L`OSSERVATORE ROMANO

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Città del Vaticano
mercoledì 25 febbraio 2015
.
Sanguinoso attacco dell’Is a località caldee in Siria
In un libro intervista al patriarca Louis Raphaël Sako
Cristiani in ostaggio
Grido
d’aiuto
Incendiata una delle più antiche chiese del Paese
di ALBERTO FABIO AMBROSIO
DAMASCO, 24. Numerose località siriane abitate da cristiani caldei sono
state occupate nell’est della Siria dai
miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is), che avrebbero ucciso decine
di persone e dato alle fiamme una
delle più antiche chiese cattoliche
del Paese, quella della cittadina di
Tal Hermez. Secondo fonti citate
Sospesi i colloqui
tra le diverse
fazioni libiche
TRIPOLI, 24. In Libia è a rischio
il dialogo, mediato dall’Onu, tra
le diverse fazioni in lotta, precondizione perché la comunità internazionale possa decidere se e come intervenire per scongiurare il
baratro e arginare la minaccia
jihadista. Il Governo del premier
libico, Abdullah Al Thani, riconosciuto internazionalmente e costretto a riunirsi a Tobruk, ha annunciato di aver sospeso, con un
voto in Parlamento, la propria
partecipazione ai colloqui, che
prevedevano una nuova tornata
giovedì prossimo in Marocco. E
ha deciso di «rivedere tutti i contratti con le aziende straniere e di
escludere le compagnie turche
dalla possibilità di operare in Libia». Il governo di Tobruk accusa
infatti la Turchia di sostenere le
milizie filoislamiche che a Tripoli
hanno “imposto” il Governo parallelo di Omar Al Hassi.
dalla rivista «Newsweek», centinaia
di bambini, donne e uomini sono in
ostaggio dei jihadisti, che per rilasciarli chiedono la liberazione di loro esponenti catturati. Le donne e i
bambini sarebbero stati radunati in
una zona della città presidiata dai
miliziani, mentre gli uomini sarebbero stati trasferiti nelle montagne di
Abd Al Aziz. Da parte sua, l’agenzia
di stampa ufficiale siriana Sana, riferisce che gli attacchi, oltre che a Tal
Hermez, sono stati sferrati a Tal
Shamiram, Tal Riman, Tal Nasra, Al
Agibash, Toma Yalda e Al Haooz.
Secondo la Sana, che cita fonti locali, l’obiettivo dell’Is sarebbe di aprirsi un passaggio, facendo terra bruciata di questi villaggi, per arrivare
al confine con la Turchia e facilitare
il passaggio di armi e mercenari.
Proprio nell’est della Siria, oltre
che su alcuni fronti iracheni, si sono
concentrati ieri i raid aerei della coalizione internazionale guidata dagli
Stati Uniti. Secondo il comando
americano, undici attacchi sono stati
compiuti contro postazioni dell’Is
nell’area di Kobane, la città al confine con la Turchia dove il 26 gennaio
scorso, dopo quattro mesi di combattimenti, i peshmerga curdi hanno
respinto un’offensiva del gruppo
jihadista. Da allora a Kobane sono
tornati circa quattromila degli abitanti fuggiti, ma la situazione resta
di estrema insicurezza. Tra l’altro,
secondo fonti ufficiali, in questo periodo almeno quindici persone sono
morte per l’esplosione di mine e ordigni nascosti. Altri sei raid aerei
hanno colpito Hasaka, il capoluogo
dell’omonima provincia nordorientale siriana al confine con l’Iraq e la
Turchia, dove nella notte tra sabato
e domenica è incominciata una nuova offensiva dei peshrmega contro le
postazioni jihadiste.
N
Piccoli cristiani iracheni fuggiti dai loro villaggi (Ap)
Di contro, i comandanti statunitensi incontrati ieri in Kuwait dal segretario alla Difesa, Ashton Carter,
hanno assicurato che non è in atto
alcuna controffensiva dell’Is. Questo
mantiene comunque alta la sua pericolosità sul piano sia militare sia
dell’azione terroristica. In questo
senso, tra l’altro, nuove minacce
all’Italia sono apparse su siti internet
riconducibili al gruppo terrorista. In
Francia, intanto, oltre a intensificare
la partecipazione all’intervento militare, con l’invio nel Golfo Persico
della portaerei De Gaulle, si stanno
varando nuove misure di sicurezza.
Per la prima volta è stata applicata
ieri a sei persone sospettate di legami con il terrorismo la sospensione
cautelare del passaporto. Il ministro
dell’Interno, Bernard Cazeneuve, ha
detto che nelle prossime settimane si
applicheranno altre quaranta disposizioni analoghe.
Vertice a Parigi per il rispetto degli impegni concordati a Minsk il 12 febbraio
Si cerca una soluzione al conflitto in Ucraina
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KIEV, 24. Il segretario generale
dell’Onu, Ban Ki-moon, incontrando ieri al Palazzo di vetro il ministro
degli Esteri russo, Serghiei Lavrov,
ha auspicato che «tutte le parti interessate
dal
conflitto
nell’est
dell’Ucraina rispettino gli impegni
concordati a Minsk il 12 febbraio».
Ma il ritiro delle armi pesanti dal
fronte ucraino resta per ora una promessa non mantenuta. Kiev non ha
ancora cominciato ad arretrare la
propria artiglieria accusando le milizie filorusse di continuare a bombardare le sue posizioni, mentre da parte loro i ribelli separatisti hanno annunciato questa mattina di aver iniziato il ritiro delle armi pesanti dalle
zone più tranquille sotto il loro controllo. Ma resta da vedere se dalle
parole si passerà ai fatti.
on si può leggere l’intervista al patriarca caldeo
Louis Raphaël Sako senza
essere commossi (Ne nous oubliez
pas! Le Sos du patriarche des chrétiens d’Irak. Entretien avec Laurence Desjoyaux, Paris, Bayard, 2015).
Ho dovuto trattenermi più volte
per non cedere a un pianto a dirotto, quasi infantile. La testimonianza che il patriarca offre è quanto
mai toccante, intensa, pura e, per
dirla con un solo aggettivo, evangelica.
Avevo incontrato Louis Sako,
una prima volta alcuni anni fa —
quando ancora era vescovo di Kirkuk — in occasione di un convegno
sulla storia di Antiochia organizzato dalla Fondazione ambrosiana
Paolo VI a Villa Cagnola presso Varese. Sapendo che vivevo a Istanbul, la conversazione è stata intensa, sempre attento a intessere vere
relazioni umane e ascoltare l’altrui
esperienza. Poi l’ho rivisto a Istanbul nel mese di giugno 2014, quando la tempesta della ferocia umana
iniziava a imperversare nel suo
paese d’origine, l’Iraq.
Ogni volta che l’ho sentito parlare ho avuto conferma di quanto
già percepito vivendo con la piccola comunità caldea della parrocchia
di Nostra Signora del Santo Rosario a Istanbul. I caldei sembrano
avere ereditato una dolcezza e una
tenerezza tutte particolari, che provengono probabilmente dal fatto
che parlano la lingua più vicina a
Gesù che sia ancora oggi utilizzata,
il
suret,
parente
strettissimo
dell’aramaico. Viene dal fatto che
questo popolo, cristianizzato nel
corso della storia millenaria, ha
sofferto in silenzio e pazientemente
tutte le persecuzioni a cui è stato
sottoposto. Raphaël Louis Sako testimonia della sensibilità di questi
fedeli dal particolare rito cattolico
orientale.
L’intervista è percorsa da un capo all’altro da un sentimento di
sofferenza subita durante il corso
dei secoli. L’attuale patriarca ha da
sempre dovuto convivere con il
conflitto e superare una guerra dopo l’altra: quella tra Iran e Iraq,
poi quella tra Iraq e Kuwait, poi
l’embargo, i bombardamenti degli
alleati, la caduta di Saddam Hussein, infine la lotta fratricida e oggi
la barbarie del sedicente Stato islamico (Is). Il racconto delle conquiste dell’Is a partire dal 10 giugno
scorso è quello di un’escalation di
violenza. Difficile capacitarsene,
benché le sue analisi siano perti-
Il termine previsto dalle intese di
Minsk-2 per cominciare ad allontanare le artiglierie dalla linea di fuoco
è in ogni modo scaduto fin da martedì scorso.
E l’obiettivo di creare in 14 giorni
una zona cuscinetto larga da 50 a
140 chilometri (a seconda della gittata) continua a essere messo in dubbio dal mancato rispetto della tregua
in alcune aree del Donbass, fra recriminazioni reciproche.
Per cercare una soluzione a questo
conflitto in cui — secondo l’Onu —
hanno finora perso la vita a causa
del fuoco di entrambi i fronti circa
5.700 persone, i ministri degli Esteri
di Francia, Russia, Ucraina e Germania si incontreranno oggi a Parigi
per un nuovo vertice nel cosiddetto
“formato di Normandia”. Al centro
dei colloqui vi sarà anche la messa
in atto degli accordi di Minsk-2, che
il portavoce del cancelliere tedesco,
Angela Merkel, ha definito finora
“insoddisfacente” chiedendo a Mosca di fare “pressione sui separatisti”
per il rispetto pieno della tregua.
Intanto, in un’intervista televisiva,
Vladimir Putin prova ad abbassare i
toni. Insistendo sul rispetto degli accordi di Minsk, il leader del Cremlino ha liquidato come «un improbabile scenario apocalittico» quello di
una guerra aperta con l’Ucraina.
Inoltre, Putin smentisce le accuse di
un ipotetico coinvolgimento di cecchini manovrati dalla Russia nella
strage di Maidan di un anno fa
avanzate dal presidente ucraino,
Petro Poroshenko, dopo che un documentario della Bbc aveva rilanciato sospetti su alcuni insorti che
avrebbero sparato sulla polizia dal
Conservatorio la mattina del 20 febbraio, riaccendendo le violenze che
avrebbero poi insanguinato la piazza
cuore della protesta.
Registrata nella centrale nucleare giapponese una perdita di acqua altamente contaminata
Ancora paura a Fukushima
La rivoluzione comunicativa
di Papa Francesco
Parole piccole
per dire cose grandi
Una donna nel centro di Debaltseve (Ap)
BRUNO FORTE
A PAGINA
5
nenti e permettano di capire tra le
linee i fattori, le cause e gli obiettivi di un tale caos.
Il suo è un Sos accorato che scaturisce dalla sua sensibilità pastorale e da un’acuta intelligenza messa
a profitto dell’azione. Si ha voglia
di piangere leggendo queste righe
perché, dietro alle parole di Sako,
si legge il Vangelo, l’umanità rinnovata dall’amore e dalla bontà di
Cristo. Da quando è stato ordinato
vescovo, il suo stile non è stato
quello di rifugiarsi nel recinto delle
proprie pecore, ma quello di annunciarsi come pastore per tutti,
musulmani compresi. Il sacerdozio
è per tutti, non per una fascia sola,
queste parole dovrebbero essere
meditate a lungo, come antidoto
alla tentazione di trincerarsi in ristrette comunità di vita. Il patriarca
caldeo ha vissuto e continua a vivere una forma di amicizia allargata,
formando le nuove generazioni a
degli atteggiamenti altrettanto profondi.
Quando è stato direttore in seminario, a Mosul, non ha atteso
molto tempo per riformarlo da cima a fondo, puntando sulla formazione vera del cuore e della persona. Per il patriarca, l’amicizia è il
fondamento del dialogo. Ma non si
tratta di un’amicizia solo teorizzata, bensì di relazioni umane con i
suoi fedeli e con tutti i musulmani,
sunniti e sciiti. Infatti, si può anche arrivare a parlare ed essere specialista di dialogo, senza mai incontrare le persone in carne e ossa.
L’amicizia, invece, fa sì che nel
momento di emergenza, il fratello
musulmano possa proteggere e aiutare il fratello cristiano, proprio come è capitato in talune occasioni
da quando lo Stato islamico ha fatto la sua apparizione.
Le parole di Sako infondono la
gioia di essere cristiani, di testimoniare fino in fondo e non a metà
soltanto come talvolta capita tra i
cristiani dell’occidente. Il patriarca
caldeo lo dice a chiare lettere: i cristiani d’oriente possono aiutare da
un lato una certa debolezza di testimonianza dei cristiani in occidente e dall’altro l’islam diviso in
numerose tendenze. I caldei come
il patriarca e i fedeli della sua comunità ormai sparsa in tutta la terra, rendono l’incarnazione di Cristo
sempre operante e ben visibile e
rendono viva la tenerezza di Dio
per i suoi figli.
Al grido del patriarca, se non
possiamo fare altro, si può almeno
rispondere con la preghiera semplice e costante.
Controlli sulla popolazione di Fukushima dopo l’incidente nucleare del 2011 (Reuters)
TOKYO, 24. Allarme nella disastrata
centrale nucleare giapponese di Fukushima, dove è stata registrata una
perdita di acqua altamente contaminata. Il gestore dell’impianto, la società Tepco, ha riferito che sono ancora incerte cause e quantità riversatasi nella baia. Secondo la Tepco, la
radioattività rilevata è stata superiore
di settanta volte alla norma.
Gli alti valori hanno così spinto la
Tepco a chiudere i canali di scolo
dell’acqua piovana, che verranno riaperti solo in presenza di valori tornati alla normalità. Il problema della
gestione dell’accumulo di acqua radioattiva resta la sfida più urgente a
quasi quattro anni dal devastante
terremoto e dal successivo tsunami
che distrussero quasi completamente
la centrale, innescando il più grave
disastro nucleare dopo Chernobyl
(Ucraina, 1987). A dicembre scorso,
la Tepco ha affermato che circa sei
tonnellate di acqua radioattiva sono
finite nel sottosuolo a causa di una
lunga serie di incidenti.
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mercoledì 25 febbraio 2015
Intervento di Mattarella
Il compito
del magistrato
L’Eurogruppo valuta il piano presentato da Tsipras
Esame di greco
Riduzione della spesa ma anche misure sociali
FIRENZE, 24. Il compito «né di
protagonista assoluto del processo, né di burocratico amministratore della giustizia» al quale la
Costituzione italiana chiama il
magistrato è stato sottolineato dal
presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, intervenuto
questa mattina all’inaugurazione
annuale dei corsi della Scuola superiore di magistratura a Scandicci, nei pressi di Firenze.
Quella del magistrato, ha affermato Mattarella, è una sfida «tanto più impegnativa in un contesto
di crescenti attese da parte dei
cittadini, sempre più esigenti verso un servizio essenziale come la
giustizia, chiamata a definire,
ogni giorno, l’equilibrio tra diritti
e doveri applicando le regole dettate dalla legge».
Il presidente della Repubblica
ha spiegato poi che «un esercizio
responsabile dei poteri dei magistrati in nome del popolo vede
nei percorsi formativi un passaggio rilevante per raggiungere, e
mantenere, il difficile equilibrio
tra garanzia, discrezionalità del
giudice e risposta al diffuso sentimento di legalità che si avverte
sempre più nel Paese». Al tempo
stesso il capo dello Stato ha auspicato un recupero di efficienza.
Mattarella ha usato il treno per
raggiungere Firenze e successivamente il tram che collega la stazione di Santa Maria Novella a
Scandicci.
