di fortuna. «Siamo di fronte a una situazione catastrofica, perché ci sono migliaia di persone ospitate in edifici non finiti e che mancano di tutti i servizi essenziali, o all’aperto, esposti al freddo, alla pioggia e ora anche alla neve», ha detto Dindar Zibari, un alto responsabile del Governo regionale curdo. Nei giorni scorsi anche le maggiori agenzie dell’Onu hanno lanciato un allarme anche per le condizioni dei circa 3 milioni di rifugiati siriani a causa del maltempo. Agenti in azione a Parigi (Reuters) «Charlie Hebdo» sia stata un dramma, ha infatti aggiunto che i cittadini «devono essere certi di essere protetti». Il presidente ha anche insistito sulla necessità di tenere «manifestazioni rispettose» domenica, quando sono previste cerimonie di omaggio alle vittime dell’attentato di mercoledì. Nel frattempo, però, si registrano nuovi episodi di violenza o di offesa in luoghi di culto musulmani. Nella notte una moschea è stata incendiata a Aix-les-Bains, a un centinaio di chilometri da Lione. Oggi sono state trovate una testa e viscere di maiale sulla porta di una sala di preghiera musulmana a Corte, in Corsica. Anche a Lievin, nel cantiere di una moschea in costruzione, è stata rinvenuta una testa di maiale. Già dopo l’eccidio nella sede di «Charlie Hebdo» erano stati profanati alcuni luoghi di culto islamici. NEW YORK, 9. Le notizie sulle spaventose dimensioni dell’ultima strage perpetrata da Boko Haram in Nigeria e l’emozione suscitata in tutto il mondo dall’eccidio di mercoledì a Parigi e da quanto sta accadendo in queste ore, ma anche le barbare uccisioni in Iraq, in Siria, fino all’ultima dei due giornalisti tunisini in Libia, confermano un’accentuazione della violenza terroristica che interpella l’intera comunità internazionale. Accanto alle doverose misure di sicurezza da adottare per proteggere le popolazioni inermi dalla ferocia di gruppi e individui che dichiarano di agire in nome dell’islam — e che massacrano soprattutto musulmani — si fa pressante l’esigenza di scongiurare reazioni che avallino una deriva verso l’idea di una guerra di religione o di civiltà. Di questo pericolo è cosciente il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che ieri, nella prima riunione dell’anno dell’Assemblea generale, ha lanciato un nuovo appello alla tolleranza e al dialogo, come unico strumento per costruire una condizione internazionale di giustizia e di solidarietà in cui non trovi alimento e alibi la ferocia terroristica. «In troppi posti abbiamo visto atti di terrorismo, estremismo, e di enorme brutalità», Si temono duemila morti in un attacco a Baga Spaventoso massacro di Boko Haram ABUJA, 9. Notizie riferite da diverse fonti, anche se al momento impossibili da verificare, parlano di duemila persone uccise dai terroristi di Boko Haram nell’attacco sferrato questa settimana a Baga e a numerosi villaggi del suo circondario, sulla sponda nigeriana del lago Ciad, nello Stato nordorientale del Borno. Di certo, seppure i morti non dovessero raggiungere questa spaventosa cifra, si è si è trattato del più spaventoso massacro perpetrato dal gruppo di matrice fondamentalista islamica, che pure è responsabile da cinque anni a questa parte dell’uccisione di migliaia di persone in attacchi armati e attentati terroristici. Un’implicita conferma della determinata ferocia messa in atto nell’attacco a Baga viene dalle notizie, queste accertate, sul numero di abitanti della zona fuggiti in Ciad. L’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) ha riferito che negli ultimi giorni sono arrivate 7.300 persone. Proprio dai loro racconti emerge che nella zona attaccata non è rimasto nessuno. La sola Ba- ga aveva circa diecimila abitanti, senza considerare quelli dei villaggi attaccati, abitati per lo più da famiglie di pescatori. Secondo fonti locali citate dalla Bbc, alcune centinaia di persone avrebbero trovato scampo sulle isolette del lago Ciad. Non è chiaro, al momento, se Boko Haram abbia sferrato un nuovo attacco nell’area o se le notizie si riferiscano a quello del fine settimana scorso, quando aveva preso il controllo di una base militare a Baga, dopo intensi combattimenti con la guarnigione locale dell’esercito. Secondo quanto aveva riferito il quotidiano locale «Daily Trust», i militari avevano abbandonato la base nella notte tra sabato e domenica, dopo sedici ore di battaglia. In precedenza, i miliziani islamisti avevano attaccato diversi villaggi costieri, come Kuayen Kuros, Mile 3, Mile 4, Doron-Baga, Bundaram. Baga, già colpita in precedenza da attacchi alle popolazioni sferrati da Boko Haram, era una delle località non ancora passate sotto il controllo del gruppo islamista nello Stato del Borno, che è considerato la sua principale roccaforte. L’attacco alla guarnigione della cittadina rivierasca del lago Ciad è stato il momento culminante di un fine settimana che ha visto Boko Haram impegnato in una delle più massicce offensive nell’ultimo periodo e su diversi fronti. Nel villaggio di Lugda, nello Stato di Adamawa, l’esplosione di un ordigno ha provocato un morto e diversi feriti tra la popolazione. Scontri tra i miliziani islamisti e forze militari e di polizia sono stati ingaggiati anche nello Stato di Yobe, il terzo — appunto con il Borno e l’Adamawa — dove da venti mesi il presidente federale Goodluck Jonathan ha proclamato lo stato d’assedio e ha inviato l’esercito contro Boko Haram, finora peraltro senza i risultati che l’operazione si era prefissata. Boko Haram ha anzi consolidato il proprio controllo su parti sempre più vaste di quei territori, teatro ormai di una delle maggiori emergenze umanitarie in atto nel mondo, con oltre un milione di persone costrette ad abbandonare le loro case. Appena due giorni fa, i governatori dei tre Stati, in un incontro con lo stesso Jonathan, avevano escluso l’invio di più truppe. La memoria del disastro di Haiti per rilanciare gli aiuti Caleidoscopio asiatico MALCOLM RANJITH A PAGINA 8 Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali: — Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; — Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; Annunciati colloqui all’Avana tra Cuba e Stati Uniti gionieri politici a Cuba. Almeno trentacinque detenuti sono stati scarcerati nelle ultime 48 ore. La notizia era stata diffusa da Elizardo Sánchez, presidente della commissione cubana per i diritti dell’uomo. L’Avana si è impegnata con Washington a rimettere in libertà cinquantatré persone. È stata nel frattempo smentita la convocazione di una conferenza stampa per oggi all’Avana. L’appuntamento era stato collegato da alcuni media al possibile annuncio del decesso dell’ex presidente Fidel Castro, che non appare in pubblico ormai da un anno, dopo aver ceduto il potere nel 2006. Il viaggio del Papa in Sri Lanka NOSTRE INFORMAZIONI Incontro in Vaticano a cinque anni dal terremoto Dopo il disgelo nelle relazioni bilaterali WASHINGTON, 9. Un alto rappresentante di Washington sarà all’Avana fra il 21 e il 22 gennaio per colloqui sulla ripresa dei rapporti diplomatici fra Stati Uniti e Cuba. Roberta Jacobson, assistente segretario di Stato per l’Emisfero occidentale, parteciperà ai colloqui — già previsti — sui migranti fra i due Paesi. Ma nell’occasione inizierà a gettare le basi per la ripresa dei rapporti diplomatici anticipata dai presidenti Barack Obama e Raúl Castro. Inoltre, la portavoce del dipartimento di Stato, Jen Psaki, ha confermato la liberazione di alcuni pri- ha detto Ban Ki-moon, facendo riferimento, in particolare, alle terribili immagini dell’attacco al giornale satirico francese «Charlie Hebdo», tra cui quella della spietata esecuzione del poliziotto Ahmed Merabet. «Era un musulmano, e rappresenta un altro promemoria di ciò che ci troviamo a fronteggiare», ha precisato il Segretario dell’O nu, ribadendo la necessità di «trovare un modo per vivere insieme in pace, in armonia, e nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali». La condanna della strage a Parigi è stata espressa da tutti i Governi e da tutti i rappresentanti delle istituzioni internazionali, delle organizzazioni della società civile e delle fedi religiose. Questo pur non nascondendo la necessità di contrastare sia le condizioni sociali nelle quali il terrorismo trova proseliti, sia gli interessi economici, primo tra tutti il traffico di armi, che lo alimentano. Il che conferma che il terrorismo, di qualunque matrice, è sentito come una minaccia nei confronti dell’intera umanità. Questa convinzione sarà alla base del confronto al vertice internazionale sul terrorismo convocato per domenica a Parigi dal Governo francese e al quale è già stata annunciata la partecipazione, tra gli altri, del segretario alla Giustizia americano, Eric Holder. Tra i temi in discussione c’è quello dei cosiddetti foreign fighters, cittadini europei o in genere occidentali che a migliaia si recano a combattere all’estero nelle file dei gruppi jihadisti ma che sono pronti ad agire anche in patria. Sulla questione dei foreign fighters e più in generale in materia di lotta al terrorismo ha annunciato imminenti nuove misure anche la Commissione europea. — Godfried Danneels, Arcivescovo emerito di MechelenBrussel (Belgio); Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Julio Murat, Arcivescovo titolare di Orange, Nunzio Apostolico in Zambia e in Malawi. Il sisma del 12 gennaio 2010 causò 230.000 morti, 300.000 feriti e 1.200.000 senza tetto SERVIZIO A PAGINA 7 Il Santo Padre ha nominato Prelato Uditore del Tribunale della Rota Romana il Reverendo Monsignore Pietro Milite, del clero della Diocesi di Nocera Inferiore - Sarno, finora Promotore di Giustizia del medesimo Tribunale. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 10 gennaio 2015 L’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue (Reuters) Draghi promette misure di stimolo all’economia Bce pronta a varare l’acquisto di titoli di Stato BRUXELLES, 9. La promessa di Draghi di una nuova e imminente politica monetaria targata Bce ha spinto ieri le Borse europee. In scia alle parole del presidente della Banca centrale europea, che si è detto pronto a varare l’atteso acquisto di titoli di Stato, i listini del vecchio continente sono partiti al galoppo, al punto da far dimenticare lo scorso lunedì nero. I mercati, già positivi in apertura, hanno accelerato al rialzo nel primo pomeriggio quando il presidente della Bce è tornato ad aprire all’ipotesi di una manovra di acquisto di titoli di Stato — peraltro già utilizzata in questi anni dalla Fed negli Stati Uniti — che permetterebbe ai Paesi più fragili dell’eurozona di alleggerire il proprio debito pubblico. L’indicazione, arrivata a due settimane dall’attesa riunione di Francoforte, è vista con favore dagli operatori che adesso la danno quasi certa, mentre l’incognita più grande è rappresentata dalle modalità del possibile intervento (chi acquisterà e cosa sarà comprato). Bene le principali piazze finanziarie europee con Milano (più 3,69 per cento), davanti a Parigi (più 3,59 per cento). Positivo anche Wall Street: il Dow Jones ha chiuso in forte rialzo (1,86 per cento) consolidando i guadagni nonostante il dato sui sussidi alla disoccupazione sia stato peggiore delle attese. La Banca centrale europea ha però avvertito la Grecia: stop ai finanziamenti alle banche elleniche se Atene volta le spalle alla troika. A due settimane dalle elezioni in cui il partito che guida i sondaggi, Syriza, si presenta con un piano di addio all’austerity e rinegoziazione del debito del Paese volato al 175 per cento del pil, la Bce mette le mani avanti: ha in pancia l’8 per cento del debito greco e fornisce liquidità alle banche in cambio di titoli ellenici a garanzia. Ma è una deroga ai principi generali (che vietano di accettare titoli speculativi come quelli greci) che vale finché c’è un’estensione tecnica del salvataggio concesso fino a febbraio 2015. E si basa — spiega un portavoce — sul presupposto di una «conclusione positiva dell’attuale programma di salvataggio e di un successivo accordo» con la troika. Mario Draghi ha ribadito ieri che «a inizio d’anno» la Bce valuterà se acquistare titoli di Stato. Ma il presidente della Bce nasconde a stento l’apprensione per l’incognita del voto greco del 25 gennaio: cadendo giusto tre giorni dopo il prossimo consiglio direttivo nel quale la Bce potrebbe lanciare il quantitative easing, l’appuntamento complica il negoziato con la Bundesbank, indebolendo l’argomentazione di Draghi secondo cui Francoforte non si espone a perdite. E così la Bce, il 22 gennaio, potrebbe limitarsi ad annunciare un quantitative easing limitato ai titoli sovranazionali, rinviando al 5 marzo la decisione sugli acquisti dei titoli di Stato. Chiesto il rispetto degli accordi di Minsk sulla crisi ucraina Missione dell’Unione europea a Kiev e a Mosca RIGA, 9. Il ministro degli Esteri lettone, Edgars Rinkēvičs, come presidente di turno dell’Ue, sarà in missione tra oggi e domani a Kiev e Mosca. Lo ha annunciato ieri, nel corso di una conferenza stampa a Riga insieme all’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, affermando che la visita sarà cruciale. «Abbiamo concordato di cer- L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va comune dell’Unione europea ha affermato di non poterlo confermare. «Discussioni sono in corso a diversi livelli» ha dichiarato, sottolineando per questo l’importanza della missione a Kiev e a Mosca. Un eventuale alleggerimento delle sanzioni contro la Russia per la crisi ucraina «dipende dalla situazione sul terreno. Se e quando tutti i punti dell’accordo di Minsk verranno ri- Per neutralizzare i ribelli hutu rwandesi da vent’anni attivi nel Nord Kivu Tensione tra Mogadiscio e il Somaliland dichiaratosi autonomo L’Onu prospetta un’azione decisiva nell’est congolese Contrasti sul petrolio aggravano la crisi somala NEW YORK, 9. Un’azione decisiva contro i ribelli hutu rwandesi delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr), attivi da vent’anni nell’est della Repubblica Democratica del Congo e in particolare nel Nord Kivu, è stata prospettata e sollecitata dal Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in una telefonata al presidente congolese, Joseph Kabila, della quale ha dato notizia l’Onu stessa. Le Fdlr «non hanno mantenuto la loro promessa di disarmare e la scadenza del 2 gennaio è trascorsa senza risultati significativi», ha detto Ban Kimoon, al quale Kabila ha assicurato che le forze governative sono pronte ad affiancare la Monusco, la missione dell’Onu nel Paese, per neutralizzare una volta per tutte il gruppo armato