Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLV n. 73 (46.911) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano lunedì-martedì 30-31 marzo 2015 . Nella domenica delle Palme il Pontefice ricorda i cristiani perseguitati e invita a seguire Gesù sulla strada dell’umiltà Le elezioni segnate da violenze e tensioni Con i martiri di oggi Nigeria nella paura e nell’incertezza E all’Angelus la preghiera per le vittime della sciagura aerea sulle Alpi francesi Ai «martiri di oggi», quelli che «per il loro comportamento fedele al Vangelo sono discriminati e pagano di persona», è andato il pensiero di Francesco durante la celebrazione della domenica delle Palme. «Pensiamo ai nostri fratelli e sorelle perseguitati perché cristiani» ha detto all’omelia della messa presieduta nella mattina del 29 marzo in piazza San Pietro: sono loro, ha aggiunto, «i martiri di oggi» che «non rinnegano Gesù e sopportano con dignità insulti e oltraggi». Nell’atteggiamento di questo «nugolo di testimoni» il Pontefice ha indicato un esempio per tutti coloro che seguono Gesù sulla via dell’umiltà. «Questa parola — ha sottolineato — ci svela lo stile di Dio e, di conseguenza, quello che deve essere del cristiano». Uno stile, ha notato, «che non finirà mai di sorprenderci e di metterci in crisi: a un Dio umile non ci si abitua mai!». La «via dell’umiltà» è anche «la strada di Gesù», il quale la percorre «fino in fondo» assumendo «la forma di servo». In effetti, ha osservato il Papa, «umiltà vuol dire anche servizio: vuol dire lasciare spazio a Dio spogliandosi di sé stessi, svuotandosi». E questa, ha assicurato, «è l’umiliazione più grande». La tentazione per il cristiano è di percorrere la «strada contraria a quella di Cristo: la mondanità» che apre le porte «della vanità, dell’orgoglio, del successo». È la via proposta dal maligno a Gesù durante i quaranta giorni trascorsi nel deserto. «E con lui — ha sottolineato Francesco — anche noi possiamo vincere questa tentazione, non solo nelle grandi occasioni, ma nelle comuni circostanze della vita». Come fanno «tanti uomini e donne che, nel silenzio e nel nascondimento, ogni giorno rinunciano a sé stessi per servire gli altri: un parente malato, un anziano solo, una persona disabile, un senzatetto». «Durante questa settimana santa — ha raccomandato il Pontefice in conclusione — mettiamoci anche noi decisamente su questa strada dell’umiltà» con la certezza che «sarà l’amore a guidarci e darci forza». Al termine della celebrazione Francesco ha recitato la preghiera mariana dell’Angelus, salutando in modo particolare i giovani riuniti in piazza e nelle singole diocesi in occasione della trentesima giornata mondiale della gioventù — che il prossimo anno farà tappa a Cracovia per il grande raduno internazionale — e rivolgendo un pensiero alle vittime della tragedia aerea avvenuta martedì scorso sulle Alpi francesi. PAGINA 8 Nonostante i raid della coalizione guidata dall’Arabia Saudita I ribelli sciiti avanzano verso Aden SAN’A, 30. Non conoscono tregua le violenze nello Yemen. Forze fedeli all’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh e alleate con i ribelli sciiti huthi si stanno avvicinando alla città di Aden e hanno bombardato case abitate da civili nel governatorato di Al Dalea. A riferirlo è oggi la televisione panaraba Al Arabiya. I ribelli sono a circa trenta chilometri da Aden, la città meridionale da dove il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi è fuggito la settimana scorsa. Decine di civili hanno lasciato le loro case ad Al Dalea. Sarebbero un centinaio i morti nei violenti combattimenti in corso alle porte di Aden. Nel frattempo, per la quinta notte consecutiva la coalizione araba a guida saudita ha bombardato obiettivi dei ribelli huthi a San’a, nel sud del Paese e nella provincia setten- trionale di Saada, di cui gli stessi huthi sono originari. Lo riferisce la televisione panaraba Al Jazeera, secondo la quale Riad ha anche schierato migliaia di soldati lungo con il confine con lo Yemen. Ma al momento, ha detto il portavoce militare della coalizione, il generale Ahmed Al Asiri, «non è prevista alcuna importante operazione di terra». Intanto, Cina, India e Pakistan hanno annunciato misure di emergenza per l’evacuazione dei propri cittadini che si trovano nello Yemen, in particolare ad Aden, che rischiano di essere presi nel fuoco incrociato tra i ribelli huthi e i fedeli del presidente Mansour Hadi. Pechino ha notificato agli altri Paesi che partecipano al pattugliamento anti-pirateria il ritiro temporaneo delle sue navi da guerra dalla missione per permettere loro di organizzare l’evacuazione. Nel frattempo, la Lega araba ha deciso di dotarsi di una propria forza di intervento rapido. Preannunciata a gennaio, la decisione di creare una Kowa (forza) panaraba è sta- Alla stretta finale i negoziati in corso a Losanna y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!@!%!