Accordo bancario
tra Italia
e Svizzera
ROMA, 24. Cade il segreto bancario tra Italia e Svizzera grazie allo
scambio di informazioni. L’intesa
è stata siglata ieri a Milano tra il
ministro dell’Economia italiano,
Pier Carlo Padoan, e il capo del
dipartimento federale delle Finanze svizzere, Eveline WidmerSchulumpf. Soddisfatto il presidente del consiglio dei ministri
italiano, Matteo Renzi, che su
twitter ha scritto: «Miliardi di euro che ritornano allo Stato».
Di fatto migliorano, dopo tre
anni di negoziati, le relazioni in
ambito finanziario e fiscale tra
Berna e Roma. Secondo Widmer
Schulumpf, «si pongono delle
nuove basi che permetteranno di
rafforzare la cooperazione, migliorare le relazioni tra i due Stati
e sviluppare le relazioni economiche in un clima costruttivo». La
Confederazione elvetica esce così
dalla black list dei paradisi fiscali,
permettendo a chi intende avvalersi della regolarizzazione spontanea dei capitali tenuti illegalmente in Svizzera di beneficiare
di condizioni migliori in termini
di sanatorie e oneri da sostenere.
L’accordo si compone di un
documento giuridico, che modifica la Convenzione del marzo 1976
e dovrà essere ratificato dai due
Parlamenti e di un altro politico.
Quest’ultimo indica una road map
da seguire anche per definire due
ulteriori questioni. La prima è
quella dei lavoratori transfrontalieri, da risolvere entro la metà
del 2015. L’altra è l’individuazione delle migliori soluzioni per
Campione d’Italia, enclave italiana in territorio svizzero.
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ATENE, 24. Alla fine è arrivato. Il
piano del primo ministro greco,
Alexis Tsipras, con cui Atene chiede
all’Eurogruppo il prolungamento dei
prestiti di altri quattro mesi, è
all’esame di Bruxelles da questa notte, e viene valutato dai creditori internazionali (di trojka non si parla
più, ma sempre di Fondo monetario
internazionale, Banca centrale europea e Commissione europea si tratta) come un buon punto di partenza, anche se la chiave per un giudizio positivo sarà la pronta applicazione degli impegni.
Questi, peraltro, prevedono solo
due delle misure sociali annunciate
in campagna elettorale da Tsipras: la
possibile estensione del salario minimo — ma dopo una consultazione
con l’Unione europea — e buoni pasto-energia per i poveri. Atene si impegna ad andare avanti con le privatizzazioni già avviate, con la revisione dell’iva e con la lotta all’evasione
fiscale. Parte poi la spending review:
meno ministeri, consulenti e benefit
politici. La sanità sarà comunque garantita per tutti.
Riguardo ai salari, il Governo greco — si legge nella lista consegnata a
Bruxelles — si consulterà con le istituzioni creditrici per quanto riguarda «l’ammontare e i tempi» dell’annunciato
aumento.
L’Esecutivo
Tsipras, prosegue la nota, «metterà a
punto un nuovo approccio alla negoziazione collettiva dei salari che
includa l’obiettivo di innalzare nel
tempo il salario minimo».
Secondo l’ufficio del primo ministro greco, la lista contiene, oltre alle
misure suddette, riforme della sicurezza sociale e provvedimenti contro
la “crisi umanitaria” (così definita da
Atene) provocata dall’austerità.
La Grecia si impegna inoltre a far
sì che gli interventi a contrasto della
crisi non abbiano «effetti fiscali negativi e ad avere banche che siano
gestite sulla base di solidi principi
bancari e commerciali».
Il presidente dell’Eurogruppo,
l’olandese Jeroen Dijsselbloem, non
si è espresso sulla lista di riforme
presentata dalla Grecia, sottolineando solo che si tratta di un primo
passo. «Spetta alle istituzioni ora
pronunciarsi. Se tutte e tre esprimeranno un’opinione positiva, ci sarà
una teleconferenza dell’Eurogruppo
nella serata di oggi», ha detto
Dijsselbloem durante un’audizione
al Parlamento europeo.
Anche se rimane ancora molto da
fare, ha aggiunto il presidente
dell’Eurogruppo, «le istituzioni resteranno comunque coinvolte» nel
monitoraggio della stabilità finanziaria della Grecia».
Se l’Eurogruppo darà il via libera,
i diciannove Paesi membri dell’eurozona dovranno approvare entro la fine della settimana l’estensione del
piano di salvataggio. Alcuni di loro,
fra cui Germania e Finlandia, dovranno riferire al Parlamento. A Berlino, ha fatto sapere oggi il ministro
delle Finanze, Wolfgang Schäuble, il
voto dovrebbe esserci venerdì prossimo. Dijsselbloem ha però precisato
che «anche senza un nuovo programma, ci sarebbe comunque un
monitoraggio successivo all’attuale
programma a causa dell’esposizione
al debito greco» delle istituzioni che
rappresentano i creditori.
Le bandiere greca e dell’Ue all’esterno dell’ambasciata di Atene a Bruxelles (Reuters)
Freddo eccezionale in molte zone degli Stati Uniti
Obama nomina un inviato speciale ai negoziati tra Governo di Bogotá e Farc
Stretti
nella morsa del gelo
Impegno di Washington
nel processo di pace colombiano
WASHINGTON, 24. Gli Stati Uniti
restano stretti nella morsa del gelo,
dalla costa nord-orientale fino al
Texas. All’aeroporto internazionale
Fort Worth di Dallas, uno dei più
trafficati del Paese, un aereo della
American Airlines ha sbandato ed
è finito fuori pista a causa del
ghiaccio. Illesi i sessantatré passeggeri e i cinque membri dell’equipaggio. Solo nello scalo di Dallas
sono stati cancellati più di 1.100
voli.
Forti venti e piogge gelate hanno
investito il New Mexico, il Colorado, l’Utah e il nord dell’Arizona,
provocando ventidue vittime nel
Tennessee e undici nel Kentucky. Il
nord è alle prese con un’ondata di
gelo proveniente dall’Artico canadese, con intense nevicate che hanno ammantato di neve fresca gli
Stati che si affacciano sull’area dei
Grandi Laghi e il New England.
Situazione pesante soprattutto a
Boston, dove a causa della neve
stratificata il traffico ferroviario
non si normalizzerà prima della
prossima settimana. A New York,
la colonnina di mercurio ha toccato
i meno venti. Proprio nella Grande
Mela si sono gelate le acque del
fiume Hudson, che si è trasformato
in una distesa di ghiaccio.
BO GOTÁ, 24. Bernard Aronson, un
diplomatico statunitense con una vasta esperienza in America latina, è
stato scelto dal presidente Barack
Obama come inviato al processo di
pace in corso da poco più di due
anni a Cuba fra il Governo di Bogotá e le Forze armate rivoluzionarie
della Colombia (Farc). L’iniziativa
di Obama di assumere un ruolo ufficiale nello storico negoziato è stata
annunciata dal presidente colombiano, Juan Manuel Santos, che l’ha
definita un segnale importantissimo.
Santos ha salutato la nomina di
Aronson con soddisfazione, ricordando il suo passato incarico di sottosegretario di Stato per gli affari latinoamericani e la sua partecipazione
nei negoziati di pace in Salvador
all’inizio degli anni Novanta.
Il ruolo di Aronson, ha specificato
Santos, «sarà di appoggiare il negoziato, il che non implica la sua partecipazione diretta al tavolo del dialogo». Del compito di mediatori, come noto, sono incaricate Norvegia e
Cuba. Il presidente colombiano ha
dichiarato inoltre che la settimana
scorsa anche il ministro degli Esteri
tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha
espresso la volontà del Governo di
Berlino di sostenere attivamente il
processo di pace.
Anche le Farc hanno espresso soddisfazione per la nomina di un inviato speciale da parte della Casa
Bianca.
Il negoziato a Cuba appare ormai
in dirittura d’arrivo, ma manca ancora l’intesa su aspetti cruciali, primo
fra tutti quello della smobilitazione,
del disarmo e della reintegrazione
dei guerriglieri delle Farc, cioè la fine effettiva del conflitto, ma anche
la valutazione di quelli che Santos
nelle ultime settimane è più volte
tornato a definire crimini contemplati dal diritto nazionale e internazionale. Secondo il presidente, «il Paese non può semplicemente, come nel
passato, fare tabula rasa» e la ricerca
di un consenso su questi punti resta
la grande sfida del negoziato.
Lo scandalo Petrobras
frena gli investimenti in Brasile
BRASILIA, 24. L’inchiesta su una
vasta rete di corruzione all’interno
della società petrolifera statale brasilana Petrobras ha frenato gli investimenti per oltre quattro miliardi
di dollari in quella che è la prima
azienda del Paese, al cui prodotto
interno lordo contribuisce per il 12
per cento. Secondo quanto riferito
dalla stampa brasiliana, sono stati
paralizzati numerosi progetti. Fra
questi c’erano la costruzione di due
piattaforme petrolifere per le operazioni marittime e la messa in cantiere di imbarcazioni per trasportare a terra petrolio e gas estratti. Si
è bloccata anche la seconda fase
della realizzazione della raffineria
Abreu e Lima, completa al 90 per
cento, e di altre strutture di trasfor-
Si allarga il fronte di opposizione
venezuelano
Una statua ricoperta di ghiaccio nei pressi delle cascate del Niagara (Epa)
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
CARACAS, 24. Prove di unità per
l’opposizione venezuelana: dopo
l’arresto del sindaco di Caracas, Antonio Ledezma, il leader del partito
socialcristiano
Copei,
Roberto
Henríquez, ha sottoscritto pubblicamente il cosiddetto Accordo Nazionale per la Transizione, un documento che chiede tra l’altro le dimissioni del presidente chavista Nicolás Maduro e che — pubblicato
per prima volta lo scorso 11 febbraio
— è già stato denunciato dallo stes-
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telefono 06 698 83461, 06 698 84442
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
so Maduro come parte di un presunto piano “golpista”.
La moglie del sindaco di Caracas,
Mitzy Capriles, quella dell’altro leader antichavista Leopoldo López —
in carcere da oltre un anno — Lilian
Tintori, e l’ex deputata María Corina Machado si sono presentate con
Henríquez in una conferenza stampa per annunciare l’allargamento
del fronte di opposizione. Presente
anche Henry Ramos Allup, leader
di Azione Democratica.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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mazione del greggio previste
dall’agenda di Petrobras.
Secondo gli inquirenti, Petrobras
avrebbe subito il dirottamento di
miliardi di dollari a causa di un
complesso incrocio di attività illecite a partire dalla metà degli anni
Novanta. La procura generale ha
annunciato che chiederà a breve il
rinvio a giudizio di una serie di
esponenti politici, di cui non sono
finora filtrati i nomi.
La presidente Dilma Rousseff, finora risparmiata personalmente da
uno scandalo che vede fra i protagonisti il suo Partito dei lavoratori,
ha ribadito nel fine settimana che i
responsabili pagheranno. Parlando
con la stampa, Rousseff ha comunque rivolto accuse anche ai suoi avversari del Partito della Socialdemocrazia brasiliana (Psdb), seconda formazione politica del Paese.
«Se nel 1996 o nel 1997 si fosse indagato e fossero stati puniti i colpevoli non saremmo arrivati a questa situazione», ha detto, alludendo ad anni in cui era alla presidenza Fernando Henrique Cardoso,
oggi fra i leader del Psdb all’opposizione.
Nel frattempo, il ministro delle
Finanze, Joaquim Levy, ha assicurato che l’economia brasiliana
«non ha niente di problematico» e
la ripresa «potrà avvenire senza
grandi difficoltà». «L’anno passato
il Governo ha fatto alcuni aggiustamenti e ha aggredito le distorsioni che si erano create per garantire alla popolazione i benefici delle proprie politiche», ha assicurato
il ministro.
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Soccorsi della Croce Rossa
a feriti negli scontri in Myanmar (Ap)
Riescono a evadere venticinque camerunensi
Fuga da un carcere
di Boko Haram
ABUJA, 24. Venticinque ostaggi,
donne e bambini, rapiti il 29 gennaio dal gruppo jihadista Boko Haram da un villaggio del Camerun e
portati in una prigione in Nigeria,
sono riusciti a fuggire dopo aver
fatto, di notte, un buco in uno dei
muri della loro cella ed essersi allontanati approfittando del buio.
Gli ostaggi dopo essere stati rapiti
nel
villaggio
camerunense
di
Ngnam-Ngnam, nel dipartimento
frontaliero di Logone-et-Chari, erano stati condotti nella prigione di
Koumché. Lo riferisce il sito Koaci,
citando il quotidiano «Oeil du
Sahel». I miliziani erano arrivati nel
villaggio la mattina del 29 gennaio,
bruciando alcune abitazioni e uccidendo tre persone. Quando gli abitanti si erano riuniti, ore dopo, per
le cerimonie funebri delle vittime, i
terroristi erano tornati e avevano rapito quindici donne e dieci bambini
di età tra i cinque e i tredici anni.
Dopo essere riusciti a scappare
dalla prigione, i camerunensi hanno
camminato per tutta la notte, raggiungendo prima il villaggio di
Kangaleri per poi proseguire sino a
Kinguerwa, dove hanno avuto assistenza. Attualmente sono un centinaio i camerunensi sequestrati da
Boko Haram ancora nelle mani del
gruppo jihadista.
Incostituzionale
la legge
kenyana
sulla sicurezza
NAIROBI, 24. L’Alta Corte del
Kenya ha confermato l’incostituzionalità di alcune parti della
nuova legge sulla sicurezza messa
a punto dal Governo del presidente Uhuru Kenyatta e approvata dalla sua maggioranza parlamentare. Gli articoli della legge
definitivamente bocciati sono otto. In particolare vengono cancellate le restrizioni alla libertà di
stampa che erano già state temporaneamente sospese dal tribunale a gennaio, dopo un ricorso
dei partiti d’opposizione. Secondo i giudici, la parte della legge
che proibisce ai giornalisti di riferire su operazioni di sicurezza in
corso viola il diritto alla libertà
d’espressione ed è in contrasto
con la Costituzione. Cancellati
anche l’ampliamento dei poteri
discrezionali degli inquirenti nei
confronti dei presunti terroristi e
un articolo che limitava a 150.000
il numero di rifugiati e richiedenti asilo da ospitare nel Paese.
La legge era stata promulgata
a dicembre dopo un acceso dibattito parlamentare all’indomani
di alcuni sanguinosi attentati rivendicati dalle milizie radicali
islamiche somale di Al Shabaab.
L’opposizione aveva sostenuto
che la lotta al terrorismo fosse
usata come pretesto per ridurre le
libertà fondamentali.
Una donna e un bambino di un villaggio
attaccato da Boko Haram (Afp)
Le violenze di Boko Haram, comunque, non si fermano. Almeno
diciotto persone sono morte oggi in
un attentato, attribuito al gruppo
jihadista che ha fatto esplodere una
bomba su un autobus a Potiskum,
la capitale dello Stato nordorientale
dello Yobe.
