Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLV n. 53 (46.891) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano venerdì 6 marzo 2015 . Alla Pontificia Accademia per la vita il Papa parla di assistenza agli anziani e cure palliative Dopo la strage nel Canale di Sicilia Malati di abbandono Immigrazione al centro dell’agenda europea Efficienza e profitto non possono essere gli unici criteri dell’agire dei medici La malattia più grave per un anziano è l’abbandono. Ventiquattr’ore dopo l’udienza generale dedicata ai nonni, Papa Francesco è tornato a parlare della condizione delle persone anziane, denunciando l’indifferenza che spesso circonda coloro che «a motivo dell’età, ricevono sempre meno attenzione dalla medicina curativa». Ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia per la vita, ricevuti in udienza nella mattina di giovedì 5 marzo, nella Sala Clementina, il Pontefice ha rinnovato l’appello a «prendersi cura di chi, per la sua condizione fisica o sociale, potrebbe essere lasciato morire o “fatto morire”». E ha ricordato che «evidenza ed efficienza non possono essere gli unici criteri a governare l’agire dei medici, né lo sono le regole dei sistemi sanitari e il profitto economico». Lo Stato, ha incalzato, «non può pensare di guadagnare con la medicina»; al contrario, «non vi è dovere più importante per una società di quello di custodire la persona umana». «Coloro che ci hanno aiutato a crescere — ha raccomandato Francesco — non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro amore e della nostra tenerezza». Gli anziani dunque «hanno bisogno in primo luogo delle cure dei familiari, il cui affetto non può essere sostituito neppure dalle strutture più efficienti o dagli operatori sanitari più competenti e caritatevoli». Quando non autosufficienti o affetti da malattie in stato avanzato o terminale, possono inoltre beneficiare delle cure palliative «offerte a integrazione e sostegno delle cure prestate dai familiari». Si tratta di terapie, ha ricordato il Papa, che «hanno l’obiettivo di alleviare le sofferenze nella fase finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano». Da qui l’invito rivolto a professionisti e studenti «a specializzarsi in questo tipo di assistenza che non possiede meno valore per il fatto che “non salva la vita”». Le cure palliative infatti «realizzano qualcosa di altrettanto importante: valorizzano la persona». Sempre che, ha precisato il Pontefice, siano praticate «conservando integro lo spirito di servizio e ricordando che ogni conoscenza medica è davvero scienza, nel suo significato più nobile, solo se si pone come ausilio in vista del bene dell’uomo, un bene che non si raggiunge mai “contro” la sua vita e la sua dignità». Vincent Van Gogh, «Vecchio che soffre» (1890) PAGINA 8 Secondo l’Onu si fa sempre più concreta la minaccia dell’Is che mira a ostacolare una soluzione politica alla crisi Intesa vicina in Libia NEW YORK, 5. Un’intesa tra i due Governi in Libia — quello di Tripoli e quello di Tobruk — è possibile, come mai finora, e l’incontro di oggi in Marocco sarà un momento chiave nel cammino per la formazione di un Esecutivo di unità nazionale. Il lavoro è comunque arduo mentre il tempo stringe: i jihadisti del sedicente Stato islamico (Is) presenti sul territorio si stanno infatti rafforzando e si dimostrano sempre più aggressivi. È questa, in sintesi, la fotografia della situazione presentata dall’inviato speciale dell’Onu in Libia, Bernardino León, al Consiglio di sicurezza, che ieri ha tenuto una riunione per decidere tra l’altro il rinnovo della missione di supporto nel Paese (Unsmil). Un accordo tra Tripoli e Tobruk su come fronteggiare insieme la minaccia dell’Is «non è mai stato così vicino» ha poi detto León, lanciando un allarme «per la situazione umanitaria che si sta deteriorando e deve essere affrontata». Ma allo stesso tempo, ha aggiunto l’inviato Onu, l’Is «ha cambiato strategia: da gruppo terrorista con piccoli com- mando, si è trasformato in una realtà che conduce operazioni militari. È un grande salto di qualità, e per questo il tempo stringe». Le operazioni terroristiche dei miliziani jihadisti — ha aggiunto León — «sono finalizzate a ostacolare una soluzione politica» alla crisi nel Paese. Quasi a conferma delle sue parole, dalla Libia continuano ad arrivare notizie di attacchi dell’Is e dei gruppi jihadisti a esso alleati contro le installazioni petrolifere. Conquistati i campi di Bahi e Al Mabrouk, da dove ieri si sono ritirati, i jihadisti hanno dato ora l’assalto agli impianti di Al Dahra. E dopo gli scontri che a dicembre hanno messo fuori uso gli impianti di Ras Lanuf e Es Sidra, la produzione petrolifera libica è precipitata a 400.000 barili di greggio al giorno, contro gli oltre 1,6 milioni dell’epoca del colonnello Gheddafi. Anche per questo il Governo di Tobruk — riconosciuto dalla comunità internazionale — sta facendo pressioni sull’Onu affinché revochi l’embargo di armi imposto alla Libia. Nel frattempo, proseguono le operazioni militari contro l’Is anche in Siria e in Iraq. Nel corso delle ultime 24 ore la coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti, ha compiuto almeno dodici nuovi raid aerei contro postazioni dei jihadisti a Kobane. Intanto, il segretario di Stato americano, John Kerry, è arrivato oggi in Arabia Saudita per una serie di colloqui con le autorità di Paesi del Golfo persico: al centro degli incontri l’accordo sul nucleare iraniano e, naturalmente, la questione dell’emergenza terrorismo. Clausola di coscienza MARY MELONE A PAGINA 5 Negli Stati Uniti y(7HA3J1*QSSKKM( +\!"!%!z!.! Uniti contro la pena di morte PAGINA 6 Dal concilio Vaticano a Papa Francesco II Un tempo per la misericordia ENZO BIANCHI A PAGINA n medico ha il diritto di rifiutare di prestare delle cure per ragioni professionali o personali, eccetto il caso di una situazione di emergenza o se dovesse venire meno ai propri doveri di umanità». Così recita l’articolo 47 del codice di deontologia medica francese che tutela il diritto dei medici alla cosiddetta «clausola di coscienza», il rifiuto appunto di prestare la propria opera per ragioni di coscienza. Un diritto che non si limita a situazioni normate, nelle quali si dovrebbe parlare di «obiezione» più che di «clausola», ma che si estende anche a quanto, ed è moltissimo, non è normato eppur fa parte della pratica clinica quotidiana. Il quotidiano «La Croix» nell’edizione del 3 marzo sottolinea come tale clausola rischi prossimamente di vacillare in Francia: il 18 febbraio scorso alcune deputate della delegazione per i diritti della donna hanno «annunciato l’intenzione di depositare, in occasione dell’esame del progetto di legge sulla sanità di Marisol Touraine, degli emendamenti miranti a sopprimere la clausola di coscienza specifica che permette ad un medico di rifiutarsi di praticare l’interruzione volontaria di «U La vita piena 7 ROMA, 5. Dopo l’ennesima tragedia del Mediterraneo, con la morte ieri di dieci migranti per il ribaltamento di un gommone, l’Europa torna a interrogarsi sulla questione migratoria. L’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini, ha riunito ieri per la prima volta i commissari europei del gruppo «relazioni internazionali» e ha anche deciso di inserire il punto immigrazione sul tavolo dei ministri degli Esteri, in occasione della riunione del Consiglio il prossimo 16 marzo a Bruxelles. Mogherini ha sottolineato che «c’è una piena consapevolezza a livello di tutte le istituzioni europee del fatto che su questa questione si misura la credibilità nel nostro essere uniti come europei. Una gestione ordinata e lungimirante della questione migratoria è non soltanto un dovere ma anche un preciso interesse strategico dell’Unione». Per affrontare alla radice il problema dei flussi migratori, «l’Unione deve cooperare con i Paesi di origine dei migranti, anche se a volte si tratta di dittature» ha detto il commissario Ue agli Affari interni e alle politiche sull’immigrazione, Dimitris Avramopoulos. «Il fatto che cooperiamo, nel quadro dei processi di Rabat e Khartoum, con alcuni regimi dittatoriali non significa dare loro una legittimità democratica o politica. Dobbiamo cooperare: visto che abbiamo deciso di combattere il traffico, non possiamo ignorare che in alcuni di quei Paesi ci sono le radici stesse del problema». È un fatto che questi eventi tragici «hanno aumentato il senso di emergenza» ha sottolineato il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans. Il dibattito in Francia su aborto e sedazione profonda di FERDINAND O CANCELLI Per una nuova pastorale urbana Soldati libici nei pressi di Tripoli (Ap) Soccorsi a migranti nel Canale di Sicilia (Afp/Guardia costiera) gravidanza». In pratica non basterebbe più, come afferma il codice deontologico attuale, «orientare il paziente verso un collega che potrebbe curarlo», in questo caso praticare l’aborto, ma il sanitario sarebbe costretto a procedere lui stesso. Ad essere potenzialmente modificata in questo senso sarebbe quindi la legge del 1975 che ha legalizzato l’aborto in Francia e, fatto un passo in questa direzione, potrebbe poi essere la volta dei due articoli del codice di sanità pubblica che affermano che un medico non è tenuto a praticare una sterilizzazione a fini contraccettivi o a partecipare a ricerche sugli embrioni e così via. L’Ordine nazionale dei medici francesi, il collegio dei ginecologi e le ostetriche hanno nettamente rigettato questa prospettiva, sottolineando per bocca del dottor Jean-Marie Faroudja come non si comprenda che «un diritto fondamentale di libertà e di coscienza possa essere rifiutato ad un medico mentre continuerebbe a far parte dei diritti inalienabili di ogni cittadino francese». L’onda di marea ideologica, così violenta da travolgere e soffocare il concetto stesso di coscienza, rischia di inquinare anche l’ormai imminente discussione dell’Assemblea Nazionale sulla proposta di legge Claeys-Leonetti sul fine vita. Se infatti per un verso si invoca la limitazione della libertà dei medici in tema di aborto, all’estremo opposto, quasi in una risacca contraria, alcune voci si sono levate per invocare la clausola di coscienza a proposito della procedura di sedazione profonda in presenza di sintomi refrattari in fine vita, come se la sedazione fosse una pratica eutanasica. Tra le poche voci lucide quella di Jean Leonetti, l’autore della legge del 2005: «istituire la clausola di coscienza — dichiara il senatore — sarebbe dare un cattivissimo segnale: significherebbe infatti dire che la sedazione è fatta per dare la morte» mentre il suo solo obiettivo «è quello di lenire le sofferenze refrattarie» ai comuni farmaci. Un figlio che sta per nascere o un malato che sta per morire che cosa chiedono? Il primo, parrebbe banale dirlo, di venire al mondo, il secondo, sembrerebbe scontato, di vedere lenite le proprie sofferenze. Entrambi di essere accolti come membri preziosi per la società. Il solo problema è che nessuno dei due ha voce in capitolo, troppo piccolo il figlio, troppo debole il malato. E noi dobbiamo guarire per tornare a sentire la loro voce sottile, dobbiamo tornare alla terra ferma della retta coscienza e uscire dal mare della confusione e dell’egoismo nel quale incautamente ci siamo avventurati. Nel frattempo, i superstiti del del gommone che si è capovolto nel Canale di Sicilia, hanno parlato di cinquanta dispersi nel naufragio. Interrogati dagli agenti del gruppo interforze della Procura di Siracusa, i sopravvissutti hanno raccontato che sul natante c'erano circa 270 profughi. In salvo ne sono state tratte 210, le salme recuperate sono 10, e quindi mancherebbero all’appello cinquanta persone. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Thomas Yeh Sheng-nan, Arcivescovo titolare di Leptis Magna, Nunzio Apostolico in Algeria e in Tunisia; — Eugene Martin Nugent, Arcivescovo titolare di Domnach Sechnaill, Nunzio Apostolico in Haiti; — Marek Solczyński, Arcivescovo titolare di Cesarea di Mauritania, Nunzio Apostolico in Georgia, in Armenia e in Azerbaigian. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Sens e della Prelatura territoriale della Mission de France o Pontigny presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Yves Patenôtre, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Honduras Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Novatus Rugambwa, Arcivescovo titolare di Tagaria, finora Nunzio Apostolico in Angola e in São Tomé e Príncipe. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Hervé Giraud Arcivescovo di Sens (Francia) e Prelato della Prelatura territoriale della Mission de France o Pontigny, trasferendolo dalla sede Vescovile di Soisson (Francia). L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 6 marzo 2015 Il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis (Epa) Matteo Renzi in visita a Kiev e a Mosca Berlino chiede di stabilizzare la tregua in Ucraina KIEV, 5. Nelle regioni orientali dell’Ucraina «il cessate il fuoco è fragile e va stabilizzato». Così si è espresso ieri il cancelliere tedesco, Angela Merkel, in conferenza stampa nella sede della Commissione europea a Bruxelles. Nel corso della riunione del collegio dell’Esecutivo Ue, a cui ha partecipato anche il cancelliere, «abbiamo discusso di come attuare gli accordi di Minsk con successo, del monitoraggio, di come portare aiuto umanitario e di come essere d’ausilio sull’agenda delle riforme del Governo ucraino. Ma abbiamo anche parlato di sanzioni, anche se soprattutto con un approccio costruttivo per mettere fine allo spargimento di sangue». Se viene violato il pacchetto concordato a Minsk — ha affermato Angela Merkel — «siamo disposti a portare avanti le sanzioni e a vararle». Il cancelliere ha poi dichiarato che anche nella recente teleconferenza con il presidente Obama è stato rilevato che «c’è un nesso» tra l’applicazione del pacchetto e le sanzioni che resteranno «finché gli ucraini non avranno accesso al controllo della frontiera russo-ucraina». L’azione diplomatica della Germania e della Francia per una soluzione del conflitto in Ucraina è stata condotta in accordo con l’Unione europea, come ha confermato Merkel dopo l’incontro con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Sull’Ucraina e gli altri temi rilevanti della politica «stiamo lavorando insieme per un buon risultato per l’Europa». Intanto, i ministri delle Finanze del G7 esprimono soddisfazione per il fatto che il Governo ucraino «ha intrapreso passi veloci e decisi per portare in Parlamento una revisione della bozza del bilancio e un pacchetto complessivo di riforme». È quello che si legge in una nota del ministero delle Finanze tedesco. L’agenda delle riforme di Kiev contiene «tutti gli elementi necessari» per la stabilizzazione economica e la ripresa della crescita, scrivono in un comunicato i ministri. Nel frattempo, il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, dopo la missione a Kiev e l’incontro con il presidente Petro Poroshenko, al quale ha assicurato che l’Occidente vuole «il rispetto e l’indipendenza della sovranità dell’Ucraina», è giunto ieri sera a Mosca. Renzi questa mattina, dopo aver deposto dei fiori sul luogo dove è stato assassinato il leader dell’opposizione russa, Boris Nemtsov, ha incontrato alla Casa Bianca, sede del Governo russo, il premier Dmitri Medvedev, e poi si è spostato al Cremlino per un faccia a faccia con Vladimir Putin. Tra i temi in discussione l’Ucraina, la Siria, la Libia, la lotta allo Stato islamico. Putin, dal canto suo, si è detto ieri indignato per l’uccisione di Nemtsov e ha messo in guardia i vertici del ministero dell’Interno avvertendoli che è necessario «liberare la Russia dalla vergogna» di delitti «che hanno una grande risonanza, compresi quelli a sfondo politico» come «l’omicidio sfacciato di Nemtsov proprio nel centro della capitale». Il cancelliere tedesco con il presidente e i commissari dell’Esecutivo Ue (Afp) I rappresentanti di Brasile, Ecuador e Colombia a Caracas Missione per il dialogo in Venezuela CARACAS, 5. Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha annunciato ieri che domani venerdì arriveranno nella capitale Caracas rappresentanti di Brasile, Ecuador e Colombia. Obiettivo della visita è «appoggiare la democrazia che abbiamo in Venezuela» ha detto il leader di Caracas. Da settimane il Paese è segnato dalle proteste dell’opposizione, esplose dopo l’arresto del sindaco anti-chavista di Caracas, Antonio Ledezma. Quanto alle misure restrittive nei confronti dei diplomatici statunitensi, Maduro ha sottolineato che «sia- mo anti-imperialisti, non anti-americani». Maduro ha poi respinto le voci secondo cui il suo Governo starebbe considerando di sospendere le elezioni legislative in programma per quest’anno. Per il presidente, si andrà al voto «a qualunque costo». Proteste ad Haiti contro la Repubblica Dominicana PORT-AU-PRINCE, 5. La Repubblica Dominicana ha annunciato oggi la chiusura temporanea dei suoi consolati ad Haiti per motivi di sicurezza. Rimarrà aperta solo l’ambasciata nella capitale, Port-au-Prince. La decisione — rilevano autorevoli fonti di stampa — è stata presa una settimana dopo che oltre diecimila persone hanno inscenato una grande marcia di protesta nella capitale contro quelle che considerano vere e proprie vessazioni nei confronti dei contadini haitiani che lavorano nella Repubblica Dominicana. Durante le proteste, un uomo era riuscito a salire sul tetto di un consolato e a strapparne la bandiera, poi bruciata da una folla di manifestanti. La situazione è molto tesa. Il portavoce del ministero degli Esteri dominicano, il giornalista Miguel Medina, ha detto che il Governo di Santo Domingo ritiene che le «aggressioni contro i consolati» mettano il personale a rischio. Per questo, i cinque consolati dominicani di Haiti resteranno chiusi finché l’amministrazione del presidente, Michel Martelly, non «fornirà garanzie di una adeguata protezione». Haiti vive da tempo una grave crisi umanitaria anche a causa del terremoto del 2010, che uccise oltre duecentoventimila persone. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Forze di sicurezza venezuelane durante le proteste a San Cristóbal (Afp) Obamacare sotto la lente della Corte suprema WASHINGTON, 5. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha iniziato ieri l’esame di uno dei punti chiave della riforma sanitaria firmata dal presidente Obama nel 2010. I ricorsi presentati alla Corte e che i giudici costituzionali hanno deciso di esaminare rappresentano l’attacco più significativo alla norma dalla sua entrata in vigore, dopo i tentativi dei repubblicani in Congresso di abolirla o di modificarla radicalmente. Del resto il presidente Obama anche nelle ultime settimane ha ribadito come sia pronto a porre il GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Atene alla prova del sei BRUXELLES, 5. Atene alla prova del nove, anzi del sei. Sono infatti sei i punti del piano che il Governo di Alexis Tsipras si appresta a presentare alla Commissione Ue come stabilito negli accordi. La riforma della pubblica amministrazione, la lotta a evasione fiscale e corruzione e un piano contro la crisi umanitaria sono i pilastri del programma greco, che il ministro delle Finanze ellenico, Yanis Varoufakis, presenterà a nome del Governo lunedì prossimo, 9 marzo, all’Eurogruppo. La proposta — spiegano i media — sarà articolata appunto in sei grandi temi, in base ai quali Atene spera di assicurarsi almeno una parte dei 7,2 miliardi di finanziamento che restano da versare da parte dei creditori internazionali, dopo che è stato esteso per quattro mesi il programma assistenziale siglato dal precedente Governo di Samaras con la Troika (Bce, Ue, Fmi). Atene ha bisogno di liquidità in tempi brevi. C’è il rimborso di 1,5 miliardi di euro dovuto all’Fmi nel solo mese di marzo, di cui 303 milioni già venerdì. E in Borsa corrono i preparativi e le strategie per guadagnare fondi. Sullo sfondo, le voci che rimbalzano dalla Spagna di un nuovo piano da trenta o quaranta miliardi di aiuti, da definire dopo l’estate. Ipotesi sulla quale frena il numero uno della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker: «È prematuro». Secondo fonti governative citate dai media ateniesi, le prime due riforme che Tsipras intende presentare a Bruxelles riguardano la crisi umanitaria e la riforma amministrativa. Previsto poi un intervento che mira a risolvere la questione dei debiti verso i fondi statali e assicurativi: l’obiettivo è far sì che milioni di greci morosi comincino a pagare le imposte creando una sorta di “coscienza fiscale” nel Paese. I debiti non saranno tagliati, a differenza delle promesse di campagna elettorale, ma dovrebbero essere introdotti nuovi criteri con meccanismi per premiare i contribuenti onesti. Gli altri punti del piano di Tsipras riguardano la riforma dell’amministrazione fiscale (verrà creato un organismo che monitori e dia indicazioni sulla politica fiscale); l’unificazione delle tasse municipali (utilizzate per la pulizia delle stra- de e la raccolta dei rifiuti) e l'istituzione di una nuova agenzia che effettuerà verifiche fiscali mirate. Ad Atene resta poi da fare ordine sulle tasse che riguardano gli immobili, un altro punto delicato. Anche su questo piano, il Governo ha promesso misure che alleggeriscano il carico fiscale e aiutino i contribuenti più onesti. Intanto, con diverse leggi approvate dal nuovo Esecutivo, 150.000 famiglie in situazione di povertà estrema avranno l’elettricità gratis. Altre 30.000 famiglie avranno un sussidio per l’affitto tra 70 e 220 euro al mese. I coupon per il cibo arriveranno a 170.000 famiglie povere. Boss dei narcos arrestato in Messico veto a ogni cambiamento. In ballo presso la Corte Suprema, che dopo il primo giorno di lavori appare divisa, c’è soprattutto la norma che riconosce sussidi a ben sette milioni e mezzo di americani in 34 Stati per permettere loro di dotarsi di una assicurazione sanitaria. Una norma che, se giudicata incostituzionale, provocherebbe — a detta degli esperti — un terremoto portando a triplicare il costo che quei sette milioni e mezzo di americani devono sostenere per la propria copertura. Servizio vaticano: [email protected] Tsipras pronto a varare un piano di riforme CITTÀ DEL MESSICO, 5. Nuovo colpo delle autorità messicane contro i boss del narcotraffico. Le forze di sicurezza hanno infatti arrestato ieri Omar Treviño Morales, conosciuto anche con lo pseudonimo di “Z-42”, il famigerato capo dei Los Zetas, uno dei gruppi criminali più sanguinari del Paese centroamericano. Sulla testa di Treviño Morales — che a soli 41 anni era uno dei criminali più ricercati del Messico — pendeva una taglia di due milioni di dollari. L’uomo è stato arrestato in un quartiere residenziale di Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale San Pedro Garza García, nello Stato nord-orientale di Nuevo León. Dopo la cattura nel 2013 di suo fratello Miguel, Omar aveva assunto il controllo delle operazioni dei Los Zetas, il cartello nato alla fine degli anni 90 da una scissione di un gruppo di sicari del Cartello del Golfo, in gran parte ex militari, e diventato rapidamente celebre per l’efferatezza delle stragi che venivano loro attribuite. Los Zetas controlla gran parte degli affari illeciti in una fascia di territorio che va dal nord-est al sud-est del Messico. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Il quantitative easing della Bce FRANCOFORTE, 5. Il piano di acquisti di titoli di Stato (quantitative easing) della Bce «da solo non basterà per la crescita dell’eurozona». Così si è espresso ieri Mario Draghi, presidente della Bce, spiegando in un’intervista che «l’obiettivo è salvaguardare la stabilità dell’euro e tutti devono fare la loro parte per questo». Draghi ha annunciato il quantitative easing lo scorso gennaio. Oggi, al termine di una nuova riunione del board dell’Istituto, il presidente illustrerà i particolari del piano. Sono infatti pochi gli elementi conosciuti e molti i nodi ancora da sciogliere. Draghi, a gennaio, aveva indicato il mese di marzo come data di partenza del piano. Di fatto, però, gli acquisti di titoli non sono ancora partiti. È escluso che le banche centrali nazionali, che dovrebbero essere il “braccio operativo” del piano, possano far partire la procedura in tempi brevi. Se ne parlerà almeno la settimana prossima: manca infatti ancora la pubblicazione dell’atto legale che rappresenta il presupposto giuridico dell’attuazione della misura. Un altro punto problematico riguarda la portata del piano. Draghi ha annunciato un programma di acquisti di titoli per sessanta miliardi al mese «almeno fino a settembre 2016», equivalente ad almeno 1140 miliardi di euro. Il presidente ha tuttavia specificato che in ogni caso gli acquisti proseguiranno «finché il consiglio direttivo non riscontrerà un aggiustamento durevole del profilo d’inflazione», vale a dire fino a quando il livello di inflazione non sarà arrivato all’obiettivo del due per cento. Un terzo capitolo ancora aperto è invece quello delle quote nazionali. La Bce ha già chiarito che l’ottanta per cento dei rischi dovrà essere gestito dalle banche centrali nazionali, ma ancora non è chiaro come e in che misura. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 6 marzo 2015 pagina 3 L’ambasciatore statunitense a Seoul dopo l’aggressione (foto Ap) Il premier Li Keqiang apre i lavori dell’Assemblea nazionale del popolo Pechino taglia le stime sulla crescita PECHINO, 5. La Cina dovrà affrontare «sfide straordinarie» in economia nel 2015 che sono «tigri lungo la strada» dello sviluppo. Lo ha dichiarato oggi il primo ministro, Li Keqiang, all’apertura dei lavori dell’Assemblea nazionale del popo- Il presidente dello Sri Lanka in visita nelle aree tamil COLOMBO. 5. In un ulteriore gesto di distensione, il nuovo presidente dello Sri Lanka, Maithripala Sirisena, si è recato nelle aree del Paese asiatico dove vive la minoranza etnica dei tamil. Durante una riunione di coordinamento della provincia settentrionale tenutasi a Jaffna, Sirisena ha detto che «quando si tratta di cercare soluzioni ai problemi, non vi è alcuna differenza tra sud o nord dello Sri Lanka». Il Governo — ha aggiunto — «è pienamente impegnato a risolvere i problemi della gente e tutti dovrebbero lavorare in fraternità a prescindere dalle differenze». Sirisena — a capo del Paese dal 9 gennaio scorso dopo avere vinto le elezioni presidenziali, battendo a sorpresa il predecessore, Mahinda Rajapaksa — ha poi precisato che colmare il divario tra nord e sud, attraverso l’amicizia e la comprensione reciproca, è uno degli auspici del nuovo Esecutivo di Colombo. Nella sua prima visita nella zona, che per oltre trent’anni ha subito gli effetti violenti di un conflitto civile, le cui drammatiche conseguenze sono ancora fortemente presenti, il presidente ha ascoltato i rappresentanti del popolo e i funzionari governativi, che hanno esposto a Sirisena le diverse problematiche del territorio, legate, in particolare, all’agricoltura, alla scarsità dell’acqua potabile, alle terre sottratte ai legittimi proprietari per motivi di sicurezza e alla pesca. Tutte questioni che necessitano di accordi stabili, anche con il vicino Governo federale indiano. Rispondendo al governatore della Provincia del Nord, che ha esposto a Sirisena le difficoltà che devono affrontare gli ospedali e le istituzioni educative come pure la mancanza di opportunità di lavoro nella zona, il presidente ha affermato che cercherà di intervenire rapidamente. La visita rientra nell’ambito delle promesse fatte da Sirisena durante la campagna elettorale di avviare un processo di riconciliazione tra tutte le comunità dell’isola. lo, dopo avere annunciato l’obiettivo di crescita per l’anno in corso al 7 per cento, il più basso degli ultimi ventidue anni. Il primo ministro ha poi elencato le difficoltà a cui andrà incontro l’economia. «La crescita negli investimenti — ha commentato — è fiacca e non ci sono segnali di ripresa significativa sui mercati internazionali. Mantenere stabile la crescita è diventato sempre più difficile». L’obiettivo fissato per il 2015, ha spiegato ancora il primo ministro Li Keqiang, permetterà di mantenere alto il tasso di impiego, con la creazione di dieci milioni di posti di lavoro entro fine anno nelle aree urbane e mantenere entro il 4,5 per cento il tasso di disoccupazione. L’imprenditoria diffusa, l’innovazione tecnologica, l’aumento dei salari e una politica fiscale dinamica sono alcuni dei fattori segnalati dal premier cinese come motori della crescita futura. «Per evitare di cadere nella trappola del Paese a reddito medio e raggiungere la modernizzazione — Per l’aggressione di un attivista filo-Pyongyang Ferito l’ambasciatore statunitense a Seoul SEOUL, 5. Momenti di paura nella capitale sudcoreana dove questa mattina l’ambasciatore americano è stato ferito in un attacco compiuto da un uomo armato di un rasoio, mentre stava per partecipare a una conferenza sui rapporti intercoreani. Mark Lippert è stato subito trasportato in ospedale per gli immediati soccorsi e le sue condizioni non sono gravi. La Casa Bianca ha reso noto che il presidente Obama lo ha chiamato per sincerarsi sulla sua salute. L’aggressore, arrestato e identificato, era già stato condannato nel luglio 2010 per aver lanciato un pezzo di cemento contro l’ambasciatore giapponese a Seoul. L’uomo, un attivista filo-Pyongyang, ha urlato frasi di protesta contro le manovre militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud cominciate questa settimana. La presidente sudcoreana, Park Geun Hye, ha duramente condannato l’aggressione definendola un attacco all’alleanza bilaterale che non può essere tollerato. «L’ultimo incidente non è solo un atto di violenza fisica all’ambasciatore statunitense a Seoul, ma anche un attacco all’alleanza tra i due Paesi che non può essere perdonato», ha riferito il segretario presidenziale per gli Affari esteri, Ju Chul Ki. I ribelli sciiti assaltano a San’a la sede del dialogo nazionale Inviato delle Nazioni Unite ad Aden SAN’A, 5. L’inviato speciale dell’O nu nello Yemen, Jamal Ben Omar, è arrivato ad Aden, nel sud del Paese, per incontrare il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi e presentargli alcune proposte per risolvere la crisi. Lo ha riferito l’agenzia Anadolu, citando una fonte vicina al presidente, secondo la quale il piano che sarà illustrato da Ben Omar prevede l’inizio di una fase di transizione e la formazione di un consiglio presidenziale guidato dallo stesso Hadi o da uno dei suoi vice. Nel corso di una conferenza stampa organizzata subito dopo il suo arrivo ad Aden, Ben Omar ha espresso la sua «frustrazione per il rifiuto» da parte dei ribelli huthi di «rispettare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’O nu», che ha chiesto ai ribelli di ritirarsi dalle sedi istituzionali e mettere fine agli arresti domiciliari ai quali sono sottoposti esponenti del Governo. L’incontro tra l’inviato dell’Onu e il presidente yemenita (Afp) Orfani dell’ebola nella Sierra Leone FREETOWN, 5. Oltre dodicimila bambini nella Sierra Leone sono rimasti orfani a causa dell’ebola. Lo ha denunciato un rapporto dell’organizzazione umanitaria britannica Street Child. Lo studio evidenzia l’impatto devastante della malattia sulla vita dei bambini che sono sopravvissuti alla diffusione del virus, sottolineando come molti di loro vivano in una situazione drammatica, fatta di paura, isolamento, fame e sfruttamento. Il rapporto, infatti, si concentra sul futuro difficile che dovranno affrontare ora questi bambini. Alcuni di loro, respinti dagli amici a causa dei forti pregiudizi che circondano l’ebola, hanno anche cercato di togliersi la vita, mentre le ragazze sono spesso costrette a prostituirsi per sopravvivere. L’epidemia di ebola nella Sierra Leone è iniziata nel maggio 2014 e ha dichiarato — la Cina deve affidarsi allo sviluppo, e lo sviluppo richiede un tasso di crescita appropriato». Il Governo, ha poi spiegato il premier, investirà oltre 800 miliardi di yuan (115,3 miliardi di euro) nell’ampliamento della rete ferroviaria e altrettanti nei progetti di tutela delle falde acquifere. L’Esecutivo, ha poi promesso Li Keqiang, fornirà sussidi per la realizzazione di 7,4 milioni di unità abitative popolari entro la fine dell’anno. In totale, la spesa del Governo salirà a 17.150 miliardi di yuan (2471 miliardi di euro) con un incremento del 10,6 per cento su base annua. Li Keqiang ha poi parlato dei progetti già in corso di riforma delle imprese di Stato, del sistema finanziario e del settore bancario e ha spiegato che il Governo continuerà a lavorare per rendere lo yuan pienamente convertibile. Altro obiettivo segnalato dal primo ministro è la riduzione delle emissioni inquinanti. Li Keqiang ha infine promesso «tolleranza zero» nella lotta alla corruzione. ha interessato ogni regione del Paese dell’Africa occidentale. Il 31 luglio 2014 è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Per fermare la diffusione del virus è stata disposta la chiusura di tutte le scuole e la quarantena delle persone colpite dalla malattia. Secondo l’O ms, su un totale di undicimila casi conclamati della malattia nel Paese, si è contato un totale di 3.350 morti. La trasmissione del virus è attualmente diffusa nella parte occidentale del Paese, compresa la capitale, Freetown, e i distretti di Port Loko e di Kambia. Oltre alla sopravvivenza quotidiana, la sfida più grande che si prospetta per gli orfani è l’educazione. Le scuole dovrebbero riaprire il 30 marzo e, anche se molti vorrebbero rientrare tra i banchi, alcuni di loro non saranno in grado di farlo, dal momento che hanno assunto il ruolo di capifamiglia. In Senegal riforma mineraria DAKAR, 5. Nell’ambito della riforma del codice minerario in Senegal, organizzazioni di civili hanno incontrato ieri le autorità del Paese per presentare proposte. Le richieste più importanti riguardano le tasse: le royalties (tasse alle aziende) annuali dovrebbero essere comprese tra 5 e 10 per cento, indipendentemente dal tipo di minerale sfruttato. La percentuale da destinare a un fondo di sostegno dovrebbe essere poi del 30 per cento, invece dell’attuale 20 per cento. Alle collettività locali dovrebbero infine essere destinate altre tasse a carico delle compagnie, come quelle relative ai diritti di superficie (ovvero di costruire strutture su un determinato terreno). Le popolazioni dovrebbero poi avere propri rappresentanti. Il mese scorso Hadi ha lasciato gli arresti domiciliari a San’a per riparare ad Aden, roccaforte dei governativi. Nella città dello Yemen meridionale il presidente ha definito «nulli e illegittimi» tutti i provvedimenti decisi dagli huthi, come la Dichiarazione costituzionale con la quale i ribelli hanno sciolto il Parlamento, e ha annunciato il ritiro delle dimissioni presentate in precedenza. Per tutta risposta, i ribelli sciiti dell’imam Abdel Malik Al Huthi hanno assaltato oggi la sede del dialogo nazionale a San’a. Secondo quanto riferisce l’inviato dell’emittente televisiva «Al Jazeera», i miliziani sciiti hanno distrutto gli uffici che ospitano le riunioni del dialogo. L’attacco è stato lanciato dopo che l’inviato Onu ha criticato il gruppo sciita per il fatto che non rispetta le sanzioni imposte dal Consiglio di sicurezza. Nell’attacco sono andati distrutti anche importanti documenti relativi ai lavori del dialogo svolti finora. Intanto, forze speciali iraniane hanno liberato un diplomatico di Teheran rapito 19 mesi fa in Yemen. Lo riporta l’agenzia di stampa Irna citando il viceministro degli Esteri Hossein Amirabdolahian. «È stata compiuta un’operazione difficile e complicata» per liberare Nour Ahmad Nikbakhat dalle «mani dei terroristi», ha spiegato la fonte. L’uomo era stato rapito nel luglio 2013: nessuno ha mai rivendicato il sequestro del diplomatico. Al centro della campagna elettorale nigeriana La sfida di Boko Haram ABUJA, 5. La gestione della lotta contro i miliziani del gruppo Boko Haram è al centro dei dibattiti elettorali in Nigeria, in vista delle elezioni presidenziali e legislative originariamente previste a febbraio e poi rinviate al 28 marzo. Come riportano diversi media locali, Muhammadu Buhari, principale sfidante del capo dello Stato, Goodluck Jonathan, ha più volte criticato il Governo in carica per non essere stato in grado di sconfiggere Boko Haram senza aiuti esterni. Secondo più fonti, l’avanzata dell’esercito nigeriano nelle roccaforti islamiste potrebbe favorire il People’s Democratic Party, al potere dal 1999. Nel frattempo, i vertici del Governo e delle forze armate della Nigeria premono per ridurre la presenza e ridimensionare il ruolo delle truppe straniere impegnate nella lotta contro i fondamentalisti islamici di Boko Haram. Alla Reuters, il portavoce dell’esercito del Ciad, colonnello Azem Bermandoa, ha detto che l’esercito di Abuja ha respinto un’offerta di aiuto per la riconquista di Baga, cittadina sulle rive del Lago Ciad occupata da Boko Haram a gennaio. A fine febbraio, le forze di N’Djamena hanno ripreso Dikwa, antica capitale del califfato di Kenem-Borno, sottraendola al controllo degli islamisti dopo scontri che hanno provocato decine di morti. La città si trova a pochi chilometri dal confine con il Camerun, da dove è cominciata l’offensiva di N’Djamena. Dista invece novanta chilometri Maiduguri, la capitale dello Stato del Borno, culla di Boko Haram e ora presidiata dall’esercito nigeriano. L’Australia riflette sull’opzione nucleare SYDNEY, 5. L’Australia s’interroga sulla scelta del nucleare. Il Paese, che possiede le maggiori riserve di uranio al mondo, non chiude più la porta in faccia a questa opzione: sono molti i progetti sul tavolo della politica che puntano a integrare il nucleare nelle risorse energetiche. In effetti, attualmente il sistema energetico australiano fa affidamento soprattutto sul carbone, di cui il sottosuolo del Paese è ricco. E tuttavia, il carbone inquina troppo: l’Australia è il Paese sviluppato che emette la maggior quantità di gas serra in tutto il mondo. A meno di un anno dalla conferenza di Parigi che dovrà ridisegnare il programma di Kyoto, il premier Tony Abbott è stato molto chiaro: «Se dobbiamo ridurre considerevolmente le nostre emissioni, l’opzione migliore è di passare al nucleare. Il governatore dello Stato dell’Australia meridionale, Jay Weatherill, ha annunciato lo scorso febbraio la costituzione di una commissione di esperti indipendenti sul nucleare civile: avranno un anno di tempo per formulare proposte concrete. «È tempo di aprire un dibattito maturo sul futuro ruolo dell’Australia nell’industria nucleare» ha detto Weatherill. Sciopero generale in Burundi BUJUMBURA, 5. Il Collettivo contro il carovita, composto di circa 1.500 organizzazioni non governative, realtà della società civile e sindacati del Burundi, ha proclamato per oggi uno sciopero generale. La motivazione è il rifiuto del presidente, Pierre Nkurunziza, di accettare alcune richieste del Collettivo: abolizione di una nuova tassa sulle chiamate telefoniche e il ribasso dei prezzi della benzina. Le richieste erano già state avanzate due volte per lettera, ma non c’era stata risposta da parte del Governo. Attraverso il portavoce presidenziale, Leonidas Hatungimana, l’Esecutivo di Bujumbura ha chiesto ai promotori dello sciopero generale di «partecipare assieme alla ricerca di una soluzione per tutti». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 venerdì 6 marzo 2015 Gino Bartali accanto a Giuseppe Placido Nicolini vescovo di Assisi dal 1928 al 1973 Autore del libro è il Platina L’allievo di Pomponio Leto che dal 1475 alla morte guidò la Biblioteca di palazzo antenata della Vaticana Monsignor Nicolini si improvvisò muratore nascondendo in un vano dei sotterranei i libri sacri degli sfollati Digitalizzato l’incunabolo di Bartolomeo Sacchi L’Artusi del Quattrocento che, il volume di cui sto parlando, presso il tipografo Uldericus Han. Subito dopo, nel 1475, lo ristampò a Venezia per i torchi di Laurentius de Aquila e Sybillinus Umber, questa volta svelandosi come autore e fornendo le note tipografiche. Nei cento anni successivi l’opera ebbe una grande diffusione, anche al di là dei confini italiani: ne comparvero oltre trenta edizioni e numerose traduzioni in francese, inglese e tedesco. Appunto, un vero bestseller. Platina vi aveva del resto raccolto il frutto maturo della produzione del tempo sull’argomento, dedicando una prima parte dell’opera a raccontare la natura degli alimenti e una seconda parte a trascrivervi in latino le ricette, inventate e redatte in lingua volgare dal maestro Martino de’ Rossi da Como, il cuoco più celebre del Quattrocento. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta fino al 1465, Martino manifesta la sua arte presso le cucine del cardinale camerlengo Ludovico Trevisan, patriarca di Aquileia, e viene componendo un manuale, il Libro de Arte Coquinaria, che diventerà immediatamente lo specchio della gastronomia italiana del tempo: la forza rivoluzionaria del suo saggio segna di fatto il passaggio storico dall’arte culinaria medievale a quella rinascimentale. Tuttavia tale trattato sarebbe rimasto presso«De honesta voluptate et valetudine», Roma, Ul. Han, c. ché sconosciuto, se il 1475, 2recto (incipit dell’indice con i temi sulla salute Platina non avesse decie l'inizio del ricettario) so di valorizzarlo, utilizzandolo ampiamente nell’opera da lui combestseller della cucina, un vero pro- posta, che non si riduce tuttavia a totipo dunque dei ricettari moderni. un ricettario ben costruito, ma conSi tratta del volume intitolato De testualizza le ricette in un quadro honesta voluptate et valetudine. Po- medico-filosofico, soffermandosi sul tremmo intendere, parafrasando: ruolo che i cibi possono avere sia da «Come onestamente coltivare il pia- un punto di vista igienico sia da un cere del cibo insieme alla salute». punto di vista sociale e conviviale. Insomma, un libro moderno che L’autore è Bartolomeo Sacchi, detto il Platina (latinizzazione di Piadena, intendeva coniugare la nouvelle cuisiun borgo in provincia di Cremona ne d’allora con i principi base noti a dove era nato nel 1421). Inseritosi a quei tempi sulla salute e sulla cura Roma fra gli allievi di Pomponio di se stessi. Il suo discorso gastroLeto, dal 1475 alla morte, avvenuta nomico viene ricondotto — in modo nel 1481, fu alla guida della Biblio- inedito per il tempo — all’idea di teca di palazzo — come allora era dieta, del valore del cibo locale, definita la Vaticana — per volere di persino dell’utilità di un regolare Sisto IV. esercizio fisico che dovrebbe accomNegli anni o mesi immediatamen- pagnare ogni sana nutrizione. te antecedenti la sua nomina a biIl volume era stato stampato, cobliotecario diede alle stampe, in for- me accennavo, a Roma da Uldericus ma anonima e senza note tipografi- Han, che fu tra i primi stampatori di CESARE PASINI e ricette di cucina si trovano anch’esse numerose sul web. Non è più necessario ritagliarle dai giornali o consultarle sui ricettari: eccole pronte in rete a ogni evenienza, disponibili a ogni interrogazione, e anche eseguite a video dai più bravi chef. Il libro che ora descrivo è nato in un’epoca nella quale non si poteva sognare una diffusione di questo genere, anche se risulta tradotto in varie lingue e in notevole tiratura per quel tempo: in qualche modo un L tedeschi latori in ambiente romano della nuova arte della stampa inventata vent’anni prima da Johannes Gutenberg. Han, che si sottoscrive in alcune opere con il nome latinizzato di Gallus oppure di Barbatus, fu attivo a Roma tra il 1467 e il 1478, lavorando in società con il fratello Lupus Gallus e con il nipote Henricus Gallus. Stampò prevalentemente opere classiche e religiose, tra cui le Meditationes del cardinal Juan de Torquemada, che fu il primo libro illustrato stampato in Italia, il 31 dicembre del 1467. Associatosi nel 1470 allo stampatore Simone Cardella di Lucca, dopo la sua morte, avvenuta presumibilmente nel 1479, gli strumenti della sua bottega furono rilevati dal maestro Stephan Planck, altro famoso stampatore romano. L’esemplare conservato in Biblioteca Apostolica Vaticana (Stamp. Nel volume si parla di cucina in modo inedito per l’epoca valorizzando i prodotti locali E sottolineando l’utilità di un regolare esercizio fisico Barb. BBB. II.41) proviene dalla prestigiosa Biblioteca Barberini. Esso conserva, sul verso dell’ultima carta originariamente bianco, due ricette di cucina vergate da una mano anonima attorno alla fine del Quattrocento e quindi coeva alla pubblicazione. La prima ricetta descrive la preparazione del civerium (ovvero il cibreo), un tipo di condimento usato per insaporire piatti generalmente di carne, in particolare di cacciagione; la seconda ricetta insegna a fare la torta sperduta, o torta bianca, così detta perché le uova venivano “sperdute” nel ripieno di ricotta. Evidentemente all’anonimo scrittore non bastavano le numerose ricette stampate nel volume. E da buon prototipo di tutti i ricettari a stampa che si rispettino, il libro passò dunque nelle mani di qualche esperto, che intese rammemorare a se stesso un paio di aggiunte originali. Questo incunabolo, con tutte le sue istruzioni per la salute e i suoi manicaretti per la gola, entra a far parte degli incunaboli e dei manoscritti digitalizzati per il progetto sostenuto dalla Fondazione Polonsky, attuato dalla Biblioteca Vaticana insieme alla Bodleian Library di Oxford, e raggiunge quindi una nuova più vasta divulgazione. Con questo incunabolo il progetto nel suo insieme tocca la milionesima pagina digitalizzata. Un bel traguardo che, tanto per stare in tema, ci piacerebbe festeggiare con qualche buona ricetta. Trecento ebrei trovarono rifugio ad Assisi dopo l’8 settembre 1943 E Lea Baruch diventò Ileana Bartoli di GIOVANNI PREZIOSI eri e oggi, i Giusti sempre necessari», questo è il tema scelto per celebrare, il 6 marzo, la Giornata europea dei Giusti, giunta quest’anno alla terza edizione, istituita nel 2012 dal Parlamento europeo su proposta dell’onlus Gariwo per «ricordare chi ha saputo cercare il bene con la scelta di difendere la dignità umana nei momenti bui» mettendo a repentaglio la propria vita e opponendosi a ogni totalitarismo e ai crimini contro l’umanità. In questo giorno ad Assisi, nella Piazza del Vescovado, verrà inaugurato il Giardino dei Giusti. Un’occasione per rievocare la storia esemplare della città umbra che, nel periodo più tragico «I della seconda guerra mondiale, accolse migliaia di persone, soprattutto ebrei. Gli sfollati, infatti, trovarono sostegno e ospitalità presso il vescovado, nei monasteri e negli istituti religiosi, grazie alla capillare rete di assistenza clandestina allestita — seguendo l’esempio di tante altre diocesi italiane come quella di Firenze e Genova — dal vescovo Giuseppe Placido Nicolini coadiuvato dal clero diocesano guidato dal suo braccio destro, il canonico don Aldo Brunacci, all’epoca dei fatti narrati giovane sacerdote della cattedrale di San Rufino di Assisi. Il popolo dell’arca Capitello con altorilievo di Vergine e bambino (Dvin, V-VI secolo) nalità — come le famiglie Viterbi, Fano, Jakobson, Baruch, Kropf, Majonica, Eppinigi, Romanoski, Lyovin e Corinaldi — che trovarono rifugio tra le mura dei conventi e nel vescovado. Monsignor Nicolini non esitò a trasformarsi in muratore, occultando in un vano dei sotterranei tutti i documenti, i libri sacri e gli oggetti di valore degli ebrei ospitati. I conventi che si rivelarono più sicuri in questa catena di solidarietà furono quelli di clausura femminili come quello delle Clarisse di San Quirico, delle Stimmatine, delle Benedettine di Sant’Apollinare, delle Colettine e quello di Santa Croce delle Suore Cappuccine tedesche. Grazie alla segnalazione di padre Michele Todde, Marco Baruch — un commerciante di tes- Vennero falsificate centinaia di carte d’identità usando nomi fittizi di persone provenienti da zone già occupate dagli Alleati Reperti armeni in mostra al Vittoriano Reperti archeologici, codici miniati, opere d’arte, oggetti liturgici, antichi vangeli e documenti. Per raccontare l’Armenia e il suo popolo. E proprio «Armenia, il popolo dell’Arca» è il nome della mostra inaugurata il 5 marzo al Complesso del Vittoriano a Roma. L’Armenia è la prima nazione al mondo a proclamarsi cristiana grazie all’opera di evangelizzazione di san Gregorio l’illuminatore. La sua conversione risale al 299, quando nell’impero romano si stava preparando la persecuzione di Diocleziano. Due anni più tardi, nel 301, il re Tiridate III proclama il Cristianesimo religione di Stato. Da questo momento la fede cristiana, insieme alla lingua armena, sarà la componente più Subito dopo l’armistizio firmato dal Governo Badoglio, verso la fine del settembre 1943, monsignor Nicolini chiamò don Aldo in disparte e lo esortò a prendersi cura di tutti i profughi — comprese le persone di origine ebraica — mostrandogli una lettera che aveva appena ricevuto dal Vaticano in cui erano contenute precise direttive in merito. «Io vidi realmente questa lettera — raccontò a chi scrive alcuni anni or sono don Aldo Brunacci — che monsignor Nicolini aveva fra le mani quando mi chiamò in disparte. Gli era stata inviata dalla Segreteria di Stato della Santa Sede. Mi lesse il contenuto integralmente». Con il contributo di alcuni volontari laici e religiosi — come il guardiano del convento di San Damiano fra’ Rufino Nic- dinamica del Paese come si può vedere dal ricco patrimonio esposto con flabelli, turiboli, capitelli, vangeli e la sezione dedicata all’iconografia della croce. La nascita e la codificazione di un nuovo alfabeto a opera del monaco Mesrop Mashtots, è invece documentata da epigrafi e iscrizioni originali in lingua armena. Ma la vita dell’Armenia si è sviluppata anche in stretta relazione con l’Italia in uno scambio continuo di merci e saperi: dall’albicocca portata nell’antica Roma da Silla con il nome di prunus armeniaca, fino ai mercanti armeni nelle Repubbliche Marinare, dagli ideali rinascimentali italiani che hanno raggiunto la lontana Armenia. (rossella fabiani) Hella, Lea e Mira Baruch cacci, che spesso si recava a Firenze dal cardinale Dalla Costa per ricevere «istruzioni, indirizzi e mezzi di finanziamento», il giovane frate del sacro Convento di San Francesco Michele Todde, la superiora della Clarisse Colettine suor Hélène e quella delle Clarisse di San Quirico suor Giuseppina Biviglia — fu allestita presso il vescovado un’efficiente organizzazione di assistenza per tutti i profughi. Successivamente, ci si preoccupò di stampare nella tipografia di Luigi e Trento Brizi, nei pressi di piazza Santa Chiara, centinaia di carte d’identità e tessere annonarie falsificate, poi smistate al convento di San Quirico dove, sotto la supervisione dei due ufficiali lì nascosti — il colonnello Paolo Gay e il tenente Antonio Podda — venivano completate con nomi fittizi di persone provenienti da zone già occupate dagli Alleati e quindi non accessibili al controllo dei nazifascisti. Un anello fondamentale di collegamento con la curia fiorentina era il celebre Gino Bartali che, fingendo di allenarsi in sella alla sua bicicletta, macinava chilometri su chilometri per trasportare — nascosti nel telaio — i documenti falsificati da Assisi a Firenze. Dopo l’8 settembre 1943, per sfuggire alle persecuzioni razziali, giunsero nella città umbra circa trecento ebrei di varia nazio- suti proveniente da Fiume — con la moglie Erminia Lipschitz e le tre figlie Lea, Hella e Mira furono nascosti da don Aldo Brunacci dapprima nel convento delle suore claustrali di San Quirico, poi, all’inizio di dicembre, nella foresteria del monastero delle Clarisse Cappuccine tedesche. «Per uscire dal convento — ricorda nel suo memoriale Lea Baruch — c’era bisogno di documenti falsi. Furono preparati da Giorgio Kropf con l’aiuto di un tipografo, Luigi Brizi, nella sua tipografia. Brizi stampava le carte d’identità e le portava a Giorgio che, coi suoi compagni a San Quirico, scriveva i nomi e gli altri dati». Poi, con la scusa che le carte si erano deteriorate, con la complicità di un’impiegata dell’anagrafe, Marcella Paladin, si scambiavano queste con quelle originali e il gioco era fatto. Da quel momento in poi i Baruch presero il nome di Bartoli, una famiglia originaria di Bojano in provincia di Campobasso, e Lea si chiamò Ileana. Provvisti di questi falsi documenti, si spostarono presso il convento delle Suore Stimmatine, dove furono nascosti nell’ala destinata agli ospiti. Appena la situazione lo permise, verso la fine di gennaio del 1945, si trasferirono in Israele, ad Haifa, dove vivono tuttora. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 6 marzo 2015 pagina 5 Per una nuova pastorale urbana La vita piena di MARY MELONE n apertura del volume, Carlos María Galli richiama immediatamente la nostra attenzione sulla formulazione del titolo, che volutamente non è interrogativa, ma dichiarativa. Dio vive nella città, sottolinea l’autore, non è un interrogativo, perché «è un’affermazione che scaturisce dalla fede, come dire: Dio è presente nella storia». Da questo positivo sguardo sulla realtà della città — sicuramente in se stessa complessa, contraddittoria e problematica ma, allo stesso tempo, anche «satura di religiosità» — si snoda tutto il percorso del libro che, attraverso una serie di analisi e ap- I profondimenti, tesse pian piano l’appello a sviluppare la cultura dell’incontro, della comunione e dell’integrazione. Dio vive nella città: su questo dato, dunque, non sono ammessi interrogativi. Eppure, leggendo il libro, non ho proprio potuto fare a meno di pormelo, un interrogativo, che anzi si è fatto via via più pressante. Dio vive nella città. Ma quale Dio? Quale Dio vive nella città secondo Carlos María Galli? Quali sono i tratti del suo volto? Quali sono i desideri del suo cuore per l’uomo? Credo che si comprenda facilmente il senso di questa domanda: sebbene infatti l’autore non possa e non debba elaborare in maniera teorica un’immagine di Dio a cui fare riferimento, tuttavia è chiaro che la sua visione dell’evangelizzazione, della pastorale ecclesiale, del discepolato cristiano, e il suo stesso modo di leggere i documenti delle Conferenze Episcopali latinoamericane e caraibiche sono fortemente ancorati a una precisa immagine di D io. Non è la stessa cosa immaginare che il Dio che abita nella città sia un giudice esigente e impaziente o che sia un Dio che non si interessa della sofferenza degli uomini, perché tanto serve alla loro conversione. Nulla di tutto questo, però, nella visione di Galli: il Dio che vive in città per l’autore è un Dio appassionato della vita dell’uomo, un Dio che desidera la comunioEdward Hopper, «Night Shadows» (particolare, 1921) ne con lui. Se si volesse fare una statistica, infatti, risulterebbe che nel libro i due termini ricorrenti non appena si parla di Dio sono proprio vita e comunione. Anzitutto vita, ma non vita in senso generico, bensì vita piena, pienezza di vita, cioè pienezza di senso, felicità completa, dice l’autore. Dio è sorgente di vita piena: il suo desiderio, la sua volontà di salvezza consiste proprio nel rendere accessibile a ogni uomo la vita in pienezza. Questi è il Dio che vive nella città. Mi sembra che questo aspetto meriti una particolare sottolineatura. Che senso avrebbe richiamare il dovere della missione, che senso avrebbe riconoscerla costitutiva del discepolato cristiano, che senso avrebbe costruire un atteggiamento positivo verso i luoghi del vivere umano, se poi l’annuncio fosse vuoto, mancasse di un’autentica consapevolezza evangelica? Questa consapevolezza, invece, emerge chiaramente dalle pagine di Galli, pagine in cui la missione viene costantemente ricondotta all’annuncio di Cristo come proposta di vita piena per tutti. Ma questa è, del resto, anche la visione dei documenti che egli presenta e analizza. La Chiesa missionaria è al servizio della vita piena in Cristo. Così si esprime, in particolare, il documento di Aparecida: «La Chiesa ha la missione propria e specifica di comunicare la vita di Gesù Cristo a tutte le persone». E Galli aggiunge: «La Chiesa deve evangelizzare per condividere il Regno della vita nuova, piena, degna e felice in Cristo». L’annuncio del Regno è l’annuncio del Regno della vita, una vita che ha i tratti della novità. La vita piena che Dio offre all’uomo in Cristo è infatti vita nuova, vita che fa nuove tutte le cose, che rinnova l’essere umano. Un Dio per la vita dell’uomo, per la sua vita in pienezza: questi è il Dio che vive nella città, che ama la città perché è casa dell’uomo. Perciò La riforma di Coletta di Corbie Bellezza del realismo di PIETRO MESSA Nel 1406 a Nizza, Coletta di Corbie (1381-1447) non solo fece la sua professione nell’Ordine delle clarisse, ma ricevette da Benedetto XIII il permesso di iniziare quella che diventerà la riforma La sua fu una iniziativa che proponeva una struttura istituzionale ben definita Grazie ad appoggi influenti e soprattutto alla capacità di cogliere le occasioni favorevoli collettina, ossia una delle pagine più belle della storia della Chiesa e, in generale, della cultura francese. Tale attività di riforma troverà la sua formulazione nelle Costituzioni scritte da Coletta che si caratterizzano per una chiara e precisa struttura istituzionale, con regolamenti minuziosi inerenti tutti gli aspetti della vita monastica. La diversità tra la dimensione spirituale della regola di Chiara d’Assisi e la dimensione propriamente giuridica delle Costituzioni di Coletta è più che evidente: qualcuno ha voluto vederne la causa non solo nella volontà della riformatrice francese di assicurare alla sua riforma una durata nel tempo onde essere efficace, ma anche di rispondere a un periodo di decadenza mediante il connubio della forza dell’istituzione con la carità. Nella sua opera di riforma Coletta ebbe l’appoggio — da lei accolto e, in alcuni casi, anche cercato — di persone facol- tose, come i nobili locali delle città in cui venivano edificati i monasteri. Una serie di relazioni potenti in grado di aiutarla non solo nella fondazione dei monasteri, ma anche nel loro mantenimento. La sua, però, fu una riforma con una struttura istituzionale ben definita soprattutto grazie alla capacità di cogliere le occasioni favorevoli. In tutto ciò Coletta si mostra come una donna d’azione, e pragmatica. Se la sua opera di riforma si inserisce in una serie di relazioni che si mostreranno determinanti, gli agiografi successivi però — dando una lettura teologica della sua vita e volendo mostrare con forza l’azione della grazia — metteranno in risalto l’aspetto miracoloso della vita di Coletta, lasciando in sordina tale mondo relazionale. È come se gli agiografi provino un certo imbarazzo davanti a Coletta riformatrice, donna pragmatica, e debbano occultare tali sue caratteristiche per mettere in evidenza l’aspetto più