Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 35 (46.873) Città del Vaticano venerdì 13 febbraio 2015 . Il Papa apre i lavori del concistoro straordinario Comunione e collegialità Tempo, determinazione e collaborazione per la riforma della Curia L’appuntamento era per le 9, ma già mezz’ora prima Papa Francesco era nell’aula del Sinodo. In piedi, davanti al tavolo della presidenza, pronto ad accogliere i cardinali convocati per il concistoro straordinario che, alla vigilia della creazione di venti nuovi porporati, è riunito oggi, 12 febbraio, e domani per discutere la riforma della Curia romana. Francesco li ha salutati uno a uno, scambiando con ciascuno qualche parola. «Benvenuti in questa comunione che si esprime nella collegialità» dirà poi a tutti nell’intervento iniziale: e quella cordiale e non formale accoglienza era già l’espressione concreta dell’intenzione di valorizzare pienamente la partecipazione personale e collegiale. Insieme, i 146 cardinali (con i quali erano diciannove dei venti ecclesiastici che sabato riceveranno la porpora) hanno cantato il Veni creator, invocando l’assistenza dello Spirito Santo per il raggiungimento di quella che il Pontefice ha definito «una meta non facile» che «richiede tempo, determinazione e collaborazione». La riforma — auspicata nelle congregazioni generali prima del conclave e che porterà alla stesura di una nuova costituzione apostolica — «non è fine a se stessa» ha detto il Papa, ma vuole portare sempre maggiore «collaborazione e trasparenza» nella Curia «per dare forza alla testimonianza cristiana, per favorire una più efficace evangelizzazione; per promuovere un più fecondo spirito ecumenico; per incoraggiare un dialogo più costruttivo con tutti». Completata la preghiera dell’O ra Terza, il cardinale Angelo Sodano, decano del collegio, ha salutato il Pontefice e, dopo aver brevemente richiamato le precedenti riforme della Curia volute da Paolo VI e Giovanni Paolo II, ha assicurato a Papa Francesco la piena collaborazione, personale e collegiale, dei cardinali in un lavoro che intende rispondere adeguatamente alle sfide del presente, forte delle esperienze del passato. Poi, prima dell’inizio dei lavori che sono proseguiti anche nel pomeriggio, il Pontefice ha rivolto il suo saluto e ha invitato tutti a confrontarsi con «parresìa, fedeltà al magi- y(7HA3J1*QSSKKM( +,!"!?!#!@! Bambini sfruttati nei centri per richiedenti asilo CANBERRA, 12. La Commissione australiana per i Diritti umani ha chiesto l’avvio di un’inchiesta sul trattamento ricevuto da centinaia di minori detenuti a tempo indefinito in centri per richiedenti asilo nel Paese e in remote isole del Pacifico. In un rapporto intitolato I bambini dimenticati, considerata la più ampia ricerca al mondo su minori in detenzione, la Commissione riferisce che nei centri sono stati segnalati 233 casi di aggressione a bambini, fra cui trentatré violenze sessuali. Gli esperti della Commissione hanno più volte visitato i campi per accertarsi di persona delle condizioni di vita. Il documento denuncia inoltre violazioni dei diritti umani e del dovere di cura, sostenendo che i minori detenuti a tempo indefinito «soffrono di livelli estremi di sofferenze fisiche, emotive, psicologiche e di sviluppo». Secondo gli esperti della Commissione per i Diritti umani, l’inchiesta deve esaminare l’eventuale «uso della forza da parte delle autorità governative contro i minori in detenzione e raccomandare rimedi alle violazioni». «Non possiamo più chiudere gli occhi davanti agli abusi sessuali, fisici e psicologici che questa politica di detenzione indefinita infligge ai minori», hanno dichiarato gli esponenti di numerose organizzazioni in difesa dei diritti umani. stero e consapevolezza che tutto ciò concorre alla legge suprema, ossia alla salus animarum». Base della discussione successiva sono state la relazione del cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga — che ha ripercorso storicamente l’attività del Consiglio di cardinali, illustrandone il metodo di lavoro seguito in questi mesi — e quella del segretario del Consiglio, il vescovo Marcello Semeraro, il quale è entrato nel dettaglio delle proposte per il progetto di riforma della Curia. Un intervento strutturato in due parti: la prima, più generale, riguardante i principi ispiratori e le linee guida della riforma, la seconda più specificamente dedicata alle due proposte che godono già di un processo avanzato di elaborazione: la creazione, cioè, di due nuovi dicasteri dedicati a laici, famiglia e vita, l’uno, e a carità, giustizia e pace l’altro. Dopodiché è iniziata la discussione: dodici gli interventi che hanno chiuso la mattinata. PAGINA 8 L’annuncio a Minsk al termine di una maratona negoziale di oltre diciassette ore Accordo per il cessate il fuoco in Ucraina MINSK, 12. Dopo una maratona negoziale durata oltre diciassette ore, è stato raggiunto stamane a Minsk un accordo per il cessate il fuoco nell’est ucraino. Lo hanno annunciato dalla capitale bielorussa i presidenti russo, ucraino e francese, Vladimir Putin, Petro Poroshenko e François Hollande, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, in un documento comune, in cui si esprime sostegno agli accordi di Minsk dello scorso settembre. L’intesa prevede il cessate il fuoco dalla mezzanotte di sabato prossimo, con il ritiro delle armi pesanti dalla linea del fronte nel conflitto nell’est ucraino entro quattordici giorni, anche se resta controversa la zona di Debaltsevo, che Kiev non vuole cedere ai separatisti filorussi, negando che le sue truppe siano circondate dai ribelli. Ribadito infine l’impegno a rispettare la sovranità e l’integrità territoriale ucraina. Inoltre, il gruppo di contatto (formato da emissari di Kiev, Mosca, dei filorussi e dai rappresentanti dell’Osce) ha approvato un documento con una road map per l’applicazione del piano di pace nel Donbass. «Nonostante tutte le difficoltà, siamo riusciti a concordare sulle questioni principali», ha com- mentato il presidente Putin, invitando tutte le parti a evitare «inutili spargimenti di sangue» fino al raggiungimento della tregua. Il leader del Cremlino si è tuttavia lamentato per il rifiuto di Kiev di impegnarsi in un dialogo diretto con i rappresentanti dei miliziani. Per Poroshenko, «la principale cosa concordata è il cessate il fuoco senza condizioni». Hollande e Merkel hanno invece evocato una «speranza seria» e sottolineato che «c’è ancora molto lavoro da fare». Gli analisti internazionali, da parte loro, parlano di un summit molto difficile, contrassegnato dalla tensione, da Polemiche sui sistemi di salvataggio europei dopo la tragedia di Lampedusa Triton sotto esame ROMA, 12. A meno di quarantotto ore dalla nuova strage dell’immigrazione, con oltre 330 persone morte a largo di Lampedusa, riesplode in Italia e in Europa la polemica sulla missione Triton, il dispositivo di soccorso dell’Ue nel Mediterraneo. Il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, ha espresso «solidarietà e dolore per le vittime» della tragedia, invitando a «non strumentalizzare in mo- do cinico quello che accade». Il problema — ha sottolineato Renzi — «non è Mare Nostrum o Triton, si può chiedere all’Europa di fare di più, ma il punto politico è risolvere il problema in Libia, dove la situazione è fuori controllo». Renzi ha dunque annunciato che nel Consiglio dell’Ue di oggi porrà esplicitamente la questione immigrazione, chiedendo che si faccia di più. Inoltre, il titolare di Palazzo Chigi ha spiegato che «stabilire un nesso tra l’immigrazione attraverso le carrette del mare e il terrorismo è impossibile». Solidarietà e «apprezzamento per l’opera dei soccorritori che ha permesso di salvare molte vite» è stata espressa dal presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, dicendosi «colpito dalla nuova immane tragedia umanitaria avvenuta in acque internazionali». Intanto, anche in Europa si chiede da più parti un cambiamento di rotta sull’immigrazione. In una nota il commissario dei Diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muižnieks, ha dichiarato che «l’operazione Triton non è all’altezza» dei compiti che deve svolgere e che «l’Europa ha bisogno di un sistema di ricerca e salvataggio efficace». La recente tragedia nel Mediterraneo è «un’altra sciagura che poteva essere evitata». una serie di riunioni in formati mutevoli e da colpi di scena, come l’iniziale rifiuto dei ribelli a firmare il documento. Sul tappeto, in effetti, restano ancora importanti nodi insoluti, come lo status delle regioni ribelli e il controllo del confine russo-ucraino. Poroshenko ha detto che l’accordo non prevede né il federalismo né l’autonomia. Ciò nonostante, tutti i partecipanti al summit nel cosiddetto “formato Normandia” hanno portato a casa un risultato: Merkel e Hollande, che non hanno visto fallire la loro mediazione; Putin, che è riuscito a evitare il rischio di ulteriori sanzioni europee alla Russia e, forse, anche la fornitura di armi statunitensi alle truppe di Kiev; Poroshenko, che oggi ha incassato anche dal Fondo monetario internazionale l’estensione del programma di assistenza finanziaria da 17,5 miliardi di euro a circa quaranta miliardi di dollari per quattro anni. E subito L’«Evangelii gaudium» e Antoni Gaudí Ecologista ante litteram LLUIS MARTÍNEZ SISTACH A PAGINA Udienza alla vicepresidente della Repubblica islamica dell’Iran Obama chiede poteri di guerra PAGINA 2 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza, nello Studio dell’Aula Paolo VI, Sua Eccellenza la Signora Shahindokht Molaverdi, VicePresidente della Repubblica Islamica dell’Iran. Provviste di Chiese Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Le Puy-en-Velay (Francia) il Reverendo Padre Luc Crépy, C.J.M., finora Procuratore Generale della Congregazione di Gesù e Maria (Eudisti). Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Dassa-Zoumé (Benin) il Reverendo Padre François Gnonhossou, S.M.A., Consigliere Generale della Società delle Missioni Africane. Per fermare i miliziani dell’Is in Iraq e Siria Migranti soccorsi a Lampedusa (Reuters) 5 dopo il vertice il rublo — che aveva registrato un calo questa mattina sullo sfondo dell’incerto esito dei negoziati di Minsk — ha recuperato valore sull’euro. Il rublo, che questa mattina aveva toccato un massimo di 67,5 sul dollaro e di 76,4 sull’euro, si è rafforzato fino a 64,5 contro il biglietto verde e 73,3 sulla moneta unica. Le dichiarazioni del capo del Cremlino hanno influenzato anche gli indici della Borsa di Mosca: il Micex (denominato in rubli) è balzato in avanti di quasi quaranta punti dopo le dichiarazioni alla stampa sulla tregua. Nella mattina di giovedì 12 febbraio, il Papa ha ricevuto, nello studio dell’Aula Paolo la vicepresidente della Repubblica islamica dell’Iran, Shahindokht Molaverdi VI, Il Santo Padre ha nominato Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni e gli Organismi delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (F.a.o., I.f.a.d. e P.a.m.) il Reverendo Monsignore Fernando Chica Arellano, Consigliere di Nunziatura. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 13 febbraio 2015 Il presidente Obama alla Casa Bianca insieme al vice presidente Biden e al segretario di Stato Kerry (Ansa) Nessun accordo con il Governo greco Giornata mondiale Scontro all’Eurogruppo Il dramma dei bambini soldato ATENE, 12. Si cercava il compromesso, si temeva lo scontro, e i timori si sono avverati: nessun accordo tra Grecia ed Eurogruppo. I ministri non sono riusciti nemmeno a scrivere il comunicato finale congiunto e hanno rinviato la discussione al prossimo vertice di lunedì. Questo nella speranza che il summit dei capi di Stato e di Governo Ue, che si apre oggi, possa trovare una strada diplomatica per imbastire il dialogo con l’Esecutivo di Tsipras. Il Governo greco è fermo sulle sue posizioni e non ha intenzione di retrocedere: dice no all’austerità, non vuole più incontrare la Troika (la squadra di commissari Ue, Bce ed Fmi) e rifiuta il piano di aiuti europeo, proponendo di sostituirlo con un nuovo piano meno restrittivo e che, soprattutto, conceda più spazi di manovra. «Ci sono stati progressi ma non abbastanza per arrivare a una soluzione comune» ha detto il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, al termine della riunione. Molti ministri avrebbero voluto che la Grecia chiedesse non un altro programma ma un’estensione del programma attuale, che avrebbe dato loro la possibilità di negoziare, ma all’interno di una cornice definita e garantita. Tuttavia, Dijsselbloem ha spiegato che «serve prima una base comune politica, e poi gli esperti potranno lavorare a quella tecnica». Una diagnosi molto simile è stata data dal ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, secondo il quale «è stata una discussione fruttuosa. A tratti un pochino troppo franca nei toni, ma sono ottimista. Proseguiamo la conversazione lunedì». La tensione, tuttavia, non è mancata. Secondo quanto si apprende, nelle battute conclusive della riunione i ministri si erano accordati su una formula da inserire nel comunicato finale. Si parlava di accordo su un programma europeo «da estendere, emendare e concludere», tre parole per accontentare tutte le parti: i tedeschi che vogliono che il programma sia portato a compimento, i greci che vogliono modificarlo e quei Paesi che vorrebbero un’estensione del piano che tenga la Grecia ancora sotto tutela della Troika. Ma il comunicato non ha mai visto la luce: il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, dopo una telefonata ad Atene, ha chiesto che venisse tolta la parola «estendere», riportando la discussione al punto di partenza. Ciò nonostante, Varoufakis ha sottolineato che l’uscita della Grecia dalla moneta unica «non è sul tavolo». Al momento, comunque, s’intravedono spiragli. Fonti governative greche — citate dalle agenzie — si sono dette fiduciose sulla possibilità, lunedì prossimo, di arrivare a un accordo sul debito. Via libera del Parlamento Ue a indagini su attività della Cia BRUXELLES, 12. Le Commissioni Libertà civili, Affari esteri e Diritti umani del Parlamento europeo riprenderanno, alla luce delle nuove rivelazioni del Senato statunitense sull’uso della tortura da parte della Cia, le indagini sulle presunte accuse nei confronti del servizio di intelligence riguardanti il trasporto e la detenzione illegale di prigionieri in Paesi dell’Unione. La decisione è stata presa con una risoluzione approvata oggi. Gli eurodeputati hanno nuovamente fatto appello agli Stati membri affinché indaghino su tali accuse e che i responsabili vengano perseguiti. Nel documento approvato con 363 voti favorevoli, 290 voti contrari e 48 astensioni, gli eurodeputati affermano che la relazione del Senato statunitense pubblicata lo scorso dicembre «rivela nuovi fatti che rafforzano le accuse secondo cui alcuni Stati membri dell’Ue, le loro autorità, nonché funzionari e agenti dei loro servizi di sicurezza e intelligence sarebbero stati complici nel programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della Cia, talvolta mediante pratiche di corruzione basate sull’offerta di ingenti somme di denaro in cambio della loro collaborazione». In tal senso — si legge in una nota ufficiale — si prevede l’invio di una missione d’inchiesta parlamentare negli Stati membri dell’Ue che presumibilmente ospitavano siti per la detenzione segreta e la raccolta di informazioni. Saranno inoltre raccolti elementi di prova pertinenti su possibili tangenti o altri atti di corruzione. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Mattarella al Consiglio superiore della magistratura ROMA, 12. Il «principio di legalità» è il faro assoluto e dentro il suo cono di luce si devono affrontare i temi delle «necessarie riforme» e dell’organizzazione della giustizia, che deve sempre essere al servizio della collettività. Questo il messaggio espresso ieri dal presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, presiedendo, per la prima volta la riunione del Consiglio superiore della magistratura. L’occasione era la nomina di Pasquale Ciccolo a procuratore generale presso la Corte costituzionale in sostituzione di Gianfranco Ciani. Nel suo discorso il presidente Mattarella ha auspicato che «la tempestività nel conferimento e nella conferma degli incarichi direttivi avvenga abitualmente». Sentenza di primo grado per la Costa Concordia ROMA, 12. Ampia rilevanza è stata data dalla stampa internazionale alla notizia della sentenza del Tribunale di Grosseto che ieri ha condannato Francesco Schettino, ex comandante della nave Costa Concordia, naufragata all’Isola del Giglio il 13 gennaio 2012, a sedici anni di reclusione e un mese di arresto nel processo di primo grado. Dieci anni e due mesi in meno delle pene chieste dal pubblico ministero. L’accusa è omicidio colposo, lesioni plurime e abbandono della nave. Schettino è stato inoltre interdetto per cinque anni dalla carica di comandante. Non ci sarà nessuna misura cautelare perché esiste solo «un astratto» pericolo di fuga. La sentenza condanna anche la compagnia a un risarcimento di oltre sette milioni di euro. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Per fermare i miliziani dell’Is in Iraq e Siria Obama chiede poteri di guerra WASHINGTON, 12. La coalizione internazionale in Iraq e Siria sta guadagnando terreno e i militanti jihadisti del cosiddetto Stato islamico (Is) perderanno. È questo il messaggio lanciato ieri dal presidente statunitense, Barack Obama, intervenendo alla Casa Bianca. Il presidente ha chiesto al Congresso l’autorizzazione all’uso della forza militare contro l’Is, che rappresenta «una grave minaccia». È la prima volta dal 2002 che il Congresso americano, che come è noto ha la prerogativa di dichiarare guerra, viene chiamato ad autorizzare formalmente un’operazione militare. Nel documento della richiesta, Obama sottolinea il limite temporale di tre anni per una possibile azione di terra «non duratura». Il presidente ha quindi ricordato come finora siano stati circa duemila i raid della coali- Gaetano Vallini Ripresi i colloqui per la pace nel Mali Quaranta teste mozzate a Bengasi Macabro ritrovamento in Libia Progressi nelle trattative sotto l’egida dell’O nu TRIPOLI, 12. La violenza non conosce tregua in Libia. Proprio nel primo giorno di colloqui tra le forze coinvolte nella crisi libica, le forze speciali dell’esercito hanno trovato quaranta teste mozzate vicino Bengasi. Il macabro ritrovamento — riportano fonti della stampa locale — è avvenuto nella zona di industriale di Bou Atny, a est di Bengasi, dove le forze speciali erano in perlustrazione, dopo aver sottratto l’area al controllo dei miliziani islamici. Nei colloqui per risolvere lo stallo politico e istituzionale nel Paese, «hanno partecipato per la prima volta tutti coloro che erano stati invitati» ha sottolineato un comunicato della Missione di supporto delle Nazioni Unite per la Libia (Unismil) riassumendo i risultati dell’incontro, svoltosi a Ghadames. La nota indirettamente sottolinea dunque la partecipazione del Gnc, il Parlamento che sostiene il Governo non riconosciuto dalla comunità internazionale e insediato a Tripoli, che finora aveva boicottato i colloqui svoltisi a Ginevra e aveva preteso che si svolgessero in Libia. L’inviato dell’Onu per la Libia, Bernardino León, ha comunque tenuto solo «incontri separati con le delegazioni», precisa fra l’altro la nota. I partecipanti hanno concordato di tenere «un altro round di dialogo nei prossimi giorni». Si è trattato comunque — ha aggiunto Léon — di un dialogo «positivo e costruttivo». E nelle mani dell’inviato León, sostenuto con forza anche dal Governo italiano, risiedono le ultime chance di far sì che il Paese, a oltre tre anni dalla caduta del regime di Gheddafi, il 20 ottobre 2011, non ricada in una sanguinosa guerra civile, come molti altri Paesi africani. Di recente, in un rapporto, le Nazioni Unite hanno reso noto che in Libia, nei mesi scorsi, è stato compiuto un numero record di violazioni dei diritti umani. Il Paese è nelle mani soprattutto delle milizie islamiche che sostengono il Governo di Tripoli. Inoltre circa 400.000 persone sono fuggite dalle loro case tra maggio e giugno scorsi. Stato d’emergenza nella città nigerina di Diffa NIAMEY, 12. Le autorità del Niger hanno proclamato uno stato d’emergenza nella città sudorientale di Diffa, al confine con la Nigeria, da giorni sotto attacco dei miliziani di Boko Haram. Con lo stato d’emergenza, che durerà quindici giorni, alle forze di sicurezza locali vengono concessi poteri più ampi, compreso quello «di ordinare perquisizioni nelle abitazioni, di giorno e di notte». L’annuncio è stato dato tramite la radio nazionale di Niamey. Lunedì scorso, il ministro nigerino della Difesa, Mahamadou Kharidjo, parlando in Parlamento, ave- va riferito di una situazione estremamente drammatica a Diffa, dove gran parte della popolazione è in fuga per paura di nuovi attacchi dei terroristi. Testimoni oculari hanno parlato, inoltre, di attività paralizzate nel centro abitato: sono state chiuse sia le scuole che gli altri edifici pubblici, così come le attività private. Il Niger è attualmente in prima linea nel contrasto al gruppo jihadista, così come altri Paesi della regione: due giorni fa, il Parlamento ha dato il via libera all’invio di 750 uomini in territorio nigeriano per combattere i fondamentalisti. ALGERI, 12. In occasione della ripresa, ieri ad Algeri, dei colloqui tra il Governo del Mali e i gruppi ribelli radicati nel nord del Paese africano, il primo ministro, Modibo Keita, ha detto che «un accordo di pace deve essere raggiunto il più presto possibile». L’appello è stato rivolto da Keita dopo un incontro con il presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, mediatore dei negoziati di pace. Il nord del Mali è stato teatro di un sanguinoso conflitto armato tra il 2012 e il 2013. Nella regione è tuttora dispiegata una missione di pace delle Nazioni Unite (Minusma) ed è attivo un contingente militare francese. Il principale gruppo ribelle, di matrice tuareg, è il Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla). I negoziati erano stati sospesi a dicembre per disaccordi su una riforma federalista del Paese. L’obiettivo dei colloqui è quello di stabilizzare definitivamente le regioni settentrionali del Paese. Una road map per un accordo era già stata firmata fra Bamako e i gruppi ribelli nel luglio scorso: un secondo round di colloqui svoltosi a settembre, non aveva tuttavia portato ad alcun progresso significativo verso un’intesa definitiva tra le parti in lotta. Conferenza a Bruxelles sulla lotta all’ebola BRUXELLES, 12. Si aprirà il prossimo 3 marzo a Bruxelles una grande conferenza internazionale di alto livello per fare il punto della situazione nella lotta contro l’ebola, coordinare le azioni per lo sradicamento completo del virus e preparare la ripresa dei Paesi più colpiti. La conferenza sarà co-presieduta dai leader di Guinea, Sierra Leone e Liberia, Togo, Onu, Unione africana ed Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale). Sono attese oltre ottanta delegazioni, inclusi gli stati membri dell’Ue e i Paesi dell’Africa occidentale oltre a quelli impegnati nella lotta al virus, più diverse agenzie delle Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale. Finora sono oltre 22.000 i casi di contagio per ebola accertati, e oltre 8.800 le vittime. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione zione contro i militanti dell’Is. E ha rivendicato anche i successi finora ottenuti. «Stiamo distruggendo le loro linee di comando, di controllo e di rifornimento» ha sottolineato il presidente. «La nostra coalizione è forte, la nostra causa è giusta e la nostra missione avrà successo. Saranno indeboliti e distrutti». Gli Stati Uniti, dunque, non escludono la possibilità di un intervento di terra in Iraq e in Siria per un periodo limitato e con interventi mirati. Finora l’autorizzazione all’uso della forza era limitato ai raid aerei e al lancio di aiuti umanitari. In tal senso, l’inquilino della Casa Bianca ha voluto precisare: «Non sto chiedendo di aprire una nuova guerra sul campo come in Afghanistan o in Iraq. All’invio di truppe si ricorre solo se è assolutamente necessario». NEW YORK, 12. Una tragedia senza fine, che coinvolge soprattutto le aree più povere del mondo. Sono oltre 250.000 i minorenni costretti a combattere e arruolati in eserciti regolari o gruppi paramilitari. Questo il dato principale diffuso oggi dall’Onu in occasione della Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato. In una nota diffusa dall’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, si esprime in particolare «grande preoccupazione per le notizie in arrivo dalla Siria, dal Sud Sudan e dalla Repubblica Centroafricana» dove sono stati registrati numerosi casi di arruolamento di minori. La Giornata internazionale coincide con l’anniversario dell’adozione, nel 2002, del Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Si tratta di uno strumento giuridico, ratificato finora da 153 Paesi, che vieta il reclutamento forzato o qualunque altro tipo di impiego di minori nei combattimenti sia da parte di forze di eserciti regolari che di gruppi ribelli. 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Nei combattimenti — dicono le stesse fonti — si sono avute decine di morti e feriti. L’esercito israeliano ha fatto sapere di seguire da vicino gli sviluppi nel Golan, anche perché parte degli scontri a fuoco avvengono a pochi chilometri in linea d’aria dalle sue postazioni. La settimana scorsa hanno effettuato un sopralluogo nell’area il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e il ministro della Difesa, Moshe Yaalon. La Siria, e più in generale la minaccia terroristica in Vicino oriente, sarà certamente uno dei temi chiave del discorso che Netanyahu terrà al Congresso statunitense il prossimo 3 marzo. Intanto, sul piano diplomatico, l’Europa è intervenuta ieri per chiedere una ripresa dei colloqui diretti tra israeliani e palestinesi. Per il Vicino oriente «io e il presidente Juncker sosteniamo la soluzione dei due Stati: una Palestina democratica e indipendente che viva al fianco di Israele in pace e sicurezza» ha detto l’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini, al termine di un incontro a Bruxelles con il presidente palestinese Mahmoud Abbas. «Per realizzare questo progetto — ha spiegato Mogherini — devono ricominciare i negoziati diretti». L’8 febbraio a Monaco di Baviera si è riunito il Quartetto (Stati Uniti, Russia, Onu e Ue). «A breve termine — ha aggiunto Mogherini — è assolutamente vitale sostenere la situazione finanziaria critica dell’Autorità palestinese. Israele dovrebbe riaprire i trasferimenti di denaro, in linea con gli impegni presi». E a questo proposito, la Svezia ha annunciato ieri di aver stanziato aiuti ai palestinesi per circa 160 milioni di euro. L’annuncio è stato dato durante la visita a Stoccolma del presidente Abbas. L’accordo prevede aiuti fino al 2019. I finanziamenti andranno principalmente a progetti come la lotta alla corruzione e alla disuguaglianza, e il rispetto dei diritti umani. Secondo il premier svedese, Stefan Löfven, «sia Israele che i palestinesi devono essere pronti al compromesso, pronti a sedersi al tavolo dei negoziati». A gennaio più di 1500 morti in Afghanistan A causa dell’instabilità Germania e Italia chiudono le ambasciate nel Paese arabo Caos e violenza nello Yemen SAN’A, 12. Lo Yemen rischia di sprofondare nel caos. Dopo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, che hanno deciso di chiudere le proprie ambasciate a San’a, anche la Germania e l’Italia hanno elevato il grado di allerta, invitando i propri cittadini rimasti per assoluta necessità a partire quanto prima. L’inviato dell’Onu, Jamal Ben Omar, afferma