riparato in territorio congolese dopo il massacro dei tutsi in Rwanda del 1994. Di una possibile azione imminente contro le Fdlr ha parlato anche il comandante dei caschi blu, il generale Carlos Alberto dos Santos Cruz, in un’intervista a Radio Okapi, l’emittente della Monusco. Pur riconoscendo che non si tratta dell’unico gruppo attivo nell’area, dos Santos Cruz ha sostenuto che le Fdlr hanno un grande peso nella persistente situazione di violenza e che il loro completo disarmo è cruciale per ripristinare la pace. Stabilite le date delle legislative in Egitto IL CAIRO, 9. Le elezioni parlamentari egiziane, terza tappa sulla via della democratizzazione del Paese, si terranno in due tornate tra il 22 marzo ed il 7 maggio. Le date sono state annunciate dal presidente dell’alta commissione elettorale, Ayman Abbas, in una conferenza stampa al Cairo. La prima tornata, in due turni, si svolgerà in circa la metà dei governatorati egiziani a partire dal 22 e 23 marzo. Per il 6 e 7 maggio è stata invece fissata la seconda tornata negli altri governatorati. Gli egiziani all’estero voteranno per due giorni iniziando ogni volta il giorno prima delle date indicate. Le elezioni politiche sono l’ultima tappa della Road map per la transizione democratica impostata dopo la deposizione del presidente Mohammed Mursi avvenuta nell’estate del 2013. Le due fasi già raggiunte sono state il varo della nuova Costituzione e le elezioni presidenziali vinte da Abdel Fattah El Sissi. Inizialmente previsto per la scorsa primavera, il voto è stato rinviato più volte. L’Egitto è senza Parlamento dal giugno 2012, quando fu sciolta l’Assemblea controllata dai Fratelli musulmani. care un’opportunità per un nuovo dialogo politico con la Russia sulla crisi in Ucraina», ha spiegato il capo della diplomazia lettone che farà rapporto ai colleghi in occasione del prossimo consiglio Esteri dell’Ue in programma il 19 gennaio. Quanto all’eventuale incontro ad Astana con Merkel, Hollande, Putin e Poroshenko, l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza spettati, allora sicuramente non ci saranno più le sanzioni. Ma siamo ancora lontani» ha aggiunto Federica Mogherini. «Se gli sviluppi, positivi ma limitati, diventeranno qualcosa di più concreto allora valuteremo di conseguenza a marzo e alla scadenza successiva», ha aggiunto. Il rispetto degli accordi di Minsk è infatti «presupposto importante» per un ammorbidimento delle sanzioni a Mosca. Lo ha confermato ieri Angela Merkel, a Berlino, in conferenza stampa con il premier ucraino, Arseny Yatsenyiuk. «Le sanzioni sono state applicate per reagire a delle cause, e possono essere rimosse quando le cause saranno eliminate». Alcune sanzioni sono dipese dall’annessione della Crimea, ha aggiunto il cancelliere tedesco, e dipendono dal futuro della penisola; altre dagli attacchi all’est del Paese, e per rimuoverle bisogna partire da Minsk. Nel frattempo, la Commissione europea ha deciso ieri di prolungare il sostegno finanziario all’Ucraina mettendo a disposizione ulteriori 1,8 miliardi di euro. Lo ha annunciato il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, a Riga dopo l’incontro con il Governo lettone. «Questo prova — ha aggiunto Juncker — che la solidarietà europea non è una vana parola ma riflette la realtà di tutti i giorni, e sono stato contento di vedere come il Governo lettone abbia apprezzato questo gesto». Caschi blu della Monusco in azione nel Nord Kivu MO GADISCIO, 9. La questione del petrolio minaccia di aggravare la già precaria situazione della Somalia, in preda ad una guerra civile che con fasi più o meno acute si protrae da oltre un quarto di secolo. Proprio sul petrolio, a giudizio di molti osservatori, si gioca infatti una parte rilevante della difficile partita per ricostituire l’unità del Paese e, soprattutto, una prospettiva di pace per le sue popolazioni stremate. Le autorità di Hargeisa, il capoluogo dell’autoproclamata regione autonoma del Somaliland, relativamente risparmiata dalla guerra, stanno preparandosi a sfruttare in proprio i ricchissimi giacimenti d’idrocarburi al largo della costa e questo minaccia di compromettere la trattativa in atto con il Governo di Mogadiscio, riconosciuto dalla comunità internazionale, per arrivare a ripristinare uno Stato federale unitario. Il Governo di Mogadiscio di recente ha invitato le compagnie che detenevano concessioni petrolifere prima della caduta del regime di Siad Barre, nel 1991, a riprenderne lo sfruttamento, oltre ad avviare una mappatura completa dei possibili giacimenti offshore. Proprio alcune di queste aree sono però già state offerte ad altri soggetti dai capi politici del Somaliland. Mogadi- scio, tra l’altro, non riconosce l’accordo fatto dalla società di prospezioni petrolifere norvegese Dno Explorer con le autorità di Hargeisa. Queste ultime, tra l’altro, hanno un contenzioso aperto con l’altra regione autoproclamatasi autonoma del Puntland, che ha dato in concessione alla compagnia Africa Oil lo sfruttamento di giacimenti in acque reclamate dal Somaliland. L’inviato speciale delle Nazioni Unite a colloquio con i leader delle fazioni rivali Sforzi per rilanciare il dialogo in Libia TRIPOLI, 9. L’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Bernardino León, ha incontrato ieri per la prima volta il generale Khalifa Haftar, da poco meno di un anno alla guida dell’operazione militare «Karama» contro le milizie islamiste. Lo riferisce il quotidiano locale «Al Wasat». Si tratta del primo incontro tra il diplomatico spagnolo e il generale, di recente reintegrato nelle forze armate libiche insieme ad altri 129 ufficiali (tra cui il capo delle forze aeree Saqr Al Jroushi) per volontà del GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Parlamento eletto il 21 giugno dello scorso anno e riconosciuto dalla comunità internazionale e che, per motivi di sicurezza nella capitale controllata dagli islamisti, è costretto a riunirsi a Tobruk. León, che ieri ha incontrato anche il presidente del Congresso nazionale libico con sede a Tripoli Nouri Abu Sahimin, è impegnato nel tentativo di organizzare una seconda tornata di colloqui tra le parti in conflitto. Il primo incontro era previsto per lunedì scorso ma è stato rinviato a data da destinarsi. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va La situazione in Libia resta caotica. Il Governo di Ankara ha invitato tutti i cittadini turchi a lasciare immediatamente il Paese nordafricano a causa del continuo degradarsi della situazione interna. Secondo la stampa di Ankara, negli ultimi giorni sono circolate informazioni su presunte minacce contro gli aerei civili turchi in volo sulla Libia. Il ministero degli Esteri ha reagito «condannando con forza queste dichiarazioni ostili contro la Turchia». Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Intanto, sono stati rilasciati i tredici copti egiziani le cui tracce si erano perse sabato scorso a Sirte. Lo riferisce una fonte tribale della città. Una fonte dell’esercito libico aveva riferito che i tredici erano stati rapiti da estremisti islamici, mentre il presidente del Consiglio dei saggi di Sirte aveva dichiarato che gli uomini non erano stati rapiti, ma solo trattenuti presso l’ufficio immigrazione generale perché entrati illegalmente in Libia. I tredici stanno bene e saranno trasferiti presto in Egitto. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Segnali di rallentamento dell’epidemia di ebola GINEVRA, 9. Dopo la fase esplosiva dei mesi scorsi, l’epidemia di ebola sembra rallentare in tutti e tre i Paesi dell’Africa occidentale più colpiti, compresa la Sierra Leone, dove i focolai sembravano incontrollabili. La rapidità di diffusione del tremendo virus starebbe, quindi, diminuendo, anche se la situazione resta comunque grave. Lo hanno evidenziato gli ultimi dati diffusi dall’O rganizzazione mondiale della sanità (Oms). Secondo l’organismo delle Nazioni Unite, in Sierra Leone, nella prima settimana dell’anno, sono stati accertati duecentoquarantotto nuovi contagi della grave malattia di febbre emorragica. Nonostante tutto, sottolineano gli esperti dell’Oms, «ci sono segnali che il numero dei casi si sia stabilizzato». Sinora l’epidemia di ebola ha provocato più di 8.300 vittime, quasi tutte in Sierra Leone, Liberia e Guinea, i Paesi più colpiti. Miglioramenti sono stati segnalati anche in Liberia. In questo Paese, infatti, si è passati dagli oltre trecento casi confermati a settimana dell’agosto scorso agli appena otto confermati (e quaranta probabili) di inizio anno. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 10 gennaio 2015 pagina 3 Civili indiani abbandonano il loro villaggio (LaPresse/Ap) Battuto a sorpresa Rajapaksa Sirisena eletto presidente dello Sri Lanka COLOMBO, 9. Sovvertendo tutti i pronostici degli analisti, il candidato dell’opposizione nello Sri Lanka, Maithripala Sirisena, ha vinto le elezioni presidenziali anticipate di ieri. La commissione elettorale ha reso noto stamane che il nuovo capo dello Stato ha conquistato il 51,3 per cento dei voti, contro il 47,6 per cento del presidente uscente, Mahinda Rajapaksa, che aveva convocato le elezioni con due anni di anticipo convinto di ottenere un terzo mandato consecutivo. Sirisena, ex ministro della Sanità nel Governo Rajapaksa, presterà giuramento già stasera, secondo quanto scrive la stampa a Colombo. Prima di lasciare il palazzo presidenziale, Rajapaksa — che ha accettato il verdetto delle urne, ammettendo la sconfitta — ha dichiarato che il giuramento del primo ministro è previsto per sabato. Si prevede che l’incarico sia affidato al leader dell’opposizione, Ranil Wikremansinghe. Secondo fonti vicine a Sirisena, il nuovo capo dello Stato estenderà un invito aperto a tutti i parlamentari, tra cui i deputati dell’United People’s Freedom Alliance — la coalizione che ha sostenuto Rajapaksa, vincitore delle presidenziali del 2005 e del 2010 — ad unirsi al suo programma di cento giorni per introdurre le riforme democratiche annunciate durante la campagna elettorale. Le operazioni di voto e di scrutinio si sono svolte senza incidenti di rilievo. Nelle nove ore di votazioni, hanno sottolineato i media locali, l’affluenza alle urne ha superato il 70 per cento dei quindici milioni di aventi diritto. Durante la breve campagna elettorale, Sirisena — entrato in Parlamento nel 1989 — ha promesso di dare al Paese una democrazia parlamentare dove polizia, magistratura e amministrazione civile siano indipendenti dalla presidenza e dall’Esecutivo. Nel periodo della sanguinosa guerra civile, durata oltre trent’anni, era stato inserito nella lista nera dei ribelli separatisti delle Tigri per la liberazione dell’Eelam. In almeno cinque occasioni, i terroristi hanno cercato di ucciderlo. Il primo a congratularsi con Sirisena è stato il premier indiano, Narendra Modi. «Come Paese vicino e amico — ha scritto Modi in un tweet — l’India conferma il pieno appoggio per la pace e lo sviluppo dello Sri Lanka». Inviato delle Nazioni Unite in missione nel Myanmar Migliaia di persone abbandonano le abitazioni a causa dei combattimenti tra esercito indiano e pakistano Fuga dal Kashmir NEW DELHI, 9. Si riaccende la tensione tra India e Pakistan sulla contesa regione del Kashmir. A causa dell’aumento nelle ultime settimane dei violenti scontri a fuoco tra forze indiane e truppe pakistane, migliaia di famiglie sono state costrette ad abbandonare le loro abitazioni. I combattimenti si sono diffusi a ridosso di un tratto di circa duecento chilometri della frontiera di fatto che attraversa la regione nella parte settentrionale del subcontinente indiano. I profughi parlano senza mezzi termini di uno scenario di guerra. «Ci sono molti bombardamenti in corso e non sappiamo il motivo per cui tutto questo stia accadendo. Ogni volta che c’è un raduno di persone si inizia a sparare e nessuno ci aiuta», ha dichiarato alla stampa un residente della zona. Negli ultimi giorni, almeno una dozzina di persone sono state uccise in scontri di confine e le autorità locali hanno fatto sgomberare più di seimila persone in campi di sfollati, mentre altre quattromila si sono rifugiate in altre zone, presso parenti o conoscenti. Una scuola sarebbe stata colpita e ripetuti colpi di mortaio sono partiti dalle opposte fortificazioni anche ieri. Queste in- formazioni sono state confermate da un funzionario indiano. Il Kashmir, a maggioranza musulmana, è già stato al centro di due sanguinose guerre tra India e Pakistan, Paesi dotati entrambi di arsenale nucleare. La situazione viene seguita con particolare attenzione dalla diplomazia internazionale dal 1998, anno in cui India e Pakistan hanno testato entrambi un’arma nucleare: anni fa il settimanale britannico «The Economist» aveva definito il confine tra India e Pakistan «il più pericoloso del mondo». L’Onu, per ora, non si pronuncia, mentre Islamabad e New Delhi continuano a rimpallarsi la responsabilità della violazione della tregua. L’India ha infatti denunciato come lo scorso anno le truppe pakistane abbiano violato gli accordi del cessate-il-fuoco (siglati nel 2003) più di cinquecentocinquanta volte. L’India accusa le autorità di Islamabad di inviare militanti nella parte indiana del Kashmir, un’accusa che il Pakistan ha sempre negato. Proprio ieri, il ministero degli Esteri di Islamabad ha affermato che il Pakistan è contro ogni forma di terrorismo e che «le continue provocazioni india- Gli Stati Uniti nella morsa del gelo Obama a sostegno del mercato immobiliare WASHINGTON, 9. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha annunciato ieri un taglio ai premi delle assicurazioni relative ai mutui casa garantiti dalla Federal House Administration. L’iniziativa è volta a favorire l’acquisto della prima abitazione. Il risparmio medio stimato «è di circa 900 dollari all’anno che potranno essere usati per la spesa, per la benzina, per l’educazione dei figli e possono anche equivalere a una rata mensile», ha sottolineato Obama durante un discorso in un liceo di Phoenix. «L’azione significa più soldi nelle tasche dei cittadini e centinaia di Tensione politica in Bangladesh DACCA, 9. Non accennano a diminuire in Bangladesh le tensioni politiche. L’opposizione ha fatto sapere che continuerà a bloccare i trasporti, decisione presa lunedì scorso nel primo anniversario delle controverse elezioni che hanno permesso al partito Awami League, di Sheikh Hasina, di restare al Governo. La polizia ha tenuto Zia, leader dell’opposizione, confinata nel suo ufficio a Dacca, mentre altri leader e militanti del Partito nazionalista sono stati tratti in arresto. Ieri, altre tre persone sono state uccise nelle diverse manifestazioni in corso nel Paese, facendo salire a sette le vittime della campagna di protesta. La tensione politica è nuovamente cresciuta da quando l’Alta corte ha ordinato il divieto di trasmissione, pubblicazione e diffusione delle dichiarazioni del figlio di Zia, Tarique Rahman, attualmente a Londra, che spesso è stato protagonista di prese di posizione fortemente critiche sulla storia recente del Bangladesh e, in particolare, su Sheikh Mujib, padre del primo ministro. ne lungo il confine hanno il solo scopo di distogliere l’attenzione e gli sforzi dalla guerra al terrorismo». La tensione tra India e Pakistan è salita dopo che il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha deciso, lo scorso agosto, di cancellare dall’agenda i colloqui di pace con Islamabad. A giorni sarà in India il segretario di Stato americano, John Kerry. E verso la fine di gennaio, lo stesso presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sarà in visita a New Delhi. Obama è stato invitato in occasione delle celebrazioni del Giorno della Repubblica, che cade il 26 gennaio. L’Amministrazione di Washington ha per anni cercato di favorire un riavvicinamento tra India e Pakistan e più volte ha invitato entrambi i Governi a trovare una soluzione giusta e pacifica per l’annosa e delicata questione del Kashmir, che in oltre vent’anni di combattimenti ha provocato oltre ottantamila vittime e migliaia di profughi. Secondo gli osservatori internazionali, la storica e reciproca diffidenza tra New Delhi e Islamabad non lascia al momento sperare in drastici cambiamenti. migliaia di nuovi acquirenti che sosterranno il mercato a favore di tutti, anche di coloro che già possiedono un’abitazione» ha osservato il presidente. «Oggi le compravendite di case sono salite di circa il 50 per cento rispetto al picco della crisi, le costruzioni sono più che raddoppiate e i pignoramenti sono ai minimi dal 2006. L’aumento dei prezzi delle case ha messo milioni di dollari nelle tasche della classe media americana ma voglio mettere in chiaro che tutto ciò non è avvenuto per caso» ha rimarcato Obama ma è «il risultato di politiche incentrate sulla classe media». NAYPYIDAW, 9. È iniziata ieri la visita in Myanmar dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per il Paese asiatico, la sudcoreana Yanghee Lee. Iniziativa che ha al centro la verifica del processo di riforma avviato dal nuovo Governo civile, erede del regime militare precedente al 2011. Durante la missione l’inviato dell’Onu si recherà anche nelle aree al centro di contrasti e violenze a sfondo etnico e religioso. Prima tappa lo Stato di Rakhine, al confine con il Bangladesh, dove da oltre due anni la minoranza musulmana rohingya subisce le continue violenze da parte di estremisti buddisti. Violenze che hanno costretto migliaia di persone a rifugiarsi in campi di raccolta. Lee si recherà poi nello Stato di Shan e in altri dove da anni è attiva la guerriglia armata contro il Governo centrale di Naypyidaw. Attaccata una base dei talebani afghani KABUL, 9. Un aereo senza pilota ha attaccato ieri posizioni dei talebani nella provincia orientale afghana di Nangarhar uccidendo almeno sei militanti. Lo scrive l’agenzia di stampa afghana Pajhwok. Il portavoce della polizia provinciale, Hazrat Hussain Mashriqiwal, ha dichiarato che il drone è entrato in azione nel distretto di Lalpori sparando missili su una base degli insorti nella località di Chaknor. Oltre alle sei vittime, l’attacco ha causato anche tre feriti. Nel frattempo, almeno sette talebani pakistani sono morti a seguito di una esplosione avvenuta nell’edificio in cui si trovavano nella Khyber Agency, territorio tribale nord-occidentale al confine con l’Afghanistan. Lo riferisce oggi Express News Tv. Fonti locali e tribali hanno riferito che lo scoppio, forse dovuto a materiale esplosivo che i militanti manipolavano, è avvenuto in un compound dell’area di Sepah nella Tirah Valley, gestito dal movimento talebano Lashkar-e-islam. Oltre alle vittime, si è appreso, vi sono stati anche vari feriti. Le forze di sicurezza pakistane hanno sferrato nell’ottobre scorso una operazione militare, denominata Khyber-1, mirante proprio a distruggere le basi degli insorti talebani. A causa del riscaldamento globale e dell’inquinamento Ecosistemi marini in pericolo Freddo polare a New York (LaPresse/Ap) WASHINGTON, 9. Continua l’ondata di freddo polare che ha colpito quasi tutti gli Stati Uniti a causa del fronte di correnti fredde dal Canada. Le temperature sono in picchiata da un paio di giorni con la colonnina di mercurio che ha sfiorato i meno 40 nel Minnesota, ma anche in Dakota e Iowa a causa del vento. A Chicago la temperatura è di meno 21 gradi. Molte scuole da Boston, a Providence, Rhode Island, e nel sud-est del New England rimarranno chiuse. Freddo polare anche a New York e Washington dove la colonnina di mercurio segna meno 16. L’ondata di gelo continuerà per tutta la settimana con precipitazioni nevose — che hanno già causato notevoli disagi — previste in gran parte degli Stati Uniti. LONDRA, 9. L’inquinamento, in aggiunta a un improvviso aumento delle temperature, possono mettere in serio pericolo l’intero ecosistema marino. L’ipotesi è stata avanzata da un team di ricercatori in uno studio pubblicato sulla rivista «Philosophical Transactions B», della Royal Society britannica. Si tratta di un’edizione speciale che raccoglie i lavori di oltre ottanta esperti da sei continenti, tra cui anche ricercatori italiani del Cnr. Secondo gli scienziati, «anche i sistemi marini fra loro non comunicanti potrebbero presentare, quasi sincronicamente, i cosiddetti regime shifts, cioè repentini cambiamenti che influenzano l’intero ecosistema». La causa, hanno evidenziato gli esperti, sarebbe da ricercare nell’aumento della temperatura. «Bacini marini tra loro scollegati subiscono in mo- do pressoché sincrono rapidi cambiamenti che coinvolgono i loro ecosistemi», evidenzia lo studio. I ricercatori hanno compilato undici banche dati marine multidecennali (1960-2005) delle popolazioni zooplanctoniche provenienti dagli oceani Atlantico e Pacifico e dai mari Mediterraneo, del Nord e Baltico. Lo studio ha analizzato i tre principali componenti, considerati indicatori dello stato biologico di ogni sistema, e identificato i loro anni di shift, cioè di “salto”. I ricercatori hanno così constatato che tra il 1987 e il 1990 tali cambiamenti repentini si sono verificati in ben sette degli undici bacini analizzati, tra cui nord Adriatico, Mare del Nord, Mar Baltico, Atlantico nord-occidentale e Pacifico nord-orientale. Ma qual è la causa di questi fenomeni? Una parte della comunità scientifica ritiene che a provocare gli shift siano fattori locali, come la pesca o l’inquinamento. Anche se questo può avvenire in molti casi, avvertono gli studiosi, i cambiamenti ecosistemici, avvenuti in particolare alla fine degli anni Ottanta nei vari mari e oceani, sono stati causati dall’innalzamento della temperatura dell’emisfero nord avvenuto intorno al 1987, possibilmente causato dai cambiamenti atmosferici artici. È da notare che, nei quarantacinque anni investigati in questo lavoro, la temperatura media globale è aumentata di meno di un grado centigrado, mentre nell’ultimo report sui cambiamenti climatici dell’Ipcc si prevede un innalzamento di temperatura entro il 2100 da meno di due fino a 3-5 gradi, per cui nel futuro ci si aspettano fenomeni più frequenti e intensi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 10 gennaio 2015 Stesse stelle per islamici e cristiani di MARCELLO FILOTEI Le password utilizzate dal direttore della Radio vaticana e della Sala stampa della Santa Sede sono nomi di stelle, rigorosamente in arabo. L’informazione, inutile per chi voglia tentare di forzare il computer di padre Federico Lombardi essendo migliaia gli astri scoperti da scienziati musulmani, aiuta invece a riflettere sulle affinità tra islam e cristianesimo in ambito astronomico. Le due culture hanno camminato in parallelo per secoli occupandosi dello stesso oggetto e, che lo abbiano saputo o meno gli stessi protagonisti della ricerca, molto probabilmente si sono influenzate a vicenda. Proprio per riflettere su questo tema la Specola vaticana — in col- La statua di Nostra Signora di Matara tra storia e leggenda Divorata e restituita dalle acque dallo Sri Lanka CRISTIAN MARTINI GRIMALDI l Forte a forma di stella che risale al 1763 è conservato talmente bene che Asanke, la guardia appostata a un passo dal ponte levatoio, dice che se si guarda giù nel fossato — pieno d’acqua — è possibile vedere un coccodrillo. Non scherza, la guardia. Il coccodrillo, infatti, c’è davvero. Pare che il fiume Nilwala, che scorre vicino, ne sia pieno. Se Asanke avesse indossato un’uniforme settecentesca piuttosto che abiti borghesi per un attimo si sarebbe potuto pensare di trovarsi di fronte la sentinella di una guarnigione olandese dell’epoca, quando le coste dello Sri Lanka venivano attrezzate dal piccolo ma potente Stato nordeuropeo con le più moderne tecnologie di difesa per scongiurare gli attacchi delle potenze rivali con le quali si contendeva il controllo delle rotte dell’oceano indiano. Il Forte venne costruito a forma di stella a sei punte allo scopo di realizzare una difesa a trecentosessanta gradi. Ma le strategie militari fondate sulla geometria, per quanto sofisticate, vengono rese obsolete dai progressi dell’artiglieria e il Forte resistette appena trent’anni: l’isola nel 1796 passò nelle mani degli inglesi che trasformarono questo baluardo difensivo in un ufficio amministrativo. Siamo a Matara, una piccola cittadina nel sud dello Sri Lanka che, a dispetto del passato militaresco, ospita uno degli oggetti di maggiore devozione religiosa del Paese: la famosa statua di Nostra Signora di Matara, custodita nell’omonima chiesa a ridosso del lungomare. Attraverso il ponte sul fiume Nilwala e sulla sinistra splende, bianchissima, la moschea: brilla come uno specchio in mezzo al deserto sotto il sole di mezzogiorno. Non lontano c’è la chiesa riformata olandese di Matara, una delle più antiche chiese I La stella Aldebaran, nome che deriva dalla parola araba al-Dabarān («l’inseguitore») laborazione con l’ambasciata della Repubblica Islamica d’Iran presso la Santa Sede — ha organizzato un convegno dal titolo «Il ruolo dell’astronomia nel cristianesimo e nell’islam», che si svolgerà dal 13 al 15 gennaio a Castel Gandolfo. Presentando l’evento venerdì 9 gennaio presso la Sala Marconi della Radio vaticana, padre José Gabriel Funes, direttore della Specola vaticana, ha sottolineato come la fonte principale di informazione per un astronomo è la luce, e la luce è la stessa per tutti, su tutto il globo, per qualsiasi cultura. La luce gioca un ruolo fondamentale, stabilisce i ritmi della vita, ed è pertanto un elemento importantissimo non solo nell’ambito della scienza e della tecnologia, ma anche in quello della religione e della cultura. Non è un caso, quindi, che l’incontro sia stato organizzato nel 2015, anno che le Nazioni Unite hanno dichiarato «International year of the light and light-based technologies» per celebrare il centenario delle equazioni di campo della relatività generale formulate da Albert Einstein nel novembre del 1915. In questo convegno, ha aggiunto padre Funes, l’attenzione sarà puntata sugli aspetti storici e culturali, ma non è escluso che dal confronto emergano novità scientifiche. Da parte sua Farid Ghassemlou, del Department of History of Science della Islamic Encyclopedia Foundation, ha sottolineato come nella storia le fonti scientifiche a disposizione di studiosi islamici e cristiani siano state le stesse, così come simili erano anche le sfide che gli esperti fronteggiavano. Secondo Ghassemlou quindi la questione che dobbiamo porci oggi è: le due culture hanno trovato le stesse risposte? E ancora: le traduzioni di testi scientifici dall’arabo al latino hanno portato agli scienziati europei informazioni che hanno influenzato il loro lavoro? Insomma: Galileo e Copernico, per fare solo qualche nome, hanno attinto anche al lavoro di altri? Un solo convegno, probabilmente, non sarà sufficiente a trovare le risposte. Per questo i protagonisti auspicano che l’iniziativa sia solo la prima di una lunga serie di colloqui che metta al centro il tema del dialogo culturale. omaggio alla religione induista. I monaci sono stati lungimiranti ad aver scelto questo luogo, perché il tempio si trova a diversi metri sul livello del mare: di conseguenza è potuto sottrarsi alla furia dello tsunami del dicembre 2004. Ma la stessa sorte non è toccata alla chiesa di Nostra Signora di Matara, che conserva la venerata statua della Madonna. La chiesa è il primo edificio a ridosso del lungomare e la prima grande onda del in chiesa una grande pioggia aveva ridato maremoto l’ha centrata in pieno. Era la di nuovo vita ai campi: la siccità era sconmattina di santo Stefano e il parroco stava giurata. dando la comunione quando proprio di Ma la storia di questa sacra scultura non fronte a sé vide arrivare l’imponente massa finisce qui. Nel 1911 il vescovo di Galle, il d’acqua. Non c’è stato neppure il tempo di belga Van Reeth, fece trasportare la statua dare l’allarme: ventiquattro degli oltre cento in Europa perché venisse restaurata. Dopo i fedeli presenti non hanno avuto scampo. lavori, la statua venne caricata su una nave Ingenti, poi, i danni materiali. E in questo che l’avrebbe dovuta riportare in Sri Lanscenario di distruzione la statua di Nostra ka. Ma nel mar del nord, a causa di forti Signora di Matara era scomparsa. Il mare venti, la nave rischiò di schiantarsi sugli se l’era ripresa esattamente come l’aveva re- scogli: dovette quindi riparare in Inghilterstituita quattro secoli prima a un gruppo di ra. A questo punto qualcosa di sconcertante pescatori che l’avevano trovata impigliata accadde: la statua fu «presa in ostaggio» nelle loro reti. La leggenda narra infatti che nel XVII secolo la statua Lo tsunami del 26 dicembre 2004 venne rinvenuta in mare — contenuta in una scatola di letravolse la chiesa gno — da alcuni pescatori del mentre il parroco dava la comunione luogo, che poi la consegnarono al parroco della chiesa di Ventiquattro fedeli rimasero uccisi Matara. La chiesa originaria si e l’oggetto di grande devozione scomparve trova non molto lontano da qui, ma oggi è abbandonata essendo troppo piccola per contenere i fedeli che vanno aumentando di da un uomo che chiese un’esorbitante somanno in anno grazie alla crescente