propriamente spirituale. Tale esigenza sarà anche alla base di coloro che elaboreranno un testo che verrà a lei attribuito come Testamento. Certamente chi legge la vicenda di Coletta cercando di trovarvi una spiritualità resta deluso. Qualcuno potrebbe anche cercare di sforzarsi di estrapolare da certe frasi o anche semplici parole alcune linee spirituali, ma tale operazione — oltre che dare dei risultati abbastanza deludenti — appare forzata. Una giustificazione di tale assenza potrebbe venire dal fatto che il tempo in cui Coletta visse fu caratterizzato da una forte presenza dell’aspetto giuridico, così come per lo spirito di organizzazione e di amministrazione. il suo amore, in Cristo, si fa presente dove vive l’uomo, soprattutto nelle sue situazioni drammatiche, come sono a volte quelle della vita urbana. E si comprende anche perché l’autore richiami un preciso invito di Bergoglio che, quando era arcivescovo di Buenos Aires, esortava a trasformare le parrocchie in santuari, dove si sperimenta la presenza di Dio che ama, unisce, salva. Il riferimento al farsi presente di Dio ha uno spessore teologico che vorrei richiamare: si radica, infatti, nella verità dell’incarnazione, nell’annuncio che Dio in Cristo ha messo la sua tenda tra di noi. Non solo: coerente con il riconoscimento del grande e insostituibile valore della religiosità popolare, Galli non poteva non richiamare anche un altro segno della vicinanza del Dio della vita. E questo segno è la Vergine Maria, la donna più amata, volto della tenerezza e della bellezza di Dio. È dal Dio della vita, dunque, che scaturisce una precisa pastorale della presenza e dell’incontro. L’altro aspetto che aiuta a rispondere alla domanda su chi è il Dio che vive nella città è la comunione. Il libro Il 3 marzo a Roma presso la Basilica di San Bartolomeo all’Isola è stato presentato il volume di Carlos María Galli, Dio vive in città. Verso una nuova pastorale urbana (Città del Vaticano, Libreria editrice Vaticana, 2014, pagine 408, euro 22). Pubblichiamo uno stralcio dalla relazione del rettore della Pontificia Università Antonianum. vo di ottenere un’unione senza integrazione, e si condanna alla dispersione, alla distanza, alla confusione. Ma la differenza non sta solo nell’esito delle due immagini bibliche, quanto piuttosto nella loro origine. Mentre Babele si affida all’opera dell’uomo, al suo desiderio di grandezza mettendone così in evidenza tutta la debolezza, la Pentecoste è invece l’opera propria dello Spirito, che realizza la comunione tenendo insieme unità e diversità. Il volume termina con un riferimento al pontificato di Francesco e ad alcuni passaggi fondamentali dell’Evangelii gaudium. Vorrei concludere richiamando la profonda sintonia del volume di Galli con questa esortazione, per tanti aspetti, ma soprattutto per quello che riguarda la Non si tratta, a mio giudizio, di un’altra dimensione, estranea alla prima, anzi. Il Dio della vita è il Dio comunione: la sua offerta di vita piena è offerta di vita in comunione. Così mi sembra venga proposto dalle pagine del libro. L’insistenza di Galli sulla coscienza di una Chiesa che è popolo di Dio e comunità di amore credo che lo dimostri con sufficienza. Questa dimensione è fondamentale in rapporto all’opera di evangelizzazione. Nel testo riaffiora continuamente il riferimento al principio di attrazione, pronunciato da Benedetto XVI proLa Chiesa cresce per attrazione prio in occasione della conferenza di Aparecida: non per persuasione né per proselitismo la Chiesa cresce per atMa l’attrazione la può esercitare trazione, non per persuasione, né per proselisolo una comunità tismo. Ma l’attrazione la che vive l’esperienza della comunione può esercitare solo una comunità che vive l’esperienza della comunione, e che così, sono parole dell’autore, nostra domanda di partenza: Quale rispecchia la gloria dell’amore di Dio vive nella città? Galli risponde: «Il Dio della vita, D io. È importante che l’insistenza sulla appassionato per la vita dell’uomo, dimensione comunionale della vita perché l’uomo abbia una vita piena, cristiana sia radicata sulla fede trini- degna e felice». Francesco, dal canto taria e chiami in causa, in modo par- suo, lo afferma con altrettanta chiaticolare, l’azione dello Spirito. Il Dio rezza, scrivendo: «Non si può perseche vive in città è un Dio che è Pa- verare in un’evangelizzazione piena dre, Figlio e Spirito, perfetta comu- di fervore se non si resta convinti, in nione nell’amore, che spinge l’uomo virtù della propria esperienza, che a edificare comunità urbane in cui non è la stessa cosa aver conosciuto sia possibile fare esperienza di co- Gesù o non conoscerlo, non è la munione, attraverso relazioni che stessa cosa camminare con Lui o siano vere, attraverso una cultura del camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la dialogo e della prossimità. A questo proposito, è significativo sua Parola, non è la stessa cosa porichiamare il compito teologico che terlo contemplare, adorare, riposare assume nel libro l’immagine della in Lui, o non poterlo fare. Non è la Pentecoste e la sua opposizione a stessa cosa cercare di costruire il Babele, un’immagine più volte evo- mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria cata nel percorso di Galli. La pentecoste rappresenta il supe- ragione. Sappiamo bene che la vita ramento di Babele perché assicura il con Gesù diventa molto più piena e mantenimento del plurale, l’integra- che con Lui è più facile trovare il zione, la realizzazione di un’unione senso di ogni cosa. È per questo che che custodisce l’universalità, lì dove, evangelizziamo» (Evangelii gaudium, invece, Babele rappresenta il tentati- 266). Anonimo tedesco, «La sacra stirpe» (XV-XVI secolo). La rappresentazione della Vergine accanto a quella della madre Anna si basa su una visione che Coletta di Corbie ebbe nel 1406 Una cosa però è sicura: santa Coletta — che la Chiesa ricorda il 6 marzo — non è diventata una maestra spirituale, come invece è avvenuto per un’altra riformatrice, ossia Teresa d’Ávila, e ciò è mostrato anche dal fatto che nei secoli successivi le stesse collettine nella loro vita spirituale abbiano avuto forti influenze di altre spiritualità, come appunto quella carmelitana o quella dell’espiazione. Questa constatazione implica forse una riduzione dell’opera di Coletta? La smentita a tale ipotesi viene dalla posterità della stessa santa di Corbie, ossia dalle clarisse collettine le quali, nonostante le diverse tribolazioni che hanno dovuto attraversare — soprattutto al tempo della Rivoluzione — non solo non si sono estinte, ma continuano a vivere. Viene da chiedersi dove stia allora la forza propulsiva della riforma di Coletta, posta la carenza di una forte dimensione spirituale vera e propria. Tale forza va riconosciuta proprio in ciò che si vorrebbe indicare come il limite della riforma di Colletta, ossia nella dimensione istituzionale, cioè nella forte e precisa struttura espressa nelle Costituzioni. Contrariamente, infatti, alla facile contrapposizione tra intuizione e istituzione, tra carisma e gerarchia, l’istituzione è il luogo in cui i valori o un determinato carisma acquistano concretezza. L’istituzione permette che non si resti a livello di sogno o di utopia — fosse pure quella francescana, clariana o persino evangelica — ma di vivere la bellezza del realismo cristiano. È grazie alle istituzioni che i valori diventano vita. Qualche esempio può aiutare a capire questo aspetto. Molte persone desiderano e proclamano il valore della pace: si fanno manifestazioni, marce, si esibiscono i simboli, come la bandiera. E ciò è più che giusto. Tuttavia, se tali espressioni del valore della pace non diventano istituzioni o strutture — con tutta la loro complessità — rimangono soltanto dei buoni sentimenti. Se qualcuno ha una capacità pragmatica e istituzionale in grado di rendere tale valore concretezza, certamente andrebbe riconosciuto come una persona d’ammirare. In questo senso l’uomo delle istituzioni non sarebbe un essere grigio, senza personalità e schiavo del sistema come normalmente si trova nell’immaginario collettivo, ma sarebbe considerato geniale. Se poi tale istituzione ha anche la capacità di dura- re nel tempo tale stima si accrescerebbe. Proprio qui sta la caratteristica della santa di Corbie. Coletta, donna delle Costituzioni che rese possibile una riforma durata nei secoli. Tutto iniziò a Nizza nel 1406 quando non solo fece la sua professione nelle mani di Benedetto XIII, ma ottenne da lui il permesso di fondare monasteri accogliendo monache provenienti da altri luoghi. Così Coletta ha trovato il modo di non “scrivere sull’acqua”, ossia di rendere effimera la sua riforma. Per questo nell’ottobre 1406 a Nizza iniziava una pagina importante della storia francescana. E non solo. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 6 marzo 2015 Lettera dei presuli statunitensi ai membri del Congresso Le conseguenze umane del bilancio WASHINGTON, 5. Le esigenze di bilancio non possono far dimenticare le necessità dei più poveri e degli svantaggiati. È quanto, in sostanza, ricordano i presuli degli Stati Uniti ai membri del Congresso. L’appello è contenuto in una lettera, diffusa dal sito dell’episcopato statunitense, a firma dell’arcivescovo di Miami, Thomas Gerard Wenski, e del vescovo di Las Cruces, Oscar Cantú, rispettivamente presidenti della Commissione nazionale per la giustizia e lo sviluppo umano e del Comitato internazionale giustizia e pace. «La misura morale del bilancio federale non sta nella vittoria di un partito o nel prevalere di interessi di potere, ma piuttosto nel vedere come vengono trattati coloro che sono disoccupati, affamati, senza dimora e poveri», scrivono i presuli, annotando come «le voci di costoro sono spesso assenti nei dibattiti» riguardanti la discussione del bilancio federale. Pur consapevoli che la redazione dei bilanci di previsione per il 2016 «richiederà scelte difficili», i presuli esortano i membri del Congresso a salvaguardare i finanziamenti ai programmi dedicati alle persone povere e vulnerabili sia negli Stati Uniti che all’estero. E offrono alla comu- ne riflessione alcuni «criteri morali». In primo luogo, i presuli ritengono che ogni decisione di bilancio dovrebbe essere valutata rispetto al suo grado di protezione o di minaccia che essa presenta alla dignità della vita umana. In questo senso, un altro criterio morale determinante in ogni decisione di bilancio dovrebbe essere quello di rispettare in via preliminare le necessità di coloro che soffrono la fame, sono senza tetto, senza lavoro o in condizioni di povertà. Conseguentemente, ed è il terzo criterio di giudizio esposto dai vescovi, il Governo e le altre istituzioni hanno una responsabilità comune nel promuovere il bene di tutti, specialmente quello degli operai e delle famiglie che lottano per vivere dignitosamente in tempi economicamente difficili. I presuli, in sostanza, esprimono apprezzamento per l’impegno profuso nella riduzione di un deficit insostenibile per il futuro e nel miglioramento dell’economia del Paese ma avvertono che il bilancio federale non può far quadrare i conti puntando su «tagli sproporzionati» ai servizi essenziali per le persone povere. In particolare, viene notato come il Budget Control Act abbia limitato molti programmi destinati alla lotta della povertà nazionale e internazionale. «Come pastori — osservano i vescovi — vediamo ogni giorno le conseguenze umane delle scelte di bilancio». Infatti, viene ricordato, «la comunità cattolica difende il nascituro, sfama gli affamati, offre riparo ai senzatetto, educa i giovani e si prende cura dei malati, sia in patria che all’estero. Aiutiamo le famiglie povere a risalire la china della povertà, assistiamo rifugiati che fuggono da conflitto e persecuzione e lasciano comunità devastate da guerre, catastrofi naturali e carestie». Secondo l’Ethics and Public Policy Center nel 2050 cresceranno del tre per cento I cristiani nel mondo WASHINGTON, 5. Cosa accadrà al cristianesimo nei prossimi 35 anni? È quanto cerca di prevedere un recente studio dal titolo: «Lo status del cristianesimo globale» (The Status of Global Christianity) realizzato da George Weigel, senior fellow alla Ethics and Public Policy Center di Washington, e pubblicato dall’International Bulletin of Missionary Research. La ricerca riguarda una linea temporale che si estende dal 1900 al 2050 e fa delle proiezioni relative ai cristiani attraverso le prossime generazioni. Weigel ha incentrato i suoi studi su tre grandi gruppi: i cristiani in Africa, i cristiani delle grandi città e i cosiddetti “carismatici”, che fanno riferimento a comunità di ispirazione cristiana nate dall’ispirazione di leader carismatici. Secondo lo studioso, entro il 2050 ci saranno in Africa tanti cristiani quanti ce ne sono in America latina e in Europa messe insieme, per un totale di 1,2 miliardi di persone. I dati evidenziano che l’Africa nel secolo scorso ha registrato una crescita di cristiani esponenziale. Per i cristiani che vivono nelle aree urbane si prevede invece un calo del 6 per cento entro il 2050, attestandosi al 59 per cento della popolazione. Tuttavia, il cristianesimo urbano è cresciuto in questo secolo del 65 per cento, rispetto al 29 per cento del 1900. Passando ai circa 644 milioni di cristiani pentecostali e “carismatici”, secondo la ricerca, il numero di questi fedeli dovrebbe raggiungere oltre un miliardo nel corso dei prossimi 35 anni, il che li rende uno dei gruppi in maggiore rapida crescita nel panorama religioso odierno. «Questi tre fenomeni: crescita in Africa, urbanizzazione e aumento del pentecostalismo, contribuiscono — spiega Wiegel — a una maggiore frammentazione del mondo cristiano». Lo studioso, inoltre, sottolinea che l’aumento del cosiddetto “cristianesimo imprenditoriale” — il fenomeno delle comunità di ispirazione cristiana riunite attorno a figure carismatiche — contribuisce a questi numeri sorprendenti. «Questo aiuta a spiegare il motivo per cui il numero di denominazioni cristiane è passato da 1.600 nel 1900 a 45.000 di oggi, con proiezioni di 70.000 nel 2050. Questo atteggiamento “imprenditoriale” — aggiunge — sarà anche parzialmente responsabile dell’aspetto che avrà il cristianesimo nel 2050. Anche se si prevede una crescita apprezzabile a livello globale, per il 2050 si prevede un calo all’interno dei Paesi europei. Vale la pena notare che, pure in un secolo di grande crescita cri- stiana complessiva come quello concluso, il cristianesimo europeo ha registrato il tasso di crescita più basso: 0,16 per cento». Nel 1900 c’erano 267 milioni di cattolici in tutto il mondo, oggi la Chiesa cattolica conta 1,2 miliardi di fedeli, con una crescita prevista per la metà