#! Accordo possibile sul nucleare iraniano ta presa nel summit dell’organizzazione dei 22 Paesi arabi svoltosi nel fine settimana a Sharm El Sheikh, in Egitto, proprio mentre erano in corso i raid aerei della coalizione a guida saudita nello Yemen. L’annuncio dell’accordo di principio per creare una forza militare araba comune che fronteggi le sfide nella regione è stato dato dal presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sissi. Il testo delle conclusioni del vertice della Lega araba precisa che la forza si muoverà «su richiesta del Paese minacciato per proteggere la sua sovranità nazionale» e contrastare «formazioni terroristiche». Dal canto suo, il presidente russo, Vladimir Putin, in un messaggio al vertice della Lega araba, ha affermato che «è impossibile lottare efficacemente contro il terrorismo» senza la normalizzazione della situazione regionale. «Sosteniamo la soluzione di ogni problema che hanno i popoli arabi attraverso mezzi pacifici, senza intervento esterno» ha detto ancora Putin. «Attribuiamo grande importanza alla soluzione urgente delle crisi in Siria, Libia e Yemen sulla base dei principi del diritto internazionale attraverso un dialogo globale». PAGINA 3 Affermazione dell’Ump al secondo turno delle amministrative In mostra a Torino la Via crucis di Fernando Botero Il centrodestra riconquista la Francia Se le favole raccontano la realtà PAGINA 2 Combattimenti intorno alla città di Aden (Afp) GIULIANO ZANCHI A PAGINA 5 ABUJA, 30. Incertezza e paura ac- trebbe consentire a Buhari — che compagnano in Nigeria l’attesa dei nelle tre precedenti elezioni seguite risultati delle lezioni presidenziali e al ripristino della democrazia è legislative di sabato. Il voto è stato sempre stato sconfitto al primo tursegnato nel nord-est dalle violenze no — di andare stavolta al ballotdei miliziani di Boko Haram che taggio. Indipendentemente dai voti hanno trucidato una quarantina di assoluti, infatti, appare difficile che civili, mentre al sud ci sono state Buhari possa aver ottenuto un tensioni, con le accuse di brogli da quarto dei consensi in venticinque parte dell’opposizione alla maggio- Stati. Questo sebbene per la prima ranza uscente che sostiene il presi- volta la vigilia abbia mostrato indente Goodluck Jonathan. Ciò no- crinature nel tradizionale schema nostante, il Segretario generale che ha sempre visto il sud del Paedell’Onu, Ban Ki-moon, si è ralle- se votare per un cristiano, come è grato con la Nigeria per le elezioni Jonathan, e un musulmano, appunsvoltesi in modo «per lo più pacifi- to Buhari. co e ordinato», sia pure «a fronte Altrettanto incerto appare il ridi violenze ingiustificabili». sultato delle elezioni per rinnovare La commissione elettorale ha annunciato già per oggi i primi risultati, ma gli osservatori segnalano ritardi nello spoglio. Alle violenze e alle accuse di irregolarità si sono sommati, tra l’altro, problemi tecnici legati alle nuove tessere elettorali elettroniche che hanno imposto di tenere aperti anche nella giornata di domenica 348 dei circa centocinquantamila seggi, oltre a obbligare in moltissimi altri a procedere con il controllo manuale dei votanti. Per la presidenza sembra comunque profilarsi un testa a testa — e un possibile ballottaggio che si terrebbe il 4 aprile — tra lo stesso Jonathan, ricandidato dal Un commissario elettorale a Port Harcourt (Afp) People’s Democratic Party (Pdp), e l’ex generale Muhammadu Buhari, a suo tempo i trecentosessanta membri del Paralla guida della giunta militare dit- lamento, anche perché diversi diritatoriale rimasta al potere fino al genti del sud stavolta si sono schie1999 e oggi candidato dalla coali- rati con l’opposizione. zione d’opposizione All Progressive Al momento, comunque, sicuri Congress (Apc). della vittoria si dicono sia il Pdp Per essere eletti alla presidenza sia l’Apc. Quest’ultima, peraltro, al primo turno serve la maggioran- ha inscenato una manifestazione di za assoluta dei voti espressi e alme- protesta a Port Harcourt, la capitano il 25 per cento dei consensi in le dello Stato meridionale del Ridue terzi dei trentasette Stati della vers, accusando Jonathan e il Pdp Federazione nigeriana. Se nessuno di responsabilità nell’uccisione di otterrà tali risultati, ci sarà appunto propri attivisti e di brogli elettorali il ballottaggio il 4 aprile. tanto massicci da rendere le elezioStando alle prime notizie, tutti ni una farsa. Analoghe accuse sono gli altri dodici candidati alla presi- state mosse dall’Apc per quanto ridenza avrebbero conseguito risulta- guarda il voto in un altro Stato ti irrilevanti. Proprio questo po- meridionale, l’Imo. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali: — Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova (Italia), Presidente della Conferenza Episcopale Italiana; — Angelo Comastri, Arciprete della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano; Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano; Presidente della Fabbrica di San Pietro; — Stanisław Ryłko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Jean-Louis Bruguès, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa; — Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia; — José Rodríguez Carballo, Arcivescovo titolare di Belcastro, Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Nagoya (Giappone), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Augustinus Jun-ichi Nomura, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il provvedimento è stato reso noto in data 29 marzo. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Nagoya (Giappone) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Michael Gorō Matsuura, finora Vescovo titolare di Sfasferia e Ausiliare di Osaka. La nomina è stata resa nota in data 29 marzo. Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Ausiliare della Diocesi di XaiXai (Mozambico) il Reverendo Padre Alberto Vera Aréjula, O. de M., Delegato del Superiore Provinciale dei Mercedari in Mozambico e Parroco a XaiXai. Gli è stata assegnata la Sede titolare vescovile di Novabarbara. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 lunedì-martedì 30-31 marzo 2015 Il conteggio dei voti in un seggio a Valence (Afp) PARIGI, 30. Ballottaggi per le elezioni amministrative francesi al centrodestra: l’Ump (Unione per un Movimento Popolare) di Nicolas Sarkozy ha conquistato 66 dipartimenti su 101. In difficoltà il Front National di Marine Le Pen, che, stando all’attuale spoglio dei risultati, non sarebbe riuscito a ottenere nemmeno un dipartimento. I socialisti del presidente François Hollande registrano una forte perdita: avrebbero perso la metà dei 61 dipartimenti che si erano invece aggiudicati nelle precedenti elezioni. Più di quaranta milioni di francesi sono stati chiamati alle urne. L’Ump si era imposto al primo turno di domenica scorsa ottenendo il 29 per cento delle preferenze e bloccando così l’avanzata del Front National, fermo al 25 per cento. Solo terzi i socialisti, che al primo turno hanno registrato il 21,8 per cento. Domenica scorsa è andata alle urne la metà degli aventi diritto. «Stasera, la destra ha nettamente vinto le elezioni dipartimentali. Mai, nella Quinta repubblica, la destra aveva raggiunto un risultato del genere» ha dichiarato pochi minuti dopo la diffusione dei primi exit poll Sarkozy, presidente dell’Ump, confermando la vittoria del centrodestra. «L’alternanza è ormai avviata e niente la fermerà». Sarkozy ha dunque lanciato dure accuse all’Eliseo: «Mai una politica aveva incarnato tanto la sconfitta a ogni livello. Dal Governo agli Esecutivi di dipartimento, menzogna, cecità e impotenza sono stati sanzionati». Secondo Manuel Valls, premier socialista, «questa sera la destra repubblicana ha conquistato una vittoria incontestabile». Valls ha riconosciuto che la sinistra, troppo dispersa, troppo divisa al primo turno, ha visto un netto arretramento, nonostante un buon bilancio dei Governi dei dipartimenti. L’estrema destra del Front National ha totalizzato «un punteggio troppo elevato», e le forze repubblicane devono ora «contrastare le soluzioni pericolose» che il partito di Marine Le Pen propone per il Paese, ha aggiunto Valls. Le Pen, dal canto suo, ha parlato di «un risultato storico» che «pone il Front National come grande forza politica e che «è la base per le vittorie di domani». Tuttavia, Le Pen ha anche sottolineato che «questi sistemi elettorali fabbricati contro di noi ci privano della maggioranza che avrebbe dovuto essere nostra». Secondo il vicepresidente del Front National, Florian Philippot, «conquistare un dipartimento, sapevamo Intervento della Santa Sede al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite Dialogo e responsabilità contro la piaga dei bambini soldato Pubblichiamo la traduzione italiana dell’intervento pronunciato dall’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico, osservatore permanente della Santa Sede, il 25 marzo 2015 al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a New York. Affermazione dell’Ump al secondo turno delle amministrative Il centrodestra riconquista la Francia che sarebbe stato molto difficile», ma «non era il nostro obiettivo, era l’obiettivo che ci hanno attribuito alcuni osservatori». Secondo il ministero dell’Interno, in questo secondo Visita di Mattarella a Parigi ROMA, 30. Con la visita di oggi a Parigi si aprono due mesi di impegni diplomatici per il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. Nella capitale francese, il capo dello Stato italiano incontrerà in serata il suo omologo francese, François Hollande, per discutere principalmente di terrorismo e temi economici. Un bilaterale che si colloca nel solco delle missioni di inizio mandato a Berlino e Bruxelles, per rimarcare la necessità di un rilancio della costruzione europea sul piano politico e della ricerca di un equilibrio tra austerità e crescita. La tappa parigina è la prima in un’agenda internazionale particolarmente fitta nei prossimi due mesi. Il 22 e 23 aprile il capo dello Stato sarà in Slovenia e Croazia. In maggio sono previste una visita in Spagna e una in Tunisia. Ultimo appuntamento in agenda, il 28 maggio, una visita a Londra. E intanto, ieri, il presidente Mattarella ha assistito al Concerto per L’Aquila, che si è svolto nella Cappella Paolina del Quirinale, in occasione del sesto anniversario del terremoto. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va turno l’affluenza alle urne ha toccato il 15,63 per cento, contro il 18,02 di sette giorni fa. Alla fine della giornata, l’astensione aveva fatto segnare il 49,83 per cento degli elettori. Slitta la presentazione della lista di riforme Clima teso tra Bruxelles e Atene ATENE, 30. Tensione crescente tra Bruxelles e Atene. La lista delle riforme promesse dalla Grecia non è arrivata sulle scrivanie della Commissione Ue, se non in forma vaga e non verificabile. Un primo esborso di aiuti pari a circa due miliardi di euro — su un pacchetto complessivo di oltre sette miliardi — rischia di slittare di qualche settimana. Atene assicura che pagherà in tempo stipendi e pensioni, ma i mercati restano scettici. Sul terreno, il lavoro degli esperti europei e greci continua senza sosta, con qualche passo avanti che potrebbe portare mercoledì a una riunione in teleconferenza dell’Eurogruppo. Lo scrive l’agenzia Ana-Mpa, spiegando che, secondo fonti vicine al gruppo di lavoro congiunto, le trattative tra i rappresentanti di Atene e i creditori greci sono «costruttive». Ma in ambito Ue la situazione viene descritta in modo diverso: le bozze di riforme presentate finora non sarebbero credibili. Da queste riforme il Governo Tsipras — che lo stesso premier sta convocando per analizzare la situazione — stimerebbe di ricavare entrate per circa tre miliardi di euro, ma intanto i parametri minimi fissati dalla Banca centrale europea, dalla Commissione europea e dal Fondo monetario internazionale non sono certo raggiunti e i fondi da 7,2 miliardi per la Grecia restano bloccati. Atene — dicono gli esperti — si trova in una situazione molto difficile. Il via libera alla prima tranche da 1,9 miliardi è ormai indispensabile per risanare una situazione allo sbando. Dal ministero delle Finanze greco assicurano che il Governo pagherà in tempo salari e pensioni, ma hanno anche annunciato di essere pronti a valutare offerte per la ricerca di petrolio e gas nell’ovest del Paese. E intanto si avvicina la vendita della quota del porto del Pireo (cioè il 67 per cento della Piraeus Port Authority), dalla quale l’Esecutivo greco stima di raccogliere almeno 500 milioni di euro. Come afferma il «Wall Street Journal», Atene sarebbe disponibile anche a cedere la quota pubblica di 14 aeroporti locali. Ma il quotidiano statunitense sottolinea anche che la Piraeus Port Authority dallo scorso 24 febbraio — e cioè da quando si è capito che il Governo era pronto a vendere — ha ceduto in Borsa il 33 per cento del suo valore. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Nelle prossime ore — dicono gli analisti — si vedrà cosa ne pensano i mercati, che riaprono dopo la nuova, pesante retrocessione di Atene da parte delle agenzie di rating. Il tutto su un listino greco che nell’ultimo mese ha perso il 18 per cento, con i titoli di Stato già sotto pressione: il bond ellenico a dieci anni ha fatto segnare un rendimento superiore all’11 per cento, quello a cinque anni oltre il 16. Missione a Kiev dell’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea Ucraina e ribelli filorussi si accusano di violare la tregua KIEV, 30. Le forze armate ucraine e i ribelli separatisti filorussi continuano ad accusarsi a vicenda di violare la tregua sancita il mese scorso nella capitale bielorussa. Andrii Lisenko, portavoce delle truppe governative, ha denunciato ieri che nelle ultime 24 ore tre soldati ucraini sono rimasti feriti. A loro volta, i rappresentanti dei separatisti filorussi nella regione di Donetsk puntano il dito contro i militari di Kiev sostenendo che hanno aperto il fuoco 27 volte contro le postazioni dei ribelli locali. Nel frattempo, mentre oggi dovrebbe giungere in missione a Kiev l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, impegnata da questa mattina a Losanna nei negoziati ministeriali sul nucleare iraniano, il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, ha rimandato la sua visita nella capitale ucraina per Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Signor Presidente, Prima di tutto vorrei congratularmi con lei per la sua presidenza in questo mese e per aver organizzato questo dibattito aperto sui bambini nei conflitti armati. Il dibattito odierno giunge in un momento in cui il consenso internazionale sui mali dell’uso dei bambini come soldati nei conflitti armati non solo ha portato a condannare tali mali moralmente, ma ha anche indotto i vari attori in tutto il mondo ad affrontarli più vigorosamente sul terreno. Il crescente uso da parte di gruppi terroristi, e di altri attori non statali, di bambini nei conflitti armati dimostra l’urgente bisogno di un nuovo consenso internazionale per fronteggiare questo crimine e per rinnovare la volontà della Comunità Internazionale di affrontare tale piaga. Il 2014 è stato l’anno peggiore nell’era moderna per l’uso dei bambini come soldati nei conflitti armati. Solo in Siria e in Iraq abbiamo visto più di 10.000 bambini