Il conflitto contro Boko Haram,
che vede da alcune settimane impegnate, oltre a quelle nigeriane, le
forze di Camerun, Niger, Ciad e Benin, ha portato al rinvio delle elezioni presidenziali e parlamentari in
Nigeria, previste lo scorso 14 febbraio e ora fissate al 28 marzo. Il
presidente nigeriano, Goodluck Jonathan, ha escluso sia ulteriori rinvii
del voto sia l’ipotesi di un Governo
di transizione finché non sia risolta
la crisi provocata da Boko Haram
nel nord-est del Paese. Secondo Jonathan, infatti, «l’unico Governo di
transizione possibile sarebbe un Governo militare, che certamente nessuno accetterebbe».
Per quanto riguarda il voto per la
presidenza la questione di Boko
Haram sembra determinante. La sfida che l’ex generale Muhammadu
Buhari, a suo tempo alla guida della
giunta militare dittatoriale, pone al
presidente Jonathan, che si ricandida, punta proprio sulla lotta al
gruppo islamista. Buhari, che è musulmano, ha impostato l’intera campagna elettorale sulla promessa di
una lotta senza quartiere a Boko
Haram accusando il rivale di aver
svolto un’azione inefficace.
Da parte sua, dopo sistematiche
sconfitte, Jonathan ha potuto registrare nelle ultime settimane alcuni
successi militari, grazie all’azione
congiunta con le forze dei Paesi
confinanti. E su tali sviluppi sembra
puntare in prospettiva elettorale
Cinque anni a un blogger
Nuove
condanne in Egitto
IL CAIRO, 24. Il blogger e attivista
egiziano Alaa Abdel Fattah è stato
condannato ieri a cinque anni di
carcere nel nuovo processo a suo carico che lo ha visto accusato di vari
reati, tra cui la partecipazione a manifestazioni non autorizzate nel novembre del 2013. Gli altri 24 coimputati sono invece stati condannati
a tre anni di carcere.
In primo grado Alaa Abdel Fattah, simbolo della rivolta del 25
gennaio 2011 contro l’ex presidente
Hosni Mubarak, e gli altri 24 imputati erano stati condannati in contumacia a 15 anni di carcere e al pagamento di una multa di 13.000
dollari.
La magistratura egiziana ha emesso la sentenza in base alla nuova
legge voluta dall’Amministrazione
del presidente Al Sissi che limita il
diritto di manifestazione nel Paese
per evitare violenze.
Alaa Abdel Fattah era già stato
arrestato nel 2006, sotto Mubarak, e
poi nel 2011 ai tempi della Giunta
militare che aveva gestito la prima
parte della transizione egiziana che
sfociò nell’anno di Governo dei Fratelli musulmani, poi destituiti nel
luglio 2013 da un movimento popolare. Proprio dopo la rimozione del
presidente Mohammed Mursi, e sullo sfondo delle sanguinose proteste
che ne sono seguite, è stata varata la
cosiddetta Qanun at-tazahor: la legge varata dal Governo per ricondurre alla normalità la situazione
dell’ordine pubblico. Proprio in base a questa normativa è stato ieri
condannato il blogger.
Nei pressi di Kasserine al confine con l’Algeria
Arrestati in Tunisia tredici terroristi
Controlli di polizia all’aeroporto di Djerba (Afp)
TUNISI, 24. Almeno 13 persone, tra
cui quattro donne, sono state arrestate domenica dalla Guardia nazionale
tunisina nel governatorato di Kasserine con l’accusa di terrorismo. Secondo le prime informazioni, i 13 sospetti apparterrebbero alla brigata
Okba Ibn Nafaa, ramo del gruppo
jihadista Ansar Al Sharia di base sul
Monte Chaambi, al confine con l’Algeria. Nel frattempo, centinaia di
persone hanno manifestato domenica
a Tunisi contro il terrorismo dopo un
attacco che nella scorsa settimana ha
provocato la morte di quattro poliziotti. L’assalto compiuto da venti
combattenti jihadisti legati ad Al
Qaeda nel Maghreb islamico è stato
compiuto nei pressi di Kasserine. In
Tunisia, dopo la rivolta del 2011, si
sono registrate una serie di violenze
da parte di terroristi jihadisti.
Attaccati convogli della Croce rossa
Violenze nel Myanmar
NAYPYIDAW, 24. Non si fermano gli attacchi contro i
convogli della Croce rossa internazionale nelle regioni
del Myanmar al confine con la Cina, teatro da settimane di violenti scontri tra esercito governativo e milizie
etniche. Ieri, presso la città di Laukkaing, sono state ferite sei persone, compreso appunto un volontario
dell’organizzazione umanitaria. Fonti locali parlano in
totale di almeno centottanta vittime civili, di sessantatré
morti tra i militari e di settantadue tra i ribelli.
Il protrarsi delle violenze sta facendo aumentare il
numero dei fuggiaschi verso aree più sicure. Oltre tren-
tamila persone hanno trovato rifugio nella provincia
meridionale cinese dello Yunnan. Altri profughi stanno
cercando rifugio al di fuori delle aree di conflitto, negli
Stati di Kachin e di Shan.
Il conflitto, mai del tutto cessato, era stato ridotto
d’intensità negli ultimi anni grazie a tregue separate sottoscritte dal Governo con diverse milizie. La sua recrudescenza rappresenta un forte ostacolo al processo di
normalizzazione che il Governo sta cercando di perseguire, sia con riforme, sia con ulteriori pressioni economiche e militari sulle etnie ribelli.
Viaggiavano su un autobus tra Herat e Kabul
Sequestrati trenta sciiti
in Afghanistan
KABUL, 24. Uomini armati, travestiti da soldati dell’esercito afghano,
hanno sequestrato trenta sciiti che
stavano viaggiando su un bus nel
sud del Paese, sulla strada tra Herat
e Kabul. Le persone sequestrate,
nella provincia di Zabul, appartengono all’etnia hazara, spesso presa
di mira dagli estremisti sunniti in
Pakistan e Afghanistan.
Un funzionario locale, Nasir
Ahmad, ha raccontato che l’autista
del bus «ha visto un gruppo di uomini in uniforme dell’esercito afghano, ha pensato che fossero soldati e si è fermato». I sequestratori
hanno catturato solo gli uomini e
hanno risparmiato donne e bambini. Il rapimento non è stato ancora
rivendicato, ma spesso i sequestri
sono opera di banditi locali in cerca
di soldi o dei talebani.
Il
portavoce
del
ministero
dell’Interno di Kabul, Sediq Sediqqi, ha assicurato che la polizia «sta
facendo tutto il possibile per assicurare il loro rilascio». Proprio a
causa dell’instabilità nel Paese e
delle difficoltà dell’esercito nel far
fronte alle minacce dei talebani, gli
Stati Uniti stanno valutando di ritardare il ritiro delle truppe che entro la fine dell’anno dovrebbero essere dimezzate, da diecimila a cinquemila unità.
E mentre non mancano le difficoltà per avviare un processo di ri-
conciliazione in Afghanistan, per
quanto concerne la sicurezza anche
il vicino Pakistan si trova ad affrontare una serie di violenze. Un bambino è stato ucciso e altre nove persone ferite in una esplosione nella
provincia del Baluchistan, nel sudovest del Paese. Lo ha riferito una
fonte della polizia. La deflagrazione
è avvenuta nella cittadina di frontiera di Chama (distretto di Qillah
Abdullah) e sarebbe stata causata
da una bomba nascosta in un’auto
parcheggiata in una strada. Diversi
edifici sono stati danneggiati dal
forte scoppio. La località, che è uno
dei punti di ingresso in Afghanistan
(confina con Spin Bolkak della turbolenta provincia di Kandahar) è
stata spesso colpita in passato da
attacchi di gruppi estremisti islamici
attivi lungo la frontiera.
Inoltre, la responsabile dell’ufficio dell’agenzia di stampa Reuters a
Islamabad, Maria Golovnina, è stata trovata uccisa nella sua abitazione nella capitale pakistana. Lo rende noto l’emittente radiofonica statale Radio Pakistan, precisando che
la giornalista era responsabile
dell’agenzia di stampa per il Pakistan e l’Afghanistan. Di nazionalità
russa, Golovnina aveva iniziato a
lavorare per la Reuters nel 2009. La
polizia ha aperto un’inchiesta per
accertare le cause della morte.
Tamil delusi dal rinvio
del rapporto Onu sullo Sri Lanka
COLOMBO, 24. Il principale partito
di etnia tamil dello Sri Lanka si è
detto deluso per la recente decisione delle Nazioni Unite di ritardare
di sei mesi la relazione sulla situazione dei diritti umani nel Paese del
sud-est asiatico. M.K. Shivajilingam, leader del Tamil national alliance (Cdu), ha detto alla stampa
che questo inatteso ritardo ha causato nuove, gravi preoccupazioni
per i familiari delle vittime. «Essi
credono fermamente che la giustizia
ritardata è giustizia negata», ha sottolineato Shivajilingam, esprimendo
la speranza che la relazione sarà debitamente rilasciata a settembre e
che il procedimento giudiziario
dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr)
non subirà ulteriori ritardi.
Il Consiglio provinciale del nord
dello Sri Lanka ha recentemente
adottato una risoluzione per chie-
dere una accurata inchiesta sulle
gravi violenze contro i tamil durante il trentennale e sanguinoso conflitto civile, che si è concluso nel
maggio del 2009 con la pesante
sconfitta dei guerriglieri secessionisti del gruppo estremista delle Tigri
per la liberazione dell’Eelam tamil.
Parlando in un incontro pubblico, il nuovo primo ministro, Ranil
Wickremesinghe, il cui programma
di Governo prevede di adottare nei
primi cento giorni reali misure di
riconciliazione verso i tamil, ha detto che la decisione dell’Unhcr di ritardare la relazione è stata una risposta al tentativo del Consiglio del
nord di sollevare ulteriori divisioni
etniche. Quelle stesse all’origine del
lungo e doloroso conflitto civile,
che ha provocato nel Paese quarantamila morti e decine di migliaia di
profughi.
Passi avanti
nel dialogo
sul nucleare
iraniano
GINEVRA, 24. Le due parti hanno
fatto passi avanti su alcune questioni, ma c’è ancora una lunga
strada per giungere a un accordo
finale. Lo ha detto il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad
Javad Zarif, al termine del round
negoziale sul nucleare conclusosi
ieri sera a Ginevra, e al quale ha
partecipato anche il segretario di
Stato americano, John Kerry. Zarif
ha detto che l’Iran e i rappresentanti del gruppo cinque più uno
(Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di sicurezza,
più la Germania) hanno avuto
colloqui seri e costruttivi. Da parte iraniana è stato ribadito più
volte, nelle ultime settimane, che
tale accordo dovrà essere onnicomprensivo e non rinviare a ulteriori scadenze. Il prossimo incontro sul nucleare iraniano si svolgerà a Ginevra il 2 marzo.
Violenti
cicloni
in Australia
CANBERRA, 24. Massima allerta
nell’Australia nord-orientale per
due potenti cicloni tropicali che
nelle ultime ore si sono abbattuti
con estrema violenza sulle zone
settentrionali del Paese, tranciando linee elettriche, sradicando alberi e causando alluvioni. Ingenti
i danni, precisano fonti locali.
Nel Queensland il ciclone Marcia — di livello cinque, il più alto
— ha seriamente danneggiato oltre
millecinquecento abitazioni, costringendo per ore migliaia di persone senza energia elettrica. Il ciclone — con raffiche di vento fino
a trecento chilometri all’ora — ha
investito in pieno la città di Yeppoon, seicentosettanta chilometri
a nord di Brisbane, prima di deviare verso sud, su Rockhampton.
A Yeppoon ha scoperchiato numerose case, senza provocare vittime o feriti gravi.
Poche ore prima, un altro ciclone, denominato Lam, aveva investito le comunità aborigene più remote del Northern Territory, vicino all’isola di Elcho, cinquecento
chilometri a est di Darwin. Il piccolo aeroporto di Elcho Island ha
subito gravi danni. È previsto che
nel corso della giornata il ciclone
Lam venga declassato.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 25 febbraio 2015
Uno scorcio
della casa a Isla Negra
A Isla Negra
l’appuntamento era ogni 18 settembre
in occasione delle Fiestas Patrias
Anche nell’anno funesto della storia cilena
invitò gli amici
Ma quanti giunsero in quel 1973
portarono notizie terribili dalla capitale
Le tre case di Pablo Neruda in Cile
Frammenti
cresciuti nel tempo
dalla nostra inviata a Santiago
GIULIA GALEOTTI
li abitanti di questa
terra prendono il nome dal vento freddo,
anche se non violento, che viene dalle
Ande». Così, con un clamoroso errore che
collegava il nome dei cileni all’inglese chilly,
una cartina del globo datata 1698 a firma
di monsignor Ledaghin spiegava l’origine
del nome di questo popolo. La mappa —
affascinante nei suoi tanti errori — domina
lo studio di Pablo Neruda a Valparaíso, cittadina della costa cilena, effettivamente celebre per il vento che implacabilmente la
sferza.
«G
Il cavallo al centro della sala de «La Sebastiana»
La stanza è all’ultimo piano di una delle
tre case cilene del poeta, divenute musei
gestiti dalla fondazione omonima, che recentemente, revisionando gli archivi del
premio Nobel per la letteratura 1971, ha ritrovato in alcune scatole ventuno poemi
inediti, da poco pubblicati.
Visitare le case è prezioso per chi voglia
entrare ancor più nella produzione poetica
di Pablo Neruda. Ciascuna con il suo tratto, infatti, le abitazioni trasmettono il profondo attaccamento del poeta per la quotidianità spicciola, quell’attenzione per i dettagli che trabocca nella poesia di un autore
divenuto celebre anche per la sua capacità
di mettere in versi il popolare e l’umile,
esaltando i segreti della semplicità.
Perché la vita è questo: mutevole, cresce
nel tempo e dal tempo è cambiata. Così le
tre case di Neruda — Isla Negra, Santiago e
Valparaíso — sono abitazioni, non finite
perché continuamente rimaneggiate, in grado di crescere nel tempo. In orizzontale o
in verticale, si sono espanse negli anni come avviene alla marea e alle esistenze di
persone e popoli.
Per Neruda, l’arte del costruire non è legata a un progetto, ma alle immagini indotte da ciò che le pareti si trovano attorno:
una luce, uno scorcio, un oggetto “necessitanti” il supporto di un ambiente. Se è soprattutto il mare a farla da padrone — anche nella casa di Santiago, la sola a non
trovarsi sull’Oceano — è attorno all’enorme
cavallo di legno che viene costruita una
stanza nell’abitazione di Isla Negra. Lo
spazio è manipolabile e inventabile a piacimento: la casa non si modifica all’interno,
ma si estende man mano che crescono esigenze e bisogni.
La prima a essere acquistata e “convertita” fu quella a Isla Negra, su un promontorio spazzato dal vento a picco sul Pacifico.
È il 1937 quando, appena tornato dall’Europa, Neruda inizia a cercare un posto in cui
scrivere quello che sarebbe diventato il suo
Canto General, grande libro sulla storia e
sulla natura americana. «Il vento selvaggio
di Isla Negra insieme con i tumultuosi movimenti dell’Oceano mi ha permesso di ce-
Mostra fotografica a Lugano
dere all’avventura di questa nuova opera» pitale. Il giorno dopo il poeta, gravemente
malato, fu trasportato in ambulanza
dirà poi.