del secolo fino a 1,6 miliardi. «Ma nell’ultimo quarto del XX secolo — spiega Wiegel — il cattolicesimo è stato superato dall’islam. La popolazione musulmana mondiale è passata da 571 milioni del 1970 a 1,7 miliardi di oggi». Attualmente, i cristiani costituiscono il 33 per cento della popolazione globale. Probabilmente, secondo la ricerca, si registrerà un aumento del tre per cento entro il 2050. Negli Stati Uniti Uniti contro la pena di morte Il prossimo mese la Corte Suprema statunitense esaminerà la causa Glossip vs Gross, un caso proveniente dall’Oklahoma che mette in discussione il protocollo più largamente usato per l’iniezione letale effettuata sui condannati a morte e accusato di essere una punizione estremamente crudele. La Corte ha preso in carico questo caso a gennaio, dopo che lo scorso anno in tre Stati si sono verificate tre esecuzioni che si sono presentate problematiche. La decisione della Corte verrà probabilmente pronunciata entro giugno. È nostra speranza che serva ad accelerare la fine della pena di morte negli Stati Uniti. L’arcivescovo di Miami Thomas Wenski, presidente del Comitato per la giustizia interna e lo sviluppo umano della Conferenza episcopale statunitense, ha apprezzato la decisione della Corte di esaminare il caso, affermando che «il ricorso alla pena di morte toglie valore alla vita umana e riduce il rispetto della dignità umana. Noi vescovi continuiamo a ribadire che non si può insegnare che uccidere è male uccidendo». Anche il presidente del comitato per le attività pro-vita, il cardinale di Boston Seán O’Malley, ha elogiato la decisione della Corte: «La società può proteggere se stessa in modi diversi dal ricorso alla pena di morte», ha affermato. «Preghiamo affinché la revisione di questi protocolli da parte della Corte porti a riconoscere che le pratiche di violenza istituzionaliz- Vescovi emeriti a confronto sul tema della formazione BO GOTÁ, 5. Si svolgerà dal 23 al 27 marzo a Bogotá il primo incontro dei vescovi dell’America latina promosso dal dipartimento Comunione ecclesiale e dialogo del Consiglio episcopale Latinoamericano (Celam). Per quattro giorni decine di vescovi emeriti dal Messico al Cile, dopo moltissimi anni sia di servizio sacerdotale sia di missione episcopale, daranno vita a uno spazio di convivenza e dialogo fraterno per approfondire esperienze e riflessioni sul magistero episcopale con particolare riferimento alla formazione dei presbiteri e alla pastorale. Il vescovo emerito, anche se non più responsabile della guida di una comunità locale, è sempre, in virtù della sua consacrazione episcopale, fino alla morte, membro del collegio episcopale e quindi il suo dovere di collaborare in comunione col Papa nel governo della Chiesa non termina con il suo ritiro. I vescovi emeriti rimangono un tesoro per la Chiesa, come lo sono in ogni ambito della società tutti gli anziani, la cui esperienza, conoscenza e preparazione si rivelano di grande aiuto per le nuove generazioni. zata contro qualunque persona erodono il rispetto per la santità di ogni vita umana. La pena capitale deve finire». Noi, redazioni di quattro giornali cattolici — America, National Catholic Register, National Catholic Reporter e Our Sunday Visitor — esortiamo i lettori delle nostre pubblicazioni, come anche tutta la comunità cattolica statunitense e le persone di buona volontà, a schierarsi con noi e a dire: “La pena capitale deve finire”. La Chiesa cattolica in questo Paese combatte da decenni contro la pena di morte. San Giovanni Paolo II ha modificato il Catechismo della Chiesa Cattolica perché comprendesse de facto un divieto contro la pena capitale. Lo scorso anno, Papa Francesco ha invitato i cattolici a «lottare per l’abolizione della pena di morte». Si tratta di una pratica ripugnante e non necessaria. È anche assurdamente cara, poiché le battaglie in tribunale assorbono risorse che potrebbero essere meglio utilizzate, in primo luogo, nella prevenzione del crimine e poi per lavorare a una giustizia riabilitativa per quanti commettono crimini meno gravi. Lodevolmente, la Florida ha sospeso le esecuzioni in attesa della sentenza della Corte Suprema, e il governatore dell’Ohio, John Kasich, in attesa di ulteriori valutazioni, ha rimandato tutte e sette le esecuzioni previste nello Stato per il 2015. Il governatore della Pennsylvania Tom Wolf ha dichiarato una moratoria sulla pena di morte fino a quando non avrà ricevuto e analizzato la relazione di una task force sulla pena capitale, che lui definisce «un sistema fallato… inefficace, ingiusto e costoso». Entrambi i governatori hanno citato anche il numero crescente di detenuti nel braccio della morte che sono stati scagionati negli ultimi anni in tutto il Paese. In una dichiarazione in cui ringrazia Wolf, l’arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput, ha detto: «Abbandonare la pena capitale non significa diminuire il nostro sostegno alle famiglie delle vittime di omicidio… Ma uccidere i colpevoli non rende onore ai morti, né nobilita i vivi. Quando togliamo la vita a un colpevole, non facciamo altro che accrescere la violenza in una cultura già violenta e svilire la nostra dignità». L’arcivescovo Chaput ci ricorda che quando pensiamo alla pena di morte non dobbiamo dimenticare che siamo noi a essere, attraverso il nostro governo, gli agenti morali di un’esecuzione. Il detenuto ha commesso il suo reato e ne ha risposto durante la sua vita, proprio come ne risponderà dinanzi a Dio. Ma è il governo, agendo a nome nostro, che ordina e perpetra l’iniezione letale. Siamo noi che aumentiamo la violenza invece di guarirla. I sostenitori della pena di morte spesso affermano che essa pone fine alla sofferenza della famiglia della vittima. Ma le persone che camminano accanto alle famiglie delle vittime, come la suora della Misericordia Camille D’Arienzo, ci raccontano un’altra storia: «Penso alle madri che partecipano alla nostra celebrazione annuale per i familiari e gli amici delle vittime di omicidio», un programma che le suore della Misericordia portano avanti da 18 anni. «Se si domanda loro che cosa vogliono per gli as- sassini dei loro figli, nessuna chiede la pena di morte. La ragione è la seguente: “Non voglio che un’altra madre soffra quello che ho sofferto io”. Il loro cuore, pur se spezzato, è integro nella sua umanità». I fatti relativi alla causa in Oklahoma — che fanno eco ad altre storie in Ohio e in Arizona — sono particolarmente vergognosi. Lo scorso aprile, nell’esecuzione di Clayton Lockett, il protocollo per i farmaci ha fallito. Lockett si la- Editoriale per la dignità di ogni vita Pubblichiamo, in una nostra traduzione, un editoriale che le redazioni di quattro importanti testate cattoliche statunitensi, «America», «National Catholic Register», «National Catholic Reporter», «Our Sunday Visitor», hanno scritto insieme al fine di sollecitare, anche attraverso la mobilitazione dei loro lettori, l’abolizione della pena di morte negli Stati Uniti. L’editoriale viene pubblicato il 6 marzo da diversi organi di stampa statunitensi. mentò per il dolore prima che le autorità sospendessero l’esecuzione; più tardi, quella sera stessa, morì d’infarto. All’epoca l’arcivescovo Paul Coakley di Oklahoma City disse: «L’esecuzione di Clayton Lockett mette davvero in evidenza la brutalità della pena di morte e spero che ci porti a riflettere sull’eventualità di adottare una moratoria sulla pena di morte o addirittura di abolirla». La Corte Suprema è d’accordo con l’arcivescovo Coakley e ora esaminerà la questione. Ci uniamo ai nostri vescovi nello sperare che la Corte giunga alla conclusione che è tempo che la nostra nazione incarni il suo impegno a favore del diritto alla vita, abolendo in modo definitivo la pena di morte. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 6 marzo 2015 Dal concilio Vaticano II a Papa Francesco Assemblea del circolo San Pietro Un tempo per la misericordia di ENZO BIANCHI In occasione dell’apertura del concilio, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII pronunciò la prolusione Gaudet mater ecclesia, un testo ispirato, profetico, che orientò lo svolgimento del Vaticano II in modo differente rispetto ai concili precedenti. Consapevole che la Chiesa ha il dovere di opporsi agli errori e anche di condannarli con la massima severità, come era avvenuto nel passato, Papa Giovanni tuttavia dichiarava con convinzione: «Quanto al tempo presente … la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore… Così la Chiesa cattolica … vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati». Con queste parole si poneva fine a un’epoca caratterizzata da una forte intransigenza assunta nella dottrina, nella morale e nel confronto tra Chiesa e società, tra cattolici e quanti non appartenevano alla Chiesa. È l’apertura al dialogo che successivamente Paolo VI delineò in modo mirabile nell’Ecclesiam suam e che il concilio fece propria, aprendo brecce, abbattendo muri e bastioni, inaugurando quello scambio, quell’ascolto dell’umanità di oggi che in questi cinquant’anni ha sì conosciuto rallentamenti, senza tuttavia mai venir meno. È in questa linea che, fin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha fatto risuonare con tono rinnovato e forte la parola misericordia. Le parole rivolte ai parroci di Roma nel marzo dello scorso anno — «[occorre] ascoltare la voce dello Spirito che parla a tutta la Chiesa in questo nostro tempo, che è proprio il tempo della misericordia. Di questo sono sicuro. Noi stiamo vivendo in tempo di misericordia» — rivelano il cuore e il programma dell’attuale pontificato. Più che mai oggi i cristiani, e gli uomini e le donne con loro, in questa situazione mondiale che sentono tanto precaria e segnata da ogni tipo di ferita, abbisognano dell’annuncio della misericordia del Signore. Quando Papa Francesco dice: «La Chiesa oggi possiamo pensarla come un “ospedale da campo” … Lo vedo così, lo sento così: un “ospedale da campo”. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite!», di fatto fa prevalere su altre immagini della Chiesa, che certo non nega né esclude, quella di una Chiesa che cura le ferite, che si piega sull’uomo, che non ha paura di essere contagiata, che sceglie la prossimità dei peccatori e di tutti coloro che hanno bisogno di salvezza. Comprendiamo bene queste sue parole: «Né lassismo né rigorismo [ma] una misericordia [che è] sofferenza pastorale. Soffrire per e con le persone. E questo non è facile! Soffrire come un padre e una madre soffrono per i figli; mi permetto di dire, anche con ansia. Non avere vergogna della carne del tuo fratello. Alla fine, saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci a ogni carne». In tutti gli interventi di Papa Francesco c’è un’insistenza sulla doverosa “prossimità”, sulla vicinanza, sul farsi prossimo (cfr. Luca, 10, 36) alla carne del fratello, che è carne umana, di uomini e donne piagati dalla sofferenza e dal peccato, bisognosi di qualcuno che si prenda cura di loro. Ma a nessuno di noi sfugge che questo è semplicemente lo stile di Gesù nel Vangelo, del Gesù che è venuto «a portare la buona notizia ai poveri, a proclamare la liberazione ai prigionieri, ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a predicare un anno di grazia del Signore» (cfr. Luca, 4, 18-19; Isaia, 61, 1-2). Sovente rischiamo di avere sulla Chiesa uno sguardo che non è lo sguardo di Gesù: vediamo la Chiesa come comunità di salvati, insieme di eletti, come realtà in cui ci sono “giusti” distinti da ingiusti e peccatori, ravvisabili sempre negli altri fuori dalla Chiesa, quando non addirittura chiamati e giudicati nemici della Chiesa. Lo sguardo di Gesù, invece, vede la Chiesa, sua sposa amata, come una comunità di pecca- tori sempre da lui perdonati nel dono del calice, una comunità che non ha consistenza in se stessa ma solo nella fede in Cristo. Chi è il peccatore? «Innanzitutto io», dice il cristiano, e si guarda bene dal giudicare gli altri. Quando il Papa, con il suo linguaggio diretto e pieno di misericordia, più volte ha esclamato, anche nel corso di omelie: «Chi sono io per giudicare?», ha assunto la postura di Gesù di fronte all’adultera: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Giovanni, 8, 11), e ha messo in pratica in modo epifanico il comando di Gesù: «Non giudicate e non sarete giudicati» (Luca, 6, 37; cfr. Matteo, 7, 1), che deve essere letto accanto a: «Siate misericordiosi e otterrete misericordia» (cfr. Matteo, 5, 7). In questo si mostra anche fedele successore di Pietro, che così si giustifica per aver battezzato degli incirconcisi a Cesarea: «Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a D io?». Dicevano i padri del deserto: «Chi riconosce di essere peccatore, e dunque riconosce il proprio peccato, è più grande di uno che risuscita i morti». Ecco la misericordia schietta, evangelica: non il lassismo di chi non discerne il bene dal male, ma una vera assunzione di responsabilità verso l’altro, il peccatore, una capacità di mostrare la misericordia che è il volto stesso di Dio. Per questo il Papa, in un’altra omelia, annota che «il perdono di Gesù va oltre la legge», che chiede la punizione. «Gesù va oltre la legge … Questo è il mistero della [sua] misericordia … Gesù difende il peccatore anche dalla giusta condanna». Eppure la severità a volte emerge con forza nelle parole di Papa Francesco, severità mai contro i peccatori, ma contro i pagina 7 Piccoli operatori di pace «corrotti», che per lui sono i peccatori che si sono venduti, coloro che vivono il peccato in modo nascosto e senza pentimento, fieri di non essere scoperti, i peccatori «con i guanti bianchi», che approfittano della loro posizione di potere sacrale o ecclesiastico per peccare più facilmente e impunemente. Il tema della misericordia e della Chiesa misericordiosa è riproposto con forza da Papa Francesco in un passaggio dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, che cita a sua volta Tommaso d’Aquino: «La misericordia è in se stessa la più grande delle virtù, infatti spetta ad essa donare ad altri e, quello che più conta, sollevare le miserie altrui. Ora, questo è compito specialmente di chi è superiore». Papa Francesco vuole che nella Chiesa regni la misericordia e anche le due assemblee sinodali dedicate alla famiglia e alle sue fragilità sono state pensate e strutturate in modo tale che la Chiesa si possa interrogare sulla misericordia, soprattutto verso quelli che non vivono le storie dell’amore conformemente alla volontà del Creatore e di Cristo Gesù. È ormai chiaro a tutti coloro che si interrogano onestamente che non si tratta di mutare il Vangelo, perché le parole di Gesù sul matrimonio fedele (cfr. Marco, 10, 1-12; Matteo, 19, 19) sono la volontà di Dio detta