popolari- ma di denaro per il riscatto. Non riuscendo però nel suo intento, lo squilibrato ritorse il tà della statuetta. «Due furono gli eventi miracolosi legati suo astio sulla statuetta sfigurandola con alla statua» dice il parroco, padre Damian colpi di accetta. Infine la preziosa scultura Arsakularatne: «Il primo avvenne durante venne recuperata, ma di nuovo dovette esun’epidemia di colera che fece centinaia di sere riportata in Belgio — dallo stesso remorti. La gente impaurita si radunò in stauratore — per essere sottoposta a «nuove chiesa e portò la statua in processione. Da cure». A questo punto padre Van Reeth quel giorno non si registrò un solo altro ca- prese con sé la statua e salpò sulla naso di colera in città». Il secondo evento mi- ve «Princess Alice». Il sacerdote sentiva racoloso accadde durante una forte siccità. dentro di sé che il tutto finalmente sarebbe Gli abitanti di Matara portarono di nuovo andato per il meglio: ma proprio quando la statua in processione e prima di tornare mancava poco per giungere a destinazione la nave prese fuoco. Durante l’incendio parte del carico dovette essere gettato in mare e al suo arrivo a Colombo padre Van Reeth scoprì che la statua non c’era più. Era stata gettata in mare insieme al carico. Ma tre giorni dopo la statua venne riportata a Matara da alcuni marinai che l’avevano ripescata in alto mare. «Questa statua ne ha passate di tutti i colori» esclama padre Damian, aggiungendo che oggi vengono da lui madri che raccontano la storia dei loro figli con malattie apparentemente incurabili, ma poi superate grazie alle preghiere formulate ai piedi della statua. Tornando con la mente al dramma consumatosi il 26 dicembre 2004, padre Damian ricorda che il parroco di questa chiesa, padre Charles Hewawasam, e gli altri fedeli che stavano assistendo alla messa, trovarono rifugio in un edificio vicino. La statua, appunto, era scomparsa e per due giorni, nonostante le ricerche, non se ne ebbe notizia. Era la sera del 28 dicembre quando Milton Hakmanage, che abitava vicino alla chiesa, telefonò al parroco dicendo di aver avuto in sogno una visione: qualcosa di prezioso si trovava nel giardino del suo vicino. Il 29 mattina il parroco disse ai suoi collaboratori di andare a dare un’occhiata nel giardino. «Il giorno dopo avevamo di nuovo la statua con noi» afferma commosso padre Damian. E la cosa ancor più straordinaria fu che il Gesù della statua aveva ancora la piccola corona di spine in testa e la catenina d’oro intorno al collo. Oggi la statua è venerata non solo dai cristiani, ma anche da hindu e musulmani. Il caso del Centro di educazione motoria di Roma Qualcuno che aiuti Emanuela a bere di SILVIA GUSMANO «Un’organizzazione nei confronti della quale l’umanità è grandemente debitrice». Così Giovanni Paolo II, ospite a Ginevra del Comitato Internazionale della Croce rossa nel 1982, definì la creatura nata dalla mente e dal cuore di Henry Dunant. Rivolgendosi a «tutti gli uomini e le donne di buona volontà» che nell’ambito della Croce Rossa si metto- olandesi dello Sri Lanka. Campeggia austera e solitaria all’interno del secondo Forte della città con l’ingresso principale chiuso con un lucchetto. Accanto, gremito di gente e con la porta spalancata, c’è il centro per la detenzione di minori dove madri e padri attendono notizie sulla sorte dei loro figli arrestati per piccoli furti. L’edificio è stato dipinto dello stesso color giallo paglierino della vecchia chiesa adiacente. Passeggiando tra decine di negozietti improvvisati sul marciapiede, che vendono di tutto, dalle infradito di plastica a coltelli di tutte le taglie, si arriva sul lungomare. Proprio su una roccia, che poi è un piccolo isolotto una trentina di metri a largo, i monaci hanno costruito, dieci anni fa, un monastero. Si attraversa un ponte pedonale sospeso, che trema non poco, e poi si salgono numerosi scalini prima di giungere al cuore dell’edificio dove si trova una grande statua di Budda. Ai quattro angoli dell’edificio vi sono poi statue di divinità hindu, in Venne fondato negli anni Cinquanta perché c’era bisogno di un luogo di cura e sostegno per persone gravemente disabili Non di internamento no a servizio del prossimo, il Papa li ringraziò per «un rispetto e una dedizione che umanizzano il nostro mondo tormentato e dilaniato». Sono passati oltre trent’anni da quell’incontro, 150 dalla nascita del più grande organismo umanitario del pianeta e le parole di Wojtyła sono ancora valide. Croce rossa e Mezza luna rossa, presenti in tutti i continenti, assistono oggi milioni di persone e intervengono nei contesti critici più disparati: dagli scenari di guerra ai campi profughi, dai Paesi colpiti da calamità naturali a quelli martoriati da fame e malattia. E, al contempo, con un impagabile lavoro quotidiano, alleviano le piaghe nascoste della società del benessere. Dispiace quindi in modo particolare apprendere quanto sta accadendo in Italia dove la Croce rossa nazionale, protagonista da quasi un secolo e mezzo di azioni e piani umanitari encomiabili, sta attraversando una crisi di natura economica che in alcuni contesti rischia di minare l’incisività della sua opera. Non è il caso di addentrarsi qui in complesse questioni giuridiche e di bilancio, ma va ribadito che a rimetterci sono come sempre i più indifesi, persone e famiglie che nella Croce rossa e nei suoi volontari hanno trovato un’ancora di salvezza, la garanzia di una vita dignitosa, la promessa di un futuro protetto. Significativa è la vicenda del Centro di educazione motoria (Cem) di Roma, dove i dipendenti sono ancora della Croce rossa, mentre la gestione dei servizi è passata all’azienda sanitaria regionale. Si tratta di un complesso di strutture — centro di eccellenza per decenni — in cui vivono oltre quaranta persone con gravi disabilità e circa quindici trascorrono la giornata. Persone che vanno avvicinate e aiutate da mani esperte, con accortezze particolari e con quel rispetto e quella dedizione di cui parlò a Ginevra Giovanni Paolo II. Persone che oggi, a causa dei numerosi licenziamenti che hanno colpito i loro operatori di una vita, vengono esposte a disagi e incuria. Emanuela, da sempre in carrozzina, ha 32 anni e non parla. Sorride molto, ama la musica e le carezze, ma, chissà perché, odia bere. Se chi le sta accanto non ha tempo calmo da dedicarle, l’esperienza necessaria e soprattutto la sua fiducia, può rifiutarsi di bere per intere giornate. Ed è quanto sta accadendo. Come lei ogni ospite del Cem vive in questo frangente un aggravio di sofferenza che si ripercuote sulla sua famiglia e carica il futuro di ulteriori penose incertezze. Per Barbara, 40 anni, il Cem è una seconda casa e sua madre Maria pensava con serenità al suo futuro là, anche un domani, in sua assenza. La crisi del centro per molte famiglie ripropone la difficile questione del “dopo di noi” e, immancabilmente, apre una voragine di solitudine e smarrimento. E quest’anno per la prima volta non si è potuta organizzare neanche la messa di Natale, da tutti tanto attesa. «I nostri ragazzi — scrivono in una nota i genitori — sono vittime di un’economia che li fa scomparire, di un diritto che premia il capriccio del più forte». Un paradosso se si pensa allo spirito che ha dato vita al Cem negli anni Cinquanta. Si voleva un posto che fosse centro di cura e di sostegno, non di internamento. Un posto dove relazioni interpersonali autentiche rappresentassero un valore aggiunto. Un posto come tanti altri creati in Italia e nel mondo dalla Croce rossa, di cui oggi più che mai c’è un disperato bisogno. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 10 gennaio 2015 pagina 5 Era un uomo singolare di grande e sottile intelligenza Il cardinale Lustiger lo definì il meno conformista e il più tradizionale fra gli studiosi cattolici contemporanei Le memorie di Louis Bouyer Parresia di un teologo scomodo di PAOLO VIAN veva un genio particolare per i titoli Louis Bouyer (1913-2004), pastore protestante divenuto cattolico nel 1939 e sacerdote (1944), in quella congregazione dell’Oratorio introdotta in Francia da Pierre de Bérulle e restaurata da Alphonse Gratry. Un gusto evidente nelle sue opere teologiche più celebri, le due trilogie dogmatiche, quella “economica”, sul disegno di salvezza, dalla creazione alla redenzione (Le Trône de la Sagesse, 1957; L’Église de Dieu, 1970; Cosmos, 1982) e quella più propriamente teologica, sulle tre persone della Trinità (Le Fils éternel, 1974; Le Père invisible, 1976; Le Consolateur, 1980), ma anche nelle opere letterarie pubblicate con gli pseudonimi di Jean Thovenot, Guy Chardin, Louis Lambert e Prospero Catella (Alceste, 1941; Les Eaux-belles, 1959; Prélude à l’Apocalypse ou les derniers chevaliers de l’Apocalypse, 1985; Les Hespérides, 1985). Semplice, quasi spoglio è invece il titolo delle sue memorie redatte negli anni Ottanta del secolo scorso e ora pubblicate e puntualmente annotate dal suo exécuteur littéraire Jean Duchesne (Louis Bouyer, Mémoires, postface et notes de Jean Duchesne, Paris, Les Éditions du Seuil, 2014, pagine 330). Ma il contenuto è fra i più avvincenti, davvero quasi un romanzo. Pendent opera interrupta, Laqueus contritus est..., ... Et nos liberati sumus, Finita jam sum proelia. I quattordici capitoli accompagnano il lettore lungo la vita di Bouyer, dall’infanzia felice alla formazione alla Sorbona e nelle facoltà teologiche A protestanti di Parigi e Strasburgo, al ministero in una parrocchia luterana parigina della rive gauche — il ministero fu sempre per lui una necessaria verifica e applicazione della ricerca teologica, per evitare di evaporare nell’astrazione — sino all’approdo nella Chiesa cattolica. La scelta di divenire prete nella singolare congregazione voluta da quel paradossale santo che fu Filippo Neri — semplici preti che vivono in comune, a metà strada fra vita canonicale e vita religiosa — fu certo favorita dalla lunga consuetudine di Bouyer con i Padri della Chiesa e con John Henry Newman ma, più in profondità, fu una trasparente opzio- ne per la tradizione ecclesiale tout court, quella della bimillenaria Grande Chiesa, senza asfittici particolarismi di scuole e Ordini. A questa scelta Bouyer rimase sempre fedele contribuendo come pochi al ressourcement, il ritorno alle fonti della Bibbia, dei Padri, della liturgia. Docente (sino al 1963) di storia della spiritualità all’Institut Catholique di Parigi, coltivò in modo particolare i rapporti col mondo anglofono (anglicano, protestante e cattolico), fra Inghilterra e Stati Uniti (ove fu molto legato all’università di Notre Dame, nell’Indiana, e negli ultimi anni a San Francisco). Ma fu sensibile anche alla voce dell’orto- Coraggio intellettuale Bouyer — sul quale, nel decimo anniversario della morte, l’Institut Catholique di Parigi e il Collège des Bernardins hanno organizzato un convegno internazionale nello scorso ottobre, mentre «Gregorianum» dedica oltre la metà dell’ultimo fascicolo (95, 2014, pp. 675-799) — conobbe e incontrò ripetutamente Joseph Ratzinger, del quale fu collega nei primi due quinquennati (1969-1974, 1974-1979) della Commissione Teologica Internazionale. Nei suoi ricordi, scritti negli anni Ottanta, dunque ben prima del 2005, compare anche il teologo bavarese: Paolo VI «ci domandò di riflettere su alcuni temi di attualità, come il ministero sacerdotale o il pluralismo teologico nella Chiesa. Noi producemmo in proposito diversi compendi delle più serie ricerche contemporanee. La chiarezza di visione, la larghissima informazione, il coraggio intellettuale e nello stesso tempo il giudizio penetrante di Joseph Ratzinger si distinsero in modo particolare (...) come il suo humour pieno di gentilezza, ma non facile da ingannare. Seduto durante le riunioni spesso fra lui e Hans Urs von Balthasar, confesso che i nostri personali commenti mi aiutarono molto a sostenere i discorsi intemperanti di alcuni nostri colleghi e le sottili dispute di altri». (paolo vian) dossia, inizialmente incontrata nella e dallo sconforto. Tutti coloro che vivace emigrazione russa a Parigi e hanno avuto una parte nella ricerca in Francia (l’Institut Saint-Serge, teologica, ecumenica, spirituale del Sergej Bulgakov, Vladimir Lossky; secolo scorso compaiono, con ritratti ma poi anche Louis/Lev Gillet, il più o meno brevi, notazioni e pen«monaco della Chiesa d’Oriente», e nellate sempre efficaci e incisive: dai i circoli di Meudon), spendendosi benedettini Lambert Beauduin e generosamente nell’educazione, nella Bernard Botte ai gesuiti Léonce de cura pastorale, nell’insegnamento, Grandmaison, Jules Lebreton e Yves anche itinerante, e in un’eccezional- de Montcheuil, ai domenicani Chrimente prolifica e poliedrica attività stophe-Jean Dumont — per quasi di scrittura che lo condusse a sten- mezzo secolo direttore del centro dere saggi teologici e romanzi, ma anche a rivisitare figure a lui congeniali — Nonostante fosse scettico sull’utilità da san Filippo a Newman, da Tommaso Moro a Eradelle commissioni smo da Rotterdam — scrifu chiamato a partecipare vendo di icone e di figure mistiche femminili, del rapalla commissione preparatoria porto fra architettura e liper gli studi del Vaticano II turgia e del senso della vita sacerdotale e monastica. Lui, così inguaribilmente scettico sui frutti dei lavori delle commissioni, fu chiamato a partecipare al Vaticano II nella commissione preparatoria per gli studi e poi all’applicazione della riforma liturgica. Membro (1969, 1974) della Commissione Teologica Internazionale, tra i fondatori della rivista Communio (1972), fece anche parte (1979) della commissione mista per il dialogo teologico fra cattolici e ortodossi. Conservando sempre, nei diversi incarichi, un’autonomia di valutazioni che lo rese talvolta un personaggio scomodo ma che ha radice nella parrèsia neotestamentaria. Nelle sue pagine colpiscono la libertà e la lucidità dei giudizi — talvolta taglienti — la mancanza di falsi riguardi, il ripudio di reticenze ed eufemismi, ma anche l’humour che le pervade preservandole dall’amarezza ecumenico Istina, fondato dal suo Ordine per promuovere gli studi russi e gli incontri col mondo slavo — Pie Duployé e Aimon-Marie Roguet e al Centre de pastorale liturgique, sino ai più noti nouveaux théologiens poi divenuti figure di spicco della Chiesa post-conciliare (Congar, Daniélou, de Lubac, ma anche von Balthasar e Ratzinger, mentre mai viene ricordato Chenu). Un viaggio dunque nel Novecento teologico e conciliare — e nel genus irritabile dei teologi — nei movimenti biblico, ecumenico e liturgico che lo hanno attraversato e fecondato, ma