che il Paese si trova ormai «sull’orlo di una guerra civile». La Farnesina ha sottolineato che l’ambasciata d’Italia a San’a sarà temporaneamente chiusa ai servizi per il pubblico, avvertendo che c’è «un rischio particolarmente alto di sequestri per i cittadini occidentali» e che «la minaccia terroristica è molto diffusa». Quattro anni dopo l’inizio delle manifestazioni che, sull’onda delle primavere arabe, portarono all’uscita di scena del presidente Ali Abdullah Saleh, il Paese appare drammaticamente spaccato, mentre le istituzioni statali sono al collasso. I ribelli sciiti huthi, scesi l’estate scorsa dalle regioni del nord, si sono ormai impadroniti della capitale, dove da gennaio hanno costretto agli arresti domiciliari il presidente Abed Rabbo Mansur Hadi e i suoi ministri. Gli huthi hanno inoltre annunciato pochi giorni fa un decreto costituzionale considerato dagli analisti un atto rivoluzionario a tutti gli effetti. Il documento scioglie il Parlamento e lo sostituisce con un Consiglio nazionale di transizione (Cnt) composto da 551 membri. Al Cnt spetterà il compito di eleggere un Consiglio presidenziale di cinque membri, il quale a sua volta nominerà un Governo di transizione. Ma soprattutto, il decreto stabilisce che sia il Consiglio di transizione sia il Consiglio presidenziale siano sotto il diretto controllo del Comitato supremo rivoluzionario. In questa situazione confusa — dicono gli analisti — trovano spazio le cellule terroristiche legate ad Al Qaeda, che proprio nello Yemen, secondo gli Stati Uniti, ha i suoi nuclei operativi più pericolosi, nonostante i ripetuti bombardamenti dei droni americani. Secondo il Site, sito internazionale di monitoraggio dell’estremismo islamico, alcuni gruppi di combattenti qaedisti nel Paese sarebbero intenzionati ad aderire al cosiddetto Stato islamico attivo in Iraq e in Siria. E a rendere ancor più complicata la situazione vi è la presen- Due sospetti terroristi arrestati in Australia Combattimenti nel Myanmar NAYPYIDAW, 12. Violenti scontri a fuoco tra l’esercito del Myanmar e i ribelli dell’Alleanza democratica nazionale (Mndaa, noti anche come truppe Kokang) sono stati registrati nelle ultime ore nel Kokang, nello Stato Shan, regione settentrionale del Paese del sud-est asiatico, al confine con la Cina. Il Mndaa faceva parte di una forza di guerriglia sostenuta dalla Cina, chiamata Partito comunista della Birmania, e divenne il primo di una dozzina di gruppi etnici armati a firmare un accordo bilaterale di cessate il fuoco con il Governo, dopo che il gruppo si divise nel 1989. Nuovo primo ministro a Timor Est DILI, 12. Nuovo primo ministro a Timor Est, dopo le discusse dimissioni la scorsa settimana di Xanana Gusmão, tra i personaggisimbolo dell’indipendenza dall’Indonesia nel 2002. Il presidente, Tan Matan Ruak, ha scelto come prossimo capo dell’Esecutivo l’ex ministro della Sanità, Rui Araújo, esponente del partito Fretilin, all’opposizione nel Parlamento di Dili. Araújo era stato proposto da Gusmão e dal partito del Congresso nazionale per la ricostruzione timorese. Per gli analisti, la nomina dell’ex ministro è una importante mossa di riconciliazione per allentare le tensioni politiche, favorire il rinnovamento della classe dirigente e dare impulso alle nuove, necessarie riforme per fare ripartire il Paese. za di un forte movimento secessionista nel Sud, che vorrebbe la creazione di uno Stato separato, come quello esistito fino al 1990. Secondo fonti citate dalla televisione panaraba «Al Jazeera», i ribelli huthi si sono impossessati di una ventina di autoveicoli dell’ambasciata americana dopo che la sede diplomatica era stata evacuata, mentre l’agenzia Ap riferisce che migliaia di sostenitori delle milizie sciite hanno manifestato ieri nelle vie di San’a gridando slogan antioccidentali. Nelle stesse ore migliaia di manifestanti contrari ai ribelli huthi sono sfilati nelle strade di Taiz, la terza città yemenita, nel sud-ovest del Paese, uno dei centri della protesta che quattro anni fa portò alle dimissioni di Saleh. Ma gli huthi, che ora hanno nelle loro mani dieci delle ventidue province del Paese, sembrano più che mai intenzionati a proseguire nella loro marcia per impadronirsi di quelle che ancora sfuggono al loro controllo. L’ultima città espugnata è stata ieri quella di Radda, nella provincia centrale di Al Bayda, dove nove persone sono state uccise e quindici ferite negli scontri con forze locali che cercavano di opporsi all’avanzata degli sciiti. Tuttavia, l’accordo finì nel 2009, quando ai gruppi armati fu chiesto di trasformarsi in guardia di frontiera paramilitare sotto il controllo dell’esercito nazionale: una ristrutturazione che il Mndaa non accettò. Le cause degli attuali scontri, che hanno causato diverse vittime e migliaia di sfollati, non sono ancora chiare. Un portavoce del Mndaa, parlando con i giornalisti locali, ha negato che le loro forze, stimate a circa tremila unità, abbiano attaccato le truppe governative, superiori di gran numero e molto meglio attrezzate. Scongiurato in Brasile un disastro ambientale La conferenza stampa delle forze di sicurezza a Sydney (Reuters) CANBERRA, 12. Due uomini sono stati arrestati ieri in Australia con l’accusa di essere sostenitori del cosiddetto Stato islamico e di pianificare attacchi con armi da taglio nella città di Sydney. I due sono stati catturati nel corso di una vasta operazione delle forze di sicurezza a Fairfield, un sobborgo di Sydney. Come ha riferito il premier australiano, Tony Abbott, la polizia è intervenuta poiché si temeva un imminente attacco terroristico. Catherine Burn, vice capo della polizia del Nuovo Galles del Sud, ha spiegato all’emittente televisiva Abc che l’unità antiterrorismo è intervenuta dopo avere ricevuto una soffiata. Durante gli arresti, gli agenti hanno rinvenuto un machete, un coltello da caccia, una bandiera dello Stato islamico e un video nel quale un uomo parlava in arabo di una serie di attentati da compiere a Sydney. Secondo la polizia, l’azione dei due arrestati prevedeva anche una decapitazione pubblica. BRASILIA, 12. Una violenta esplosione causata da una fuga di gas è stata registrata ieri su una nave-piattaforma petrolifera del colosso statale brasiliano Petrobras, ormeggiata a circa cinquanta miglia dalla costa dello Stato di Espírito Santo, a nord di Rio de Janeiro. Lo scoppio ha provocato cinque vittime, dieci feriti, due dei quali con gravi ustioni, e sei dispersi, secondo fonti del sindacato brasiliano dei lavoratori del settore petrolifero. Tratte in salvo altre trentatré persone che si trovavano a bordo della struttura. Le squadre di soccorso sono riuscite a domare in poche ore l’incendio seguito all’esplosione e hanno scongiurato il rischio di un disastro ambientale come quello avvenuto nel 2012 al largo delle coste di Rio de Janeiro, in seguito alla fuoriuscita di petrolio da una piattaforma della Chevron, che causò una marea nera di oltre duecento chilometri quadrati. L’Agenzia brasiliana per il petrolio ha assicurato che non vi è stata fuoriuscita di greggio e che la piattaforma è «stabile». L’esplosione si è verificata nella sala di pompaggio della Cidade São Mateus, ormeggiata al largo delle coste di Aracruz. In quella zona dell’oceano, i tecnici della Petrobras hanno individuato un grande giacimento di greggio nascosto a oltre duemila metri di profondità. Il Brasile ha investito molto nell’ultimo decennio nella ricerca di giacimenti di presal, un greggio di difficile estrazione. La Cidade São Mateus estrae 2.200 barili di greggio e due milioni e mezzo di metri cubi di gas al giorno. La nave-piattaforma era stata ispezionata nell’aprile 2014 dai tecnici della marina, che rilevarono alcune lacune nei sistemi di sicurezza. KABUL, 12. Nel gennaio scorso, primo mese dopo la conclusione della missione della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf), si sono verificati in Afghanistan quasi settecento incidenti. In un rapporto diffuso dai media locali, utilizzando dati dei servizi di intelligence e dei ministeri della Difesa e degli Interni, si precisa che negli scontri in gennaio sono rimasti uccisi 1324 oppositori armati, 171 membri delle forze di sicurezza afghane e 108 civili. Nello stesso periodo, rileva ancora il documento, esercito e polizia locali hanno compiuto 315 operazioni contro i talebani, arrestando numerosi militanti e sequestrando armi ed esplosivi. La provincia meridionale di Kandahar, luogo dove è nato il movimento talebano, è stata quella dove è avvenuto il maggior numero di incidenti di sicurezza. E a causa della instabilità nel Paese, l’Amministrazione Obama sta considerando di rallentare il ritiro delle proprie truppe dall’Afghanistan per la seconda volta, dopo avere valutato che la situazione della sicurezza resta ancora altamente precaria. Secondo i piani del comandante delle forze statunitensi e della Nato, generale John Campbell, il ritiro dei soldati stranieri potrebbe essere dilazionato nel corso del 2015, in modo da permettere un maggiore addestramento delle truppe afghane nel combattere i miliziani talebani. In ogni caso dovrebbe essere rispettata la data finale della missione statunitense, che si concluderà interamente nei primi mesi del 2017. L’opzione di Campbell, comunque, potrebbe essere quella di mantenere temporaneamente più dei 5.500 soldati, di mantenere attivi più del dovuto i centri regionali di formazione o di ripensare l’intenzione di chiudere le basi. Tutte soluzioni — informano i media — che verranno analizzate nelle prossime ore alla Casa Bianca da Campbell e dai consiglieri del presidente Obama. I funzionari americani dovrebbero prendere una decisione in merito prima della visita del presidente afghano, Ashraf Ghani, a Washington, a marzo. Proprio Ghani aveva chiesto a Obama di riesaminare il suo programma di ritiro delle truppe. Il presidente americano aveva annunciato il piano di ritiro dei suoi soldati a maggio 2014, prima dell’emergere della lunga disputa elettorale sulle presidenziali che ha fatto emergere dubbi sulla stabilità afghana. Trichechi meglio del petrolio ANCHORAGE, 12. Per salvare i trichechi la Casa Bianca ha proibito tutte le trivellazioni petrolifere in alcune aree a nord dell’Alaska. Queste aree sono conosciute come Hanna Shoal, a circa 130 chilometri dalla costa dell’Alaska. Sono composte da banchi di sabbia e si trovano nel mare dei Ciukci, che separa il nord-ovest dell’Alaska dalla Siberia. Ci vivono migliaia di trichechi che crescono i cuccioli sulle secche. Secondo gli esperti, in quel tratto di mare ci sarebbero fino a 26 miliardi di barili di petrolio. I politici locali hanno contestato la decisione perché intendono sfruttare le risorse per creare posti di lavoro e aumentare la produzione energetica. Il 90 per cento degli introiti dell’Alaska dipende dal petrolio. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 venerdì 13 febbraio 2015 Una ricerca internazionale alla Freie Universität di Berlino Tre rami per il Corano «Birdman» del regista messicano Alejandro González Iñarritu Furbizia tecnica ma molto ispirata di EMILIO RANZATO iggan Thomson (Michael Keaton) è un attore in declino che ormai viene ricordato soltanto per aver impersonato sullo schermo il supereroe Birdman. Adesso però decide di ridare slancio alla propria carriera cambiando completamente orizzonte, e portando a Broadway un testo tratto da Carver. Fra mille scetticismi, crisi esistenziali, rapporti R Un unico piano-sequenza di due ore Follia resa oggi possibile dalla tecnologia digitale che consente di unire fittiziamente tante piccole riprese difficili con moglie e figlia (Amy Ryan e Emma Stone), attori eccentrici e indisciplinati (Edward Norton, Naomi Watts), Riggan riuscirà nell’impresa, ma in modo del tutto imprevedibile e personale. Il regista e sceneggiatore messicano Alejandro González Iñarritu è noto per i suoi film tanto affascinanti quanto furbi. Anzi, il cui fascino è dovuto in gran parte proprio a furbizie stilistiche e narrative offerte di soppiatto al pubblico. Amores perros (2000), suo film d’esordio quando girava ancora in patria, è formato da episodi realizzati in modo molto diverso l’uno dall’altro senza un vero motivo; 21 grammi (2003), il debutto americano, è un melodramma di grana abbastanza grossa raccontato con un originale ma Intervista all’arcivescovo Gänswein La scelta di Benedetto XVI La rinuncia al pontificato di Benedetto XVI è stata «un grandissimo atto di governo della Chiesa». A ribadirlo, nell’anniversario della storica dichiarazione di Papa Ratzinger, è l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia, in un’intervista a Gian Guido Vecchi pubblicata sul «Corriere della Sera» del 12 febbraio. «Benedetto XVI è convinto che la decisione presa e comunicata sia quella giusta. Non ne dubita» ha spiegato monsignor Gänswein che di Joseph Ratzinger continua a essere segretario particolare nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano. E infatti il Papa emerito «è serenissimo e certo di questo: la decisione era necessaria, presa “dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”». Con la consapevolezza «di dover guardare non alla propria persona ma al bene della Chiesa». Per monsignor Gänswein «le ragioni sono nella sua declaratio. La Chiesa ha bisogno di un timoniere forte. Tutte le altre considerazioni e ipotesi sono sbagliate». Il presule sottolinea con nettezza che «non si possono fondare ipotesi su cose che non sono vere, totalmente assurde». Tanto che «Benedetto stesso ha detto di aver preso la sua decisione in modo libero, senza alcuna pressione» e assicurando «reverenza e obbedienza» al successore che sarebbe stato eletto. Alla domanda di Vecchi se queste considerazioni e ipotesi nascano da mancanza di senso della Chiesa risponde senza esitare: «Sì, i dubbi sulla rinuncia e l’elezione nascono da questo». Nell’intervista, l’arcivescovo ha sottolineato la scelta coerente di «vita