una volta per sempre. Si tratta invece di affermare come questi cristiani in contraddizione con la volontà di Dio possano, nella comunità del Signore — comunità di peccatori sempre purificati e perdonati — avere il loro posto ed essere nutriti da Dio stesso, come i loro fratelli e sorelle, nel cammino verso il Regno. Ritengo che nell’intenzione di Papa Francesco ci sia la volontà di porre fine a ogni “intransigentismo”, e il cammino sinodale intrapreso condurrà la Chiesa tutta a esprimersi con l’aiuto dello Spirito santo. Papa Francesco ha messo in atto con risolutezza il principio cattolico formulato da Papa Bonifacio VIII e ripreso da Yves Congar come principio di vita ecclesiale, soprattutto sinodale: Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet (Decretales, Liber sextus, 5, 12, 29), «quello che riguarda tutti, da tutti deve essere trattato e approvato». Davvero questo pontificato si sta rivelando un tempo per la misericordia di Dio, un tempo in cui il cuore della Chiesa si fa carico della miseria umana, a immagine del suo Signore, ricco di misericordia. Bisogna diventare «piccoli operatori di pace» nella quotidianità, perché soltanto «rispondendo alla nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà» siamo in grado di «resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità». Le parole del messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale della pace 2015 hanno trovato eco nella relazione del presidente del circolo San Pietro, Leopoldo Torlonia, all’assemblea solenne del sodalizio, svoltasi nel pomeriggio di mercoledì 4 marzo, nella Sala dei Papi della sede di Palazzo San Calisto. Presieduta quest’anno dall’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, l’assemblea rappresenta il momento più importante della vita sociale del circolo, da 146 anni impegnato accanto ai bisognosi e ai sofferenti attraverso un impegno di carità che guarda anzitutto al riconoscimento della dignità del bisognoso. In proposito il presidente Torlonia ha sottolineato la necessità di aprirsi sempre di più «all’accoglienza, all’amore per l’altro, riconoscendo e rispettando la sua dignità e la sua libertà; non “uguaglianza”, che troppo spesso diventa omologazione a un modello imposto dall’alto, dalle convenzioni, dalle mode; piuttosto, invece, parità e rispetto della diversità, per una autentica comprensione e per una pace duratura». L’assemblea, alla quale è giunto anche un messaggio di augurio del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, ha visto la partecipazione del cardinale Francesco Monterisi, di numerose autorità ecclesiastiche, militari e civili. Dopo la relazione del presidente, ha avuto luogo la cerimonia del giuramento dei nuovi soci Il cardinale Tagle alla Catholic University of America Così la «Gaudium et spes» parla all’Asia di oggi WASHINGTON, 5. La missione della Chiesa in Asia come paradigma dell’opera evangelizzatrice cui sono chiamati i credenti in tutto il mondo. Infatti, il continente asiatico pur con tutte le sue peculiarità — e forse proprio in forza di esse — pone alla Chiesa universale, in tema di diffusione della fede, l’esigenza di evangelizzare attraverso gli incontri personali e non inseguendo strategie studiate a tavolino. È quanto, in sostanza, ha affermato il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio G. Tagle, parlando nella capitale statunitense presso la Catholic University of America. L’occasione è stata l’annuale Cardinal Dearden Lecture, cerimonia in memoria del cardinale John Francis Dearden, arcivescovo di Detroit dal 1958 al 1980, protagonista del concilio Vaticano II, in particolare nella stesura di due documenti chiave come la Lumen gentium e la Gaudium et spes. Proprio la recezione nel continente asiatico della costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, nel cinquantenario della sua pubblicazione, è stato il tema affidato alla riflessione del porporato filippino, che a cavallo tra gli anni ottanta e novanta del secolo scorso scorso è stato studente in teologia proprio presso il prestigioso campus cattolico statunitense. «Dobbiamo ammettere che, fino a oggi, in alcune parti dell’Asia il cristianesimo è percepito come estraneo alle culture asiatiche», ha detto il cardinale Tagle, il quale ha sottolineato come faccia «parte della missione della Chiesa in Asia mostrare la ricchezza del Vangelo nella sua verità universalmente valida, valori aperti a tutti gli esseri umani. Ma questo dovrebbe accadere in ogni relazione umana», perché «l’evangelizzazione non può mai trascurare gli uo- mini e le donne nella loro situazione concreta». In questa prospettiva, si comprende come la cosiddetta «cultura dell’incontro», sollecitata in più occasioni da Papa Francesco, sia così fondamentale, quasi la carta vincente, per un continente vasto e variegato come l’Asia, dove il cristianesimo è solo una piccola minoranza, spesso guardata anche con diffidenza. Infatti, ha ricordato il cardinale, anche se l’Asia è il continente più grande del pianeta ed è abitato dai due terzi della popolazione mondiale, i battezzati sono soltanto il tre per cento, e la metà di questi sono nelle Filippine. A tutto ciò si aggiunge — ha detto il cardinale tratteggiando i principali aspetti della realtà asiatica — una povertà dilagante. L’Asia è piena di «brulicanti masse di poveri», composte da immigrati, vittime della tratta, del turismo sessuale, delle vittime del contrabbando di manodopera a basso costo. «In alcune zone dell’Asia ci sono campi che accolgono profughi senza nessuna nazionalità, gli apolidi. Nessun Paese vuole difendere loro e i loro diritti», ha detto il porporato citando la penosa situazione dei rohingya, gruppo etnico di religione musulmana in fuga dal Myanmar, dove sono perseguitati dalla maggioranza buddista. Si stima che circa 300.000 rohingya vivano nei campi profughi dei Paesi confinanti con l’ex Birmania. L’insieme della cultura asiatica, ha rimarcato il cardinale, è stata modellata dalle «antiche religioni», molte delle quali sono antecedenti allo stesso cristianesimo, che anche per questo viene spesso percepito come qualcosa di estraneo, anche se esso pure ha le sue radici in Asia. Alla luce della Gaudium et spes e della particolare attenzione della Chiesa per il mondo contemporaneo, il porporato è tornato dunque a sottolineare come l’evangelizzazione sia soprattutto un incontro «da persona a persona». Una cosa, ha ammesso, che è più facile a dirsi che a farsi, in contesti di ostilità o di persecuzione. Così, per esempio, quando un Governo vara una legge anti-cristiana, «noi continueremo a dialogare?», si è domandato il porporato. Tuttavia, ha aggiunto, la Chiesa è tanto più credibile quando con la sua azione si mette in ascolto delle sofferenze del popolo, e dimostra che i suoi valori guida sono quelli della dignità di ogni persona, specialmente dei poveri. E ricordando la forte spinta pastorale conseguente al viaggio di Papa Francesco nelle Filippine e in Sri Lanka nel gennaio scorso, il cardinale ha sottolineato che la Chiesa è chiamata a impegnarsi con le persone, laddove esse vivono: nelle famiglie, comprese quelle in cui si praticano differenti religioni, nei quartieri, nei luoghi di lavoro. effettivi e il conferimento del distintivo dorato e della medaglia dorata, rispettivamente a quanti hanno compiuto venticinque e cinquant'anni di appartenenza al sodalizio. In conclusione l’assistente ecclesiastico monsignor Franco Camaldo ha dato lettura del chirografo inviato da Papa Francesco. Quindi l’arcivescovo Becciu ha impartito la benedizione all’assemblea dopo la recita dell’Oremus pro Pontifice, la preghiera recitata dai soci ogni giorno, alle 19, nella sede del circolo. Esercizi spirituali per i dipendenti laici del Vaticano Saranno proposte da don Fabio Rosini, direttore del servizio per le vocazioni del Vicariato di Roma, le meditazioni degli esercizi spirituali per i dipendenti laici degli Uffici palatini del Vaticano: Segreteria di Stato, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, Archivio segreto Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Elemosineria Apostolica, Prefettura della Casa Pontificia, Anticamera Pontificia e Sediari Pontifici. Gli incontri, sul tema «Le tentazioni di Gesù», si terranno dal 23 al 26 marzo nella cappella Paolina. Le meditazioni inizieranno alle 8.30 e si svilupperanno intorno al capitolo 4 del Vangelo di Matteo. Nella giornata conclusiva sarà celebrata la messa. Nomina episcopale in Francia La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Francia. Hervé Giraud arcivescovo di Sens e prelato della Mission de France o Pontigny È nato a Tournon, in diocesi di Viviers, il 26 febbraio 1957. Dopo gli studi secondari ha conseguito una formazione universitaria a Lyon e ha insegnato matematica per due anni. Quindi è entrato nel seminario interdiocesano di Lyon, concludendo la sua formazione teologica con una licenza in teologia morale alla Pontificia università Gregoriana a Roma e con l’ammissione al dottorato presso l’Institut Catholique de Paris. È stato ordinato sacerdote il 22 settembre 1985 per la diocesi di Viviers. Ha esercitato il suo ministero sacerdotale dapprima come vicario parrocchiale nella sua diocesi, poi come professore all’Institut Pastoral d’Etudes Religieuses (Iper) di Lyon e all’abbazia di Champagne. È divenuto formatore presso il seminario di Lyon e rettore dal 1997 al 2003. Dal 1999 al 2003 ha ricoperto anche l’ufficio di segretario del Conseil national des grands séminaires e della Commission épiscopale pour les ministères ordonnés. Nominato vescovo titolare di Silli e ausiliare di Lyon il 15 aprile 2003, è stato ordinato il 25 maggio seguente. Il 13 novembre 2007 è stato nominato coadiutore di Soissons, divenendo ordinario il 22 febbraio 2008. Attualmente presso la Conferenza episcopale francese ricopre l’incarico di presidente del Consiglio per le comunicazioni. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 6 marzo 2015 Alla Pontificia Accademia per la vita il Papa parla di assistenza agli anziani e cure palliative Malati di abbandono «Assistenza all’anziano e cure palliative» è il tema della assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita che si svolge in Vaticano dal 5 al 7 marzo. Nella mattina di giovedì 5 Papa Francesco ha ricevuto nella Sala Clementina i partecipanti all’incontro. Rivolgendosi a lui, il presidente, il vescovo Ignacio Carrasco de Paula, ha ricordato tra l’altro Cari Fratelli e sorelle vi saluto cordialmente in occasione della vostra Assemblea generale, chiamata a riflettere sul tema “Assistenza all’anziano e cure palliative”, e ringrazio il Presidente per le sue cortesi parole. Mi piace salutare specialmente il cardinale Sgreccia che è un pioniere... Grazie. Le cure palliative sono espressione dell’attitudine propriamente umana a prendersi cura gli uni degli altri, specialmente di chi soffre. Esse testimoniano che la persona umana rimane sempre preziosa, anche se segnata dall’anzianità e dalla malattia. La persona infatti, in qualsiasi circostanza, è un bene per se stessa e per gli altri ed è amata da Dio. Per que- che nel suo lavoro l’Accademia cerca di abbinare «il rigore dei ragionamenti con la misericordia e la tenerezza del cuore». Ai presenti il Pontefice ha ricordato che «l’abbandono è la malattia più grave dell’anziano, e anche l’ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno aiutato a crescere non devono essere abbandonati». sto quando la sua vita diventa molto fragile e si avvicina la conclusione dell’esistenza terrena, sentiamo la responsabilità di assisterla e accompagnarla nel modo migliore. Il comandamento biblico che ci chiede di onorare i genitori, in senso lato ci rammenta l’onore che dobbiamo a tutte le persone anziane. A questo comandamento Dio associa una duplice promessa: «perché si prolunghino i tuoi giorni» (Es 20, 12) e — l’altra — «tu sia felice» (Dt 5, 16). La fedeltà al quarto comandamento assicura non solo il dono della terra, ma soprattutto la possibilità di goderne. Infatti, la sapienza che ci fa riconoscere il valore della persona anziana e ci porta ad onorarla, è quella stessa sapienza che ci con- A colloquio con il vescovo Carrasco de Paula Più vecchi, più preziosi di MARIO PONZI Un miliardo e mezzo di anziani nel 2025, oltre due miliardi nel 2050. I numeri non lasciano dubbi: la società mondiale invecchia rapidamente. E tuttavia, come ha sottolineato Papa Francesco proprio mercoledì scorso durante l’udienza generale, non è assolutamente preparata a riconoscere ruolo e dignità delle persone anziane; anzi tende a considerarle un peso gravoso per la comunità, soprattutto se malate, e dunque a “scartarle”. La Chiesa «non può e non vuole conformarsi a una mentalità di insofferenza — ha ribadito ancora Papa Francesco — e tanto meno di indifferenza e di disprezzo, nei confronti della vecchiaia». E facendo eco alle parole di Benedetto XVI, ha aggiunto: «Dove non c’è onore per gli anziani, non c’è futuro per i giovani». Ne abbiamo parlato con il vescovo Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la vita, che proprio al tema «L’assistenza agli anziani e le cure palliative» dedica il workshop in programma venerdì 6 marzo nell’ambito della plenaria che si svolge dal 5 al 7 nell’Aula nuova del Sinodo. Il seminario di studio non poteva avere miglior viatico delle parole pronunciate mercoledì dal Pontefice. È stata una coincidenza, felice e molto significativa. Papa Francesco, del resto, ha sempre avuto molto a cuore la situazione degli anziani, sin da quando era arcivescovo a Buenos Aires. Da parte sua la Pontificia Accademia è molto attenta agli anziani, alla qualità della loro vita, e cerca le vie per stimolare la società verso la piena assunzione di responsabilità nei loro confronti, considerandole, come effettivamente sono, delle persone con piena dignità, dotate di una saggezza maturata attraverso le tante esperienze vissute. Lei parla di qualità della vita. In che cosa consiste? Evidentemente quando si parla di qualità della vita non ci si riferisce alla quantità della vita da vivere. Sarebbe un errore considerare i progressi della medicina in questo settore solo in quanto fattori di allungamento della vita. Semmai si tratta di un’opportunità da cogliere proprio per vivere una vita di qualità, nel senso di una vita che dà frutti. Ecco, gli anziani devono essere messi in condizione di poter continuare a dare il loro prezioso contributo. Non a caso Papa Francesco ha detto che gli anziani non sono alieni. E non sono neppure degli optional. Sono persone che restano tali, con tutta la loro dignità, sino all’ultimo istante della loro vita. E noi, come Chiesa e come sente di apprezzare i numerosi doni che quotidianamente riceviamo dalla