anche nella letteratura alla quale Bouyer si mostrò sempre attentissimo (da Péguy a Huysmans, da Eliot a Tolkien, da Green a Goudge). Al termine del volume si comprende meglio quest’uomo singolare, a tratti forse difficile, di grande e sottile intelligenza, «il meno conformista e il più tradizionale» dei teologi cattolici contemporanei, come un giorno ebbe a definirlo il cardinale Jean-Marie Lustiger. E la cifra della sua vita appare in ultima analisi e semplicemente nella fedeltà alla tradizione della Chiesa e, al tempo stesso, nella sua apertura veramente cattolica ed ecumenica, capace di cogliere e sintetizzare il meglio da mondi e culture diverse e lontane, dal protestantesimo tedesco e anglofono all’ortodossia. E poi nel coraggio e nell’aperta militanza che gli fecero assumere spesso posizioni minoritarie e controcorrente. Ma — nuovamente la paradossale coincidenza degli opposti che caratterizza già san Filippo — coltivando sempre un desiderio di vita nascosta, un anelito alla vocazione monastica mai vissuta sino in fondo ma continuamente amata e desiderata; avrebbe voluto chiudere gli occhi nell’abbazia normanna di Saint-Wandrille ma le condizioni di salute lo costrinsero nel 1998 a trasferirsi nella casa parigina delle Piccole suore dei poveri, ove morì. È la confessione delle ultime frasi dei Mémoires, quando Bouyer ricorda la cura con cui ha evitato le cariche, un genere di vita per il quale non si sentiva tagliato. Rimanendo così libero di comporre l’opera «buona o mediocre, di cui ero capace», comunque felice in quella vie privée di cui Jean La Fontaine — dal 1641 per diciotto mesi novizio dell’Oratorio — scriveva: «Per vivere felici, viviamo nascosti». Ove la saggezza della massima epicurea del lathe biòsas viene assunta e trasfigurata dall’ammonimento evangelico di Matteo, 6, 6. Per una storia della tutela delle opere d’arte Venerdì 9 gennaio, presso l’Accademia dei Lincei, il direttore dei Musei Vaticani ha tenuto un intervento nell’ambito della conferenza sul tema «La Tutela del patrimonio culturale in Italia, storia e prospettive». Ne pubblichiamo uno stralcio. di ANTONIO PAOLUCCI È un Paese, l’Italia, che ha conosciuto relativamente tardi l’unità politica e quindi la centralizzazione della sua amministrazione. È un Paese che non ha sperimentato o ha sperimentato solo marginalmente le dispersioni e le distruzioni del patrimonio, soprattutto ecclesiastico, provocate dalle grandi rivoluzioni della modernità e che ha mantenuto più a lungo che altrove in Europa assetti sociali e forme culturali tradizionaliste. Questo spiega perché, sotto il cielo d’Italia, il patrimonio storico e culturale si sia conservato più e meglio che altrove e perché abbia le caratteristiche di varietà, pluralità, diffusione che lo fa unico e invidiato nel mondo. Una cosa va affermata con forza. Sono stati gli italiani a inventare il concetto stesso di tutela, a dare a esso forma giuridica, a istituire le prime normative. Potremmo partire da quel 1162 quando una deliberazione del Senato capitolino ordina la conservazione in aeternum della Colonna Traiana perché essa è «onore del popolo romano». Potremmo ricordare la politica dei Papi del Rinascimento che si considerano legittimi eredi e quindi i provvidenziali custodi delle testimonianze dell’antichità classica, secondo un concetto di continuità storica che saldava l’imperium di Augusto e di Traiano all’imperium sine fine della Chiesa romano-cattolica. Nel 1483 Sisto IV consegna al popolo romano perché li custodisca nel suo museo i signa imperii, le opere d’arte emblematiche della storia di Roma: la lupa, lo Spinario, l’Ercole dorato, la te- Prima dell’Italia sta colossale di Costantino. È l’atto di nascita dei Musei che oggi chiamiamo Capitolini ed è il primo atto politico fondativo di museo pubblico nel mondo. Ed è ancora Sisto IV della Rovere ad affermare per la prima volta — con un atto sovrano — il concetto che la potestà prescrittiva e normativa sui beni culturali deve essere affidata alla competenza tecnica. Questo accade quando il Papa offre a Bartolomeo Sacchi detto il Platina, illustre filologo e bibliofilo, la direzione della Biblioteca Apostolica. Non diversamente si comporterà Leone X Medici quando, in un breve del 1515, nomina Raffaello praefectus marmorum et lapidorum, in pratica soprintendente alle antichità di Roma. Il massimo della qualità professionale e della competenza tecnica per il meglio dei tesori superstiti della storia romana. La normativa tutelare pontificia produrrà infine nel 1820, regnando Pio VII Chiaramonti, l’editto del cardinale camerlengo Bartolomeo Pacca, una legge che è l’atto germinale della futura legislazione italiana e nella quale si afferma il principio (ancora oggi asse portante della moderna cultura della tutela) del diritto dello Stato alla conoscenza e alla conservazione del patrimonio ovunque distribuito e comunque posseduto. Anche negli altri Stati preunitari molto forte è stata l’attenzione alla tutela del patrimonio. Così a Firenze dove l’Accademia delle Arti del Disegno svolge il ruolo di Soprintendenza Regionale e proibisce l’esportazione dei pittori che Giorgio Vasari chiamava «i maestri dei maestri». Così a Venezia dove il Consiglio dei Dieci incarica lo sto- rico dell’arte Antonio Maria Zanetti (siamo negli ultimi anni della Repubblica) di censire le opere d’arte custodite negli enti ecclesiastici e nelle dimore private. È la prima forma istituzionale del catalogo pubblico del patrimonio. Dopo il periodo di dispersione del patrimonio provocato dalle demanializzazioni unitarie per arrivare alla prima legge nazionale di tutela bisogna attendere la Rava-Rosadi del 1909, che fa da apripista alla 1089 di Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale dal 1936 al 1943. Dobbiamo a Bottai l’ordinamento del sistema delle «Spinario» (particolare, III-I Soprintendenze, l’istituzione dell’Ufficio Centrale del Catalogo e dell’Ufficio Centrale del Restauro. Suoi consulenti sono Giulio Carlo Argan, Roberto Longhi, Cesare Brandi. Fondamentale è dunque il ruolo degli storici dell’arte. La Bottai 1089 del 1939 è un capolavoro di sapienza giuridica, ma è pensata per l’Italia del 1939, un Paese povero e statico, fortemente centralizzato, un Paese di notabili, con una modesta classe borghese e vaste masse rurali. Si capisce come quella legge, che è ancora vigente, risultasse di fatto inadeguata davanti alle mutazioni economiche, sociali, politiche che hanno attraversato l’Italia dal dopoguerra in poi. La Costituzione repubblicana del 1948 ha portato al famoso articolo 9 «la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Quando i costi- secolo prima dell’era cristiana, Roma, Musei Capitolini) tuenti hanno licenziato l’articolo avevano un’idea centralistica della pubblica amministrazione. Valeva ancora, per loro, l’ordinamento che sta dietro la Legge Bottai. Solo in tempi recenti le regioni e gli enti locali hanno assunto le autonomie e hanno rivendicato le potestà di cui oggi dispongono. Ed ecco, nel 2001, la riforma del titolo V. Lo Stato non è più soltanto l’amministrazione centrale ma è anche le Regioni le quali hanno preteso spazi e competenze nel settore dei Beni culturali. Si è arrivati così al regime di legislazione concorren- La normativa pontificia produce nel 1820 con Pio VII l’editto del camerlengo Bartolomeo Pacca Atto germinale della futura legislazione italiana te che il Codice Urbani del 2004 teorizza e norma e che può essere stretto nella formula «la tutela allo Stato, la valorizzazione alle Regioni». Il fatto è che tutela e valorizzazione fanno un binomio che può facilmente trasformarsi in un ossimoro, in una contraddizione in termini. E infatti quante devastazioni si sono fatte in nome della valorizzazione. Quello che l’Italia moderna non è riuscita a salvare è stato il paesaggio. Di fronte alla travolgente mutazione che ha attraversato il nostro Paese, di fronte alle grandiose migrazioni interne, a una edilizia travolgente e incontrollata che ha consumato un’enorme quantità di terreno agricolo, le leggi vigenti sono diventate strumenti inefficaci. Il risultato è che l’Italia ha ancora le opere d’arte nei musei, ha ancora più o meno conservati i centri storici medioevali e rinascimentali, ma non ha più o quasi più, il paesaggio. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 sabato 10 gennaio 2015 Sussidio dell’episcopato di Inghilterra e Galles Idee per il sinodo sulla famiglia Al «Sicomoro» di Como un’originale esperienza di pastorale vocazionale Con un prete e una coppia di sposi di MICHELE GIANOLA Il Catechismo della Chiesa cattolica insegna che l’ordine e il matrimonio sono sacramenti che «se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri». Come dire che chi diventa prete e chi si sposa realizza la propria vocazione, trova pienezza di vita, gode i frutti della grazia soltanto impiegandosi nell’opera per la quale ha ricevuto il sacramento, la sua identità e la sua missione: far crescere ed edificare il popolo di Dio. La sinergia tra il prete e la coppia di sposi presente al “Sicomoro” offre a quest’opera, dedita a coltivare i germi di vocazioni presenti nei giovani e negli adolescenti, un terreno ancora più fertile: il clima familiare e fraterno che si crea all’interno della comunità, le relazioni di amicizia e di scambio fecondo costruite all’interno dell’équipe, lo sguardo educativo reso ancor più completo dalla presenza femminile, la maggiore sintonia indotta nelle famiglie dei ragazzi dalla presenza di due sposi sono soltanto alcuni dei pregi e delle potenzialità di questa scelta. Le coppie vengono individuate — al momento senza particolari difficoltà — a partire dal confronto con il presbiterio locale, attraverso alcuni incontri previ da parte del responsabile del progetto e scelti con nomina ufficiale del vescovo che affida all’intera équipe la formazione dei seminaristi. Sono uomini e donne credenti, di qualche anno più adulti dei genitori dei ragazzi non solo per evitare una qualsivoglia forma di identificazione, peraltro mai avvenuta, ma anche per godere della sapienza pratica di chi vive una stagione della vita nella quale ha già saputo far crescere. Tra questi qualcuno lavora, altri sono in pensione, tutti hanno figli già grandi che hanno compiuto le loro scelte di vita (nel matrimonio e nel presbiterato) o che ancora vivono in casa e sono coinvolti nella decisione dei loro genitori di dedicare un tempo cospicuo alla crescita di altri “fratelli” più giovani. Grazie alla presenza della coppia, la relazione con le famiglie dei ragazzi percorre anche canali informali: abitando tutti lo stesso territorio è normale scambiare quattro chiacchiere “tra genitori” quando ci si incontra per strada o al supermercato e far crescere quelle fondamentali relazioni di autentica collaborazione. Meno che in altre zone d’Italia ma anche sulle terrazze delle pendici retiche della Valtellina crescono viti che danno un ottimo prodotto e ogni viticoltore o appassionato del frutto della vigna sa bene che uno stesso vitigno può portare a vini differenti in relazione al luogo e alle modalità in cui viene coltivato. Anche il “Sicomoro” è così e, sebbene abbia una struttura propria, un progetto e un’identità comune, cresce e matura a partire dal contesto nel quale viene seminato. Iniziare una nuova comunità è un’operazione corale che interessa il presbiterio locale, i consigli pastorali del territorio, le famiglie dei ragazzi interessati al progetto. La proposta non viene quindi percepita come un’iniziativa estrinseca ma è assunta e curata come propria. A inizio anno ciascuna delle équipe calibra — nel confronto costante con l’animatore vocazionale del seminario, responsabile del progetto — il percorso formativo comune secondo le esigenze e le caratteristiche della propria comunità. Durante la settimana i ragazzi sono invitati ad avere un colloquio personale con il sacerdote responsabile per verificare il proprio cammino di fede e discernere il progressivo orientamento vocazionale. A tale discernimento intervengono — in foro esterno — anche la coppia di sposi e il responsabile del progetto che, in ultima istanza, accoglie o decide l’eventuale dimissione dei ragazzi dal percorso formativo. Agli adolescenti che decidono di iniziare il percorso e prima della Proposta innovativa D all’ultimo numero della «Rivista del Clero Italiano» pubblichiamo stralci di un articolo in cui il direttore del servizio per le vocazioni della diocesi di Como presenta l’originale esperienza del «Sicomoro», comunità nella quale, per una settimana al mese, alcuni ragazzi sono accompagnati nel loro cammino di crescita vocazionale: una forma innovativa dell’antico seminario minore. loro accoglienza formale da parte del responsabile del progetto si domanda che l’intenzione sia seria: non è possibile frequentare una settimana in prova ma si chiede che la scelta comporti l’adesione a tutto il cammino annuale. Evidentemente, la libertà di interrompere il cammino in qualsiasi momento è garantita a tutti; in questi anni nessuno ha lasciato l’itinerario durante l’anno, alcuni hanno compreso che il loro orientamento vocazionale si indirizza verso altre prospettive e hanno compiuto altre scelte, qualcuno è stato invitato a interrompere l’esperienza per il venir meno delle condizioni essenziali (il desiderio di conoscere la propria vocazione e l’accoglienza del percorso vocazionale del seminario) per il cammino insieme. Il legame con il territorio consente di accompagnare i ragazzi nel loro cammino di fede anche durante le altre tre settimane in cui la vita trascorre in famiglia. Chi vive al “Sicomoro” sa che in un mese ci sono quattro settimane e anche a casa si può pregare, studiare, mettersi al servizio, stare con gli altri, frequentare le attività della propria parrocchia e trovare un momento di confronto con il “don”. Il colloquio con le famiglie, mantenuto costantemente dalla équipe e in tre incontri annuali con la presenza anche del responsabile del progetto, oltre a offrire a tutti elementi utili per la crescita dei ragazzi, sviluppa piacevoli relazioni di amicizia, di confronto e di condivisione anche tra gli adulti. LONDRA, 9. S’intitola The Call, the Journey and the Mission (“La vocazione, il viaggio, la missione”) il sussidio pubblicato dalla Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles in vista della quattordicesima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi in programma nell’ottobre 2015. Un ulteriore invito — che dunque si affianca al questionario diffuso nelle scorse settimane dalla segretaria generale del sinodo — a