Rispondendo all’annuncio su un quoti- all’ospedale Santa María di Santiago. Triste
diano, Neruda scopre questa piccola casa, rituale che si sarebbe propagato come
circondata da un terreno di più di 5000 un’onda, la casa fu subito devastata dai mimetri quadrati, in una caletta di pescatori litari.
Stessa sorte per la casa di Santiago, la
quasi deserta, rimanendo folgorato dalla
spettacolare vista sul mare. Acquistatala dal Cascona, costruita ai piedi del Cerro San
marinaio spagnolo Eladio Sobrino nell’in- Cristóbal, che prende il nome dai capelli
verno del 1943, il poeta comincia ad appor- ricci e ribelli della moglie del poeta, Matilvi la prima serie di aggiunte, proseguite nel de. Anch’essa, infatti, a seguito del colpo di
tempo fino al 1965, con l’aiuto dell’architet- Stato, fu preda di vandali: il 23 settembre
to catalano Germán Rodriguez Arias prima 1973, mentre il poeta stava morendo, fu sace poi con quello dell’architetto, e amico, cheggiata e inondata con l’acqua del canale
Sergio Soza. Nei continui raccordi tra le che scorreva in giardino.
Esattamente vent’anni prima, la costruvarie parti, in orizzontale «la casa stava crescendo, esattamente come le persone, come zione della casa era stata affidata all’archigli alberi». L’abitazione non si distingue fa- tetto Germán Rodríguez Arias, che inizialcilmente dalle altre che affacciano sul mare. mente la progettò orientandola verso il soPer trovarla occorre domandarne l’ubicazio- le, in direzione della città: Neruda però
ne, non ci sono indicazioni stradali che ne preferiva l’affaccio sulle Ande, e così il prosegnalino la presenza: i cileni non ne han- getto venne girato. Sarà solo una tra le mille variazioni volute dal poeta, che cercò
no bisogno, tutti sanno dov’è.
Costruita con legno e pietra
intervallati da grandi finestre
rettangolari che si affacciano
Per il poeta l’arte del costruire
sul Pacifico, la casa ha un interno organizzato linearmente
non è legata a un progetto
in compartimenti a cui si acceMa alle immagini
de passando da una stanza
all’altra. L’acustica della cameindotte da ciò che le pareti
ra da letto culla il visitatore
si trovano attorno
con il mormorio della risacca
delle onde che s’infrangono
contro le rocce, mentre lo studio amplifica il rumore della pioggia, rac- personalmente i materiali, definì i dettagli e
colta sul tetto. Come nelle altre abitazioni, discusse ogni particolare — la sala da prangli spazi custodiscono frammenti raccolti zo somiglia alla cabina di una nave, mentre
nel tempo: vetrerie, piatti, calici, orci, velie- entrando in soggiorno sembra di essere in
ri in bottiglia, fotografie di Baudelaire, Ma- un faro — al punto che Arias finirà con
jakovsky e García Lorca, una sterminata l’ammettere che l’opera non è in realtà
collezione di conchiglie, un’enorme cannoc- ascrivibile a lui. Anche in questo caso, sechiale newtoniano, un mappamondo del guendo le vicende personali di Neruda, la
Settecento, mentre numerose polene di navi casa crebbe e dall’iniziale semplice soggiorvolteggiano sospese al soffitto o appese alle no e camera da letto, assunse le dimensioni
pareti. Una appartenuta al veliero di Fran- che ha oggi.
Pendenze, terrazze e scale congiungono
cis Drake.
Amava avere ospiti, Pablo Neruda, eredi- tre grandi blocchi separati, il tutto amalgatà della sua infanzia. E tutte le sue case lo mato da una folta vegetazione e una varietà
dimostrano. A Isla Negra l’appuntamento di oggetti, tutti diversi e tutti simili. Dipinti
era per le Fiestas Patrias ogni 18 settembre. (compreso il famoso quadro che Diego RiAnche nel 1973, anno terribile della storia vera aveva dipinto per Matilde in cui, nacilena, invitò gli amici, ma quanti lo rag- scosto tra i capelli, si scorge il profilo di
giunsero portarono notizie terribili dalla ca- Neruda), vecchie botti, bottiglie di ogni
forma e colore, pezzi di antichi barconi, figure pittoresche, scarpe giganti, i premi ricevuti da Neruda, compreso il Nobel.
«Sento la stanchezza di Santiago — scrive Neruda a un’amica —. Voglio trovare a
Valparaíso una casetta per vivere e scrivere
tranquillo. Deve avere alcune condizioni.
Non può stare né troppo sopra né troppo
sotto. Deve essere solitaria ma non eccessivamente. (…) Originale ma non scomoda.
Molto alata ma ferma. (…) Credi che potrò
trovare una casa così a Valparaíso?». Questa la richiesta che il poeta fece nel 1959 a
Sara Vial e Marie Martner, che riuscirono a
scovare questa grande casa di proprietà
dell’architetto Sébastián Collado, che aveva
iniziato a costruirla ma era morto prima di
finirla nel 1949. Neruda la vide: a colpirlo
furono soprattutto la posizione e il modo
quasi folle in cui era stata progettata. Nasce
così La Sebastiana, terza e ultima abitazione, in cima alla collina nel cerro Bellavista,
a Valparaíso, da dove Neruda guardava i
fuochi d’artificio di Capodanno. La casa
venne inaugurata con una festa memorabile
il 18 settembre 1961. Per quella occasione
Neruda scrisse la poesia La Sebastiana, inclusa nella raccolta Plenos Podres.
Le salite e le discese, così tipiche della
cittadina, continuano anche all’interno della struttura: salendo per le scale interne, è
un po’ come salire per le salite di Valparaíso, un accumulo di case in lamiera, coloratissime e arroccate sul monte che scende a
picco sul mare. E come per la cittadina,
man mano che si sale nella casa si è ricompensati dalla vista, sempre più ampia, sul
porto. È stretta su quattro livelli La Sebastiana, tra angoli e oggetti che rapiscono
con le loro storie, lucernai su pareti azzurre, gialle, rosa, verdi, e le grandi finestre
rendono il porto di Valparaíso e il mare un
elemento architettonico.
Dettagli e mare: è la poesia di Neruda, e
l’anima delle sue case. «Serbai la tua voce
infuriata — scrive in Canto General (nella
traduzione italiana di Salvatore Quasimodo) — O mare del Cile, o acqua alta e stretta come acuto falò, impulso e tuono e unghie di zaffiro, o terremoto di sale e di leoni! Declivio, origine, costa del pianeta, le
tue palpebre aprono il mezzogiorno della
terra assalendo l’azzurro delle stelle».
Una raccolta con tutte le opere agiografiche su Bernardino da Siena
Il santo che non voleva essere vescovo
di FELICE ACCRO CCA
La crisi della cristianità appariva indubbiamente profonda all’alba del XV secolo.
In quel contesto, l’Osservanza francescana finì per affermarsi definitivamente grazie al contributo dato dai suoi predicatori. Su tutti, la figura di Bernardino dominò incontrastata: «Principe dei predicatori del nostro tempo» lo definì Roberto
Caracciolo da Lecce, e fra’ Sante Boncor
— certo con qualche esagerazione — affermò che egli era venuto «como novo Elia
Da grande comunicatore
s’informava su usi e fatti di cronaca
accaduti nei luoghi
dove avrebbe dovuto predicare
e Moisè resusitato, e uno novello Battista
e uno altro Paulo».
Oltre alla fama di santità che lo precedeva ovunque, alla foga oratoria e al linguaggio disinvolto con cui ammaliava le
folle, nell’amplificarne la popolarità ebbe
buon gioco anche l’eccezionale preparazione e la cura con cui Bernardino s’informava su usi, costumi e perfino fatti di
cronaca occorsi nei luoghi dove avrebbe
dovuto predicare.
Bernardino, in definitiva, fu maestro di
retorica, grande divulgatore, organizzatore di consenso: non cercò di salvaguardare il suo interesse personale, né mostrò
mai di mirare alla carriera. In più occasioni, infatti, rifiutò la nomina a vescovo,
anche della sua stessa città. Ai senesi, tra
i quali era giunto pochi mesi dopo aver
respinto quell’incarico, spiegò i motivi del
suo rifiuto: nella XVIII predica tra quelle
tenute a Siena tra il 15 agosto e il 5 ottobre 1427, non esitò a rivelare che la carica
episcopale non gli avrebbe consentito di
parlare chiaramente e senza riguardi come
poteva invece permettersi di fare da predicatore.
Parte di un progetto più ampio che
prevede la pubblicazione di tutte le vite
quattrocentesche di Bernardino da Siena,
L’agiografia su Bernardino santo (14501460), curata da Daniele Solvi (Firenze,
Sismel - Edizioni del Galluzzo, 2014, pagine XIV-374, euro 52) raccoglie ora in
un’unica sede le opere agiografiche sul senese scritte nel decennio successivo alla
canonizzazione: opere non facili da reperire, in quanto pubblicate in sedi diverse
e spesso anche con discordanti criteri editoriali, peraltro non sempre ineccepibili.
Ecco spiegata la ragione per cui, nel
presentare i motivi ai quali s’ispira l’ope-
ra, Alessandra Bartolomei Romagnoli e
Daniele Solvi, coordinatori del progetto,
avvertono di non essersi rassegnati a riprodurre le corruttele manifeste, ma di
aver «provveduto generalmente a correggere», avanzando «proposte con gradi variabili di sicurezza, che nella peggiore
delle ipotesi intendono almeno di evidenziare, tramite l’apparato, i luoghi critici
del testo».
Attorno a Bernardino (1380-1444), morto all’Aquila e canonizzato durante l’anno
santo 1450, si sviluppò un’agiografia precoce. Già tra il 1450 e il 1451 Sante Boncor ne scrisse una vita il cui titolo (Fior
novello) traeva ispirazione da un inno
dell’ufficiatura liturgica di san Francesco.
L’opera fornisce informazioni che l’autore
acquisì per conoscenza diretta o per il
tramite di testimoni autorevoli. Anche la
vita cosiddetta Clementissimus (una ricostruzione della sua vita pubblica), scritta
poco dopo il 1450 da un frate (Paolo di
Assisi, con molta probabilità) che fu più
volte compagno di Bernardino, offre elementi originali. Lo stesso può dirsi per la
vita scritta da Maffeo Vegio, amico del
Valla e del Piccolomini (poi Pio II), che
mescola notizie attinte dai processi a informazioni originali. Seguono altri testi,
di minore importanza, ma non privi d’interesse.
Le croci
degli armeni
È sempre verde il fascino del
bianco e nero. Ne è conferma la
mostra Gli adoratori della croce
allestita dal 4 marzo al 10 maggio
all’Heleneum di Lugano. Saranno
esposte 76 fotografie realizzate in
Armenia da Elio Ciol che da
sessant’anni indaga paesaggi e
architetture. La mostra intende
raccontare l’affascinante cultura
degli armeni attraverso le croci che
hanno scolpito nella pietra per
secoli, nel segno di una sorta di
ossessione per il dettaglio e la
ripetizione. Le fotografie furono
scattate da Ciol nell’autunno del
2005 durante un viaggio che lo
portò a confrontarsi con una
cultura antica: gli “adoratori della
croce” sono i testimoni “invisibili”
della storia millenaria di una
comunità che ha inciso la propria
identità nel cristianesimo, nella
pietra grigia scolpita.
Quando Manet
attraversò
la Manica
Quando Manet attraversò la
Manica, la storia dell’arte
britannica non fu più la stessa. È
questo assunto a fare da filo
conduttore alla mostra Homage to
Manet allestita al Norwich Castle
(fino al 19 aprile). E il cambio di
rotta impresso dal pittore parigino
si riscontrò anzitutto nei ritratti di
donne. Prima di lui, gli artisti
britannici tendevano a conferire
alla figura femminile una posa
passiva o idealizzata, in un
contesto tra lo statico e lo
stucchevole. Poi con l’Olympia lo
scenario muta. La donna diventa
la vera protagonista del quadro,
coinvolge lo spettatore: non solo
ne attira lo sguardo, ma lo guida e
lo domina. Insomma Manet sfida
le convenzioni, suscita scandalo: e
con ciò, fa la storia dell’arte.
Édouard Manet, «Mademoiselle Claus» (1868)
Anche quella britannica. Tra i
dipinti esposti, Mademoiselle Claus,
che conquistò il cuore del pittore
John Singer Sargent, e un ritratto
di Eva Gonzalès, discepola di
Manet che, come il maestro, si
rifiutò di esporre le proprie opere
insieme agli artisti legati
all’impressionismo: movimento nel
quale entrambi, nonostante le
affinità, non si riconoscevano.
(gabriele nicolò)
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 25 febbraio 2015
pagina 5
La rivoluzione comunicativa di Papa Francesco
Parole piccole
per dire cose grandi
Meditazioni di un monaco di Tibhirine
Il frate
che curava tutti
di FERDINAND O CANCELLI
io
Dio,
che
hai
permesso
che io sia
un medico, ti prego per tutti coloro che, per
stanchezza, egoismo o vigliaccheria,
non ho aiutato», annotava Fratel
Luc a Tibhirine. Eppure, arrivando
in certe giornate a fare anche più di
cento visite nel suo piccolo ambulatorio sorto accanto al monastero di
Notre Dame de l’Atlas, di corpi e
di anime fratel Luc ne ha curati
tanti, di ogni razza e credo religioso.
Il ritratto che François Buet ci
offre nel piccolo ma prezioso Fratel
Luc, Monaco e medico di Tibhirine. 15
meditazioni (Milano, Gribaudi editore, 2015, pagine 112, euro 7) è
quello di un monaco e di un uomo.
Solo un monaco, un innamorato di
Dio, poteva trarre da oltre quarant’anni trascorsi nel monastero di
Tibhirine la forza per affrontare la
fatica, la solitudine, a volte l’incomprensione di una vita completamente spesa per i fratelli.
«Il più delle volte il medico è solo — scriveva fratel Luc — ha la certezza che resterà solo con il paziente che cura, solo con se stesso». Eppure da ogni pagina delle quindici
meditazioni che il libro ci offre,
l’impressione che si ricava è quella
di un uomo che dalla vicinanza con
il Signore ha saputo trarre tutta
l’energia per farsi «orante tra gli
oranti» fino al completo dono di sé
in quella «duplice prosternazione»,
come la definiva Christian de Chergé, della preghiera e del servizio ai
fratelli. «Che Allah ti guarisca»,
«che Allah versi sul tuo capo le sue
benedizioni»: questo è stato ritrovato scritto in segno di riconoscenza
sulle pareti di quel dispensario,
questo è il frutto di quello «scavare
il loro pozzo» per trovarvi «l’acqua
di Dio» pur nella fatica di ogni
giorno.
«Aspettare, che cos’è? — annotava fratel Luc — Ciò che facciamo
esiste per sempre. Dedicarsi ai nostri compiti umani come a compiti
eterni. Aspettare è questo. Fare ciò
che dobbiamo fare da uomini già
risorti». E senza dubbio non è stata
passiva l’attesa del martirio suo e
degli altri sei confratelli rapiti il 27
marzo 1996 e uccisi in circostanze
misteriose e da mani ancora ignote
nelle settimane successive.