monastica» compiuta da Benedetto XVI. E così Ratzinger «esce solo quando glielo chiede Papa Francesco, per il resto non accetta altri inviti». E ha concluso che ad accomunare il Pontefice e il suo predecessore, pur nella diversità dei «modi di espressione», sono proprio «la sostanza, il contenuto, il depositum fidei, da promuovere e da difendere». gratuito andirivieni temporale che serve soltanto ad acuire pretestuosamente i momenti di dramma; Babel (2006) vorrebbe unire storie diversissime in una sorta di panteismo esistenziale a dir poco velleitario, anche se di bell’effetto strettamente visivo; Biutiful (2010), infine, ricatta il pubblico con ampie dosi di patetismo. Tutti limiti che gli sono stati rinfacciati da gran parte della critica, assieme al riconoscimento di ottime ma spesso vuote doti tecniche. E oggi, con questo Birdman, il regista sembrerebbe voler proseguire spudoratamente nella stessa direzione, facendo qualcosa che a prima vista appare come quanto di più furbo e ostentatamente tecnico non si potrebbe immaginare: girare un film di due ore quasi interamente con un unico piano-sequenza, follia resa oggi possibile dalla tecnologia digitale, che permette di attaccare tante piccole riprese in un unico fittizio continuum. Eppure, anche visto nell’ottica del semplice esercizio di regia, il film convince molto più dei precedenti fin dall’inizio, tanto è sorprendente il modo di tenere insieme personaggi, ambienti, dettagli infinitesimali. Perché le riprese possono anche essere state “incollate” in post-produzione, ma farlo in maniera da renderle un’unica coreografia così fluida e piena di ritmo non è affatto facile. Se è furbizia, insomma, stavolta è furbizia davvero ispirata. Ma proprio quando il gioco arriva sul punto di stancare, il film ha un colpo d’ala degno dell’eponimo supereroe, si affranca dal semplice esercizio e si avvia a capofitto in una mezz’ora finale straordinaria in cui tutti gli elementi del racconto prendono magicamente consistenza, ogni cosa viene spiegata e anche ciò che appa- riva più gratuito, come i poteri sovrannaturali del protagonista, assume invece un significato tanto sul piano logico che su quello poetico. Riggan non sarà magari capace di rendere fedelmente Carver, e dimostrarsi dunque all’altezza di un lavoro artistico colto, ma va ben oltre tutto ciò, rappresentando in qualche modo se stesso sulla scena. E allo stesso modo il film si rivela un bilancio esistenziale e professionale meno pretenzioso ma soprattutto molto più sincero di quanto ci si poteva aspettare. Un piccolo Otto e mezzo in cui Iñarritu parla ovviamente del redivivo Keaton — dimenticato da Hollywood quasi subito dopo il picco di celebrità dovuto ai Batman di Burton — ma soprattutto di sé, mettendo prima alla berlina i suoi limiti e i suoi vizi, e facendoli poi convogliare in qualcosa che stavolta ha davvero un senso, in virtù proprio di quel coraggio di analizzarsi e mostrarsi al pubblico. Ecco allora che quella scelta stilistica apparentemente forzata su cui tutto si poggia — l’infinito piano-sequenza — da ennesimo espediente subdolo si trasforma prima in aperta confessione di artificio, e poi in indispensabile mezzo espressivo per rappresentare al meglio un flusso di coscienza. E c’è davvero molto di Fellini in questo fare dell’artificio uno strumento di verità. E anche molto di Welles, guarda caso il padre del piano-sequenza, di cui fra l’altro quest’anno ricorre il centenario della nascita. Forse sono consapevoli omaggi, o forse altre magie di un film in cui ogni elemento sembra incanalarsi da sé verso un significato. E che rappresenta un provvidenziale spiraglio nel panorama desolato e tenebroso del cinema di oggi. A Londra una mostra su John Singer Sargent Filosofia dello sguardo Amava dire di sé: «Sono un americano nato in Italia, educato in Francia, che parla inglese, sembro un tedesco e dipingo come uno spagnolo». L’artista John Singer Sargent (Firenze 1856 - Londra 1925) non faceva certo mistero di una formazione culturale poliedrica e dinamica. Ma in fondo il suo talento si concentrò in particolare sui ritratti. Concependo la pittura come uno strumento narrativo che mira a scandagliare i più intimi recessi del soggetto, il ritratto in Sargent viene a configurarsi come un’acuta e serrata introspezione dell’io: è lo sguardo, in questo modo di intendere la pittura, a recitare la parte del protagonista. Ne è conferma la mostra (dal 12 febbraio al 25 maggio) presso la National Portrait Gallery, a Londra, dove sono esibiti alcuni dei ritratti più celebri di Sargent: da Robert Stevenson and his wife alla Carmencita, da Madame x alla Ragazza di Capri. In queste opere è lo sguardo a colpire e a rapire: fatto che acquista una rilevanza ancor più pregnante considerando che i soggetti so- no inseriti in uno scenario più vasto, dove anche altri elementi suscitano attenzione e attrazione. Ed è grazie al ritratto a valenza psicologica che l’artista si fece apprezzare soprattutto presso l’aristocrazia e l’alta borghesia europea e statunitense. Si dice che a quel tempo, grazie ai ritratti che ne fece, la fama dell’autore di Treasure Island e di The Strange Case of Dr. Jekill and Mr. Hyde conobbe una vertiginosa ascesa. Ora, col senno di poi, si potrebbe affermare che la grandezza di Stevenson non era debitrice nei riguardi di nessuno: ma fatto sta che fu lo stesso scrittore a dirsi onorato dell’attenzione di Sargent, rilevando, nel contempo, la suggestiva veridicità di quei ritratti, e di quegli sguardi. (gabriele nicolò) John Singer Sargent, «Robert Stevenson and his wife» (1885) «Il Profeta e i suoi compagni pensavano che il loro messaggio valesse per il mondo intero. Oggi sembra rivolgersi solo al mondo musulmano, ed è un peccato». Lo dice Angelika Neuwirth, docente di letteratura araba alla Freie Universität di Berlino in un’intervista pubblicata su «Le Monde» del 7 febbraio. Secondo la studiosa, l’islam è stato escluso a torto dalla cultura occidentale. «Se l’ebraismo appartiene alla nostra cultura, allora anche l’islam» ne fa parte, dice Neuwirth, che aggiunge: «È più facile integrare un giudaismo familiare rispetto al vasto islam, che si preferisce tenere a distanza. Abbiamo trascurato troppo a lungo il lavoro intellettuale sul Corano e sull’islam». Neuwirth dirige un programma di ricerca internazionale sotto l’egida dell’Accademia delle scienze di Berlino insieme ai colleghi Michael Marx e Nicolai Sinai. Denominato Corpus Coranicum, il progetto si fonda sull’idea di riunire i tre rami delle scienze che approfondiscono il testo sacro all’islam: lo cristianesimo nascente erano gemelli e hanno sviluppato identità distinte solo dopo lunghi dibattiti. L’islam è stato troppo presto considerato “altro”: dai cristiani, per ragioni politiche legate alle conquiste musulmane, e dai musulmani stessi, che proclamavano la novità assoluta del Corano. Questa idea, a mio parere falsa, ha condizionato il nostro sguardo» dice Neuwirth. Per questo è il momento di ricollocare il Corano nel suo tempo. Quando il testo «apparve, nel VII secolo — sostiene la studiosa — c’era già una lunga tradizione di trasmissione orale delle storie bibliche. I Del testo sacro all’islam bisogna approfondire la tradizione manoscritta il contesto storico e il significato delle sure studio della tradizione manoscritta, le fonti dello stesso Corano e i testi risalente soprattutto alla tarda antichità che ne aiutano la comprensione e, infine, il commento delle sure, nel tentativo di contestualizzare il testo sacro all’interno dei dibattiti del suo tempo. «Si scopre così — sostiene la studiosa — che se il Corano insiste sulla misericordia, la carità, l’attenzione verso i deboli, è per contrastare» tradizioni diverse e incoraggiare la ricerca spirituale. I lavori di Neuwirth mirano a dimostrare che il Corano è «figlio della tarda antichità, un momento molto particolare in cui ogni religione rivisita la propria tradizione per trasformarla. Il giudaismo e il Angelika Neuwirth racconti, conosciuti da tutti, interessavano meno delle interpretazioni. Non si trattava di rinnovare la trama per divertire il pubblico, ma di riformulare certi episodi a uso della comunità nascente. Il grande interrogativo che i primi seguaci meccani di Maometto si ponevano era sapere come preservare la fede di fronte alle persecuzioni. La Bibbia forniva loro degli exempla che li aiutarono a resistere malgrado l’oppressione. Si assiste così alla costruzione di un’identità separata in un contesto decadente, quello delle città d’Arabia dell’epoca, un po’ come Mosè in Egitto». Ebraistica o giudaistica? Si presenta sempre un dilemma: Ebraistica o giudaistica? Tutto parte dal termine tedesco Judaistik. Nella traduzione italiana dell’Introduzione all’ebraistica (Brescia, Morcelliana, 2013) Stemberger Günter, professore emerito proprio di Judaistik dell’università di Vienna, perimetra chiaramente il dilemma: «L’ebraistica è lo studio scientifico della storia, della cultura e della religione dell’ebraismo dai suoi primordi biblici fino a oggi». Lo studio diviene quindi una mappa per comprendere i percorsi e le tematiche del giudaismo, non facile da comprendere perché si presenta, insieme, poliedrico e unitario, sia in campo spirituale, sia in campo letterario. La disciplina, pur avendo avuto una lunga preistoria, è una materia piuttosto recente. Requisito fondamentale appare la conoscenza dell’ebraico e delle altre lingue in cui sono stati stampati i libri base per procedere nell’indagine, tuttavia esistono ambiti dell’ebraismo «che possono essere studiati anche senza “zavorra filologica”». Con un avvertimento: «In Europa non è possibile affrontare lo studio dell’ebraistica senza tener conto della tradizione cristiana, che condiziona fortemente ogni nostro discorso sui concetti di storia e tradizione». La prospettiva adottata da Günter è «volutamente conservatrice, nella convinzione che le fasi più antiche della cultura ebraica costituiscano il fondamento di ogni sviluppo ulteriore e allo stesso tempo siano i settori in cui più richieste sono le conoscenze specialistiche dello studioso di ebraistica». Un glossario aiuta a risolvere i dubbi che si affacciano a chi legge il manuale che termina con un avvertimento: «Il cerchio si chiude: senza una conoscenza profonda della letteratura della tradizione rabbinica, anche l’accesso alle manifestazioni moderne del pensiero ebraico è possibile solo con difficoltà». (cristiana dobner) L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 13 febbraio 2015 La basilica barcellonese è un’esplosione di gioia Circondata di luce e accompagnata sempre dal colore contribuisce a suscitare l’allegria di chi la osserva pagina 5 La basilica della Sagrada Família a Barcellona di LLUIS MARTÍNEZ SISTACH olte realtà ecclesiastiche stanno lavorando sull’esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium. È naturale l’interesse suscitato da questo testo del Papa, perché — come lui stesso ha detto — racchiude il contenuto programmatico del suo pontificato per tutta la Chiesa, incentrato soprattutto sul comunicare a tutta la Chiesa la gioia della fede e la «dolce e confortante gioia di evangelizzare». Riflettendo su questo programma del Papa, mi è venuto in mente un certo parallelismo tra l’Evangelii gaudium e il nostro grande architetto Antoni Gaudí y Cornet (1852-1926), il geniale creatore della basilica barcellonese della Sagrada Família. Direi che la sua vita e la sua opera incarnano molti contenuti del documento programmatico di Francesco. A volte l’etimologia offre piste di comprensione molto suggestive. Nel mio caso mi ha invitato a riflettere sulla vicinanza tra il termine gaudium del documento del Papa e il cognome del nostro architetto, Gaudí. Suscitano gioia e allegria quelle cose quae visa placent (che, una volta viste, piacciono). Gaudí fu un cristiano molto consapevole ed esemplare — al punto che è già stato avviato a Roma il suo processo di beatificazione — e voleva che le sue opere architettoniche fossero espressione della fede e suscitassero la gioia della fede in quanti le contemplavano. La Sagrada Família è un’esplosione di gioia, di alle- M L’«Evangelii gaudium» e Antoni Gaudí Ecologista ante litteram Un pittore catalano, in un dipinto chiaNell’ultima tappa della sua vita, Gaudí mato La cattedrale dei poveri, confermò visse molto poveramente, rinunciando a questa profonda sintonia dell’opera della progetti tentatori per dedicarsi esclusivamente al tempio della Sagrada Família. Sagrada Família con i poveri. Inoltre Gaudí curava molto il suo rap- Morì investito da un tram mentre, come porto personale con gli operai; andava a faceva quotidianamente, al termine della visitarli a casa, se erano malati, li consi- giornata di lavoro stava andando alla chiegliava di non eccedere — soprattutto nel sa della congregazione di San Filippo Nebere — e si preoccupava che non mancasse ri, accanto alla cattedrale barcellonese, per loro nulla, offrendo — se era necessario — restare a lungo in preghiera di adorazione il suo aiuto finanziario, sebbene in quegli dinanzi al Santissimo Sacramento, nella anni anche lui vivesse molto poveramente devozione chiamata delle “Quaranta Ore”. nel cantiere, come un costruttore medieva- Era vestito in modo dimesso e non fu rile di cattedrali, insieme ai suoi operai e conosciuto. Ricoverato all’ospedale della così austeramente come loro, e forse anche Santa Croce, o dei poveri, come lui desiderava, le sue ultime parole, dopo aver ridi più. cevuto i sacramenti, furono: «Dio mio, Fece anche costruire delle scuole vicino Dio mio». al tempio per i figli degli operai e degli Il capitolo quinto dell’esortazione di abitanti del quartiere. Papa Francesco è dedicato agli «evangeCon la sua consueta gelizzatori con spirito» e contiene alcune nialità, imitò architettomotivazioni per un rinnovato spirito misnicamente le strutture sionario. Il Papa desidera pastori con odoAnche la sensibilità