riflettere sul dono del matrimonio e della famiglia in un contesto fortemente secolarizzato. L’iniziativa, diffusa nei giorni scorsi nel clima delle festività natalizie, scaturisce dall’esortazione rivolta lo scorso 18 ottobre da Papa Francesco a maturare le proposte e le idee scaturite dal Sinodo straordinario dei vescovi e a trovare soluzioni concrete alle tante difficoltà e sfide che le famiglie devono affrontare oggi, con un «vero discernimento spirituale». I vescovi inglesi e gallesi invitano quindi i fedeli a pregare perché lo Spirito Santo aiuti la Chiesa in questo cammino di discernimento, ma anche a riflettere individualmente e in gruppo su queste sfide e su come rafforzare la famiglia oggi. Il sussidio propone come iniziali spunti di riflessione sette storie esemplari riferite dalla Bibbia: da quella sulla fede di Abramo e Sara nella Genesi, all’Annunciazione raccontata nel Vangelo di Luca, alle Nozze di Cana, all’incontro dei discepoli sulla strada verso Emmaus. Così, dopo avere passato in rassegna gli insegnamenti fondamentali della Chiesa sul matrimonio cristiano quale unione sacramentale di amore fedele e per sempre tra un uomo e una donna, ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e sulla famiglia quale cellula fondamentale della società, il sussidio propone una lista di domande su cui riflettere, prendendo spunto dalle parole del Santo Padre: quali sono le gioie e le speranze delle nostre famiglie oggi? Quali le nostre difficoltà e paure? Quale è la vocazione della famiglia? Come arricchisce ognuno di noi e chi ci circonda? In che modo le nostre famiglie, con la presenza costante di Dio, sono «sale della terra e luce del mondo?». Nel sussidio, infine, viene riproposto anche un brano dell’intervento pronunciato da Papa Francesco il 27 ottobre 2013. Occasione in cui il Pontefice ha invocato la santa famiglia di Nazaret perché ridesti «nella nostra società la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, bene inestimabile e insostituibile» e perché «ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace per i bambini e per gli anziani, per chi è malato e solo, per chi è povero e bisognoso». Il sussidio sulla famiglia si innesta all’interno dell’articolata opera pastorale già messa in campo dall’episcopato di Inghilterra e Galles per il 2015. L’iniziativa più importante si chiama “Proclaim ’15” ed ha l’obiettivo di incoraggiare nuove espressioni di «evangelizzazione segnate dalla gioia», di cui parla Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Il progetto, lanciato nelle scorse settimane dal presidente dell’episcopato, l’arcivescovo di Westminster, cardinale Vincent Gerard Nichols, prende il via proprio in questi giorni ed è destinato nel corso dell’intero anno a coinvolgere tutte le ventidue diocesi cattoliche. Soprattutto, l’iniziativa — una vera e propria campagna nazionale — intende imprimere una svolta nei metodi di evangelizzazione attraverso un’accurata opera di sensibilizzazione rivolta all’intero popolo di Dio — sacerdoti, religiosi e laici — sul valore del “proclamare” la gioia del Vangelo. «Il progetto è volto alla pianificazione e alla realizzazione di una fruttuosa evangelizzazione parrocchiale per aiutare noi tutti a essere migliori discepoli missionari», ha spiegato il cardinale Nichols. “Proclaim ’15” prevede la distribuzione di materiale informativo e di opuscoli formativi alle parrocchie, la realizzazione di eventi a livello locale e l’organizzazione di una Conferenza nazionale sull’evangelizzazione già fissata a Birmingham per l’11 luglio prossimo, alla quale è attesa la partecipazione di oltre 800 rappresentanti delle varie diocesi. L’iniziativa punta a sostenere e incoraggiare nuove espressioni di evangelizzazione parrocchiale, segnate dall’entusiasmo e dalla gioia di condividere i contenuti della fede. Una risposta all’invito che Papa Francesco ha espresso con semplicità sin dalle prime righe dell’Evangelii gaudium: «Desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni». Progetto della Cei in vista del convegno ecclesiale di novembre Caritas Serbia in aiuto degli ortodossi colpiti dalle alluvioni Una casa alla periferia di Firenze Ecumenismo della solidarietà FIRENZE, 9. «Con il progetto della Casa della carità il convegno di Firenze è già iniziato». È quanto ha detto il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), per sottolineare l’importanza attribuita a un’opera di concreta solidarietà nello sviluppo dei lavori del quinto convegno ecclesiale nazionale in programma nel capoluogo toscano dal 9 al 13 novembre prossimi sul tema «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo». La realizzazione di una casa della carità — il cui progetto è stato presentato ieri da monsignor Galantino e dal cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori — sarà appunto il primo passo verso questo importante appuntamento ecclesiale. Si tratta di una realizzazio- ne concreta e permanente in aiuto delle fasce più deboli della popolazione, che nascerà alla periferia di Firenze, a Novoli, il quartiere più popoloso e con la più alta incidenza di anziani, per venire incontro alla carenza di servizi e di housing sociale. Per il segretario generale della Cei, «questo condominio solidale, insieme alla serie dei contributi provenienti da tutta Italia che raccontano esperienze di umanesimo concreto, aiuta a svecchiare l’immagine di convegno e a dare l’esatta percezione di questo importante appuntamento dei cattolici italiani: inventare forme nuove del vivere insieme, ispirate dal Vangelo. Anche la stessa dinamica dell’abitare cambia di segno se c’è di mezzo l’umanità che Gesù Cristo ci ha svelato». Non sarà quindi «un convenire intorno a un tema, ma a una esperienza, mettendoci alla ricerca dei casi in cui questo umanesimo non è riuscito. Mentre quest’opera che nascerà alla periferia fiorentina di Novoli è una risposta: è umanesimo riuscito». La casa della carità ospiterà un centro diurno per anziani, una mensa, 18 mini appartamenti, un centro di accoglienza per emergenze abitative, un asilo e una comunità di suore. Per la Chiesa locale, ha detto il cardinale Betori, questa casa «significa implementare un’attenzione concreta, che già esiste, verso chi vive ai margini della società, a partire dalle persone anziane a cui ridare cittadinanza». ROMA, 9. Circa due milioni e mezzo di euro sono stati stanziati dalla Caritas a favore delle popolazioni dell’area dei Balcani colpite lo scorso anno dalle alluvioni. In Serbia e in Bosnia-Erzegovina le abbondanti piogge hanno provocato la morte di decine di persone, interi villaggi e aree rurali sono stati sommersi dalle acque, migliaia di abitazioni sono risultate inagibili e i trasporti interrotti. Grazie al sostegno dei volontari della Caritas e all’impegno per un ecumenismo della solidarietà le comunità locali hanno saputo reagire. «Da soli non ce l’avremmo fatta», ha raccontato al Sir Zarko Kovacevic, agricoltore di 50 anni che abita a Mrdenovac, provincia di Sabac. La terra e il bestiame hanno sempre assicurato a lui e alla famiglia di che vivere ma, ricorda, l’acqua ha distrutto tutto in soli 15 minuti: «Il fiume ha invaso il cortile e la casa e siamo dovuti fuggire». La famiglia Kovacevic è rimasta ospite di amici per diverse settimane. Poi, all’inizio di ottobre, è iniziata la ricostruzione della casa. «Grazie all’aiuto della Caritas ho avuto il materiale da costruzione — spiega l’agricoltore — e abbiamo ricevuto anche un aiuto dallo Stato ma molto modesto». L’intervento della Caritas ha rappresentato tantissimo, «anche perché — spiega Zarko — è arrivato quando nessun’altra organizzazione avrebbe potuto farlo». L’aiuto della Caritas alle persone colpite dalle alluvioni nella provincia di Sabac ammonta a 400.000 euro, mentre per l’intera Serbia la somma sale a più di due milioni di euro fino a questo momento. Dall’inizio dell’emergenza i volontari sono stati in prima linea distribuendo cibo, vestiti e coperte. Sono stati donati migliaia di kit igienici, pompe di drenaggio, tonnellate di foraggio per animali. «Tra poco — spiega il coordinatore nazionale della Caritas Serbia, Darko Tot — sarà terminato anche il progetto di ricostruzione delle case». Con l’arrivo dell’inverno sono stati distribuiti materiali per il riscaldamento, stufe elettriche, frigoriferi e lavatrici. La situazione ora sembra sotto controllo. «I cattolici nelle zone colpite sono stati pochissimi — chiarisce Tot — per questo il 99 per cento dei destinatari del nostro aiuto sono ortodossi». Un fatto che non è passato inosservato, tant’è che il vescovo ortodosso di Sabac, Lavrentije Trifunovic, ha espresso «grande gratitudine ai fratelli cattolici dai quali possiamo imparare molto nel servizio di carità per il prossimo. Questo esempio di applicazione della fede nella vita ci spinge a imitarli e a non dimenticare i poveri». Secondo l’arcivescovo di Belgrado, monsignor Stanislav Hočevar, «la carità di Cristo ha spinto a non rimanere ciechi e sordi di fronte ai bisogni degli altri e a cercare l’unità nella diversità». L’OSSERVATORE ROMANO sabato 10 gennaio 2015 pagina 7 Incontro in Vaticano a cinque anni dal terremoto che ha devastato il Paese La memoria del disastro di Haiti per rilanciare gli aiuti Il cardinale Ezzati Andrello ai partecipanti alla Misión País È la vita il dono più grande SANTIAGO DEL CILE, 9. «La vita è il dono più grande che abbiamo e il dono più grande di cui dobbiamo prenderci cura. Se non c’è vita, non c’è nessun altro diritto che meriti sostegno». È quanto ha dichiarato il cardinale Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Santiago del Cile, durante la messa di invio missione (Misión País) di 2.500 giovani cattolici celebrata nei giorni scorsi nel santuario nazionale di Maipú. Il porporato, rivolgendosi ai giovani della Pontificia Università Cattolica del Cile, ha ricordato l’annuncio del Governo di voler inviare al Congresso un progetto di depenalizzazione dell’aborto in caso di violenza sessuale e pericolo per la salute della madre e del feto. «Noi — ha detto il cardinale — crediamo e professiamo che la vita è un dono di Dio e che tutti dobbiamo prenderci cura della vita». Durante la messa, l’arcivescovo di Santiago del Cile ha manifestato un’altra preoccupazione della Chiesa che riguarda la riforma scolastica. «Spero, come ho detto sempre, In Perú un ministero a tutela della famiglia LIMA, 9. L’arcivescovo di Lima, cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, ha proposto la creazione di un ministero della famiglia per tutelare le relazioni umane tra genitori e figli, promuovere l’educazione civica e combattere l’individualismo malsano. «Lo schema sociale attuale — ha spiegato il cardinale — prevede che il marito rientri stanchissimo la sera ed esca presto la mattina. E la moglie anche. Dobbiamo fare in modo di favorire l’incontro nella famiglia. Dobbiamo far sì che nel 2015 la famiglia faccia un passo avanti». Il cardinale ha suggerito di dare alle famiglie numerose la possibilità di detrarre le tasse. Inoltre, ha puntato l’attenzione sulla tutela della famiglia. «Dobbiamo vedere come aiutare e proteggere l’arrivo di una nuova vita in famiglia, del nascituro indifeso. «Si potrebbe creare un ministero perché ci sono uomini, donne, bambini e giovani. Ogni volta che c’è un attacco alla famiglia, questa istanza dello Stato potrà dire che si sta maltrattando la famiglia e si stanno limitando i diritti e i doveri della famiglia». Infine, il porporato ha ricordato che «l’individualismo malaticcio va contro la felicità, la pace e la prosperità che tutti cerchiamo. Non c’è benessere possibile su un’isola. Questo individualismo — ha concluso — ha creato molti danni nella politica, nell’economia, nel Governo e tra la gente». che la riforma, che è necessaria e che deve essere un bene per il Paese lo sia veramente e che intervengano soprattutto la coscienza, l’intelligenza, la saggezza pedagogica per fare dell’istruzione un vero percorso di crescita per tutti». Infine, il cardinale ha espresso soddisfazione per i tanti giovani che hanno preso parte alla messa di invio missione. «È molto bello che tanti giovani trascorrano parte del loro tempo gli uni con gli altri. È un segno di ciò che siamo chiamati a costruire: un Paese di grande fraternità, un Paese — ha concluso — fatto di persone molto felici e solidali impegnate ad aiutare coloro che ne hanno bisogno». La Misión País — promossa dalla pastorale della Pontificia Università Cattolica — coinvolgerà numerose città. «Condividiamo la nostra fede — ha spiegato Christopher Maturana, direttore nazionale di Misión País — attraverso laboratori ricreativi, artigianato e giochi tra le comunità. Il tutto è focalizzato sulla trasmissione dei valori cattolici». Si terrà in Vaticano domani, sabato, presso la sala di Palazzo San Pio X, la conferenza dal titolo «La comunione della Chiesa: memoria e speranza per Haiti a cinque anni del terremoto», organizzata dal Pontificio Consiglio “Cor Unum” e dalla Pontificia Commissione per l’America Latina, in collaborazione con i vescovi di Haiti. L’incontro si svolge a seguito di un desiderio di Papa Francesco e ha lo scopo di mantenere viva l’attenzione su un Paese che ancora soffre per le conseguenze di quella catastrofe e di ribadire la vicinanza della Chiesa al popolo haitiano in questa fase di ricostruzione. Sarà soprattutto l’occasione per fare un bilancio degli aiuti destinati ad Haiti, nonché per analizzare i risultati della implementazione dei progetti realizzati dal 2010 a oggi. All’incontro prenderanno parte i rappresentanti della Santa Sede, della Chiesa locale haitiana e di alcune Conferenze episcopali, operatori degli organismi di carità cattolici, congregazioni religiose, e vari rappresentanti diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Alle ore 9, dopo il saluto di benvenuto del cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, e la relazione introduttiva del cardinale Robert Sarah, che, da presidente di “Cor Unum” fino alla fine del 2014, ha curato la gestione dei doni del Santo Padre per la Chiesa locale dell’isola, una prima parte della conferenza sarà dedicata a «Uno sguardo complessivo sul processo di ricostruzione materiale e spirituale». In questa sessione prenderanno la parola il cardinale Chibly Langlois, vescovo di Les Cayes e presidente della Conferenza episcopale di Haiti; monsignor Thomas Gerald Wenski, arcivescovo di Miami; Alberto Piatti, presidente della Fondazione Avsi (Associazione volontari solidarietà internazionale), che gestisce alcune opere di carità sull’isola; infine Eduardo