Fratel Luc curava tutti: i fratelli
della montagna, così i monaci chia-
«M
mavano i combattenti islamisti, i
contadini e allevatori islamici dei
paesi vicini e naturalmente i propri
confratelli. Quando il 24 dicembre
1993 un gruppo del Gruppo islamico armato fece irruzione in monastero per beneficiare delle sue cure
mediche, padre Christian «fece notare loro che era la notte di Natale,
la festa del Principe della pace». Il
capo rispose: «Ci scusi, non lo sapevamo» e se andò dopo avergli
stretto la mano. Come non vedere
in questo evento un frutto miracoloso di quella civiltà dell’amore che
sgorgava come una sorgente anche
dall’ambulatorio di Tibhirine? Come non vedere un segno delle tante
ore passate davanti a Gesù eucaristia prima di curarlo nei fratelli?
E nemmeno di fronte alla morte,
tante volte incontrata come medico,
fratel Luc ha esitato. «Ci si rimette
senza apprensione nelle mani di un
chirurgo — scriveva in un suo diario
— e non ci si affiderebbe con una
fiducia assoluta nelle mani di
Dio?». François Buet riporta a questo proposito le parole di padre
Christian de Chergé il quale raccontava che fratel Luc «contemplava ogni sera il tramonto del sole
sull’Atlante e diceva, una volta tramontato il sole: “In fin dei conti
aspetterò domani per partire”».
È in una fedeltà giorno dopo
giorno, scrive ancora Buet, che fratel Luc «si è preparato al suo tramonto personale», una fedeltà tutta
monastica, «una promessa tranquilla del giorno a venire — per citare
ancora padre Christian — e il segno
vivo che esso è già iniziato nel dono di un bel tramonto».
Il memoriale di Tibhirine
di BRUNO FORTE
onda di simpatia,
suscitata da Papa
Francesco
nella
Chiesa e nel mondo, è stata ed è oggetto di valutazioni diverse, perfino di un conflitto delle interpretazioni: c’è chi coglie nel messaggio di questo Papa e nell’entusiasmo che accende i segni di una
rinnovata primavera della fede;
c’è chi vede emergere nostalgie
ingenue e rischiose di pauperismo evangelico; c’è chi riconosce
L’
Una raccolta
L’editrice La Scuola pubblica Buon
pranzo! (Brescia, 2015, pagine 211,
euro 12,50) raccolta ragionata delle
riflessioni pronunciate da Papa
Francesco durante gli Angelus
domenicali. Pubblichiamo stralci
dall’introduzione.
nel consenso che diversi manifestano i rigurgiti di un mai sopito
affetto antiromano, pronto a
identificare nel vescovo di Roma,
«venuto quasi dalla fine del mondo», soprattutto il promotore di
una riforma radicale della macchina curiale.
Personalmente mi sento in sintonia con chi legge nel pontificato di Francesco uno straordinario
tempo di grazia e di speranza per
tutti, in continuità con ciò che
era stato preparato dalla riforma
spirituale voluta da Benedetto
XVI, anche se con caratteristiche
differenti. Tre elementi mi sembrano entrare in gioco nel modo
di essere e di comunicare di Papa
Francesco, tali da fargli raggiungere ampiamente e in profondità
il cuore di tutti: il linguaggio del
suo stile di vita; la forza di un
vocabolario nuovo; e la capacità
di sorprendere. Papa Francesco
parla anzitutto con la sincerità, la
semplicità e la sobrietà del suo
stile di vita. La sincerità di questo
gesuita argentino, divenuto vescovo della Chiesa “che presiede
nell’amore”, è per alcuni addirittura spiazzante: le sue dichiarazioni spontanee su temi delicati
che riguardano la morale personale e sociale o il bisogno di riforma della Chiesa, non sono certamente frutto di calcolo interessato, e nemmeno di una strategia
pastorale. Papa Francesco si mostra per quello che è e sempre è
stato, senza star a misurare gli effetti di ciò che dice sul possibile
ritorno d’immagine per sé o per
la comunità cattolica.
Non per questo, però, il suo
agire e i suoi pronunciamenti
possono considerarsi avventati:
chi come lui da una vita si esercita nella disciplina spirituale e nel-
sue omelie, specie
quelle fatte a braccio,
fossero state capaci di
raggiungere le menti
e i cuori, unendo la
verità e l’amore, la
chiarezza e la profondità dei contenuti. La
sua risposta fu al
tempo stesso disarmante e rivelatrice
della
sua
umiltà:
«Parlando in una lingua non mia, non
avevo alcun merito a
essere semplice, perché usavo le uniche
parole che conosco:
quelle semplici!».
Per l’italiano di Francesco non
è certo così, perché la nostra lingua è stata sua sin dall’infanzia
(la lingua della nonna), insieme
con l’amatissimo spagnolo porteño: il risultato, però, è analogo,
perché — abituato da sempre a
stare vicino ai poveri, spesso indifesi perché privi del prezioso possesso della parola — egli si è allenato a dire le cose grandi in modo umile e comprensibile a tutti.
Va sottolineato che la semplicità
comunicativa di Papa Francesco
non avrebbe la forza che ha se
non fosse abitata da quella sincerità e trasparenza di cui s’è detto
prima: solo chi ama la verità e al
tempo stesso ama la gente cui
proporla è capace di coniugare i
due amori in una comunicazione
vera, illuminante e contagiosa.
Proprio così, la semplicità di Bergoglio diventa un esempio e una
scuola per tutti, specialmente per
chi è abituato a parlare il “politichese”, capace di moltiplicare parole in maniera inversamente proporSi mostra per quello che è
zionale ai contenuti di
verità trasmessi.
e che sempre è stato
Infine, a colpire tutti
Senza star a misurare gli effetti
è la sobrietà di questo
Papa: egli non solo non
sul possibile ritorno d’immagine
ha bisogno di grandi
per sé o per la comunità cattolica
mezzi e di forme appariscenti, ma rifugge con
convinzione da tutto
to il Papa argentino è la semplici- ciò che sembra esaltare il potere
tà del suo comunicare: la prefe- secondo la logica di questo monrenza per il parlare a braccio, da do, per privilegiare ciò che dice
lui tanto spesso dimostrata, non è carità, prossimità e servizio. Se la
semplicismo, ma espressione del- decisione di vivere con altri nella
la volontà di raggiungere coloro Domus Sanctae Marthae esprime
cui si dirige in maniera al tempo per sua stessa ammissione il bisostesso diretta, essenziale e profon- gno di fraternità condivisa, l’uso
da. Cor ad cor loquitur: questa di auto semplici, di stili di commassima, tanto cara al grande portamento “normali”, mette in
teologo e cardinale inglese John luce la sua volontà di essere senHenry Newman, esprime bene tito come uno di noi, un compal’arco di fiamma che questo Papa gno di strada e un fratello in
riesce a stabilire fra sé e chi lo umanità. Ciò nulla toglie al suo
ascolta, facendo avvertire la vici- ruolo di paternità universale, ma
nanza dei cuori nell’accoglienza e dà a questo un tocco di accessibinell’ascolto reciproci. Peraltro, la lità e di familiarità, che lo rende
semplicità unita alla profondità vicino al cuore di tanti. Più in geera anche un grande merito della nerale, il suo desiderio di una
comunicazione spirituale di Bene- Chiesa povera e amica dei poveri
detto XVI: una volta ebbi modo non è solo voce della storia eccledi dire al Papa emerito quanto le siale di un intero continente,
la meditazione della Parola di
Dio e dei testi dei grandi Maestri
della fede, non dice mai cose leggere o che non siano state a lungo “ruminate”, anche se sul momento possono apparire di sorprendente novità. La sincerità di
Francesco è come la punta di un
“iceberg”, che affiora rimandando
a una profondità tutta da scandagliare. Così, ad esempio, la sua
insistenza sullo sguardo di misericordia da avere verso tutti, anche
e particolarmente verso chi è in
situazioni problematiche rispetto
alle norme canoniche o alla legge
morale, non è che la traduzione
del convincimento che lo sguardo
di Dio si posa con tenerezza su
queste persone e quello della
Chiesa e dei suoi pastori non può
né deve fare diversamente. Quel
«chi sono io per giudicare?», da
lui pronunciato in varie occasioni,
non indebolisce la legge morale,
ma la propone nell’unica ottica
secondo cui essa risulta vera, efficace e credibile alla luce del Vangelo: quella dell’amore e della
compassione misericordiosa e
umile, due parole non a caso centrali in questa raccolta ragionata
dei suoi discorsi pronunciati in
occasione dell’Angelus. Proprio
così, Papa Francesco ci interpella
tutti sulla nostra sincerità, invitandoci a fidarci della promessa
di Gesù, di cui lui tanto si fida:
«La verità vi farà liberi» (Giovanni, 8, 32). E questo bisogno di verità, a giudicare dall’attenzione
che suscita questo Papa, è evidentemente ben più vasto di quanto
possa apparire a molti.
Un secondo tratto che rende
particolarmente accessibile e ama-
quello latino-americano, dove il
bisogno di giustizia sociale e di
liberazione integrale della persona umana è vasto e profondo, ma
è anche invito a tutti i fedeli a seguire e imitare il Figlio di Dio
fatto uomo, che da ricco che era
ha scelto di essere povero per dare a tutti la ricchezza della sua
condizione divina. Anche la sobrietà è insomma un linguaggio,
una via per farsi prossimo a tutti
e abbattere le distanze che così
facilmente le nostre paure creano
verso chi ha responsabilità così
grandi. E riscoprire la sobrietà è
riserva preziosa in un tempo di
crisi e di difficoltà economiche
per tanti. Papa Francesco ama essere il parroco del mondo, non
per smania di originalità, ma per
amore del suo popolo e in obbedienza allo stile di vita e di azione del Maestro e Signore cui ha
consegnato il cuore e la vita, il
Signore Gesù.
Proprio così, ciò che fa e dice
ha sapore di Vangelo e fa intuire
il potere di trasformazione e di
salvezza per tutti delle parole
pronunciate e vissute in prima
persona dal Nazareno: «Beati
voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Luca, 6, 20).
Ci vuole uniti
Un nuovo titolo si aggiunge
alla collana «Le parole di
Papa Francesco», pubblicata
dalla Libreria Editrice
Vaticana: Gesù ci vuole uniti
(Città del Vaticano, 2015,
pagine 120, euro 8). Il
volume contiene tra l’altro
gli interventi del Pontefice
dall’udienza generale del 3
dicembre 2014 (dedicata al
viaggio apostolico in
Turchia) e l’Angelus del 15
febbraio, pronunciato al
termine della messa a San
Pietro celebrata assieme ai
nuovi cardinali e al Collegio
cardinalizio.
In un’opera di Giovanni Reale e Dario Antiseri
Il secolo lungo (della filosofia)
Se è vero che «tutti gli uomini e tutte le
donne vivono immersi dentro idee e concezioni filosofiche» pur non essendo tutti filosofi, urgente è allora «venire a conoscenza
di autori e movimenti di pensiero che rappresentano le fondamentali stazioni di arrivo e di nuove partenze che segnano il cammino della filosofia occidentale». Con
un’attenzione particolare a «quella “storia
degli effetti” consistente nelle idee di fondo, nei risultati e nelle controversie che innervano le correnti del pensiero filosofico
contemporaneo» e nella certezza che la filosofia aiuta «gli uomini a capire se stessi
e quindi a operare alla luce del giorno e
non, paurosamente, nell’ombra», come ha
scritto Isaiah Berlin.
È da questa convinzione che muove
un’opera appena uscita, al tempo stesso
imponente e accessibile, che si propone di
riassumere un secolo di pensiero (Giovanni Reale - Dario Antiseri, Cento anni di filosofia. Da Nietzsche ai nostri giorni, Brescia, Editrice La Scuola, 2015, Biblioteca
8, pagine 1518, con 100 figure fuori testo,
euro 65). Scritta da due studiosi italiani
che per lunghi anni hanno accompagnato
il rigore speculativo a una non comune
capacità divulgativa, l’opera è frutto postumo dell’infaticabile attività di Giovanni
Reale. Allo storico della filosofia morto lo
scorso 15 ottobre e che ha studiato soprattutto il pensiero antico — da Platone ad
Aristotele, con importanti contributi generali pubblicati da Vita e Pensiero, Rusconi, Bompiani — proprio il 23 febbraio, a
Milano la Scuola della Cattedrale ha dedicato un incontro, moderato da Armando
Torno, a cui ha preso parte il più
stretto collaboratore di Reale, Roberto Radice, con Mario Andreose
ed Elisabetta Sgarbi.
I cento anni condensati da Reale
e Antiseri con efficace scorrevolezza — illustrati da cento immagini
spesso originali (e il cui merito
principale non è certo l’understatement degli autori, che vi ricorrono
sette volte, peraltro quasi sempre in
compagnia di altri filosofi) — sono
in realtà un secolo lunghissimo,
che si estende con intelligenza alle
radici settecentesche e ottocentesche del pensiero contemporaneo.
E la larghezza di concezione dell’opera
si apprezza sin dall’inizio, dedicato al decisivo sviluppo delle scienze nell’O ttocen-
Sigmund Freud, il primo in basso da sinistra, e Carl Gustav Jung, il terzo in basso, in una foto del 1909
to, e comprende, nei 54 fittissimi capitoli,
economisti, biologi, fisici, linguisti e,
ovviamente, teologi. Senza note, ma con
un originale uso di sintesi a margine,
un’ampia bibliografia (in italiano) e utili
indici. (g.m.v.)
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 25 febbraio 2015
Conclusa a Chambésy la seconda riunione della Commissione speciale interortodossa
A piccoli passi
verso il grande concilio
L’imam di Al Azhar chiede di riformare i programmi educativi
Fuori l’estremismo
dalle scuole musulmane
LA MECCA, 24. Riformare i programmi scolastici per contenere
l’estremismo religioso: lo ha chiesto
domenica scorsa l’imam di Al
Azhar, Ahmad Al Tayyib, all’apertura di un seminario su islam e lotta
al terrorismo in corso di svolgimento a La Mecca, in Arabia Saudita.
Rivolgendosi ai rappresentanti dei
Paesi musulmani, il responsabile
della prestigiosa università sunnita
(che ha sede al Cairo) ha sottolineato che l’estremismo religioso, favorito da povertà ed emarginazione, è il
risultato di «un’accumulazione storica di tendenze fanatiche inerenti il
patrimonio islamico, basate su interpretazioni erronee del Corano e della Sunna», ovvero delle parole e
delle azioni del profeta Maometto.
Secondo Al Tayyib, «fino a quando non riusciremo a dominare, nelle
nostre scuole e università, questa
tendenza ad accusare i musulmani
di miscredenza, non ci sarà alcuna
speranza per la nazione musulmana
di riprendersi e ritrovare la sua unità, la sua fraternità e la capacità di
svilupparsi in maniera civile».
L’imam di Al Azhar ha poi denunciato «i gruppi terroristici che hanno scelto pratiche selvagge e barbare», facendo allusione al cosiddetto
Stato islamico e alle violenze in
Iraq, Siria e Libia. E ha inoltre legato l’estremismo a un complotto
del «nuovo colonialismo mondiale»
i cui autori si approfitterebbero delle tensioni confessionali che scuotono il mondo musulmano. Di qui la
necessità — ha detto Al Tayyib — di
un «controllo pedagogico» sui centri educativi delle nazioni a maggioranza musulmana proprio per contrastare il terrorismo e l’estremismo
esercitati da alcuni gruppi radicali. I
motivi che conducono questi ultimi
a scegliere le vittime dei propri attentati sono diversi ma il primo, ha
spiegato l’imam, è perché esse vengono considerate “eretiche” semplicemente per il fatto di aiutare i non
musulmani a governare con norme
che non derivano dalla sharia o dalla legge islamica.