verso i poveri del cuore umano e citò i re di pecora, non meri funzionari. Ci parla nomi delle tre persone accomuna Papa Francesco dell’«incontro personale con l’amore di della Santa Famiglia: Gesù che ci salva», del piacere spirituale e l’architetto spagnolo Gesù, Maria e Giusepdi essere popolo, dell’azione misteriosa del pe. Un bel modo di diL’uno parla della Chiesa samaritana re che sono l’amore e la Risorto e del suo Spirito, e della forza l’altro viveva austeramente nel cantiere famiglia a dover ispirare missionaria della preghiera, più concretamente della preghiera d’intercessione. l’attività di ogni scuola. Insieme con i suoi operai Su questo punto, il parallelismo con Il Papa emerito, al termine della solenne Gaudí mi sembra molto suggestivo e ispiratore. Gaudí, soprattutto nella maturità, cerimonia di dedicazione, ha riconosciuto que- aspirava a trasformare tutte le sue opere in gria della fede. La sua tecnica depurata, sta preoccupazione sociale di Gaudí di- un’espressione pubblica e missionaria delcircondata di luce e accompagnata sempre cendoci: «Disegnò e finanziò con i propri la fede cristiana. Completava tutte le sue opere con la dal colore, contribuisce a suscitare questo risparmi la creazione di una scuola per i sentimento in quanti osservano la sua figli dei muratori e per i bambini delle fa- croce e nel suo famoso edificio chiamato La Pedrera volle porre una statua della opera. miglie più umili del quartiere, allora un Santissima Vergine, «piena di grazia» — Esiste un aneddoto molto significativo a sobborgo emarginato di Barcellona. Facel’edificio di fatto si trovava al confine con tale proposito. Delle dodici torri dedicate va così diventare realtà la convinzione che l’antica Villa de Gracia — il che lo mise in agli apostoli del Signore, superate in al- esprimeva con queste parole: “I poveri deconflitto con i suoi committenti, i proprietezza solo da quelle dedicate a Cristo, alla vono sempre trovare accoglienza nella tari del famoso edificio. Vergine Maria e ai quattro evangelisti, Chiesa, che è la carità cristiana”». L’opera Nella Sagrada Família portò i retablos Gaudí riuscì a vederne solo una. Una vol- evangelizzatrice del tempio della Sagrada fuori dal tempio, mosso dal suo anelito ta tolta l’impalcatura, apparve il colore in- Família in questo spirito assumeva una dievangelizzatore. Sono le tre facciate — deltenso dei simboli episcopali che coronano mensione sociale. Come dice Papa France- la Nascita, della Passione e della Gloria — le torri degli apostoli. sco, così non si corre «il rischio di sfigura- una sintesi in pietra della vita del Signore Gaudí allora domandò a un uomo del re il significato autentico e integrale della e della vita cristiana; potevano evangelizquartiere in cui si stava innalzando il tem- missione evangelizzatrice» (ibidem, n. 176). zare quanti passavano di lì. Sono famosi a pio, che impressione gli suscitasse quella livello mondiale i profili torre. L’uomo, che si stava recando agli delle torri, con le iscriuffici del cantiere, per sistemare e mettere zioni latine del sanctus, a punto gli orologi, fu molto schietto ed sanctus, sanctus. Iscrizioespressivo. Fa goig!, disse in catalano. ni non all’interno, ma Espressione che equivale a un «fa piacere chiaramente all’esterno. vederla!». E Gaudí spiegò ai suoi collaboVoleva che, ascendendo ratori che gli era piaciuta molto quella pricome una fascia elicoima reazione di un uomo dello stesso quardale lungo le torri, potiere della Sagrada Família, che allora era tessero leggerle tutti i un quartiere periferico di Barcellona. passanti, credenti e non Papa Francesco — come il santo di Assicredenti, e leggendole, si — vuole che scopriamo e viviamo la alzassero gli occhi verso gioia della fede. Nella sua esortazione il cielo e lodassero Dio. apostolica ci invita a una tappa evangelizCome il Papa, Gaudí zatrice marcata dalla gioia del Vangelo e valorizzava la dimensiodell’evangelizzazione (Evangelii gaudium, ne evangelizzatrice della n. 1). liturgia, che conosceva Il Papa ha detto e ripetuto fin dal prie celebrava. Non per mo momento del suo ministero come venulla leggeva costantescovo di Roma che desidera ardentemente mente L’anno liturgico «una Chiesa povera e per i poveri», una di dom Guéranger, Chiesa samaritana, madre tenera e miseriabate di Solesmes. cordiosa, «perché Dio non si stanca mai La realizzò trasferendi perdonare, siamo noi che ci stanchiamo do il coro dei canonici di chiedere la sua misericordia» (ibidem, n. della cattedrale di Mal3). E il capitolo quarto dell’Evangelii gaulorca alla zona del predium è dedicato alla «dimensione sociale sbiterio e la completò dell’evangelizzazione», e soprattutto alla nel tempio della Sagra«inclusione sociale dei poveri». da Família, che progetGaudí vedeva che molti poveri andavatò fino all’ultimo dettano a chiedere l’elemosina vicino al tempio glio per dare spazio e che stava nascendo e disse che «i poveri rendere visibile la celedevono essere sempre accolti nella Chiebrazione a tutta l’assa». Volle che quell’opera che stava cosemblea dei fedeli. struendo fosse chiamata «la cattedrale dei In tal senso fu un poveri», perché sorgeva in un quartiere precursore delle intuicompletamente periferico, quelle periferie zioni del concilio VatiPablo Picasso, «Il pasto frugale» (1904) cano II sulla liturgia. dove il Papa ci invita ad andare. «Nella liturgia tutto è previsto» diceva Gaudí, mosso dalla sua grande ammirazione per il culto cristiano, dai simboli e i riti al canto. Una delle foto più belle che si conservano di lui è quella della sua partecipazione alla processione del Corpus Christi, tanto solenne e di antica tradizione a Barcellona, alle porte della cattedrale, con i suoi capelli bianchi, il suo sguardo raccolto in adorazione e con un grande cero tra le mani. Nel suo incontro con i giornalisti, nel viaggio di ritorno dalla Corea del Sud, il Papa ha parlato della preparazione di un’enciclica sui problemi dell’ecologia. Già il 19 marzo 2013, nell’omelia della messa d’inizio pontificato, parlando di san architettura si basa sull’osservazione della natura in quanto opera di Dio, come voleva san Francesco di Assisi. Amò tanto la natura e le sue forme che fu ecologista quando ancora nessuno parlava di questa disciplina. La particolare sintonia di Gaudí con Papa Francesco è radicata soprattutto nella famiglia. Il tema è nell’agenda prioritaria del Papa, che ha convocato il Sinodo straordinario del 2014 e quello ordinario del 2015 sul tema delle sfide della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. Gaudí fu un difensore della famiglia, si prese cura della propria con grande dedizione, nonostante la mole di lavoro professionale che s’imponeva, in particolare di suo padre e di sua nipote Rosa Egea, una ragazza dalla salute precaria. Quando arrivava alla propria casa nel parco Güell, dove viveva con suo padre e sua nipote, la prima cosa che chiedeva era: «Come ha passato la giornata la bambina?». C’è un brano dell’Evangelii gaudium che mi sembra illustrare molto bene la personalità e l’opera di Gaudí. Papa Francesco parla di un «primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio» (n. 222). Questo principio — come ci dice il Papa — permette di lavorare a lungo termine, senza l’ossessione dei risultati immediati: «Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone (…). Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, Marc Chagall, «Il Cantico dei cantici» (1958) Giuseppe, che fu custode di Gesù e di Maria, Francesco aveva sottolineato il bisogno di custodire anche l’ambiente, il creato che Dio ha messo nelle mani degli uomini. La Sagrada Família è il Cantico delle Creature del grande santo di Assisi nel linguaggio dell’architettura. Non credo esista al mondo un altro tempio con tanta pre- Fu precursore delle intuizioni del concilio Vaticano II «Nella liturgia tutto è previsto» diceva l’artista che amava i simboli, i riti e il canto senza, a lode del Creatore, della flora e della fauna terrestri. La basilica della Sagrada Família non è solo un bosco, è anche un grande giardino con fiori e frutti del mondo mediterraneo, bagnati dalla sua luce, la «luce ideale», secondo il nostro architetto. Gaudí è geniale nella creazione di forme geometriche regolate, al punto che, in una delle sue frasi più acute, arrivò a dire che «la retta è la linea degli uomini, ma la curva è la linea di Dio». Gaudí possiede un profondo spirito francescano e la sua arte è eminentemente francescana perché s’ispira alla natura. Arrivò a dire: «L’albero che sta di fronte al mio cantiere, è lui il mio maestro». La sua li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce» (n. 223). Quando gli facevano notare che la costruzione della Sagrada Família stava durando molto, Gaudí rispondeva: «Il mio cliente non ha fretta». Si tratta di sapere avviare processi e non di cercare di occupare spazi di potere, con l’illusione di ottenere risultati immediati. Gaudí non volle mai occupare spazi di potere; amò profondamente e visse la povertà, sia nella sua persona sia nella sua opera principale, la Sagrada Família, la cui costruzione fu ferma per lungo tempo, mentre Gaudí era in vita, per mancanza di risorse finanziarie. Ma seppe anche dare avvio a un processo. Un processo i cui modelli sono molto fecondi e vari, sia nell’ambito architettonico, sia in quello culturale, religioso ed evangelizzatore, per i milioni di persone che visitano la basilica. Ci auguriamo che il processo da lui avviato acquisti particolare visibilità con il termine dei lavori della basilica della Sagrada Família, previsto per il 2026, anno in cui si celebrerà il centenario della sua morte. Per evidenziare la visibilità spirituale del “processo gaudiniano” confidiamo nel fatto che, se la Chiesa così decide, vedremo la sua beatificazione, e sarebbe il primo architetto della storia ad essere elevato agli onori degli altari. È questa la nostra speranza. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 13 febbraio 2015 Gli ostacoli all’unità secondo il metropolita ortodosso Hilarion Quello che ancora manca MOSCA, 12. «Oggi siamo divisi nell’essenza stessa della testimonianza che siamo chiamati a portare al mondo esterno. Non parliamo con una sola voce, non predichiamo gli stessi insegnamenti morali, non siamo in grado di mostrare solidarietà comune nel sostenere i principi morali, su cui è stata costruita per secoli la vita della comunità cristiana»: non ha nascosto le difficoltà del dialogo ecumenico, in particolare con il mondo protestante, il metropolita di Volokolamsk, Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne (Decr) del Patriarcato di Mosca e rettore della Scuola di dottorato e alti studi teologici, in visita nei giorni scorsi nel Regno Unito. Alla Facoltà teologica dell’Università di Winchester ha tenuto una relazione sul tema «C’è un futuro di cooperazione inter-cristiana?», nella quale ha sottolineato che oggi le differenze tra i cristiani di diverse confessioni non riguardano solo le questioni dottrinali ma interessano anche l’area della moralità, «quella in cui la testimonianza cristiana potrebbe essere unita indipendentemente dalle differenze dottrinali». Nel discorso — del quale il Decr ha diffuso una sintesi — Hilarion si è detto preoccupato perché, dopo molti decenni di dialogo tra i cristiani, ancora manca una totale convergenza di posizioni: «Questa convergenza non si è verificata e La Corte suprema russa conferma il divieto nella Mordovia Nelle scuole niente velo islamico MOSCA, 12. Nella Repubblica dei Mordvini (una delle tante unità amministrative in cui si suddivide la Russia) continuerà a essere vietato indossare, nelle scuole, l’hijab e altri capi d’abbigliamento religioso. Lo ha stabilito — riferisce Interfax Religion — la Corte suprema russa ritenendo legittimo quanto stabilito con un decreto dal Governo locale. Il ricorso contro il provvedimento è stato respinto. La comunità islamica dei Mordvini (o di Mordovia come è anche chiamata la Repubblica) chiedeva di dichiarare illegittimo il decreto perché violerebbe la libertà di religione, oltre a essere in contrasto con la legge sull’educazione che proclama l’accesso universale all’istruzione. I cinquantamila tartari musulmani costituiscono uno dei tre principali gruppi etnici in Mordovia, con russi e mordvini. Secondo testimonianze citate dall’agenzia, nelle settimane scorse, nelle scuole di Saransk (il capoluogo) alcune bambine musulmane sarebbero state costrette a togliersi il velo, altre allontanate dalla classe ricevendo provvedimenti disciplinari assieme ai loro genitori. Il mufti Fagim Shafiyev, capo del Comitato musulmano spirituale centrale, confortato da numerose lettere di genitori, ha chiesto all’ufficio del pubblico ministero di dare un parere giuridico sulla vicenda. Il Governo della Repubblica dei Mordvini, oltre all’hijab, ha vietato di indossare a scuola minigonne, jeans, magliette scollate, piercings, capelli tinti con colori vivaci e simboli religiosi. l’unità dei cristiani, che Dio ci ha comandato, non è stata ripristinata». Al contrario, «a tutt’oggi la divergenza è diventata sempre più profonda rispetto a cinquanta-set- tanta anni fa». Il riferimento è soprattutto al mondo protestante: sotto l’influenza dell’ideologia laica, ha osservato il relatore, alcune comunità cristiane si stanno allontanando dalle norme morali fondamentali sancite nelle pagine del Nuovo Testamento, nella predicazione di Cristo e nelle lettere dell’apostolo Paolo. Secondo il metropolita Hilarion, «oggi diventa sempre più difficile parlare di un unico sistema di valori spirituali e morali, accettato da tutti i cristiani in tutto il mondo. Oggi, ci sono diverse versioni del cristianesimo, proposte dalle diverse comunità. Da questo punto di vista, tutti i cristiani di oggi possono essere divisi in due gruppi, tradizionali e liberali. E un abisso divide non tanto gli ortodossi e i cattolici, o i cattolici e i