obbligati e forzati a diventare bambini soldato. Mentre il mondo cerca soluzioni, dobbiamo tutti fare il primo passo e affermare uniformemente che il reclutamento e l’uso di bambini nei conflitti armati non è solo una grave violazione dei diritti internazionali umanitari e umani, ma è anche un male abominevole che va condannato. Questa affermazione non deve essere fatta solo dai Governi, ma da tutti i leader sociali, politici e religiosi. Signor Presidente, La crescente influenza degli attori non statali in regioni del mondo costituisce per questo Consiglio e la comunità mondiale una sfida sempre più grande, che richiede nuovi strumenti e nuovi sforzi per essere affrontata. È per questo motivo che i fondatori delle Nazioni Unite hanno dato a questo Consiglio la «responsabilità del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali» (Carta delle Nazioni Unite, art. 24.1). Questa missione fondamentale non permette e non deve permettere alla comunità internazionale di voltare le spalle ai conflitti in nome di interessi politici nazionali o di dissensi geopolitici con altri Paesi. Tale responsabilità è affidata a questo Consiglio da tutti i membri delle Nazioni Unite, affinché si preservi la nozione fondativa di governance e si sostenga la responsabilità di proteggere. Tale responsabilità non solo chiede ai Governi nazionali di proteggere i loro cittadini, ma sollecita anche la comunità internazionale a intervenire quando i Governi nazionali sono incapaci o non sono disposti a proteggere le loro popolazioni. Nel caso di attori non statali che reclutano con la forza e usano bambini soldato in tutto il mondo o che commettono brutali violenze contro minoranze religiose ed etniche, quando lo Stato non è disposto o è incapace di affrontare tali atrocità, è responsabilità di questo organismo fornire, una volta esauriti tutti gli altri strumenti e mezzi, gli strumenti militari necessari a proteggere i cittadini da simili aggressori disumani. In ogni modo, le soluzioni all’utilizzo dei bambini nei conflitti armati non si possono limitare all’uso della sola forza. Piuttosto il primo passo consiste in un rinnovato im- Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va motivi di salute. Il vertice Ue-Ucraina è comunque previsto a Kiev per il 27 aprile, ha confermato il portavoce della Commissione Ue Margaritis Schinas. «Una parziale riduzione delle sanzioni» dell’Unione europea alla Russia «è possibile, se la situazione nella crisi ucraina migliorerà significativamente» ha detto il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, al «Financial Times», aggiungendo che potrebbe essere un «gesto simbolico». Gentiloni si è invece detto scettico su una totale eliminazione delle sanzioni a giugno. Dal canto suo, Putin ha concesso decorazioni a tre unità militari alimentando le ipotesi secondo cui soldati russi stanno combattendo in Ucraina al fianco dei separatisti del sud-est. Mosca ha però negato che le onorificenze abbiano a che fare con il conflitto in Ucraina. Operazioni delle forze ucraine nella regione di Lugansk (Afp) Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 pegno nell’affrontare situazioni umanitarie, sociali, politiche ed economiche che portano ai conflitti in cui vengono usati i bambini soldato. A tale riguardo, le comunità religiose possono svolgere un ruolo fondamentale nel servire le comunità colpite, reintegrando gli ex bambini soldato e offrendo uno strumento per il dialogo. Le comunità religiose hanno anche la responsabilità di garantire che quelle organizzazioni che cercano di giustificare l’uso dei bambini soldato per perseguire obiettivi ideologici motivati da visioni distorte della fede e della ragione siano giustamente condannate e denunciate. Mentre la comunità internazionale svolge un ruolo importante nel sostenere gli Stati in questa fondamentale responsabilità di proteggere i propri cittadini, deve altresì essere certa di interagire con la comunità locale affinché le soluzioni ai bambini soldato e ai conflitti possano anche emergere in modo organico e si promuova la partecipazione locale. Costruire la pace richiede disponibilità al dialogo anche quando il conflitto ha seminato odio e sfiducia. La soluzione alla piaga dei bambini soldato esige anche sensibilità, al fine di trovare modi per reintegrare questi bambini nelle loro comunità. Quando siamo testimoni di atti barbarici che vanno al di là di ogni immaginazione, commessi anche da soldati bambini, dobbiamo ricordarci che quei bambini vengono sfruttati e manipolati fino a diventare quello che sono. Perciò, mentre il loro reinserimento nella società esige che riconosciamo che hanno commesso atrocità, dobbiamo allo stesso tempo creare percorsi di assistenza e di riconciliazione al fine di compiere pienamente tale reintegrazione. Signor Presidente, La comunità internazionale ha già molti degli strumenti necessari per affrontare l’uso dei bambini soldato. Mancano però la volontà politica e il coraggio morale per compiere i passi necessari per far fronte a questa sfida. Poiché i bambini vengono sequestrati