A La Mecca è intervenuto anche
il re saudita Salman, il quale ha auspicato la creazione di «una strategia efficace che ci impegni a combattere il terrorismo, flagello che è il
prodotto dell’ideologia estremista»
dei gruppi islamici radicali. Questa
ideologia — ha aggiunto — «rappresenta una minaccia per la nostra nazione islamica e per il mondo intero». Al seminario, che si conclude
domani, partecipano ulema e rappresentanti religiosi. Al centro
dell’incontro, le strategie per combattere l’ideologia degli islamici radicali.
Non è certo la prima volta che
l’imam di Al Azhar interviene pubblicamente per criticare con forza le
violenze
compiute
in
nome
dell’islam. L’anno scorso, il 3 e 4 dicembre, l’università ha ospitato
un’importante conferenza internazionale su estremismo e terrorismo.
La dichiarazione finale è stata letta
come un importante segnale di condanna delle violenze.
«Assalire i cristiani e i credenti di
altre fedi per falsa religiosità rappresenta un tradimento degli autentici
insegnamenti dell’islam», si legge
fra l’altro nel documento, articolato
in dieci punti. Molteplici i riferimenti specifici ai cristiani del Vicino
oriente e alle sofferenze a loro
inflitte dai gruppi jihadisti. Condannata come criminale ogni azione te-
sa a costringere all’esodo forzato i
cristiani che vivono nelle aree controllate da gruppi di militanti
islamisti.
«Incoraggiamo i cristiani a rimanere radicati nelle loro terre d’origine, e a resistere a questa ondata di
terrorismo che tutti noi stiamo soffrendo». Stato islamico e Al Nusra
vengono definiti realtà «che non
hanno nulla a che fare con l’islam»,
perché «terrorizzare chi è inerme,
uccidere l’innocente, assaltare le
proprietà e i luoghi sacri sono crimini contro l’umanità che l’islam condanna senza eccezioni».
Antiochia, Patriarcato di Gerusalemme, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Georgia, Patriarcato di
Serbia, Patriarcato di Romania, Patriarcato di Bulgaria, Chiesa ortodossa di Cipro, Chiesa ortodossa
di Grecia, Chiesa ortodossa di Albania, Chiesa ortodossa di Polonia,
Chiesa ortodossa delle Terre ceche
e di Slovacchia. Il segretariato della commissione è costituito dal metropolita della Svizzera, Jeremia,
dall’arcidiacono Ioannes Chrissavgis e da Blasius Fidas, del Patriarcato di Costantinopoli.
L’organismo è stato creato su decisione dell’assemblea dei primati
delle Chiese ortodosse locali svoltasi dal 6 al 9 marzo 2014 a Istanbul. Una prima riunione si è tenuta, sempre a Chambésy, vicino a
Ginevra, dal 30 settembre al 3 ottobre 2014. Anche in quell’occasione
la commissione ha riveduto le bozze di documenti del concilio che
erano state stese nel 1986 dalla terza riunione preconciliare panortodossa, riguardanti le relazioni intercristiane, tenendo conto dei significativi cambiamenti che hanno avuto luogo negli ultimi decenni in un
certo numero di denominazioni
protestanti.
Recentemente, durante un viaggio in Belgio, il patriarca ecumenico Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, ha confermato lo svol-
gimento del grande concilio panortodosso per la Pentecoste del 2016
a Istanbul. Vi parteciperanno le
quattordici Chiese ortodosse autocefale che si riconoscono fra loro
come tali. Dovrebbero essere affrontati temi importanti quali l’autocefalia, il futuro della diaspora
ortodossa, le relazioni con le altre
Chiese cristiane, le questioni etiche
e sociali, il calendario liturgico e il
primato di Costantinopoli. Sarà un
evento di portata storica. Fu l’allora patriarca di Costantinopoli, Atenagora, nel 1961, ad auspicare lo
svolgimento di un grande concilio
che riunisse tutto il mondo ortodosso. Nella sinassi dei primati tenutasi nel marzo dell’anno scorso
al Phanar, è stato deciso di intensificare i lavori preparatori. «Una
speciale Commissione interortodossa — si legge al punto 6 del documento finale — inizierà i suoi lavori
dal settembre 2014 e li completerà
per la Pasqua 2015. Seguirà una
Conferenza panortodossa preconciliare per la prima metà del 2015.
Tutte le decisioni sia durante il
concilio, quanto nelle fasi preparatorie a esso, saranno prese per consenso». Il concilio «verrà convocato dal Patriarca ecumenico a Costantinopoli nell’anno 2016, a meno
che non si verifichi qualcosa di imprevisto», e sarà presieduto dallo
stesso Bartolomeo.
Attivato dalla polizia a New Delhi un numero di emergenza contro gli attacchi anticristiani
Migliora la sicurezza ma sui dalit è ancora buio
NEW DELHI, 24. La polizia di New
Delhi ha assicurato le autorità ecclesiastiche in India che è tutto
pronto per il lancio di un numero
telefonico di emergenza, operativo
ventiquattr’ore su ventiquattro, e di
una pagina di Facebook e di Twitter, dal titolo «Fratelli delle minoranze», per garantire la sicurezza
delle istituzioni cristiane e di singoli individui in seguito a una serie di
attacchi avvenuti di recente contro
le istituzioni cristiane nella capitale.
La decisione — riferisce l’agenzia
Misna — arriva subito dopo che il
capo della polizia della capitale indiana, Bhim Sain Bassi, è stato
convocato dal primo ministro e dal
Per la prima volta nella Repubblica islamica
Tassate in Iran le fondazioni religiose
TEHERAN, 24. Il Parlamento iraniano ha approvato nei
giorni scorsi un articolo della legge finanziaria che tassa, per la prima volta nella Repubblica islamica, i redditi delle principali fondazioni religiose, cosiddette
“Bonyads”, oltre a quelli prodotti dalle società legate
alle forze armate. Lo ha annunciato l’agenzia di stampa
ufficiale Irna. Il Governo iraniano conta così di aumentare una parte di imposte e di tasse nella finanziaria per
CHAMBÉSY, 24. Si è conclusa nei
giorni scorsi al Centro ortodosso
del Patriarcato di Costantinopoli a
Chambésy, in Svizzera, la seconda
seduta della Commissione speciale
interortodossa per la preparazione
del «santo e grande concilio» della
Chiesa ortodossa, previsto per la
Pentecoste del 2016 a Istanbul. La
commissione — riferisce un comunicato diffuso sul sito in rete del
Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di
Mosca — ha completato fra l’altro
la stesura della parte essenziale del
documento intitolato «Il contributo della Chiesa ortodossa al trionfo
della pace, della giustizia, della libertà, della fratellanza e dell’amore
tra i popoli e all’eliminazione di
discriminazioni razziali e altre». È
stata inoltre stabilita la procedura
del lavoro ancora necessario per la
revisione di tale documento (adottato nel 1986 dalla terza conferenza
preconciliare panortodossa) e la redazione degli altri progetti delle
decisioni conciliari. La Commissione speciale interortodossa tornerà a
riunirsi fra marzo e aprile.
All’incontro, svoltosi sotto la
presidenza del metropolita di Pergamo, Ioannis Zizioulas, hanno
partecipato le delegazioni di quattordici Chiese locali ortodosse: Patriarcato di Costantinopoli, Patriarcato di Alessandria, Patriarcato di
il prossimo anno fiscale (21 marzo 2015 — 20 marzo
2016) a compensazione dei proventi legati ai redditi petroliferi, visto che il prezzo del greggio è crollato dal
giugno scorso. Il testo, che deve ancora ricevere l’avallo
della guida suprema e massima autorità dello Stato iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, obbliga tutte le fondazioni religiose e le società legate al settore militare a
pagare le tasse già da quest’anno.
Alla tassazione delle fondazioni religiose, che sono
finanziate attraverso le donazioni fatte dai privati, si era
cominciato a pensare già nel 2002, quando lo stesso
ayatollah Khamenei, a sorpresa, si era detto d’accordo
con la proposta avanzata da alcuni riformatori, ma a
condizione che le maggiori risorse a disposizione
dell’erario fossero utilizzate per erogare i servizi, soprattutto nei settori educativo e dell’assistenza medico-sanitaria, nel caso in cui le stesse organizzazioni religiose
non fossero più in grado di fornirli. Se dovesse essere
approvato il testo, quindi, i proventi delle attività di
migliaia di organismi e di associazioni religiose saranno
sottoposti a tassazione ordinaria, applicando in pratica
la stessa aliquota, variabile dal 15 al 25 per cento, che
grava sulle altre imprese e sulle aziende.
La fondazione Astan Qods Razavi e quella dedicata
all’«Esecuzione degli ordini dell’imam Khomeiny» (Eiko) sono le due maggiormente colpite da questo nuovo
articolo di legge. La prima, in particolare, gestisce il
mausoleo dell’imam Reza, l’ottavo imam sciita della città santa di Machhad, nel nord-est del Paese, dove milioni di fedeli si recano ogni anno in pellegrinaggio. Le
tasse prelevate potrebbero rappresentare ogni anno circa diecimila miliardi di reali (più di trecentocinquanta
milioni di dollari statunitensi), come aveva evidenziato
lo scorso dicembre Mousalreza Servati, membro della
commissione parlamentare per il Bilancio.
ministro dell’interno. I membri della comunità cristiana hanno accolto
con favore gli ultimi sforzi compiuti dalla polizia, ma allo stesso tempo chiedono che le forze dell’ordine siano più sensibili alle denunce
presentate dalle comunità minoritarie. «Mentre accogliamo con favore
le misure proposte per impedire il
ripetersi di attacchi contro chiese e
istituzioni cristiane — ha dichiarato
Jenis V. Francis, presidente della
Federazione delle associazioni cattoliche in India — ciò che è davvero
preoccupante sono i dati resi noti
dal capo della polizia di New Delhi. Bassi ha detto che, nel 2014, oltre ai casi riguardanti chiese e scuole cristiane, ben 206 templi indù,
trenta templi sikh e quattordici moschee sono state attaccate e sottoposte a furti o vandalismi. Tutto
questo — ha aggiunto — porta a
pensare che siamo davanti a una
questione seria di diritti violati e di
comunità ferite nei loro sentimenti
religiosi. Speriamo sinceramente
che nessuna comunità debba in futuro subire attacchi del genere e ottenga la sicurezza e la libertà di
poter praticare la propria fede in
pace». Nei giorni scorsi, la Chiesa
cattolica ha anche chiesto al Governo di eliminare le discriminazioni
legalizzate ancora esistenti a carico
dei dalit cristiani. Secondo l’arcivescovo di Delhi, monsignor Anil Joseph Thomas Couto, è giunto il
momento di «reintrodurre a beneficio dei dalit cristiani le disposizioni
negate per sei decenni, di cui invece godono i dalit indù. Si tratta —
ha spiegato il presule — di un chiaro caso di ingiusta discriminazione,
e su base religiosa, che non può
esistere in una nazione laica». L’arcivescovo si riferisce in particolare
all’Ordine presidenziale del 1950,
che dispone speciali garanzie nel
campo dell’istruzione, del lavoro e
dei servizi sociali per promuovere
l’emancipazione e lo sviluppo dei
dalit, ma riservandole solo ai dalit
di religione indù.
La richiesta — riferisce l’agenzia
Fides — è stata ribadita dal cardinale George Alencherry, arcivescovo
maggiore di Ernakulam-Angamaly
dei Siro-Malabaresi. Da diversi decenni, gruppi cristiani hanno condotto una campagna per porre fine
a questa “discriminazione di Stato”,
ma fino a oggi i Governi indiani
che si sono susseguiti non hanno
adottato alcun provvedimento. In
diverse occasioni, i presuli indiani
si sono spesso focalizzati sull’accesso ai diritti e sulla pari dignità per
le minoranze religiose e sui dalit.
Secondo la tradizione induista, i
dalit sono coloro che “non nacquero da Dio” e sono fuori dal sistema
castale, che include invece bramini,
guerrieri, mercanti, contadini. Molti dalit si convertono alla fede cristiana anche perché nell’annuncio
del Vangelo ritrovano la loro dignità di figli di Dio. I dalit cattolici in
India costituiscono oltre il sessanta
per cento della comunità dei cattolici, circa diciassette milioni di fedeli in tutto.
†
La Segreteria di Stato comunica che
è deceduta la
Signora
TERESA MONTANI
madre di P. Luigi Martignani, Officiale della Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato.
I Superiori e i Colleghi partecipano al suo dolore e a quello dei suoi
Familiari, assicurando loro vicinanza
spirituale e ricordo nella preghiera.
†
Grazia e Roberto Rizzo, con Giuseppe Mauro, Adele Marina e Maria
Cristina partecipano con fraterno affetto al dolore di S. E. Mons. Georg
Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia, per la dipartita dell’amato padre
Signor
ALBERT GÄNSWEIN
Si uniscono nella preghiera a tutta
la Sua cara famiglia.
Torre del Greco, 23 febbraio 2015
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 25 febbraio 2015
pagina 7
Documento dell’Assemblea dell’episcopato cattolico del Québec
Coraggio
contro la corruzione
QUÉBEC, 24. «Qualunque siano i regolamenti e le leggi che verranno
stabiliti, la corruzione resterà sempre una minaccia per il tessuto sociale e una tentazione per ciascuno
di noi». Lo scrive il consiglio
«Chiesa e società» dell’Assemblea
dei vescovi cattolici del Québec in
un documento intitolato Une réflexion sur la corruption. Dans l’attente
du rapport de la Commission Charbonneau. Il documento è stato diffuso mentre nella provincia canadese
del Québec si attende la pubblicazione del rapporto finale di una
speciale commissione d’inchiesta
istituita dal Governo locale nel novembre 2011 per fare luce su episodi
di corruzione e sulla presunta collusione nel settore delle costruzioni
fra criminalità organizzata e partiti
politici.
I vescovi scrivono che la commissione Charbonneau fornirà, sulla
base del lavoro compiuto, «un certo
numero di raccomandazioni che verranno sottoposte al Governo. Il modo peggiore di riceverle sarebbe
considerare come d’ora in poi regolato il problema della corruzione e
di voltare pagina». Invece «l’indi-
gnazione da noi provata di fronte
ad alcune pratiche di corruzione deve stimolare il nostro senso di responsabilità e chiarire i nostri comportamenti».
In proposito l’organismo episcopale cita il discorso pronunciato da
Papa Francesco il 21 marzo 2014
nella parrocchia romana di San Gregorio VII, davanti ai partecipanti
all’incontro promosso dall’associazione Libera: «Il desiderio che sento è di condividere con voi una speranza, ed è questa: che il senso di
responsabilità piano piano vinca
sulla corruzione, in ogni parte del
mondo. E questo deve partire da
dentro, dalle coscienze, e da lì risanare, risanare i comportamenti, le
relazioni, le scelte, il tessuto sociale,
così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi, e prenda
il posto dell’inequità».