protestanti, quanto piuttosto i “tradizionalisti” e i “liberali”. Alcuni leader cristiani — rileva — affermano che la Chiesa dovrebbe essere abbastanza “inclusiva” per riconoscere le norme comportamentali alternative e benedirle ufficialmente. I liberali ritengono che i tradizionalisti dovrebbero riconsiderare le loro opinioni, per essere al passo coi tempi. I tradizionalisti, a loro volta, accusano i liberali di rifiutare le norme cristiane generali fondamentali, di minare le basi della morale cristiana». Per la Chiesa ortodossa — ha messo in evidenza il presidente del Decr — «in questo caso non si trat- ta solo di “tradizionalismo” ma di fedeltà alla rivelazione divina, contenuta nella Sacra Scrittura, e di mantenere l’autenticità del messaggio cristiano. E se i cosiddetti cristiani liberali rifiutano la tradizionale comprensione delle norme morali, significa che siamo di fronte a un grave problema: non siamo solo divisi su questioni che, dal punto di vista del mondo esterno, possono essere considerate di natura “tecnica” e legate esclusivamente al dialogo interno tra cristiani. Oggi siamo divisi nell’essenza stessa della testimonianza che siamo chiamati a portare al mondo esterno». Al termine del discorso, ripetuto poi all’Università di Cambridge, il metropolita ha esortato ad azioni di solidarietà delle Chiese per difendere l’identità cristiana dell’Europa e proteggere i cristiani perseguitati nel Vicino oriente e nel Nord Africa. Argomento, tra l’altro, affrontato da Hilarion nel messaggio inviato ai partecipanti alla conferenza internazionale «Dignità umana, libertà e diritti. La dimensione cristiana», svoltasi dal 9 al 12 febbraio a Lubiana, in Slovenia. «Il tema scelto per la discussione della conferenza annuale organizzata dalla Fondazione per l’unità delle nazioni ortodosse — scrive — è particolarmente rilevante in un contesto di crescente tensione politica nel mondo, vera e propria minaccia di erosione della tradizione cristiana e violazioni dei diritti e delle libertà dei credenti. La società europea moderna si trova davanti a sfide riguardanti la libertà di pensiero e di espressione. Queste minacce derivano dal fatto che la libertà umana è sempre più intesa come totale permissivismo, che si estende fino all’insulto dei sentimenti religiosi dei credenti». Assieme a milioni di persone con punti di vista differenti, la Chiesa ortodossa russa «condanna nel modo più assoluto i metodi terroristici utilizzati da alcuni estremisti per difendere sentimenti pseudo-religiosi. Ma allo stesso tempo riteniamo che non si possano comprendere coloro che oltraggiano costumi e tradizioni sacre. La libertà di espressione e di stampa non deve violare il diritto dei credenti a difendere i loro sentimenti religiosi». Campagna interreligiosa in Austria Donne per la pace e la giustizia VIENNA, 12. «Siamo dell’idea che una fiducia reciproca, un dialogo sincero e lo sforzo per la giustizia costituiscano una base su cui costruire la nostra società»: con queste parole madre Beatrix Mayrhofer, presidente del Vereinigung der Frauenorden Österreichs (Associazione degli ordini femminili in Austria) spiega il significato dell’adesione alla campagna contro la violenza e la discriminazione promossa a Vienna da un gruppo di donne, religiose e laiche. Frauen für Vertrauen, Dialog und Gerechtigkeit (“Le donne per la fiducia, il dialogo e la giustizia”) è il motto della campagna che nei giorni scorsi ha riunito donne cattoliche, evangeliche, ebree, musulmane, indù e non credenti che, «mano nella mano contro la paura e la violenza», hanno sfilato in diverse migliaia come risposta a una manifestazione anti islamica. «L’azione del movimento femminile cattolico austriaco — ha spiegato la religiosa all’agenzia Sir — intende sottolineare ciò che si ha in comune, rispetto a quanto divide». In tal senso, «l’impegno per la giustizia sociale è molto importante» poiché erode il consenso di quelle forze sociali che fanno leva sul malcontento e alimentano un clima di intolleranza. Infatti, osserva la religiosa, «le persone che si trovano in situazioni di emergenza sociale, che sono senza lavoro o hanno paura di perderlo, sono più sensibili agli slogan radicali». Al contrario, «ogni pietra che non viene scagliata contro altri, ma viene invece utilizzata per costruire ponti, è un mattone per costruire la pace». Proprio per questo, madre Mayrhofer si dice convinta che «in ogni comunità religiosa esistano uomini e donne che si adoperano per la riconciliazione e la fratellanza. In questo processo di riconciliazione, spesso sono proprio i piccoli passi ad avere un’importanza particolare». Allarme sul clima dalla Conferenza dei religiosi di Hong Kong Non c’è più tempo HONG KONG, 12. «Dobbiamo prenderci cura del nostro pianeta come guardiani del creato, e non solo per noi stessi ma anche per le future generazioni che ci vivranno. Il ritmo delle stagioni si è alterato, sale il livello del mare, e vengono segnalate temperature record dappertutto nel mondo». Problemi gravi che hanno cominciato a «cambiare la vita sulla terra». È interamente dedicato all’impatto dell’effetto serra sul clima — che genera «carestie, malattie, migrazioni di massa, tifoni» e altri «disastri imprevedibili» — il tradizionale messaggio della Conferenza dei sei responsabili religiosi di Hong Kong in occasione del nuovo anno lunare, il capodanno cinese che debutterà il 19 febbraio sotto il segno della capra di legno. I sei responsabili (rappresentanti di buddismo, cattolicesimo, confucianesimo, islam, protestantesimo e taoismo) — fra essi il vescovo di Hong Kong, cardinale John Tong Hon — lanciano l’allarme su un flagello da loro stessi più volte denunciato negli ultimi anni ovvero il riscaldamento climatico e le sue conseguenze. La crescente inquietudine è dovuta al fatto che il riscaldamento del clima provoca gli effetti peggiori sulle popolazioni più povere e vulnerabili del pianeta. La dichiarazione si rivolge in particolare alla comunità internazionale e ai capi di Stato invitandoli ad «agire subito» e di mettersi d’accordo al più presto per siglare un’intesa durante la Conferenza internazionale sul clima che si terrà a Parigi, sotto l’egida dell’Onu, nel mese di dicembre. «Il tempo è ormai agli sgoccioli», avvertono i responsabili religiosi. Il messaggio si conclude con un appello indirizzato ai responsabili politici del mondo intero «a concentrarsi di più sulla condivisione delle responsabilità di ciascuno in modo da agire nell’ambito climatico, piuttosto che restare sulle proprie rispettive posizioni e i loro disaccordi». I leader religiosi — ha dichiarato Chan Kim-kwong, del Christian Council — «sono tutti preoccupati per il cambiamento del clima e la protezione dell’ambiente. È nello spirito di tutte le religioni, qualunque esse siano». Secondo il movimento interreligioso ecologista Our Voices — citato da Eglises d’Asie (agenzia d’informazione delle Missions étrangères de Paris) che offre una sintesi del messaggio — è la prima volta che la Conferenza dei sei responsabili religiosi di Hong Kong pubblica una dichiarazione interamente dedicata all’ambiente. È importante, viene sottolineato, che i leader religiosi sensibilizzino i cittadini alla propria responsabilità morale di fronte ai cambiamenti climatici, specialmente in Asia. Fa proseliti la propaganda di Boko Haram Cresce in Niger l’ostilità contro i cristiani DIFFA, 12. In Niger cresce la preoccupazione per il propagarsi dell’estremismo islamico nel Paese. Di recente è stata la città di Diffa, capoluogo dell’omonima regione, posta al confine con la Nigeria, a essere vittima di attacchi a causa degli sconfinamenti dell’organizzazione terroristica jihadista dei Boko Haram. A confermare i timori sono le testimonianze di chi lavora sul posto, come i missionari della Società delle missioni africane: «C’è da riflettere — spiega padre Mauro Armanino — sulla tempistica dell’attacco: perché è avvenuto poco prima che si riunisse l’Assemblea nazionale per deliberare sulla partecipazione delle truppe del Niger alle operazioni contro Boko Haram in Nigeria. La cosa lascia perplessi diversi osservatori locali». Dopo l’assalto degli estremisti a Diffa, il Parlamento di Niamey ha comunque dato il via libera alla partecipazione di truppe nigerine alla task force creata da Nigeria, Camerun, Ciad e Benin per combattere la setta islamista. «Si sa che diverse persone stanno scappando da Diffa verso Zinder per poi, presumibilmente, recarsi nella capitale Niamey», riferisce ancora all’agenzia Fides padre Mauro. Un elemento ulteriore di tensione anche alla luce dei recenti attacchi anticristiani. «In effetti sta crescendo la preoccupazione nella gente», osser- va il missionario. «Gli attacchi di Boko Haram si innestano in un sentimento di crescente insofferenza nei confronti di ogni presenza che non sia una certa forma di islam». In Niger — spiega Armanino — «l’islam, che prima era basato sul sufismo, di fronte alla situazione sociale esplosiva, a causa delle migliaia di giovani senza futuro (Niamey ha almeno due milioni di abitanti), è condizionato dalle predicazioni e dai soldi di chi ha una visione estremista della religione». A farne le spese sono state di recente le chiese cristiane: «I disordini del 16 e del 17 gennaio, che hanno visto la distruzione di diverse chiese e missioni cattoliche, non sono stati una novità, perché già nel 2012 ci furono episodi simili a Maradi e a Zinder». La vera novità è l’entità dei disordini e l’accanimento con la quale la folla ha agito, «indizio di un sentimento crescente di anticristianesimo, di cui non si potrà non tenere conto in prospettiva». Padre Mauro conclude osservando che «i responsabili della Chiesa hanno fatto notare agli alti vertici dello Stato che i cristiani, in qualche modo, sono stati “sacrificati” sull’altare degli interessi della politica: è impossibile infatti che in tutte quelle ore in cui bruciavano le chiese, non ci sia stato un solo intervento dei vigili del fuoco». L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 13 febbraio 2015 pagina 7 Jan Van Eyck «Ritratto dei coniugi Arnolfini» (1434) Nomine episcopali Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in Francia e in Benin. Come oggi la Chiesa si interroga sulla pastorale per la famiglia Scuola di perdono e risorsa per la società di MAURIZIO GRONCHI La scelta del sinodo di porsi in attento ascolto del contesto culturale, sociale ed ecclesiale contemporaneo, attraverso il primo questionario inviato alle Chiese di tutto il mondo, rappresenta una chiara indicazione di metodo. Si parte dalla periferia, dai pastori e dal popolo di Dio che vivono la realtà concreta e feriale della famiglia, con le sue luci e le sue ombre, con le sue ricchezze e povertà. L’Instrumentum laboris della terza assemblea sinodale straordinaria è la testimonianza di questa ampia recezione, che attesta il sensus fidelium et pastorum sulla visione e l’esperienza della famiglia nel mondo. Tuttavia, aldilà di ogni pretesa, il vissuto umano è molto più complesso di quanto testimoniato anche dagli interventi dei padri sinodali in aula. La Relatio synodi, nella sua prima parte, ne raccoglie la sintesi. Il secondo questionario, allegato alla relazione finale del sinodo straordinario come Lineamenta per il prossimo, conferma questo chiaro orientamento all’ascolto del vissuto ecclesiale, secondo la metodologia recepita dal magistero sociale della Chiesa, inaugurata dai piani pastorali latinoamericani. Dopo aver considerato la bellezza dei matrimoni riusciti e delle famiglie solide, e aver apprezzato la testimonianza generosa di coloro che sono rimasti fedeli al vincolo pur essendo stati abbandonati dal coniuge, i pastori riuniti in sinodo si sono chiesti — in modo aperto e coraggioso, non senza preoccupazione e cautela — quale sguardo deve rivolgere la Chiesa ai cristiani le cui famiglie sono “incompiute” (coloro che ancora non sono stati uniti da Dio: i conviventi), “imperfette” (coloro che hanno stretto un vincolo solo di fronte agli uomini: i matrimoni civili) e “ferite” (coloro che hanno separato ciò che Dio ha unito: i separati divorziati). Di fronte alla varietà delle situazioni — che sono tante quante le esistenze delle persone — è possibile riconoscere negli occhi di Gesù quella luce che splende anche nelle tenebre più fitte e che, mediante il suo Spirito, rischiara ogni uomo. Con riferimento alla dottrina patristica e conciliare dei «semi del Verbo» — «Il Vangelo della famiglia nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare» (Relatio synodi, 23) — i vescovi hanno affermato: «In ordine a un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nelle loro vite e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro. Seguendo lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cfr. Giovanni, 1, 9; Gaudium et spes, 22) la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano» (Relatio synodi, 25). Il sinodo ha così volto l’attenzione al più ampio orizzonte sociale in cui la famiglia di oggi tende a configurarsi, consapevole che la pastorale del presente e del futuro dovrà curarsi di accompagnare alla celebrazione consapevole del sacramento molti giovani che vivono un “matrimonio di desiderio”, al quale si orientano con svariate difficoltà. Vicino alle famiglie che hanno la grazia di rimanere fedeli al Vangelo, in mezzo alla comunità cristiana, prendono posto anche quelle più fragili e ferite. Pertanto, «conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza» (Relatio synodi, 28). A tale proposito, appare particolarmente delicata la sfida non solo dell’accompagnamento da parte dei pastori, ma anche quella della integrazione delle famiglie “ferite e smarrite” nella comunità ecclesiale, perché non avvenga alle famiglie fedeli di reagire come il figlio maggiore della parabola evangelica del padre misericordioso, che, sentendosi offeso, fatica ad accogliere il fratello minore che era perduto (cfr. Luca, 