fin dalla scuola per essere schiavizzati, poiché sono costretti a diventare attentatori suicidi e poiché vengono drogati e torturati per fare di loro dei bambini soldato, quanto tempo dovrà passare prima che smetteremo di distogliere il nostro sguardo? Grazie, signor Presidente. Tra Ue e Serbia Quando l’integrazione fa bene al dialogo BELGRAD O, 30. La prospettiva dell'integrazione della Serbia nell’Unione europea sta favorendo la cooperazione regionale nei Balcani: questo il messaggio lanciato dal ministro degli Esteri serbo, Ivica Dačić, intervenuto a Spalato, in Croazia, al terzo summit Ue-Europa sudorientale. Dačić ha sottolineato che l'integrazione sta favorendo anche il dialogo, peraltro tuttora a rischio, tra Belgrado e la maggioranza albanese del Kosovo che ha dichiarato l’indipendenza della regione sulla quale la Serbia rivendica sovranità. Dačić ha quindi messo in guardia da un’interruzione del processo di allargamento dell’Ue ai Balcani occidentali: una scelta di questo tipo — a suo giudizio — porterebbe conseguenze negative in termini di sviluppo economico e stabilità regionale. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 30-31 marzo 2015 pagina 3 Partecipanti alla grande manifestazione di Tunisi (Afp) Alla stretta finale i negoziati in corso a Losanna Accordo possibile sul nucleare iraniano LOSANNA, 30. Ore cruciali per raggiungere un’intesa sul nucleare iraniano. I rappresentanti di Teheran e quelli del gruppo cinque più uno sono riuniti a Losanna per arrivare a un accordo quadro entro la scadenza ufficiale di domani 31 marzo. Nella prima sessione plenaria, il segretario di Stato americano, John Kerry, e i ministri degli Esteri della Germania, Frank-Walter Steinmeier, della Francia, Laurent Fabius, della Gran Bretagna, Philip Hammond, della Russia, Serghiei Lavrov, e della Cina, Wang Yi, oltre all’alto rap- La rappresentanza iraniana a Losanna (Afp) presentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, tenteranno oggi di completare il complesso puzzle dell’intesa con il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif. «Stiamo negoziando da oltre un anno — ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest — ed è arrivato il momento che gli iraniani inviino un chiaro messaggio alla comunità internazionale se siano disposti a prendere i seri impegni richiesti». Gli iraniani, ha aggiunto, «devono fondamentalmente far seguire alle parole i fatti, e dimostrare che non stanno cercando di dotarsi della bomba atomica. Se possono prendere questo impegno, dovrebbero farlo entro la fine di marzo». Al suo arrivo ieri sera a Losanna, il ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond, ha dichiarato: «Siamo qui perché crediamo che un accordo possa essere raggiunto» e «affinché questo sia possibile nelle prossime ore l’Iran dovrà prendere decisioni difficili». Il capo negoziatore iraniano, Abbas Araqchi, ha però escluso che Teheran possa accettare di immagazzinare le sue scorte di uranio arricchito all’estero, come richiesto dagli occidentali. «L’invio all’estero di uranio arricchito non è nel no- stro programma, questo è fuori questione», ha affermato ancora Abbas Araqchi riferendosi alla possibilità di trasferirlo in Russia. L’accordo, ha aggiunto, resta «fattibile, anche se complesso». E mentre i negoziatori lottano contro il tempo, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ribadito le sue critiche, parlando di un «pericoloso accordo» che «conferma le preoccupazioni israeliane». Sono dunque a un punto cruciale le trattative in corso a Losanna. Su molti aspetti è stata raggiunta un’intesa, ma su altri punti si sta ancora negoziando intensamente, nel tentativo di chiudere entro domani, come impongono gli accordi provvisori. In particolare, secondo quanto trapela da Losanna, rimangono sensibili divergenze per quanto riguarda i tempi, ovvero il ritmo della revoca delle sanzioni imposte all’Iran da Onu, Stati Uniti e Unione europea, e la durata dell’accordo. In linea di massima si profila un’intesa tra le parti in base alla quale l’Iran per dieci anni potrà utilizzare solo 6.000 delle circa 10.000 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio di cui dispone. Allo stesso tempo, i suoi impianti saranno sottoposti a controlli e verifiche costanti da parte degli ispettori internazionali. L’Iran otterrebbe d’altro canto di poter continuare a utilizzare alcune centinaia di centrifughe nel sito di Fordow, con elementi come zinco, xenon o germanio; utili dunque solo a fini medici, industriali e legati alla ricerca scientifica. Ma dovrebbe in questo caso accettare ulteriori restrizioni in altri siti in cui porta avanti le attività di ricerca e sviluppo del suo programma nucleare. E in questo quadro si inserisce la questione della centrale ad acqua pesante di Arak, che in base all’intesa dovrebbe produrre meno plutonio rispetto ai progetti originari. Migliaia in marcia a Tunisi mentre le forze di sicurezza uccidono il capo del principale gruppo jihadista Uniti nella lotta contro il terrorismo TUNISI, 30. Decine di migliaia di persone sono scese ieri nelle strade della capitale tunisina in segno di solidarietà per le vittime del sanguinoso attentato al museo del Bardo e contro il jihadismo internazionale. Poche ore prima era stata annunciata l’uccisione del capo del gruppo jihadista ritenuto dal Governo responsabile dell’attacco. Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, e i ministri degli Esteri di Germania e Spagna, Frank-Walter Steinmeier, e José García Margallo) hanno sfilato sotto lo slogan «il Mondo è il Bardo». Queste presenze hanno voluto testimoniare il sostegno internazionale alla fragile transizione democratica nel Paese nordafricano, pioniere del- Dialogo politico con la mediazione dell’Onu per superare la crisi Liberati in Libia tre ostaggi egiziani TRIPOLI, 30. Le forze armate libiche sotto il comando del generale Khalifa Haftar hanno liberato ieri tre cittadini egiziani rapiti da miliziani islamisti a Bengasi, nell’est della Libia. Lo riferisce l’agenzia di Stato egiziana «Mena», secondo cui i tre ostaggi erano impiegati in un panificio locale. Nell’area sono tuttora in corso duri scontri tra le forze di Haftar, nominato comandante in capo delle forze armate del Parlamento di Tobruk, e le milizie che fanno capo al Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, tra le quali spicca il ramo locale dei fondamentalisti di Ansar Al Sharia. Nel frattempo, dopo che il Consiglio di sicurezza ha prorogato il mandato della missione di supporto dell’Onu in Libia (Unsmil), l’inviato speciale Bernardino León torna questa settimana in Marocco per rilanciare il tavolo negoziale tra le varie fazioni libiche. D’altra parte, non esiste alcuna soluzione militare al conflitto in Libia. Lo ha dichiarato anche l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, nel corso del suo intervento al vertice dei capi di Stato della Lega araba che si è tenuto nel fine settimana a Sharm El Sheikh. Secondo il monarca, il dialogo politico è l’unico strumento a disposizione per superare la crisi nel Paese e rispettare le ambizioni democratiche dei libici senza escludere o emarginare nessuna fazione. Dopo una riunione del Consiglio del popolo di Paktia Al centro dei colloqui la minaccia dell’Is Attentato suicida nella capitale afghana Ban Ki-moon in missione a Baghdad BAGHDAD, 30. Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, è arrivato oggi a Baghdad per incontrare il primo ministro iracheno Haider Al Abadi e altri dirigenti del Paese. Fonti dell’Onu citate dalle agenzie di stampa internazionali hanno riferito che argomento principale dei colloqui è «discutere gli sviluppi politici e di sicurezza del Paese». Il riferimento è in particolare alla sfida portata in Iraq, oltre che in Siria, dal cosiddetto Stato islamico (Is), e al quale hanno dichiarato adesione altre Alta affluenza nelle presidenziali in Uzbekistan TASKENT, 30. È stata del 91 per cento l’affluenza alle urne alle elezioni presidenziali di ieri in Uzbekistan: questo il dato ufficiale annunciato dalla Commissione elettorale centrale. Sono circa 20,8 milioni gli uzbeki aventi diritto di voto. La rielezione del presidente Islam Karimov, 77 anni, al potere dalla fine degli anni Ottanta, appare scontata. Basti pensare che alle legislative dello scorso dicembre tutti i quattro partiti in lizza sostenevano il presidente, che nel 2007 è stato rieletto con una maggioranza del 91 per cento. Gli altri tre candidati appaiono quindi — secondo gli osservatori internazionali — solo rivali formali. L’Uzbekistan conta circa trenta milioni di abitanti. Una marea di bandiere nazionali ha colorato il più importante viale della capitale tunisina, dove insieme con i leader locali diversi capi di Stato e di Governo (tra gli altri, il presidente francese, François Hollande, e il premier, Manuel Valls, il presidente polacco, Bronisław Komorowski, il premier algerino, Abdelmalek Sellah, il presidente del formazioni jihadiste non solo nel Vicino oriente, ma anche in Africa. Fonti dell’opposizione siriana, intanto, denunciano nuove atrocità fatte commettere dall’Is a minori reclutati nelle sue file. È stato diffuso un video nel quale si vedono nove minori trucidare altrettanti musulmani sciiti, tutti adulti, fatti prigionieri dal gruppo jihadista. Questo, come noto, rivendica appartenenza al sunnismo, sebbene molte autorità religiose di tale confessione abbiano sempre ribadito la sua estraneità all’islam. la primavera araba, ma che oggi rischia di essere destabilizzato dalla minaccia jihadista. Convocati dal Governo e dagli imam delle moschee, i manifestanti sono partiti dalla storica porta di Bab Saadum, in direzione del museo teatro dell’attentato del 18 marzo, che ha provocato la morte di ventidue persone, compresi ventuno turisti stranieri. Una volta conclusa la manifestazione, il presidente tunisino, Beji Caïd Essebsi, ha scoperto una targa commemorativa sulla porta del museo, con i nomi delle vittime, mentre centinaia di persone gridavano slogan come «via il terrorismo», «libertà per Tunisi». Anche se l’attentato è stato rivendicato dal cosiddetto Stato