Tutti — concludono i vescovi cattolici del Québec — «dobbiamo fare
la nostra parte nella costruzione di
una società solidale dove gli interessi particolari non attentino al bene
di tutti e dove la ricerca del profitto
personale non indebolisca il nostro
senso di responsabilità».
Per resistere alla corruzione, il
senso di giustizia e di condivisione
non bastano. «Occorre coraggio —
si legge — soprattutto quando ci si
trova in una situazione corruttrice
come quella» affrontata dalla commissione Charbonneau. «Denunciare un comportamento quando tutti
gli altri lo considerano ammissibile,
rompere il silenzio complice, tutto
questo non è facile perché sono
possibili ritorsioni. È per questo che
ammiriamo tanto quelle persone che
nel mondo politico o nei centri di
affari hanno denunciato situazioni
di corruzione o che hanno trascorso
la propria vita senza lasciarsi corrompere da una bustarella. Si loda
la loro integrità e si ha spontaneamente fiducia in loro. Bisognerebbe
ricordarle l’un l’altro per riaffermare
le nostre convinzioni».
Il documento — firmato tra gli altri dal presidente del consiglio
«Chiesa e società», Pierre Morissette, vescovo di Saint-Jérôme — si
conclude con un questionario di approfondimento sulla corruzione sul
quale riflettere nelle parrocchie e
nelle comunità religiose.
Messaggio del cardinale panamense Lacunza Maestrojuán
Di più per i poveri
ATALAYA, 24. «C’è una realtà che
nuoce, che fa male: la corruzione,
il furto. Non possiamo accettare di
vedere derubati i più poveri, coloro
che non hanno niente. Il 30 per
cento della nostra popolazione vive
in condizioni di estrema povertà;
non solo, molti cittadini sono anche privati della pubblica istruzione, non hanno accesso ai servizi sanitari. Questo non si può accettare». Si è rivolto a tutta la popolazione panamense il neo cardinale
José Luis Lacunza Maestrojuán,
vescovo di David, partecipando,
domenica scorsa, alla festa del Nazareno di Atalaya, forse la più sentita festa cattolica del Paese (si calcola che solo domenica circa
500.000 fedeli si siano recati a venerare la sacra immagine). Il porporato, su richiesta del vescovo di
Santiago de Veraguas, Audilio
Aguilar Aguilar, ha presieduto la
concelebrazione eucaristica nella
basilica di San Michele Arcangelo.
«La responsabilità è grande, devo
essere un canale fra il popolo e il
cuore della Chiesa», ha detto
all’inizio della messa.
Come riferisce l’agenzia Fides,
durante l’omelia un bambino ha
gridato: «Non c’è l’acqua». Lacunza Maestrojuán, guardandolo, ha
domandato: «E perché non c’è
l’acqua?». Quindi una signora anziana ha aggiunto: «Non ci sono
medicine». E il cardinale, volgendo
lo sguardo verso la prima fila dei
presenti, ha commentato: «Allora
vuol dire che tutti dobbiamo lavorare sul serio qui». In prima fila si
trovava anche il presidente della
Repubblica e capo del Governo,
Juan Carlos Varela, insieme ad altre autorità del Paese.
Il porporato ha concelebrato assieme, fra gli altri, al nunzio apostolico in Panamá, arcivescovo Andrés Carrascosa Coso, e al presidente della Conferenza episcopale
e arcivescovo di Panamá, José Domingo Ulloa Mendieta. «Questa è
una festa di figli e figlie di Dio,
per rinnovare il nostro impegno a
essere fratelli e sorelle», ha affermato il neo cardinale, esortando la
gente a essere di aiuto, soprattutto
con i poveri.
«La corruzione, la frode, la malversazione, l’uso improprio dei beni dello Stato sono un modo per
rubare ai più diseredati. Se siete
venuti ad Atalaya per vedere un
cardinale, avete sprecato il vostro
tempo», ha poi aggiunto Lacunza
Maestrojuán ricordando che l’importanza di quel giorno, prima do-
In Zimbabwe
Lettera pastorale del vescovo di Port-Louis
La Chiesa accanto
a malati e deboli
Sostegno e maggiore tutela economica alle famiglie
HARARE, 24. Una Quaresima
all’insegna di una speciale attenzione ai malati e alle persone più
deboli. È quanto chiede monsignor Robert Christopher Ndlovu,
arcivescovo di Harare, in una lettera pastorale ai fedeli dello Zimbabwe in occasione della Quaresima. «La situazione dei malati nel
nostro Paese — scrive il presule —
è ben conosciuta, e la loro condizione è sentita personalmente da
tutti noi». Monsignor Ndlovu —
riferisce Fides — ricorda come per
la Chiesa fin dall’inizio dell’attività missionaria, la cura della salute
è stato un aspetto importante e
una preoccupazione speciale della
sua attività pastorale. «In ogni
missione c’era una farmacia, un
dispensario, una clinica o un
ospedale. I nostri sacerdoti, religiosi e religiose, si sono prodigati
instancabilmente nel fondare, costruire, gestire e sviluppare questi
centri sanitari. La Chiesa — aggiunge — eccelle nell’educare, formare e sostenere il personale sanitario. La nostra risposta alla pandemia dell’Hiv/Aids, nel prendersi
cura dei malati e dei sieropositivi,
nell’aiutare gli orfani e i bambini
vulnerabili, nelle attività di prevenzione, nel contributo alla ricerca, non è seconda a nessuna. Gli
ospedali missionari sono un faro
luminoso, e il nostro personale e
gli operatori pastorali sono il volto umano della compassione di
Dio, tanto necessaria ai malati».
Per questo il presule ha invitato
i fedeli a una colletta quaresimale
a favore del sistema sanitario della
Chiesa.
PORT LOUIS, 24. La pace sociale dipende dalla buona salute delle nostre famiglie: questo il messaggio
centrale della lettera pastorale di
monsignor Maurice Piat, vescovo di
Port-Louis, nelle Isole Mauritius,
diffusa in occasione della Quaresima. Intitolato «Famiglie, Dio vi
ama», il documento — riferisce Radio vaticana — si sofferma, nella prima parte, sulle diverse situazioni
che indeboliscono la vita familiare,
provocando numerose sofferenze sia
a livello individuale che sociale.
«La mancanza di attenzioni e di
tempo per il coniuge e i figli — scrive il presule — causa grandi disagi
che, spesso, rimangono nascosti».
Allo stesso modo, continua monsignor Piat, «le tensioni tra genitori e
figli provocano ferite difficili da sanare. E le separazioni, i divorzi, le
seconde nozze lasciano molto spesso brucianti cicatrici sia nei coniugi
che nei loro figli».
Tutto questo, sottolinea il presule,
porta a «situazioni dolorose come
quelle delle donne abbandonate che
restano da sole a portare il peso
dell’educazione dei propri figli, o
quelle degli uomini che rimangono
smarriti di fronte al fallimento della
vita. Non si possono poi ignorare —
prosegue il vescovo di Port-Louis —
tutti quei fattori esterni che influenzano molto spesso la vita familiare,
come un contesto economico in cui
si riscontrano carovita, precariato,
orari di lavoro massacranti. In queste condizioni, dunque — è il richiamo del presule — alcune famiglie
non riescono più a offrire ai loro figli la stabilità necessaria per uno
sviluppo umano equilibrato».
E guardando alle tante sofferenze
non esternate dalle famiglie per
paura di essere giudicate o anche respinte, monsignor Piat esorta tutti
ad assumere «un atteggiamento di
ascolto e vicinanza, non di giudizio
o di critica nei confronti di chi si
trova in difficoltà. Ascolto e vicinanza, infatti — spiega il vescovo — pos-
sono aprire le porte a un dialogo fiducioso, capace di portare le persone su un cammino di verità e di
vita».
Nella lettera, monsignor Piat ribadisce, inoltre, che «le parrocchie,
i sacerdoti, i religiosi e i laici hanno
un ruolo-chiave nel sostenere la famiglia. Per questo — insiste il presu-
le — è necessario che la missione ecclesiale si concentri soprattutto
sull’accompagnamento dei sofferenti, anche per chiarire quel “terribile
malinteso” che porta molti fedeli a
percepire la Chiesa solo come un insieme di regole e di divieti che, se
non accettati, fanno sentire emarginati. È necessario, allora — suggerisce monsignor Piat — che la Chiesa
rimetta in discussione il suo modo
di presentare il Vangelo, la Buona
Novella, alle famiglie, così da essere
pronta a uscire da se stessa per
raggiungere le persone nelle loro
realtà concrete, facendosi prossima a
esse, ascoltandole. Tanto più che —
continua il vescovo di Port-Louis —
il buon pastore non è là per giudicare e decretare chi è in regola e
chi no».
Nell’ultima parte, poi, la lettera
pastorale di monsignor Piat si rivolge anche alle autorità civili dell’isola, chiedendo loro di «considerare la
famiglia come la risorsa più preziosa
del Paese, facendo del suo sviluppo
umano integrale una priorità di
ogni programma economico e sociale». Infatti, secondo il vescovo di
Port-Louis, i valori fondamentali
della società, come il rispetto della
vita umana, il servizio verso gli altri,
l’aiuto e l’accoglienza nei confronti
di tutti i componenti della società si
imparano innanzitutto in famiglia.
«La pace sociale dipende dalla buona salute delle famiglie. Per questo
motivo, spetta allo Stato — conclude
la lettera del vescovo — formulare e
attuare una politica di sostegno ai
nuclei familiari, mentre la Chiesa
cattolica farà la sua parte dialogando e collaborando con le istituzioni
statali».
menica di Quaresima, è «onorare il
Nazareno» e «rinnovare il nostro
impegno di vivere in fraternità, nella solidarietà, nella vicinanza e
nell’unione». Da qui l’invito a non
essere indifferenti, ad aprirsi ai bisogni degli altri, a «globalizzare la
solidarietà» in direzione dei meno
abbienti. Essere capaci di entrare in
relazione con gli altri, di intessere
veri rapporti umani, ha poi detto,
«non significa uniformarsi. Abbiamo diritto alle differenze». Ma «in
questo tempo di quaresima ci si
chiede di esercitare un’opera di misericordia. Siamo quindi più generosi con i nostri fratelli».
Campagna di Fraternità
La missione
di ogni
cristiano
BRASILIA, 24. Con l’intento
di ricordare la vocazione e la
missione di ogni cristiano e
delle comunità di fede, caratterizzate dal dialogo, e la collaborazione tra Chiesa e società, indicata dal concilio
Vaticano II, è iniziata, mercoledì scorso, in Brasile la campagna di Fraternità 2015 sul
tema: «Fraternità: Chiesa e
società» e lo slogan «Sono
venuto per servire». La cerimonia di apertura è stata trasmessa da tutte le emittenti
radio di ispirazione cattolica:
Rede Vida, Nazaré, Aparecida, Evangelizar, Horizonte,
Século 21 e Canção Nova.
«La campagna — ha sottolineato il vescovo ausiliare di
Brasília, monsignor Leonardo
Ulrich Steiner — intende fare
memoria del cammino percorso dalla Chiesa cattolica
con la società per identificare
e comprendere le principali
sfide dell’attualità; illustrare i
valori spirituali del Regno di
Dio e la dottrina sociale della
Chiesa; indicare le questioni
difficili nell’evangelizzazione
della società e stabilire parametri e indicatori per l’attività pastorale. Inoltre — ha aggiunto il presule — approfondire la comprensione della dignità umana, l’integrità della
creazione, della cultura della
pace, dello spirito e del dialogo interreligioso e interculturale, per superare i rapporti
inumani e violenti».
Durante la cerimonia di
apertura è stato diffuso il
messaggio inviato da Papa
Francesco «La campagna —
ha concluso il vescovo ausiliare — propone di cercare
nuovi metodi, atteggiamenti e
linguaggi nella missione della
Chiesa e di portare la buona
novella a ogni persona, ogni
famiglia. Nonché, agire profeticamente, secondo l’opzione preferenziale evangelica
per i poveri, per uno sviluppo umano integrale e la costruzione di una società giusta e solidale».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
mercoledì 25 febbraio 2015
«Il profeta Elia»
(icona melchita del
XVIII
secolo, Libano)
Gli esercizi spirituali della Curia romana
Giù
la maschera
Per intraprendere un corretto cammino quaresimale di conversione
occorre innanzitutto riscoprire la
«verità più profonda di noi stessi,
uscire allo scoperto» e «toglierci
ogni maschera, ogni ambiguità».
Con questo forte richiamo a riprendere con sincerità in mano la propria storia il carmelitano Bruno Secondin ha concluso, nella meditazione pomeridiana di lunedì 23 febbraio, la riflessione della seconda
giornata degli esercizi spirituali
quaresimali in corso ad Ariccia per
il Papa e la Curia romana.
Seguendo l’esperienza di Elia descritta dalle Scritture, il predicatore
ha messo a confronto la «clandestinità» dalla quale il profeta venne
chiamato dal Signore a uscire, con
quella clandestinità nella quale
spesso ci si nasconde e che molte
volte viene mascherata da una religiosità solo esteriore, priva del coraggio della verità.
Base della riflessione del predicatore è stato il capitolo 18 del primo
libro dei Re, con il popolo d’Israele
e il re Acab fiaccati dalla lunga carestia provocata dal culto idolatrico
a Baal e con Elia chiamato dal Signore a presentarsi ad Acab per ricondurlo sulla retta via. Non è stata
una lettura continuativa ma un richiamare scene, personaggi che
possono illuminare la meditazione personale e diventare per
ognuno provocazioni, richiami,
suggerimenti.
Filo conduttore è stato
l’«uscire allo scoperto», il liberarsi dalle «ambiguità» e avere
il «coraggio» di una vita autenticamente cristiana.
Il primo a essere chiamato a
uscire dalla clandestinità è proprio Elia: «Va’ a presentarti ad
Acab» gli dice il Signore. Elia,
l’inafferrabile, il mitico profeta
che può sparire da un momento all’altro, deve rivelarsi e affrontare il rischio di incontrare
il re che lo vede come un nemico. È una provocazione per
quanti nella Chiesa invece fanno sempre i loro calcoli, rimandano continuamente, sono «vittime
delle parole e delle diplomazie» e
«si tirano indietro». Invece per il
cristiano «ci sono sempre nuove avventure» alla quali non ci si può
sottrarre «con la scusa delle minacce di un Acab di turno» o perché
condizionati da miti, da pregiudizi
sulle persone, dalle convenienze
delle «amicizie e delle cordate».
Un altro personaggio che viene
chiamato a uscire allo scoperto è
Abdia, il maggiordomo di Acab inviato dal re per contattare Elia. Abdia è il rappresentante di una coscienza lacerata che non dimentica
di appartenere a una tradizione diversa ma, al tempo stesso, «non rinuncia ai vantaggi del potere». È
come tanti anche oggi: impaurito
nonostante la spinta interiore che lo
richiama alla difesa della verità.
Anche a lui, e non solo al popolo
— ecco il successivo personaggio —
Elia rivolge il forte richiamo: «Fino
a quando salterete da una parte
all’altra?». È come se, ha ricordato
padre Secondin, a loro e a tutti anche oggi il profeta intimasse: «Finitela con questa sceneggiata!».