mano provvidente del Padre e di esserne felici. Il precetto ci rivela la fondamentale relazione pedagogica tra i genitori e i figli, tra gli anziani e i giovani, in riferimento alla custodia e alla trasmissione dell’insegnamento religioso e sapienziale alle generazioni future. Onorare questo insegnamento e coloro che lo trasmettono è fonte di vita e di benedizione. Al contrario, la Bibbia riserva una severa ammonizione per coloro che trascurano o maltrattano i genitori (cfr. Es 21, 17; Lv 20, 9). Lo stesso giudizio vale oggi quando i genitori, divenuti anziani e meno utili, rimangono emarginati fino all’abbandono; e ne abbiamo tanti esempi! La parola di Dio è sempre viva e vediamo bene come il comandamento risulti di stringente attualità per la società contemporanea, dove la logica dell’utilità prende il sopravvento su quella della solidarietà e della gratuità, persino all’interno delle famiglie. Ascoltiamo, dunque, con cuore docile, la parola di Dio che ci viene dai comandamenti i quali, ricordiamolo sempre, non sono legami che imprigionano, ma sono parole di vita. “O norare” oggi potrebbe essere tradotto pure come il dovere di avere estremo rispetto e prendersi cura di chi, per la sua condizione fisica o sociale, potrebbe essere lasciato morire o “fatto morire”. Tutta la medicina ha un ruolo speciale all’interno della società come testimone dell’onore che si deve alla persona anziana e ad ogni essere umano. Evidenza ed efficienza non possono essere gli unici criteri a governare l’agire dei medici, né lo sono le regole dei sistemi sanitari e il profitto economico. Uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina. Al contrario, non vi è dovere più importante per una società di quello di custodire la persona umana. Il vostro lavoro di questi giorni esplora nuove aree di applicazione delle cure palliative. Fino ad ora esse sono state un prezioso accompagnamento per i malati oncologici, ma oggi sono molte e variegate le malattie, spesso legate all’anzianità, caratterizzate da un deperimento cronico progressivo e che possono avvalersi di questo tipo di assistenza. Gli anziani hanno bisogno in primo luogo delle cure dei familiari — il cui affetto non può essere sostituito neppure dalle strutture più efficienti o dagli operatori sanitari più compe- società, dobbiamo essere in grado di accompagnarli, di affiancarli soprattutto nella fase finale della loro esistenza. Perché certe politiche ispirate a quella che Francesco chiama “cultura dello scarto” tendono a identificare l’anziano col malato? Questo nasce essenzialmente dal fatto che la società non è preparata all’allargarsi della fascia degli anziani. Non sapendo come affrontare la questione, spesso identifica l’anziano con il malato. Certamente ci sono anziani malati, ma ancor prima degli anziani malati bisognerebbe parlare degli anziani che soffrono. Molti anziani cominciano a soffrire molto prima che, come è inevitabile, sopraggiunga la malattia. Soffrono per le violenze che sempre più spesso subiscono; soffrono per il disprezzo di cui sono oggetto; soffrono perché abbandonati. Ma qui entra in gioco il discorso sul ruolo della famiglia. Fin quando è possibile l’anziano deve essere affiancato dalla sua famiglia, alla quale ha dato tutto se stesso durante la sua vita e che ora è chiamata ad accompagnarlo nella fase finale dell’esistenza. Senza nome sco, «non dice che era cattivo»: piuttosto «era un uomo di vita agiata, si dava alla buona vita». In fondo «il Vangelo non dice che si divertisse alla grande»; la sua era piuttosto «una vita tranquilla, con gli amici». Chissà, magari «se aveva i genitori, sicuramente inviava loro dei beni perché avessero il necessario per vivere». E forse «era anche un uomo religioso, a suo modo. Recitava, forse, qualche preghiera; e due o tre volte l’anno sicuramente si recava al tempio per fare i sacrifici e dava grosse offerte ai sacerdoti». E «loro, con quella pusillanimità clericale lo ringraziavano e lo facevano sedere al posto d’onore». Questo era «social- Non abbiamo paura di niente Sì. È il momento in cui c’è più bisogno di amore, di calore, di vicinanza. Però è diventato anche il momento in cui intorno alla persona sofferente si contrappongono diverse visioni della medicina e della vita. Quale può essere il messaggio del vostro seminario? Uno solo: non dimenticare mai la persona anziana, la sua dignità, la sua preziosità. meno valore per il fatto che “non salva la vita”. Le cure palliative realizzano qualcosa di altrettanto importante: valorizzano la persona. Esorto tutti coloro che, a diverso titolo, sono impegnati nel campo delle cure palliative, a praticare questo impegno conservando integro lo spirito di servizio e ricordando che ogni conoscenza medica è davvero scienza, nel suo significato più nobile, solo se si pone come ausilio in vista del bene dell’uomo, un bene che non si raggiunge mai “contro” la sua vita e la sua dignità. È questa capacità di servizio alla vita e alla dignità della persona malata, anche quando anziana, che misura il vero progresso della medicina e della società tutta. Ripeto l’appello di san Giovanni Paolo II: «Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità!» (ibid., 5). Vi auguro di continuare lo studio e la ricerca, perché l’opera di promozione e di difesa della vita sia sempre più efficace e feconda. Vi assista la Vergine Madre, Madre di vita e vi accompagni la mia Benedizione. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Grazie. Messa a Santa Marta Essere mondani significa perdere il proprio nome fino ad avere gli occhi dell’anima «oscurati», anestetizzati, tanto da non vedere più le persone che ci stanno intorno. È da questo «peccato» che Francesco ha messo in guardia nella messa celebrata giovedì mattina, 5 marzo, a Santa Marta. «La liturgia quaresimale di oggi ci propone due storie, due giudizi e tre nomi» ha subito fatto notare Francesco. Le «due storie» sono quelle della parabola del ricco e del mendicante Lazzaro, narrata da Luca (16, 19-31). In particolare, ha affermato il Papa, la prima storia è «quella dell’uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e lino finissimo» e «si trattava bene», tanto che «ogni giorno si dava a lauti banchetti». In realtà il testo, ha precisato France- Lei si riferisce anche alla fase terminale della malattia? È il momento in cui si accendono infinite e continue polemiche. Polemiche che investono la questione dell’opportunità delle cure, delle spese ritenute inutili. È il momento in cui si avanzano insinuazioni ispirate da quella cultura della morte, da anni denunciata dalla Chiesa, che cerca di camuffare l’eutanasia con una presunta dolce morte. La dolce morte è solo quella naturale. È il compimento di una vita che si spegne tra gente che ama, che si prende cura della sofferenza, consapevole dell’inutilità di continuare a somministrare medicine ormai rivelatesi inefficaci o di intervenire con altri mezzi altrettanto inutili. E che cerca solo di alleviare la sofferenza con le cure palliative e senza far mancare, oltre all’affetto, il necessario nutrimento, del corpo così come dell’anima. L’eutanasia non allevia sofferenze. Anticipa la morte provocandola. tenti e caritatevoli. Quando non autosufficienti o con malattia avanzata o terminale, gli anziani possono godere di un’assistenza veramente umana e ricevere risposte adeguate alle loro esigenze grazie alle cure palliative offerte ad integrazione e sostegno delle cure prestate dai familiari. Le cure palliative hanno l’obiettivo di alleviare le sofferenze nella fase finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano (cfr. Lett. enc. Evangelium vitae, 65). Si tratta di un sostegno importante soprattutto per gli anziani, i quali, a motivo dell’età, ricevono sempre meno attenzione dalla medicina curativa e rimangono spesso abbandonati. L’abbandono è la “malattia” più grave dell’anziano, e anche l’ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno aiutato a crescere non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro amore e della nostra tenerezza. Apprezzo pertanto il vostro impegno scientifico e culturale per assicurare che le cure palliative possano giungere a tutti coloro che ne hanno bisogno. Incoraggio i professionisti e gli studenti a specializzarsi in questo tipo di assistenza che non possiede «Ci hanno messi di fronte alla scelta se essere cristiani o essere uccisi» e «siamo dovuti scappare dalle nostre terre con il nostro Cristo, con la nostra fede e con i nostri principi. Abbiamo scelto di andare via lontano dalle nostre case e dal nostro Paese che amiamo, preferendo diventare stranieri in una terra straniera, con tutto il dolore e la sofferenza che ne consegue, piuttosto che diventare parte di quel male e di quella violenza inumana contro gli innocenti». È un passaggio della commovente lettera inviata al Papa da alcune famiglie cristiane irachene rifugiate da alcuni mesi nella parrocchia di Naour in Giordania. A consegnarla nelle mani di Francesco — dopo la messa a Santa Marta di giovedì 5 marzo — è stato padre Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media di Amman e parroco a Naour. Padre Rifat ha donato al Pontefice anche la copia di un dipinto realizzato da uno di questi profughi: «Non posso rivelarne il nome — ci ha detto il religioso — perché teme per la sua vita, ma nel quadro ha racchiuso tutto il dramma vissuto dalla comunità cristiana di Mosul». L’opera raffigura una carovana che si lascia alle spalle le mura della città (sulla sinistra si vede anche una statua di lamassu, uno dei simboli della civiltà assira che sono stati distrutti dai terroristi). In testa la Sacra famiglia («anche loro sono stati dei rifugiati») e un angelo custode che accompagna il cammino di un popolo intero: sacerdoti, suore, uomini, donne, anziani, bambini, alcuni indossano abiti tipici delle città di Mosul e Qaraqosh. «In questi mesi — ci dice padre Rifat — ho ricevuto da queste persone, perseguitate proprio perché cristiane, una grande testimonianza: non hanno più nulla, la loro unica ricchezza è la fede». Lo scrivono loro stessi al Papa: «La nostra fede oggi è molto più forte di prima. Non abbiamo paura di niente perché siamo convinti che Dio è con noi». (maurizio fontana) mente» il sistema di vita dell’uomo ricco presentato da Luca. C’è poi «la seconda storia, quella di Lazzaro», il povero medicante che sta davanti alla porta del ricco. Com’è possibile che quell’uomo non si accorgesse che sotto casa sua c’era Lazzaro, povero e affamato? Le piaghe di cui parla il Vangelo, ha rilevato il Papa, sono «un simbolo delle tante necessità che aveva». Invece «quando il ricco usciva da casa, forse la macchina con la quale usciva aveva i vetri oscurati per non vedere fuori». Ma «sicuramente la sua anima, gli occhi della sua anima erano oscurati per non vedere». E così il ricco «vedeva soltanto la sua vita e non si accorgeva di che cosa era accaduto» a Lazzaro. In fin dei conti, ha affermato Francesco, «il ricco non era cattivo, era ammalato: ammalato di mondanità». E «la mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà: vivono in un mondo artificiale, fatto da loro». La mondanità «anestetizza l’anima». E «per questo, quell’uomo mondano non era capace di vedere la realtà». Perciò, ha spiegato il Papa, «la seconda storia è chiara»: ci sono «tante persone che conducono la loro vita in maniera difficile», ma «se io ho il cuore mondano, mai capirò questo». Del resto, «con il cuore mondano» non si possono comprendere «la necessità e il bisogno degli altri. Con il cuore mondano si può andare in chiesa, si può pregare, si possono fare tante cose». Ma Gesù, nella preghiera dell’ultima cena, che cosa ha chiesto? «Per favore, Padre, custodisci questi discepoli», in modo «che non cadano nel mondo, non cadano nella mondanità». E la mondanità «è un peccato sottile, è più di un peccato: è uno stato peccaminoso dell’anima». «Queste sono le due storie» presentate dalla liturgia, ha riepilogato il Pontefice. Invece «i due giudizi» sono «una maledizione e una benedizione». Nella prima lettura, tratta da Geremia (17, 5-10), si legge: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore». Ma questo, ha puntualizzato Francesco, è proprio il profilo del «mondano che noi abbiamo visto» nell’uomo ricco. E «alla fine, come sarà» quest’uomo? La Scrittura lo definisce «come un tamerisco nella steppa: non vedrà venire il bene, “dimorerà in luoghi aridi nel deserto” — la sua anima è deserta — “in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere”». E tutto questo «perché i mondani, per la verità, sono soli con il loro egoismo». Nel testo di Geremia c’è poi anche la benedizione: «Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua», mentre l’altro «era come un tamerisco nella steppa». E, poi, ecco «il giudizio finale: niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce: quell’uomo aveva il cuore ammalato, tanto attaccato a questo modo di vivere mondano che difficilmente poteva guarire». Dopo le «due storie» e i «due giudizi» Francesco ha riproposto anche «i tre nomi» suggeriti nel Vangelo: «Sono quello del povero, Lazzaro, quello di Abramo e quello di Mosè». Con un’ulteriore chiave di lettura: il ricco «non aveva nome, perché i mondani perdono il nome». Sono soltanto un elemento «della folla benestante che non ha bisogno di niente». Invece un nome lo hanno «Abramo, nostro padre, Lazzaro, l’uomo che lotta per essere buono e povero e porta tanti dolori, e Mosè, quello che ci dà la legge». Ma «i mondani non hanno nome. Non hanno ascoltato Mosè», perché hanno bisogno solo di manifestazioni straordinarie. «Nella Chiesa — ha proseguito il Pontefice — tutto è chiaro, Gesù ha parlato chiaramente: quella è la strada». Ma «c’è alla fine una parola di consolazione: quando quel povero uomo mondano, nei tormenti, chiede di inviare Lazzaro con un po’ d’acqua per aiutarlo», Abramo, che è la figura di Dio Padre, risponde: «Figlio, ricordati...». Dunque «i mondani hanno perso il nome» e «anche noi, se abbiamo il cuore mondano, abbiamo perso il nome». Però «non siamo orfani. Fino alla fine, fino all’ultimo momento c’è la sicurezza che abbiamo un Padre che ci aspetta. Affidiamoci a lui». E il Padre si rivolge a noi dicendoci «figlio», anche «in mezzo a quella mondanità: figlio». E questo significa che «non siamo orfani». «Nella preghiera all’inizio della messa — ha detto infine Francesco — abbiamo chiesto al Signore la grazia di volgere i nostri cuori a lui, che è Padre». E così, ha concluso, «continuiamo la celebrazione della messa pensando a queste due storie, a questi due giudizi, ai tre nomi; ma, soprattutto, a quella bella parola che sarà sempre detta fino all’ultimo momento: figlio».
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