Marques de Almeida, già rappresentante della Banca Inter-Americana dello sviluppo ad Haiti. Alle 11.30 i delegati presenti saranno ricevuti in udienza da Papa Francesco presso il Palazzo Apostolico. Nel pomeriggio sarà dato spazio alle testimonianze di quanti operano nel contesto della ricostruzione: i presenti potranno perciò condividere le esperienze di cooperazione internazionale sorte a seguito del terremoto e avere uno spazio comune di discussione e dibattito riguardo a criteri di azione e priorità per il futuro. Al termine dei lavori monsignor Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, terrà una sintesi conclusiva che metterà in evidenza le problematiche ancora aperte e le prospettive da affrontare nel prossimo futuro. Alle 18.30, nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, presiederà la celebrazione eucaristica a chiusura della giornata. Il terremoto che colpì nel gennaio 2010 l’isola di Haiti, sviluppatosi nelle vicinanze della capitale, Port-au-Prince, devastò gran parte del territorio e causò circa 230 mila morti. Le stime della Croce Rossa Internazionale e delle Nazioni Unite, tuttavia, parlano di quasi 3 milioni di persone effettivamente coinvolte dal sisma. Il terremoto distrusse gran parte delle opere infrastrutturali, migliaia di abitazioni, nonché tutti gli ospedali dell’isola. L’incontro in Vaticano «sarà l’opportunità per fare memoria del di- L’unione fa la forza del Venezuela CARACAS, 9. «Le prossime elezioni parlamentari hanno per il progresso del Paese un valore straordinario, perché dall’Assemblea nazionale possono avere impulso i cambiamenti che il Venezuela richiede per ripristinare il dialogo, l’ordine e la pace. A nome della Non solo formazione condo il National Assessment of Educational Progress, gli studenti latini e afroamericani che frequentano le scuole cattoliche hanno più probabilità di diplomarsi nella scuola superiore e all’università. Attualmente, sono circa 2,1 milioni gli studenti educati nelle quasi 6.600 scuole cattoliche nelle grandi e piccole città e comunità rurali di tutto il Paese. Gli studenti ricevono una formazione che li prepara ad affrontare le sfide dell’istruzione superiore e di un ambiente di lavoro estremamente competitivo. Della buona qualità e della valida offerta formativa degli istituti cattolici negli Stati Uniti è convinto anche monsignor Daniel Ernest Flores, vescovo di Brownsville e presidente da realizzare. Quelli in corso riguardano settanta chiese, cappelle o scuole ricostruite e altri edifici che ospitano attività di servizio gestite dalla comunità cattolica. I settanta progetti in esecuzione hanno richiesto una spesa di 58 milioni di dollari (di cui solo 32 erano precedentemente disponibili), secondo quanto affermato da Stephan Destin, l’ingegnere responsabile dell’Unità operativa per la costruzione. Sarebbero invece ancora da avviare tutti i progetti di ricostruzione degli edifici pubblici distrutti dal sisma. Dai presuli nuovo invito al dialogo per il bene del Paese A fine gennaio la settimana nazionale delle scuole cattoliche negli Stati Uniti WASHINGTON, 9. Si svolgerà dal 25 al 31 gennaio prossimo in tutte le diocesi degli Stati Uniti, con lo slogan «Le scuole cattoliche: comunità di fede, conoscenza e servizi», la settimana nazionale delle scuole cattoliche 2015. L’iniziativa è promossa dalla Conferenza episcopale. «Le scuole cattoliche — spiega l’arcivescovo di Omaha, George Joseph Lucas, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica — rappresentano un aspetto vitale della missione della Chiesa di predicare il Vangelo e quindi anche un aspetto importante della nostra missione di insegnare». In numerose occasioni, e in particolare durante l’assemblea generale dello scorso autunno, i vescovi statunitensi hanno ribadito che «le scuole cattoliche offrono una formazione alla fede continua, vocazioni alla vita religiosa e al sacerdozio, un elevato livello di istruzione e collaborano con le comunità latine e con quelle sottorappresentate, come parte della missione della Chiesa». Sempre in quell’occasione, monsignor Lucas sottolineò che «le scuole cattoliche operano come vere e proprie comunità», piuttosto che come mere istituzioni burocratiche, e i risultati si traducono con i più alti livelli di preparazione e di coinvolgimento nella vita scolastica fatti registrare in tutto il Paese. Il 99 per cento degli studenti che frequentano le scuole cattoliche concludono il loro percorso con successo, l’87 per cento dei diplomati delle scuole cattoliche continua i suoi studi universitari e, se- sastro», che causò, oltre a un gran numero di morti, «300.000 feriti e 1.200.000 senza tetto», ha spiegato all’agenzia Fides il presidente della Conferenza episcopale di Haiti, cardinale Chibly Langlois, vescovo di Les Cayes, che guiderà una delegazione di dodici persone, partita nei giorni scorsi dalla capitale Port-au-Prince per partecipare all’evento. Il cardinale Langlois ha ricordato che un buon numero di piani postterremoto è già stato completato e che attualmente la Chiesa cattolica ha ancora circa duecento progetti della Commissione sulla diversità culturale nella Chiesa, che di recente ha dichiarato che per molti fedeli ispanici, le scuole religiose sono «costose, quindi non accessibili, ecco perché in molte comunità cattoliche con un grande numero di questi fedeli non ci sono studenti o dirigenti ispanici delle scuole cattoliche, e neanche si informano al riguardo». Ma questa mentalità sta cambiando: la percentuale di bambini ispanici iscritti nelle scuole cattoliche degli Stati Uniti è cresciuta dal 12,8 per cento al 15 per cento negli ultimi quattro anni. «L’ago si muove nella giusta direzione — ha proseguito monsignor Flores — anche se lo fa lentamente». Conferenza episcopale, propongo nuovamente il dialogo tra il Governo e gli altri settori del Paese come unica via per trovare soluzioni concordate». Si è concluso con queste parole il saluto dell’arcivescovo presidente, Diego Rafael Padrón Sánchez, all’assemblea plenaria dell’episcopato venezuelano apertasi mercoledì scorso a Caracas. «La politica di esclusione e di reciproco disconoscimento fra i vari settori fa diminuire la capacità di trovare le strade per una soluzione. Il radicalismo acuisce la crisi», sottolinea il presule, mentre «il dialogo, se risponde a una natura e una metodologia efficaci, è la via che prevede cambiamenti e accordi in meglio per tutti. L’Assemblea nazionale dovrebbe essere la prima istanza di dialogo nel Paese». Secondo l’arcivescovo di Cumaná, la popolazione è consapevole del fatto che il Venezuela sta attraversando una crisi di grandi proporzioni, «i cui livelli superano qualsiasi crisi precedente e che tocca profondamente tutti gli aspetti della vita nazionale. Ogni giorno il cittadino sente sempre di più la crisi sulla propria pelle. Una crisi di carattere etico-politico ed economico-sociale». Il punto di partenza di questa crisi è, da una parte, «la perdita dei valori morali» e, dall’altra, lo stesso sistema politico: «È ormai un luogo comune dire che in Venezuela si è perso il rispetto fra le persone e il rispetto per le istituzioni», così come il rispetto dei principi di legalità e moralità «che sono alla base del quadro giuridico, legale e costituzionale». Il presidente della Conferenza episcopale afferma che esiste una forte «divisione ideologica e sociale tra i diversi settori del Paese, cosa che predispone gli animi alla violenza e all’aggressività». Alla base degli episodi di violenza, c’è anche «la vergognosa povertà» nella quale il Paese è stato condotto, mentre tra gli altri mali spicca «la corruzione a vari livelli». Il clima politico-sociale è pesante, secondo l’episcopato del Venezuela, il panorama nazionale «oscuro». A questo contribuisce «l’incertezza o la negligenza dei poteri pubblici nel risolvere la cri- si morale, l’inefficienza dei servizi di base richiesti da tutti i cittadini, l’alto costo della vita, la crisi del sistema sanitario pubblico, le carenze in tutti i settori, la mancanza di lavoro dignitoso e giusto, la crisi economica che paralizza la nazione, l’insicurezza sociale e giuridica». Ma anche gli ostacoli che trovano le manifestazioni pacifiche a tema politico e sindacale. Davanti alla portata dei problemi, i partiti dovrebbero riuscire «a offrire un progetto alternativo di democrazia efficiente. La crisi dei partiti è più affettiva che ideologica» e «ostacola la visione del bene comune e la realizzazione di un progetto al quale possono partecipare tutti i settori, senza eccezioni». La questione è così complessa che richiede, per essere risolta, il concorso di tutti gli ambiti del Paese. «Qui sta la nostra forza. La fuerza es la unión», ha concluso Padrón Sánchez, citando le parole dell’inno nazionale del Venezuela. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 sabato 10 gennaio 2015 Preparativi a Colombo per l’arrivo del Papa Messa a Santa Marta Cuori induriti Un cuore indurito non riesce a comprendere neanche i miracoli più grandi. Ma «come un cuore si indurisce?». Se lo è chiesto Papa Francesco durante la messa celebrata venerdì 9 gennaio a Santa Marta. I discepoli, si legge nel brano liturgico del Vangelo di Marco (6, 45-52), «non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito». Eppure, ha spiegato Francesco, «erano gli apostoli, i più intimi di Gesù. Ma non capivano». E pur avendo assistito al miracolo, pur avendo «visto che quella gente — più di cinquemila — aveva mangiato con cinque pani» non avevano compreso. «Perché? Perché il loro cuore era indurito». Tante volte Gesù «parla della durezza del cuore nel Vangelo», rimprovera il «popolo dalla cervice dura», piange su Gerusalemme «che non ha capito chi sia lui». Il Signore si confronta Roy de Maistre, «Cena a Emmaus» con questa durezza: «Tanto lavoro ha Gesù — ha sottolineato il Papa — per rendere questo cuore più docile, per renderlo senza durezze, per renderlo amorevole». Un «lavoro» che continua dopo la risurrezione, con i discepoli di Emmaus e tanti altri. «Ma — si è domandato il Pontefice — come un cuore si indurisce? Come è possibile che questa gente, che era con Gesù sempre, tutti i giorni, che lo sentiva, lo vedeva... e il loro cuore era indurito. Ma come un cuore può divenire così?». E ha raccontato: «Ieri ho chiesto al mio segretario: Dimmi, come si indurisce un cuore? Lui mi ha aiutato a pensare un po’ a questa cosa». Da qui l’indicazione di una serie di circostanze con le quali ciascuno può confrontare la propria esperienza personale. Innanzitutto, ha detto Francesco, il cuore «si indurisce per esperienze dolorose, per esperienze dure». È la situazione di quanti «hanno vissuto un’esperienza molto dolorosa e non vogliono entrare in un’altra avventura». È proprio quello che è successo dopo la risurrezione ai discepoli di Emmaus, dei quali il Pontefice ha immaginato le considerazioni: «“C’è troppo, troppo chiasso, ma andiamocene un po’ lontano, perché...” —Perché, che? — “Eh, noi speravamo che questo fosse il Messia, non c’è stato, io non voglio illudermi un’altra volta, non voglio farmi illusioni!”». Ecco il cuore indurito da una «esperienza di dolore». Lo stesso capita a Tommaso: «No, no, io non ci credo. Se non metto il dito lì, non ci credo!». Il cuore dei discepoli era duro «perché avevano sofferto». E al riguardo Francesco ha ricordato un detto popolare argentino: «Se una persona viene bruciata dal latte, quando vede la mucca piange». Ossia, ha spiegato, «è quell’esperienza dolorosa che ci trattiene dall’aprire il cuore». Un altro motivo che indurisce il cuore è poi «la chiusura in se stesso: fare un mondo in se stesso». Accade quando l’uomo è «chiuso in se stesso, nella sua comunità o nella sua parrocchia». Si tratta di una chiusura che «può girare intorno a tante cose»: all’«orgoglio, alla sufficienza, al pensare che io sono meglio degli altri» o anche «alla vanità». Ha precisato il Papa: «Ci sono l’uomo e la donna “specchio”, che sono chiusi in se stessi per guardare se stessi, continuamente»: si potrebbero definire «narcisisti religiosi». Questi «hanno il cuore duro, perché sono chiusi, non sono aperti. E cercano di difendersi con questi muri che fanno intorno a sé». C’è inoltre un ulteriore motivo che indurisce il cuore: l’insicurezza. È ciò che sperimenta colui che pensa: «Io non mi sento sicuro e cerco dove aggrapparmi per essere sicuro». Questo atteggiamento è tipico della gente «che è tanto attaccata alla lettera della legge». Accadeva, ha spiegato il Pontefice, «con i Farisei, con i Sadducei, con i dottori della legge del tempo di Gesù». I quali obiettavano: «Ma la legge dice questo, ma dice questo fino a qui...», e così «facevano un altro comandamento»; alla fine, «poverini, si addossavano 300-400 comandamenti e si sentivano sicuri». In realtà, ha fatto notare Francesco, tutti questi «sono persone sicure, ma come è sicuro un uomo o una donna nella cella di un carcere dietro la grata: è una sicurezza senza libertà». Mentre è proprio la libertà ciò che «è venuto a portarci Gesù». San Paolo, ad esempio, rimprovera Giacomo e an(1958) che Pietro «perché non accettano la libertà che Gesù ci ha portato». Ecco allora la risposta alla domanda iniziale: «Come un cuore si indurisce?». Il cuore infatti, «quando si indurisce, non è libero e se non è libero è perché non ama». Un concetto espresso dalla prima lettura della liturgia del giorno (1 Giovanni, 4, 11-18), dove l’apostolo parla dell’«amore perfetto» che «scaccia il timore». Infatti «nell’amore non c’è timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore. Non è libero. Sempre ha il timore che succeda qualcosa di doloroso, di triste», che ci faccia «andare male nella vita o rischiare la salvezza eterna». In realtà, sono solo «immaginazioni», perché semplicemente quel cuore «non ama». Il cuore dei discepoli, ha spiegato il Papa, «era indurito perché ancora non avevano imparato ad amare». Ci si può allora chiedere: «Chi ci insegna ad amare? Chi ci libera da questa durezza?» Può farlo «soltanto lo Spirito Santo», ha chiarito Francesco precisando: «Tu puoi fare mille corsi di catechesi, mille corsi di spiritualità, mille corsi di yoga, zen e tutte queste cose. Ma tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio». Solo lo Spirito Santo «muove il tuo cuore per dire “padre”»; solo lui «è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore» e di renderlo «docile al Signore. Docile alla libertà dell’amore». Non a caso il cuore dei discepoli è rimasto «indurito fino al giorno dell’Ascensione», quando hanno detto al Signore: «Adesso si farà la rivoluzione e