E a questo punto appare una
realtà molto dura: il popolo tace,
non risponde: «il sistema ha ucciso
la sua coscienza». Quante volte, ancora adesso, ha commentato il predicatore, «i regimi, i sistemi dissanguano i popoli»; quante volte restiamo «spettatori impauriti» davanti a guerre fatte per procura; e,
per restare nell’ambito della vita religiosa, quante volte ci lasciamo affascinare da «apparati elefantiaci,
mega cattedrali, mega complessi»,
da una metodologia che si lascia
guidare dalla gloria e dimentica i
poveri.
Ecco allora che Elia convoca il
popolo e lo provoca a un’ordalia, a
una prova del fuoco che metta a
confronto la presunta potenza di
Baal con quella del Signore d’Israele. E il popolo viene attirato da
questa forma di “religiosità spettacolare”, cosa che purtroppo accade
anche oggi quando la fede «viene
misurata con le statistiche» e si risolve in «manifestazioni in cui non
si sa se si è di fronte a happening o
a fede vera». Ma, ha fatto notare il
carmelitano, è importante il gesto
del profeta che «si avvicina al popolo per coinvolgerlo».
Un concetto ripreso anche nella
prima meditazione di martedì 24:
«Abbiamo il coraggio di coinvolgere il popolo, o facciamo il giro delle
sette chiese prima di interpellarlo?». È quindi uno spunto per riflettere su certe scelte della Chiesa
del nostro tempo: «Trattiamo le cose importanti tra pochi intimi o
sappiamo avere una strategia di visibilità che spiazza il sistema?».
Quanta sofferenza, ad esempio, «ci
hanno provocato certi temi sensibili», ha detto padre Secondin, che
ha aggiunto: «Non dobbiamo nascondere i nostri scandali» ed è importante che «le vittime dell’ingiustizia siano portate a guarigione
con la nostra umiltà di riconoscere
gli errori».
Il riconoscimento delle colpe della Chiesa è emerso anche in riferimento a un altro episodio. Prendendo spunto dal terribile gesto di
Elia che fa giustiziare i profeti di
Baal, il predicatore ha infatti invitato a ricordare come la Chiesa nella
sua storia è stata capace di atti violenti. «Anche noi abbiamo bruciato
persone, abbiamo ammazzato» ha
detto. E ha sottolineato che oggi
tanta violenza può esprimersi sotto
altre forme, «anche senza la spada», utilizzando ad esempio la for-
za dirompente della lingua e persino i nuovi mezzi di comunicazione:
«A volte anche la tastiera ne uccide
più della spada!».
È questo uno degli aspetti che il
carmelitano ha messo in evidenza
nella giornata in cui, proseguendo
nella lettura della vicenda di Elia, è
passato ad analizzare un altro atteggiamento necessario alla conversione: dopo il coraggio di uscire allo
scoperto, di dirsi la verità su se
stessi, di gettare la maschera che
anestetizza le nostre coscienze, viene la necessità di incamminarsi su
«sentieri di libertà» e di eliminare
quegli atteggiamenti che ci fanno
«oscillare da una parte all’altra» e
di lasciare spazio a Dio.
Vedendo come Elia sbeffeggia la
ritualità violenta e scenografica che
il popolo d’Israele utilizza per invocare Baal, padre Secondin ha accennato a un certo culto «chiassoso, superstizioso» che ancora adesso si incontra e che «non edifica la
vera fede». Quali sono — si è chiesto — i nostri idoli? L’elenco è lungo: «orgoglio, ambizione, cultura,
carriera». Ma, e qui giunge il passo
in avanti, non possiamo dubitare
della misericordia di Dio. La risposta di Dio è il fuoco, «la misericordia che tutto prosciuga, tutto trasforma».
Per questo Elia ricostruisce un altare con le dodici pietre che ricordano le dodici tribù d’Israele: vuole
richiamare tutti a un’identità. E se
anche il popolo è refrattario a tornare sui suoi passi, ciò non mette
paura a Dio, perché egli «rimane
fedele e disponibile». Dio è sempre
«un abbraccio di misericordia». E
allora, ha detto il predicatore, bisogna «prendere per mano il risveglio
della coscienza della gente», utilizzare — come è stato capace di fare
Elia — strategie intelligenti e la forza del linguaggio dei simboli. Per
fare questo, però, occorre prima di
tutto chiedersi: «Il nostro cuore appartiene realmente al Signore» o ci
accontentiamo di atteggiamenti
esteriori? «La nostra preghiera è
audace e invoca il bene del popolo?». È «cadenzata da un senso ecclesiale?». Sentiamo l’urgenza di vivere esperienze forti, straordinarie,
che lasciano il segno, o ci accontentiamo?
di MANUEL NIN
Il corpus innografico di sant’Efrem
il Siro contiene numerose strofe con
riferimenti al profeta Elia, a partire
dalla sua vita e dagli eventi miracolosi che l’hanno segnata fino alla
sua ascensione in cielo. Efrem presenta Elia come uomo dell’ascesi,
del digiuno, della preghiera, profeta
che prefigura Cristo stesso dalla sua
incarnazione, e la sua ascensione in
cielo. Lungo la sua vita Elia diventa
il prototipo di Cristo: «Il Signore
fece dell’aria come il proprio carro, e
il suo corpo fu per esso come il cocchiere. Come un carro l’aria farà volare i giusti incontro al suo Signore.
Discese un carro su Elia: si librava
scendendo senza cocchiere. Cavalli
di fuoco vi erano aggiogati, che erano a se stessi anche cocchieri. E anche di quel carro dei cherubini il
cocchiere è il silenzio invisibile».
Efrem collega il carro di Elia col
carro dei cherubini della visione di
Ezechiele, fino all’ascensione «silente» di Cristo in cielo. Con un’esegesi chiaramente cristologica, l’ascensione di Elia è vista da Efrem in
rapporto all’incarnazione e ascensione di Cristo: «Elia fendette l’aria
con il suo carro. I vigilanti gli si affrettarono incontro vedendo per la
prima volta un corpo nelle loro dimore. E come il terrestre [Elia] salì
con un carro, vestito di splendore,
così il Signore discese con bontà,
vestendo un corpo. Cavalcò le nubi
e salì, avendo preso a regnare in alto
e in basso».
Elia inoltre è presentato da Efrem
come modello di vita verginale. La
sua verginità diventa la chiave di
tutta la sua vita come profeta e taumaturgo, e anche la porta del suo
ingresso in paradiso: «Poiché Elia
aveva represso le passioni del corpo,
poté togliere la pioggia agli adulteri.
Poiché non lo dominava il fuoco segreto della passione corporale, gli
obbedì il fuoco dall’alto. E poiché
aveva vinto sulla terra la passione
carnale, se ne salì là dove dimora in
pace la santità».
La tradizione monastica siriaca
posteriore a Efrem, si servirà della
figura di Elia come modello di verginità, di monaci e monache. In uno
degli inni sulla città Nisibi, Efrem fa
la lode dei diversi vescovi da lui conosciuti e, cantando la figura del ve-
Elia nell’innografia quaresimale e pasquale di Efrem il Siro
Per poter salire
a vederlo in cielo
scovo Abramo, presenta Elia ed Eliseo che diventano modelli per il vescovo stesso: «La tua castità, come
quella di Eliseo; la tua verginità,
quella di Elia; fedele al patto come
Giobbe; compassionevole come Davide; la tua dolcezza, quella degli
apostoli».
La verginità di Elia lo porta corpo e anima in paradiso. Ancora in
due strofe degli inni su Nisibi, troviamo riassunta tutta la sua antropologia: «L’ascensione di Elia istruisce
i credenti: tutti e due, corpo e anima, sono saliti sul carro, verso la dimora di lassù. Elia non si è spogliato dal corpo gettandolo da qualche
parte. È salito in alto anche col corpo che era stato santificato. Il mantello di Elia, invece, da cui si è separato ci mostra che era qualcosa di
provvisorio. Rapito col corpo ci fa
vedere che questa è la vera veste che
accompagnerà coloro che ne sono rivestiti. Il mantello si stacca e cade,
il corpo vola e si innalza».
L’antropologia di Efrem in questi
versetti presenta il corpo del profeta
e dei battezzati come una realtà salvata e redenta da Cristo nella sua
incarnazione. Elia inoltre precede
Cristo nel suo innalzarsi in paradiso,
ma sempre come suo modello (týpos)
e figura: «Lode a te, che sei il primo, nella tua divinità e nella tua
umanità! Benché Elia salì per primo, non era prima di colui da cui fu
innalzato». Per Efrem il profeta Elia
è la figura veterotestamentaria che
più chiaramente è modello di Cristo
nella sua risurrezione e ascensione al
cielo; la sua stessa vita è presentata
come una ricerca e un desiderio della visione del Figlio di Dio; la sua
ascesa in cielo è un incontro col Signore: «Lui Elia bramava, e poiché
non vide il Figlio sulla terra, credette e continuò a purificarsi per poter
salire a vederlo in cielo. Essi rappresentarono il simbolo della sua venuta. Mosè fu tipo dei morti ed Elia
tipo dei vivi, che voleranno incontro
a lui nella sua venuta».
E sempre prendendo Elia come tipo e modello, Efrem accosta il paradiso alla Chiesa dei redenti: «Elia è
stato portato a questo giardino della
vita e i perfetti hanno bisogno di
questo giardino, dove si trova l’albero della vita, simbolo del Figlio di
Do vivente. Elia doveva entrare in
paradiso, lui che a misura che cresceva, si faceva umile».
Il miracolo di Elia con la farina e
l’olio della vedova diventa figura
della misericordia del Signore verso
la sua Chiesa: «L’olio che aveva
moltiplicato Elia era nutrimento per
la bocca; il corno della vedova, infatti, non era quello dell’unzione.
L’olio del nostro Signore nel corno
non è cibo per la bocca: del peccatore, esternamente lupo, fa un
agnello del gregge. L’olio del mite e
dell’umile trasforma i duri, facendoli
simili al suo Signore. I popoli erano
lupi e temevano il duro bastone di
Mosè. Ecco, l’olio segna e fa dei lupi un regge di pecore».
I riferimenti efremiani all’olio in
questa e in altre strofe vanno visti
chiaramente in un contesto battesimale. L’acqua e l’olio mescolati nel
battesimo diventano per Efrem sacramento della misericordia di Dio:
«La veemenza di Dio, che non potevano sostenere né Mosè né Elia né i
cherubini che si nascondono il volto, l’ha mitigata la misericordia, mescolandosi con acqua e olio, affinché
la debole umanità potesse stare di
fronte a lui, avvoltasi con acqua e
olio».
L’esegesi in chiave simbolica e cristologica che Efrem fa dei testi profetici veterotestamentari è ben palese
in diversi passi degli inni sulla Pasqua del poeta siriaco: «La pietra
che Daniele aveva visto riempì di sé
tutta la terra. La nube che Elia aveva visto si allargò e divenne modello
del Vangelo che si dispiegò e si distese su tutti i popoli. Cosparse i
suoi flutti copiosi e gocce capaci di
placare la sete dei popoli. Benedetto
colui che è servito in ogni luogo!».
A colloquio con il patriarca di Lisbona
Periferia d’occidente
di ROSA BERNARD O
DE
PINHO
«Un motivo per stare sempre più vicino a Francesco e al suo ministero»: così il cardinale patriarca di Lisbona, Manuel José Macário do
Nascimento Clemente, legge il significato della
porpora ricevuta dal Papa durante il concistoro
del 14 febbraio scorso. Quarto cardinale portoghese del XXI secolo e quarantottesimo della
storia, il patriarca confessa di aver accolto la
nomina cardinalizia «con semplicità» ma anche
«con qualche sorpresa». E si dice convinto che
gli appelli alla solidarietà e alla misericordia
contenuti nella Evangelii gaudium debbano
orientare lo stile della Chiesa portoghese. Una
convinzione espressa a più riprese nella veste di
presidente della Conferenza episcopale e avvalorata dalla sua esperienza pastorale in un contesto urbano di antica tradizione cattolica bisognoso di una nuova evangelizzazione.
Papa Francesco parla spesso di periferie umane ed
esistenziali. Qual è la realtà del patriarcato di Lisbona?
Ci troviamo nella periferia occidentale del
continente europeo. Per questo Lisbona è stata
una porta di uscita per il mondo e anche porta
di entrata per molti. Nei dintorni della capitale
portoghese esistono ampi spazi suburbani, dove
a poco a poco le persone, provenienti da varie
parti del mondo, si integrano nella città.
D all’altro lato, esistono nel centro storico e in
altri luoghi della città nuove “periferie” di isolamento e abbandono, specialmente gli anziani
soli. Aggiungiamoci le periferie culturali poco
integrate.
Di fronte al crescente impoverimento delle persone
dovuto alla crisi economica e alla disoccupazione,
che tipo di risposta dà la Chiesa?
Se la situazione non è peggiore, questo si deve in buona parte proprio alle istituzioni di solidarietà sociale legate in gran parte alla Chiesa
o promosse da cattolici con altre persone di
buona volontà. Il ministero episcopale passa
anche attraverso lo stimolo e l’appoggio a que-
sti organismi e alle rispettive attività. Questo è
certamente uno degli aspetti peculiari del caso
portoghese nell’attuale contesto di crisi economica e sociale in Europa.
Cosa fanno i vescovi sul piano pastorale e dottrinale per sensibilizzare maggiormente la società portoghese su questi problemi?
di riflessione e gruppi di lavoro a partire dai
cinque capitoli dell’esortazione apostolica
Evangelii gaudium, che il Pontefice ha presentato come programma per tutta la Chiesa. È
grande l’interesse e l’impegno dei cristiani in
questo cammino, che ci conferma nella semplicità e nella misericordia attiva verso tutti, specialmente i più fragili.
Vari pronunciamenti della Conferenza
episcopale nazionale e dei presuli nelle
rispettive diocesi ricordano la dottrina
sociale della Chiesa e i suoi quattro principi permanenti: dignità della persona
umana, bene comune, sussidiarietà e solidarietà. Ci sono differenti sensibilità
politiche tra i cattolici portoghesi, ma
quei principi non possono essere dimenticati da nessun discepolo di Cristo. E i
pastori lo ricordano ripetutamente.
Nel Paese cresce la disperazione, come mostra anche l’aumento del tasso di suicidi
connesso al perdurare della crisi. Qual è la
posizione dei vescovi?
Pensando a queste situazioni tanto
tragiche, i vescovi portoghesi seguono la
dottrina evangelica e riprendono i richiami di Papa Francesco, ricordando che
una economia dell’esclusione, prima o
poi, “uccide” anche a causa della disperazione che provoca.
Che impatto ha lo stile e l’esempio di Francesco nella Chiesa in Portogallo?
Il Papa è per tutti noi, pastori e fedeli,
un appello permanente alla semplicità e
alla solidarietà evangeliche, in relazione
a tutto e a tutti.
Quali le strade per realizzare i suoi richiami alla coerenza evangelica, all’umiltà, alla
misericordia?
Nel patriarcato di Lisbona stiamo preparando il sinodo diocesano del 2016.
Abbiamo coinvolto più di mille gruppi
«Sant’Antonio e il miracolo della mula» (1620, Lisbona)