15, 28). In tal senso, si comprende l’invito dei padri sinodali a trattare le situazioni dei divorziati risposati «evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità» (Relatio synodi, 51). Una attenzione specifica deve essere rivolta ai figli dei divorziati risposati, per l’insostituibile ruolo educativo dei genitori e in ragione del preminente interesse del minore; si tratta di un elemento non trascurabile, sia dal punto di vista giuridico che pastorale. Senza entrare nelle questioni teologico-pastorali che richiedono approfondimento, relative all’eventuale accesso ai sacramenti da parte dei divorziati risposati, a precise condizioni (cfr. Relatio synodi, 52), occorre ricordare che al sinodo è emersa l’esigenza di prestare maggior cura lare importanza i convincimenti espressi dalle parti sul loro passato, interpretati alla luce del presente che vivono, tante volte più ricco, e quindi garantendo che si riesca a scoprire la persona che c’è dietro alla causa, pur nell’assoluto rispetto della legalità vigente. Veniamo adesso a considerare la prospettiva pastorale verso cui orientare l’annuncio del Vangelo della famiglia nella società attuale, in particolare dal punto di vista della esperienza di comunicazione, quale vera sfida per il rinnovamento delle relazioni, a partire da quella originaria e universale che è la relazione familiare. «Grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a volte ferite, la famiglia è veramente “scuola di umanità” (cfr. Gaudium et spes, 52), di cui si avverte fortemente il bisogno. Nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare nei vari contesti del “villaggio globale”, il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, ad annunciare senza sosta e con convinzione profonda il “Vangelo della famiglia”» (Relatio synodi, 2). Appare dunque chiara l’urgenza, da parte della Chiesa, di ridare dignità culturale e centralità alla famiglia nella società contemporanea, riportandola nel cuore del dibattito, al centro della visione della politica e della economia. Senza dubbio, la famiglia è ancora oggi la risorsa più preziosa della società: in nella pastorale giudiziale da parte delle Chiese particolari e dei loro vescovi, mediante un discernimento capace di guardare in faccia le persone, specie nel contesto dell’accertamento della validità del vincolo. Dal punto di vista della dottrina processuale, infatti, oggi rivestono partico- essa si apprende il “noi” del presente e del futuro, attraverso la generazione dei figli. Un significativo contributo alla visione della «famiglia come luogo privilegiato della comunicazione» viene dal messaggio che Papa Francesco ha dedicato alla giornata mon- Luc Crépy, vescovo di Le Puy-en-Velay (Francia) A Barcellona «La dimensione sociale della famiglia» è stato il tema del convegno promosso il 9 e 10 febbraio scorsi a Barcellona dalla Facoltà di teologia della Catalogna, nell’ambito dei seminari di dottrina e azione sociale della Chiesa. Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento di uno dei relatori, teologo ed esperto partecipante, quale collaboratore del segretario speciale, al sinodo straordinario dei vescovi dell’ottobre scorso nonché consultore della Congregazione per la dottrina della fede. diale delle comunicazioni sociali (2015). Mediante un approccio fenomenologico estremamente stimolante, il Pontefice prende spunto dall’icona evangelica della visita di Maria a Elisabetta (cfr. Luca, 1, 3956), per mettere in evidenza la comunicazione come un dialogo che si intreccia con il linguaggio del corpo e stringe quei legami che ci costituiscono come persone differenti in relazione. «Il grembo che ci ospita è la prima “scuola” di comunicazione, fatta di ascolto e di contatto corporeo»; qui avviene la comunicazione originaria, il primo incontro pieno di promesse, cui segue il passaggio al nuovo grembo che è la famiglia, «luogo dove si impara a convivere nella differenza» (Evangelii gaudium, 66), nella relazione. Il vincolo familiare, che si stringe tra generi diversi e generazioni, è l’ambiente vitale in cui si generano e rinsaldano i legami, mediante la parola e il silenzio, lo sguardo, il sorriso e il pianto, l’abbraccio, l’accompagnamento e il sostegno. In famiglia si scopre e si costruisce la prossimità tra persone diverse e reciprocamente determinanti, dove l’accoglienza del Il matrimonio recupera nei sondaggi Irlanda in controtendenza DUBLINO, 12. Irlanda in controtendenza. Nell’isola di san Patrizio la considerazione del matrimonio e della famiglia naturale tra un uomo e una donna sembrano mantenere — in alcuni casi anche recuperare — consensi nell’opinione pubblica, invertendo così l’idea ormai prevalente nei Paesi occidentali della crisi del modello tradizionale. È quanto emerge da una ricerca pubblicata da Accord, l’agenzia promossa dai vescovi irlandesi che si occupa della pastorale matrimoniale. Lo studio, condotto dall’istituto di indagini demoscopiche Amárach Research, ha messo a confronto i dati raccolti su un campione di mille adulti in due anni distinti, il 2006 e il 2014, per verificare nel corso degli anni eventuali cambiamenti nelle tendenze delle opinioni. Cinque i quesiti all’esame della ricerca: come viene visto l’impegno del matrimonio; quali importanza e valore vengono dati alla famiglia; qual è il modello ideale di fa- miglia per un bambino; quanto è importante che le coppie con bambini siano sposate e quanto sono conosciuti Accord e i suoi servizi. Complessivamente soddisfatto dei risultati si è detto il presidente di Accord, il vescovo di Kildare and Leighlin, Denis Nulty. Le risposte sembrano confermare, infatti, che la definizione del matrimonio quale unione fedele tra un uomo e una donna aperta alla vita goda di un ampio consenso nella società irlandese. Nel corso della presentazione del rapporto, il presule ha richiamato in particolare l’attenzione sulle risposte date a due quesiti: il 65 per cento degli intervistati ha dichiarato di ritenere che un bambino possa crescere meglio in una famiglia con un padre e una madre, mentre il 61 per cento pensa che le coppie che si uniscono in matrimonio assumono un impegno reciproco per la vita che può essere interrotto solo in gravi circostanze. Si tratta, in quest’ultimo caso, di un dato in cre- scita rispetto all’indagine del 2006, quando solo il 56 per cento si era espresso in tal senso. Sono invece in diminuzione (dal 60 al 51 per cento) le persone che conoscono coppie che vivono un matrimonio felice. Da notare poi che appena un terzo degli intervistati ritiene che le coppie con figli debbano sposarsi. Infine, circa metà degli intervistati ha affermato di conosce l’opera svolta da Accord. Istituita nel 1962, l’agenzia conta attualmente una sessantina di centri operativi dislocati nelle diverse diocesi irlandesi, con l’obiettivo fondamentale di sostenere il sacramento del matrimonio, attraverso una migliore comprensione del suo significato, e aiutare le coppie cristiane sia prima che dopo la celebrazione delle nozze. In questa prospettiva, promuove numerose iniziative: dalle lezioni di educazione all’affettività per le scuole ai corsi di preparazione al matrimonio per i fidanzati, al sostegno alle coppie sposate. più vicino insegna l’apertura verso l’esterno, in modo da «dare conforto e speranza alle famiglie più ferite, e far crescere la Chiesa stessa, che è famiglia di famiglie». La quotidiana frequentazione, più di ogni altra esperienza, è il luogo in cui si sperimentano i limiti propri e altrui; ove le relazioni assumono la forma della costante e paziente riparazione dei legami. «Non esiste la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva. Per questo la famiglia in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventa una “scuola di perdono”. Il perdono è “una dinamica di comunicazione”, una comunicazione che si logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere. Un bambino che in famiglia impara ad ascoltare gli altri, a parlare in modo rispettoso, esprimendo il proprio punto di vista senza negare quello altrui, sarà nella società un costruttore di dialogo e di riconciliazione». In ultima analisi, l’apporto al vivere sociale che offre l’esperienza familiare, con i suoi permanenti tentativi di quotidiano aggiustamento, costituisce una vera e propria “abilitazione all’inclusività”, ovvero alla capacità di sostenere e di proteggere i più deboli, cominciando al proprio interno dai bambini e dagli anziani. Soprattutto dalle famiglie con figli segnati da varie forme di disabilità — nella faticosa e quotidiana lotta che sostengono per non rassegnarsi all’isolamento — la società può apprendere cosa significhi non escludere; esse rappresentano uno stimolo a benedire e non maledire la fragilità, a non scartare l’imperfezione, testimoniando la speranza che offre Gesù, colui che ha fatto dello scarto il dono salvifico per tutti: «Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio» (1 Pietro, 2, 4). Attraverso lo sguardo rivolto con sano realismo alla complessità della vita familiare nella società odierna, la Chiesa si fa carico dell’annuncio del Vangelo di Gesù, nella fiducia che il futuro della famiglia, lungi dalla nostalgia dei tempi passati, possa risplendere di nuova luce. Ciò che è veramente in gioco, nel mondo di oggi e nella società umana, è la sfida della rigenerazione di relazioni autentiche, illuminate dal Vangelo della misericordia e della verità, siano esse sane o ferite, realizzate o imperfette, felici o smarrite. Invece di mettere in forse o depotenziare la famiglia, rendendo gli individui soggetti deboli da assistere, anziché attori che generano e rigenerano il capitale umano della società stessa, occorre riconoscere che la famiglia non è il problema, ma la risorsa della società. Nato a Lille il 12 maggio 1958, dopo un dottorato in biologia è entrato nella congregazione di Gesù e Maria (padri eudisti) nella quale ha fatto i voti solenni il 10 dicembre 1988. Ha completato la formazione seguendo i corsi all’Institut catholique de Paris e ottenendo la licenza in teologia morale. Ordinato sacerdote il 21 maggio 1989, fino al 1995 ha svolto il ministero pastorale nella diocesi di Evry-Corbeil. Dal 1995 al 2001 è stato rettore del seminario interdiocesano di Orléans. Ha quindi assunto nella sua congregazione diversi incarichi, fino a divenire provinciale di FranciaAfrica (2001-2007) e contemporaneamente presidente della Conferenza dei superiori maggiori di Francia. Dal 2006 al 2008 è stato commissario pontificio per la provincia di Francia e Svizzera della Societé des filles du Cœur de Marie. È stato di nuovo rettore del seminario interdiocesano di Orléans dal 2007 al 2012, anno in cui è divenuto procuratore generale della congregazione degli eudisti a Roma. François Gnonhossou vescovo di Dassa-Zoumé (Benin) Nato il 3 dicembre 1961 a Dassa-Zoumé, è diplomato in contabilità e ha conseguito la licenza in diritto civile all’università statale di Cotonou. Dopo la formazione filosofica e teologica nei seminari Saint Gall di Ouidah e Santi Pietro e Paolo di Ibadan, in Nigeria, dove ha ottenuto il bacellierato in teologia, ha emesso il giuramento perpetuo di appartenenza alla Società delle missioni africane il 6 dicembre 1996 ed è stato ordinato sacerdote il 26 luglio 1997. Trascorso un anno di orientamento pastorale e di apprendimento della lingua ahoussa a Kotangoro, in Nigeria, è stato vicario presso la missione rurale di Guffanti, nel vicariato apostolico nigeriano di Kontagora (1998-2001) e poi parroco della stessa comunità (20012003). Cappellano dell’Apprentis d’auteil (organismo giovanile di formazione dei giovani in difficoltà) a Parigi e studente nell’Institut de formation des evêques et du clergé presso l’Institut catholique (2003-2004), si è poi occupato di formazione per il distretto africano della sua società religiosa (2004-2008). Trasferitosi nel 2009 in Canada è stato assistente in diverse parrocchie della diocesi di Sault Sainte Marie, Ontario, fino al 2011, e per due anni vicario parrocchiale di Saint Sylvain, Laval, Montreal, oltre che animatore missionario ed economo della sua comunità religiosa. Dal 2013 è a Roma come consigliere generale della Società delle missioni africane. Nuovo osservatore permanente presso Fao, Ifad e Pam Monsignor Fernando Chica Arellano, nuovo osservatore permanente della Santa Sede presso le organizzazioni e gli organismi delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao, Ifad e Pam) è nato a Mengíbar, in Spagna, il 24 giugno 1963. Ordinato sacerdote il 19 aprile 1987, si è incardinato a Jaén. È laureato in teologia dogmatica. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 2002, ha prestato la sua opera nella nunziatura apostolica in Colombia, nella rappresentanza pontificia presso l’Onu a Ginevra e nella sezione per gli Affari generali della Segreteria di Stato. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 13 febbraio 2015 Il saluto del decano Per rispondere alle attese del presente All’inizio dei lavori, il cardinale Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio, ha rivolto il seguente saluto a Papa Francesco. Il Papa apre i lavori del concistoro straordinario Comunione e collegialità «Benvenuti in questa comunione, che si esprime nella collegialità»: con queste parole Papa Francesco ha salutato giovedì 12 febbraio i cardinali riuniti nell’aula del Sinodo per il concistoro straordinario sulla riforma della Curia romana. Fra di loro anche diciannove dei venti ecclesiastici che sabato 14 febbraio riceveranno la porpora. Cari fratelli, «com’è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme!» (Sal 133, 1). Con le parole del Salmo rendiamo lode al Signore che ci ha convo- cati e ci dona la grazia di accogliere in questa assemblea i 20 nuovi Cardinali. A loro e a tutti rivolgo il mio cordiale saluto. Benvenuti in questa comunione, che si esprime nella collegialità. Grazie a tutti coloro che hanno preparato questo evento, in particolare a Sua Eminenza Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio. Ringrazio la Commissione dei nove Cardinali e Sua Eminenza Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, coordinatore. Ringrazio anche Sua Eccellenza Marcello Semeraro, segretario della Commissione dei nove Cardinali: è lui che oggi ci presenta la sintesi del lavoro svolto in questi ultimi mesi per elaborare Già cinquanta le riunioni del Consiglio di cardinali Ha già tenuto una cinquantina di riunioni nel corso di otto sessioni — in media una ogni due mesi — il Consiglio di cardinali voluto da Papa Francesco per aiutarlo «nel governo della Chiesa universale» e «studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia romana». La sua nascita è stata annunciata il 13 aprile 2013 con un comunicato della Segreteria di Stato, nel quale si spiegava anche che esso scaturiva da «un suggerimento emerso nel corso delle congregazioni generali precedenti il Conclave» del marzo precedente, che aveva eletto Papa Bergoglio. Lo stesso Consiglio è stato poi costituito ufficialmente con chirografo pontificio del 28 settembre 2013. Nel documento si parlava tra l’altro della configurazione dell’organismo cardinalizio «nel modo che risulterà più adeguato», per poter essere «un’ulteriore espressione della comunione episcopale e dell’ausilio al munus petrinum che l’episcopato sparso per il mondo può offrire». Partendo da tali premesse il Consiglio è stato inizialmente composto da otto porporati: Bertello, Errázuriz Ossa, Gracias, Marx, Monsengwo Pasinya, O’Malley, Pell e Rodríguez Maradiaga, con funzione di coordinatore. Dalla riunione del 28 aprile 2014 il Papa ha chiamato a partecipare stabilmente il cardinale Parolin, segretario di Stato, il quale è presente nel Consiglio come nono membro effettivo dalla riunione mattutina del 2 luglio 2014. Sin dal principio, il vescovo Semeraro svolge la funzione di segretario. Subito dopo l’istituzione è stata avviata la raccolta del materiale. In particolare nell’estate 2013 il cardinale Bertello ha avviato una consultazione riservata ai capi dicastero e ad altre personalità della Curia romana al fine di ottenere pareri. A essi furono aggiunti tutti quelli fatti pervenire tramite il Papa e direttamente al segretario del Consiglio, per un totale di circa cento proposte di vario genere. I porporati membri a loro volta hanno anche loro richiesto o ricevuto proposte — che sono continuate a giungere anche successivamente — dagli episcopati delle rispettive aree geografiche di riferimento. Nelle sessioni tenutesi finora (1-3 ottobre e 3-5 dicembre 2013; 17-19 febbraio, 28-30 aprile, 14 luglio, 15-17 settembre, 9-11 dicembre 2014; e 9-11 febbraio 2015) il ritmo di lavoro ha impegnato i membri al mattino e al pomeriggio, normalmente dalle 9 alle 12.30 e dalle 16 alle 19. A tutti gli incontri è stato sempre presente Francesco, tranne i mercoledì mattina in cui era impegnato nelle udienze generali. Oltre alla riforma della Curia — per la quale si è proceduto partendo dalla Segreteria di Stato e proseguendo con le Congregazioni e i Pontifici Consigli — i lavori del Consiglio si sono occupati anche della revisione del regolamento delle assemblee sinodali, della preparazione della terza assemblea straordinaria dello stesso Sinodo, dell’istituzione della Pontificia commissione per la tutela dei minori, delle audizioni della Commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economicoamministrativa della Santa Sede (Cosea) e della Pontificia commissione referente sull’Istituto per le Opere di religione (Crior), della costituzione della Segreteria e del Consiglio per l’economia, del comitato per la riforma dei media vaticani, di un progetto di ristrutturazione del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e di temi relativi al governo della Chiesa universale sui quali Francesco ha voluto domandare un parere e un contributo di riflessione al Consiglio di cardinali. la nuova Costituzione Apostolica per la riforma della Curia. Come sappiamo, questa sintesi è stata predisposta in base a tanti suggerimenti, anche da parte dei capi e dei responsabili dei Dicasteri, nonché degli esperti in materia. La meta da raggiungere è sempre quella di favorire maggiore armonia nel lavoro dei vari Dicasteri e Uffici, al fine di realizzare una più efficace collaborazione in quell’assoluta trasparenza che edifica l’autentica sinodalità e la collegialità. La riforma non è fine a se stessa, ma un mezzo per dare una forte testimonianza cristiana; per favorire una più efficace evangelizzazione; per promuovere un più fecondo spirito ecumenico; per incoraggiare un dialogo più costruttivo con tutti. La riforma, auspicata vivamente dalla maggioranza dei Cardinali nell’ambito delle Congregazioni generali prima del Conclave, dovrà perfezionare ancora di più l’identità della stessa Curia Romana, ossia quella di coadiuvare il Successo- re di Pietro nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Esercizio col quale si rafforzano l’unità di fede e la comunione del popolo di Dio e si promuove la missione propria della Chiesa nel mondo. Certamente raggiungere una tale meta non è facile: richiede tempo, determinazione e soprattutto la collaborazione di tutti. Ma per realizzare questo dobbiamo innanzitutto affidarci allo Spirito Santo, che è la vera guida della Chiesa, implorando nella preghiera il dono dell’autentico discernimento. Con questo spirito di collaborazione inizia il nostro incontro, che sarà fecondo grazie al contributo che ciascuno di noi potrà esprimere con parresía, fedeltà al Magistero e consapevolezza che tutto ciò concorre alla legge suprema, ossia alla salus animarum. Grazie. Presentate le proposte Linee guida per la riforma della Curia romana Razionalizzazione, semplificazione, snellimento: le parole d’ordine della riforma della Curia romana voluta da Papa Francesco e alla quale sta lavorando dall’ottobre 2013 il Consiglio di cardinali sono il filo conduttore delle proposte di revisione della Pastor bonus illustrate ai porporati all’inizio del concistoro. Proposte che mirano in sostanza a modellare una Curia sempre più fedele al compito di aiutare il Papa nel governo quotidiano della Chiesa, come ha puntualizzato il vescovo segretario del Consiglio di cardinali Marcello Semeraro e come ha sommariamente sintetizzato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, in un incontro con i giornalisti al termine della prima mattinata dei lavori. Preceduta da un’introduzione del cardinale Rodríguez Mariadaga — che ha ripercorso le tappe principali dell’attività del Consiglio di cardinali istituito nel settembre 2013 — la relazione del presule ha indicato i principi ispiratori e le linee guida della riforma. Ha richiamato in particolare la natura specifica della Curia romana e le sue funzioni costitutive, ipotizzandone una razionalizzazione e un riordinamento. Quanto alla Segreteria di Stato, ha sottolineato in particolare il suo ruolo di coordinamento o “moderazione” dei vari settori della Curia: ruolo per il quale, ha specificato padre Lombardi nel corso del briefing, non si prevede l’istituzione di una specifica figura aggiuntiva. Nel dettaglio il testo ha individuato i profili teologici di due grandi poli tematici (“laici famiglia e vita” e “carità giustizia e pace”) intorno ai quali potrebbero accorparsi gli attuali pontifici consigli e alcune pontificie accademie dando vita a due nuovi dicasteri. Nel cui ambito di attività sarebbero ricompresi settori già oggi ben delineati nell’organigramma della Curia e altri di particolare attualità come per esempio la tutela dell’ambiente naturale e l’”ecologia umana”. Tra gli altri temi toccati dalla relazione, il criterio della sinodalità come dimensione fondamentale del lavoro di Curia e l’esigenza di scegliere il personale privilegiando lo spirito di servizio e di responsabilità. Riguardo infine alla procedura da seguire nell’opera di riforma, si è confermato che l’iter sarà prevedibilmente lungo e si è indicata la possibilità — come già avvenuto per l’elaborazione della Pastor bonus — di istituire una commissione ristretta incaricata di stendere un primo schema di nuova costituzione. Schema che potrebbe poi essere sottoposto al Consiglio dei cardinali per una prima valutazione, seguita da una consultazione tra porporati, vescovi e dicasteri. Infine una commissione cardinalizia dovrebbe incaricarsi della redazione del testo definitivo da sottoporre all’approvazione del Papa. Ciò non toglie — ha precisato padre Lombardi — che alcuni provvedimenti possano essere realizzati in via sperimentale anche prima del varo definitivo della nuova costituzione. Dodici gli interventi seguiti alla relazione del vescovo Semeraro. Si è parlato, tra l’altro, del contesto teologico e giuridico della riforma, della necessità di considerare il contributo del collegio cardinalizio, del concistoro e del sinodo dei vescovi, del rapporto tra sinodalità e collegialità, dell’esigenza di maggiore collaborazione e coordinamento nell’attività dei dicasteri, del ruolo della Segreteria di Stato e della formazione permanente del personale. Santo Padre, credo di poter interpretare i sentimenti dei confratelli cardinali indirizzandole il saluto più cordiale all’inizio di questo concistoro. In lei veneriamo il Successore di Pietro, posto dallo Spirito Santo alla guida della Chiesa di Cristo in quest’ora importante della sua storia. A lei vogliamo dare tutta la nostra collaborazione. È una collaborazione dei singoli cardinali, ma è anche una collaborazione collegiale, nel solco tracciato dalla storia della Chiesa e ben sintetizzato nel Codice di diritto canonico, che al canone 349 ci dice: «I Cardinali di Santa Romana Chiesa costituiscono un Collegio peculiare... Essi assistono il Romano Pontefice sia collegialmente, quando essi sono convocati per trattare congiuntamente le questioni di maggiore importanza e sia personalmente, mediante i distinti offici che svolgono, aiutando il Papa nel governo quotidiano della Chiesa universale». Alcuni di noi già svolgono questo lavoro nella Curia romana, lieti di poter svolgere tale missione accanto a lei, in questa amata Chiesa di Roma. La maggior parte dei confratelli cardinali provengono dalle varie parti del mondo e con la loro esperienza pastorale e con il loro impegno apostolico sono lieti di poter offrire al Successore di Pietro il conforto della loro presenza e l’aiuto della loro collaborazione. Alcuni cardinali non hanno potuto essere presenti fra noi a causa dell’età avanzata o della malferma salute. Avremmo dovuto essere 228, ma non abbiamo potuto raggiungere tale numero. Come non ricordare in questo momento il compianto cardinale Karl Josef Becker, della Compagnia di Gesù, che proprio l’altro ieri, qui a Roma, è stato chiamato dal Signore alla vita eterna? Santo Padre, riuniti intorno a lei noi oggi sentiremo le varie proposte per l’adattamento della costituzione apostolica Pastor bonus alle necessità dell’ora presente. Nel secolo scorso san Pio X ci aveva dato, nel 1908, la costituzione apostolica Sapienti consilio. Nel 1967 il beato Paolo VI ci aveva dato sullo stesso argomento la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae e infine, nel 1988, san Giovanni Paolo II aveva riorganizzato la Curia romana con la costituzione apostolica Pastor bonus. Ora, di fronte alle nuove sfide del terzo millennio cristiano, ella ci ha chiamato a collaborare con lei per una migliore attività di questo cenacolo apostolico. Noi siamo qui per darle il nostro contributo, tenendo ben presente sia l’esperienza del passato e sia le attese del presente, cercando di fare come l’uomo del Vangelo che sa trarre dal suo tesoro nova et vetera, cose nuove e cose antiche (Matteo, 13, 52). Lavoreremo fraternamente insieme, con il proposito che tutto sia per la maggior gloria di Dio, ad majorem Dei gloriam. Le principali modifiche alla «Pastor bonus» Prima delle recenti riforme in campo economico volute da Papa Francesco, le più significative modifiche legislative apportate alla costituzione apostolica Pastor bonus (Pb) del 28 giugno 1988 — se si eccettuano i mutamenti dei nomi di alcuni dicasteri — erano state realizzate attraverso sei motuproprio, uno a firma di Giovanni Paolo II e cinque di Benedetto XVI. Il primo in ordine di tempo è stato Inde a pontificatus, del 25 marzo 1993, con cui Papa Wojtyła ha soppresso il Pontificio Consiglio per il dialogo con i non credenti (artt. 163-165 Pb), unendolo al Pontificio Consiglio per la cultura (artt. 166-168 Pb); inoltre, lo stesso motuproprio ha creato la Pontificia Commissione per la conservazione del patrimonio artistico e storico (artt. 99-104 Pb), che era unita alla Congregazione per il clero, in una Commissione autonoma, cambiandone il nome in Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa, con un certo opportuno contatto col Pontificio Consiglio per la cultura. Quanto a Papa Ratzinger con Ubicumque et semper, del 31 settembre 2010, ha istituito il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione; con Quaerit semper, del 30 agosto 2011, ha trasferito le competenze sulla dispensa super rato (art. 67 Pb) e sulle cause di invalidità della sacra Ordinazione (art. 68 Pb), che la Pastor bonus affidava alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, a un Ufficio stabilito presso la Rota Romana; con Pulchritudinis fidei, del 30 luglio 2012, ha unito la Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa al Pontificio Consiglio per la cultura; con Ministrorum institutio, del 16 gennaio 2013, ha trasferito le competenze sui seminari dalla Congregazione per l’educazione cattolica alla Congregazione per il clero; e infine con Fides per doctrinam, nella stessa data ha trasferito la competenza sulla catechesi dalla Congregazione per il clero al Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.
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