viene il regno!». In realtà «non capivano niente». E «soltanto quando è venuto lo Spirito Santo, le cose sono cambiate». Perciò, ha concluso il Pontefice «chiediamo al Signore la grazia di avere un cuore docile: che lui ci salvi dalla schiavitù del cuore indurito» e «ci porti avanti in quella bella libertà dell’amore perfetto, la libertà dei figli di Dio, quella che soltanto può dare lo Spirito Santo». di MALCOLM RANJITH* In Asia, e specialmente nello Sri Lanka, ringraziamo Dio per il duplice dono che ha scelto di farci: la visita del successore di Pietro e la canonizzazione del beato Joseph Vaz. La decisione di Francesco di visitare lo Sri Lanka è maturata nel corso di un anno. Gli ho rivolto l’invito la sera stessa dell’elezione, il 13 marzo 2013. Egli si è mostrato entusiasticamente aperto all’idea. Desiderava manifestare in modo concreto l’amorevole vicinanza di Dio al piccolo gregge di questo vasto continente. Ciò indicava come il suo cuore di pastore fosse aperto ad abbracciare tutti, anche la gente di questa nostra minuscola isola. I successivi inviti da parte della Conferenza episcopale e delle autorità statali sono state accolte con entusiasmo. Poi, durante l’incontro con i migranti srilankesi in Italia nella basilica di San Pietro, l’8 febbraio 2014, il Papa ha espresso pubblicamente la speranza di poter venire nel Paese. E in occasione della visita ad limina dei vescovi dello Sri Lanka, il 3 maggio scorso, ha ufficialmente confermato il viaggio. Nel primo invito ho spiegato al Pontefice che lo Sri Lanka sarebbe stato per lui un posto ideale per avere una visione caleidoscopica dell’Asia, con le sue numerose convinzioni religiose, e del modo in cui il piccolo gregge del Signore vive e professa la fede in mezzo a un mare di non cristiani. E ciò lo ha attratto, poiché Francesco è sempre stato un appassionato sostenitore dell’armonia tra le religioni e dell’unità. Inoltre il continente, con oltre due terzi della popolazione mondiale e appena il 2,6 per cento di cristiani, poteva essere un’interessante e nuova fonte di arricchimento per la Chiesa. L’Asia, di fatto, è governata dai valori morali e spirituali rispecchiati nell’ethos dell’induismo, del buddismo, dell’islam, del confucianesimo, del taoismo e quindi del cristianesimo. L’anima asiatica è un’anima religiosa. Il suo orientamento filosofico fondamentale non è dominato dal principio greco-romano della contraddizione, piuttosto include gli opposti; non è lineare bensì circolare ed è profondamente condizionato dai fondatori delle religioni antiche. Essa fatica a venire a capo delle inadeguatezze, e tuttavia ha una crescita economica ottimistica; è tormentata da povertà e tensioni sociali, e tuttavia desiderosa di pace; cerca di utilizzare tutte le risorse naturali per migliorare, ma è consapevole del legame intimo che esiste tra il mondo materiale e la vita umana. La Chiesa nel nostro continente non può ignorare questi contrasti ma deve mantenere con essi un dialogo costante. Se per un verso la situazione di “piccolo gregge” espone la Chiesa al pericolo del sincretismo, dall’altro l’aiuta a imparare a sopravvivere e perfino a diffondersi in un contesto che consente un silenzioso senso di attrazione per ciò che è nuovo. La ragione di ciò è che tanti asiatici apprezzano la freschezza della fede cristiana, che è relativamente giovane se paragonata alle altre religioni. Le Chiese orientali, che hanno anch’esse una storia di silenzioso ingresso nel continente, e non di intrusione coloniale, hanno molto in comune con la Chiesa universale in quanto a età ed esperienza nell’evangelizzazione. Pertanto, la visita del Papa in un contesto tipicamente asiatico può servire all’arricchimento reciproco sia della Chiesa universale sia dello spirito asiatico. E così il viaggio del Pontefice sarà un’importante pietra miliare nel nuovo modo di realizzare l’evangelizzazione che Francesco sta raccomandando in particolare attraverso l’esortazione apostolica Evangelii gaudium. La visita potrebbe accrescere l’interesse di entrambe le parti — la Chiesa e il continente — a imparare l’una dall’altra e ad apprezzarsi reciprocamente. E qui, una delle testimonianze più forti, dal punto di vista pedagogico, è quella di Joseph Vaz. La sua è stata una vita di umile testimonianza al linguaggio intensamente trasformatore dell’amore, manifestato nel Vangelo; ha rispecchiato la potenza dell’amore misericordioso di Dio, che nasceva dalle radici della sua anima. In questo era umile e tuttavia potente, ascetico — come ogni uomo di fede asiatico dovrebbe sempre essere — ma generoso e gioioso nel suo servizio; esposto a rischi di ogni genere, eppure dotato di profonda fiducia e fede in Dio; innamorato dell’umanità, ma sempre consapevole Il Papa in Sri Lanka Caleidoscopio asiatico del bisogno di appoggiarsi al Padre. Come Abramo, il quale partì obbedendo al Signore e permettendogli di utilizzarlo totalmente per la missione. Fu un sanyasi — uomo santo dell’induismo — totalmente altruista. Non s’impose ai suoi contemporanei, ma permise alla sua vita di dissolversi in mezzo a loro, al punto che essi furono attratti da Cristo. Per comprendere questa figura è bene dare uno sguardo alla storia dello Sri Lanka del XVII e del XVIII secolo. Di fatto, nel Cinquecento c’era stata una rinascita della fede cattolica nel Paese con il fortuito arrivo dei portoghesi nel 1505: rinascita perché la precedente presenza è documentata da alcuni registri e dal ritrovamento di una croce orientale del V secolo negli scavi dell’antica città di Anuradhapura. In seguito, la fede cattolica raggiunse il picco nelle aree costiere del Paese. Sebbene i portoghesi fossero interessati principalmente al commercio e alla ricerca di ricchezza, favorirono l’espansione del cattolicesimo nell’isola invitando i missionari. I primi ad arrivare furono i francescani nel 1543, seguiti dai gesuiti nel 1602, dai domenicani nel 1605 e dagli agostiniani nel 1606. Ma erano tutti europei, e quindi, quando nel 1656 il controllo delle provincie marittime passò ai protestanti olandesi, la comunità cattolica fu soppressa con la forza. Tutti i missionari furono espulsi e venne vietata la pratica della fede. Molti cattolici furono costretti a diventare membri delle chiese protestanti o ad abbracciare altre religioni. La pratica della fede passò alla clandestinità e per tre decenni non ci furono sacerdoti a prendersi cura dei cattolici rimasti. I missionari europei non potevano entrare nello Sri Lanka nemmeno di nascosto, poiché i funzionari olandesi potevano facilmente identificarli grazie alla pelle bianca. Questa situazione si rivelò provvidenziale poiché preparò il terreno a una soluzione indigena alla crisi. Il Signore toccò il cuore di un giovane sacerdote dell’India, affinché si sentisse chiamato a portare sollievo e forza alla comunità cattolica nello Sri Lanka. Joseph Vaz era nato a Goa, da Christopher Vaz e Marie de Miranda, il 21 aprile 1651. Sin da giovane trascorse molte ore in preghiera. Fu generoso ed entusiasta, leale alla Chiesa, studioso e preoccupato per i poveri e i bisognosi, con un profondo spirito ascetico e di abnegazione. Entrato in seminario, dopo aver completato gli studi fu ordinato sacerdote nel 1676 per l’arcidiocesi di Goa. Sin dall’inizio si era sentito chiamato alle missioni, perciò decise di unirsi a un oratorio fondato dal padre Pasqual da Costa Jeraimias, che in seguito prosperò e accolse molti altri membri. Ben presto Joseph Vaz ne divenne il leader e, chiedendo il permesso per unirsi all’Oratorio di San Filippo Neri, fece della fondazione di Goa un Oratorio indipendente sotto tale regola. Fu allora che, venuto a conoscenza della triste situazione della comunità cattolica nello Sri Lanka, decise di dedicarsi completamente a essa. Nel 1687, travestito da operaio, insieme a un giovane volontario di nome John, s’imbarcò su una nave commerciale e approdò prima a Mannar e poi a Jaffna. Affaticato e malato, Joseph Vaz ebbe grandi difficoltà a trovare i cat- tolici, facendosi riconoscere da loro, imparando la lingua locale tamil e servendoli senza essere scoperto dagli olandesi. Ma riuscì a servire con zelo le comunità di quell’area, per la maggior parte camminando e visitando segretamente i cattolici. I diversi tentativi degli olandesi di catturarlo fallirono. Venuto a conoscenza della presenza di altri cattolici nella zona di Kandy, che non era sotto il controllo degli olandesi ma del re locale, decise di recarvisi. Ma mentre era in cammino, sospettato di essere una spia dei portoghesi, fu arrestato dai soldati del re e imprigionato a Kandy. Dopo due anni, il re Wimaladharmasuriya II, avendo sentito parlare della sua natura profondamente ascetica ed edificante, mutò la condanna in arresti domiciliari e gli permise di svolgere i suoi doveri pastorali. Fu così che Joseph Vaz si recò ovunque, a volte perfino senza il permesso del re, anche nelle aree sotto il controllo olandese, Vetrata raffigurante il beato Joseph Vaz che il Papa canonizzerà in Sri Lanka visitando i cattolici, celebrando i sacramenti e catechizzando. Visse in maniera semplice, aiutando tutti, operando una serie di miracoli — incluso quello di far terminare una grave siccità con forti piogge — e occupandosi personalmente dei malati quando la città fu colpita da una pestilenza e tutti gli altri fuggirono abbandonandoli. Invitò diversi altri confratelli dell’Oratorio di Goa a unirsi a lui, compreso Jacome Gonsalves, che poi divenne un grande scrittore e contribuì alla diffusione della letteratura e della cultura cattolica nelle lingue locali nello Sri Lanka. Ancora oggi l’influenza di padre Gonsalves nella liturgia cattolica, nella letteratura, nella musica e nel teatro viene guardata con ammirazione anche dai non credenti. Joseph Vaz rifiutò il titolo episcopale, preferendo rimanere un semplice sacerdote. La sua umiltà e il suo servizio furono motivo di frequenti malattie. Il 16 gennaio 1711 morì all’età di sessant’anni. Venne tumulato a Kandy, ma a oggi si ignora il luogo della sepoltura. La sua missione era stata quella del dono totale, permettendo al Signore di dominare la sua vita, come Giovanni Battista. La sua fama di santità era così vasta da spingere il vescovo di Cochin, già nel 1713, ad avviare la causa per la beatificazione, poi portata avanti dall’arcivescovo di Goa e dal vescovo di Kandy. Nel 1989 la Congregazione delle cause dei santi ha promulgato il decreto sulle sue vir- tù eroiche e il 6 luglio 1993 Giovanni Paolo II ha riconosciuto il miracolo attribuito alla sua intercessione. Il 21 gennaio 1995 il Pontefice polacco, durante sua visita in Sri Lanka, lo beatificò a Colombo. Il popolo srilankese ha continuato a pregare per la sua canonizzazione. Anche i vescovi del Paese hanno continuato a insistere e così, tenuto conto della vasta considerazione popolare della sua santità e delle continue richieste giunte dallo Sri Lanka, dall’India e da altre parti del mondo, Papa Francesco ha accelerato tale processo. E durante il concistoro del 20 ottobre 2014 ha deciso di canonizzarlo nel corso di questa visita. Noi cattolici srilankesi siamo pieni di gioia per questo grande dono di Dio alla nostra Chiesa. Ringraziamo il Signore per aver salvato la nostra fede, durante un periodo estremamente difficile, attraverso questo grande missionario. È provvidenziale il fatto che, proprio quando un missionario dalla pelle bianca avrebbe avuto difficoltà a operare, il Signore abbia scelto un figlio del suolo asiatico. E più tardi, allorché Leone XIII decise di istituire in Asia un seminario regionale per le vocazioni indigene, fu ispirato dall’esempio di Joseph Vaz, della cui vita e della cui missione in Sri Lanka era venuto a conoscenza attraverso il delegato apostolico in India, monsignor Ladislaus Zaleski. Papa Pecci, su raccomandazione di Zaleski, nel 1893 scelse proprio Kandy come sede del primo seminario regionale per sacerdoti indigeni in Asia. La decisione profetica di Papa Leone di incoraggiare l’indigenizzazione delle Chiese locali, in un tempo in cui le vocazioni missionarie in Europa erano abbondanti, fu forse ispirata dal servizio esemplare svolto da Joseph Vaz. L’imminente visita di Papa Francesco e la sua scelta di canonizzare il nostro santo sul suolo di casa sono davvero doni di un valore incommensurabile. Entrambi gli avvenimenti esprimono in modo tangibile la profondità dell’amorevole sollecitudine di Dio per noi. Ed è evidente che ci sono similitudini nelle scelte concrete compiute da Papa Francesco e da Joseph Vaz, così come nella ratio che c’è alla base di tali scelte: in particolare, lo spirito di ottimismo e la gioia del Pontefice argentino nel far fronte alle diverse sfide della missione ecclesiale oggi, da un lato, e la forza di volontà e l’impegno dimostrati da Joseph Vaz, dall’altro, sono radicati in Gesù. Di fatto, Joseph Vaz apparteneva totalmente a Cristo. Il suo entusiasmo e la sua disponibilità a subire anche il martirio per la causa della sua missione rispecchiavano lo spirito del grande apostolo Paolo. La gioia di Joseph Vaz nello spendersi per il Signore proveniva da questa totale identità con Gesù. E Papa Francesco rispecchia questo stesso spirito. La bellezza della vita di Vaz sta nel fatto che l’amore lo ha spinto ad abbandonare tutto e a recarsi in un territorio ostile confidando totalmente nel Signore. Quasi nessuno sapeva del suo arrivo nello Sri Lanka. Non lo attendeva nessun comitato di accoglienza. Non possedeva niente, dipendeva totalmente dalla generosità dei cattolici poveri e perseguitati. Rimase con loro, condivise le loro umili case, percorse lunghe distanze, fu profondamente ascetico e distaccato, e fu un uomo di preghiera che spesso trascorreva notti intere dinanzi al Signore. Tuttavia non si scoraggiò mai: celebrava i sacramenti con devozione, fu buon insegnante e predicatore che riusciva a entusiasmare il gregge. Era sempre disponibile e molto amato, perché, a sua volta, amava e avrebbe dato la vita per il suo gregge. Il suo entusiasmo nel servire era contagioso e animò tutti i sacerdoti che si unirono a lui. Un vero modello per i missionari attuali. Oggi l’Asia ha più che mai bisogno di simili modelli di evangelizzazione. Ha bisogno di missionari innamorati del Signore e spumeggianti di entusiasmo, che siano gioiosi e ottimisti, senza paura di soffrire povertà, privazioni e perfino persecuzioni per il Vangelo. L’importante non è il trionfalismo, bensì la via umile della gioia evangelica: il trionfo dei piccoli senza trionfi. *Cardinale arcivescovo di Colombo
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