islamico, le autorità tunisine ne hanno attribuito la paternità a una cellula del gruppo Okba ibn Nafaa, una formazione affiliata ad Al Qaeda nel Maghreb islamico, la cui roccaforte è Kasserine, la zona montagnosa vicina alla frontiera con l’Algeria. Proprio in questa zona, e in particolare nella regione mineraria di Gafsa, la polizia tunisina ha compiuto un’operazione contro Okba ibn Nafaa nella notte tra sabato e domenica, uccidendo nove sospettati di terrorismo, tra i quali Khaled Chaib, meglio noto come Lokmane Abou Sakhr, ritenuto il capo del gruppo e responsabile della morte di decine di poliziotti e militari dopo il dicembre 2012. L’operazione condotta dalle Brigate antiterrorismo a Sidi Aich, nel governatorato di Gafsa, è stata un autentico successo e rappresenta un duro colpo per Okba ibn Nafaa, ha affermato oggi il ministro dell’Interno tunisino, Najem Gharsalli. Oltre al capo della cellula terroristica Chaib, un altro algerino conosciuto con il nome di battaglia di Mimoun, Nasreddine Mansouri e Anas El Atbi, due elementi considerati molto pericolosi sono stati uccisi, insieme ad altri la cui identità non è stata rivelata per non compromettere le indagini in corso. Sequestrati nell’operazione sette kalashnikov, due mitragliatori, bombe a mano, visori evoluti, e una mitragliatrice rubata a un militare di guardia alla casa dell’ex ministro dell’Interno tunisino, Lotfi Ben Jeddou, durante un recente attacco alla sua abitazione. Vertice a Singapore a margine dei funerali del leader Lee Kwan Yew Disgelo tra Giappone e Corea del Sud Agenti della sicurezza afghani sul luogo dell’attentato a Kabul (Afp) KABUL, 30. Ancora sangue nella capitale afghana. Un attentatore suicida si è fatto esplodere ieri dopo un incontro di anziani e responsabili politici della provincia orientale afghana di Paktia, con un bilancio di tre morti e il ferimento di otto persone, fra cui il deputato Gul Pacha Majidi. Il capo della polizia della capitale, Abdul Rahman Rahimi, ha indicato all’agenzia Pajhwok che l’attacco è avvenuto nel pomeriggio nell’area di Shah Shaheed durante un incontro del Consiglio del popolo di Paktia, e che fra le vittime vi è an- che un bambino. Secondo testimoni oculari, l’attentatore suicida è entrato in azione quando la riunione era praticamente finita e gli anziani stavano abbandonando il luogo. Majidi, che è stato eletto alla Wolesi Jirga di Paktia, è rimasto ferito ed è ricoverato in ospedale senza che le sue condizioni destino preoccupazione. Nel frattempo, un gruppo di detenute afghane sono da tre giorni in sciopero della fame nella provincia centrale di Parwan, con lo scopo di ottenere un miglioramento delle condizioni carcerarie e una riduzione delle pene. SINGAPORE, 30. Il premier giapponese, Shinzo Abe, e la presidente sudcoreana, Park Geun Hye, hanno avuto ieri un inatteso colloquio a Singapore, a margine dei funerali di Stato di Lee Kuan Yew, il primo ministro fondatore della città-Stato. Il faccia a faccia del “disgelo”, riferisce l’agenzia Yonhap, ha visto Park proporre l’adozione da parte di Giappone, Corea del Sud e Cina delle misure utili ad attuare l’accordo raggiunto dai ministri degli Esteri dei tre Paesi, riunitisi a Seoul il 21 marzo scorso, finalizzato a «creare le condizioni il prima possibile per un summit dei tre leader». L’incontro, un «segnale positivo nelle relazioni bilaterali, inasprite da questioni sul passato bellico e contenziosi territoriali», è avvenuto in occasione del ricevimento offerto dal presidente di Singapore, Tony Tan, in onore dei leader mondiali che hanno partecipato al funerale di Lee, scomparso il 23 marzo. Secondo la ricostruzione, il “disgelo” sarebbe maturato dopo che Abe, avvicinandosi a Park, avrebbe espresso l’apprezzamento per il successo «della riunione trilaterale dei ministri degli Esteri di Seoul». E, come detto, decine di migliaia di persone hanno dato ieri l’addio a Singapore a Lee Kuan Yew, lo storico leader della città-Stato spentosi una settimana fa a 91 anni, in una giornata iniziata con una lunga processione sotto una pioggia intensa, e che si è conclusa con la cremazione in una cerimonia privata dell’ex premier. «I cieli si sono aperti e hanno pianto per lui», ha detto il figlio e attuale primo ministro, Lee Hsien Loong, nel discorso tenuto durante il funerale, alla presenza di circa 2.000 persone tra cui capi di Stato di decine di Paesi. In precedenza, il convoglio con la salma di Lee aveva attraversato la città seguendo un percorso di 15 chilometri, lungo i quali la folla — con molte persone in composte lacrime — si era radunata fin dalle prime ore della mattina. Il solenne corteo, partito dal Parlamento per concludersi al centro culturale dove si è tenuto il funerale, è stato salutato dai colpi di quattro cannoni, mentre dei jet militari hanno sorvolato i cieli della cittàStato e le navi della Marina hanno suonato le sirene. Durante i sette giorni di lutto nazionale, si calcola che oltre mezzo milione di persone — più di un decimo della popolazione di Singapore — abbiano visitato la sala del Parlamento dove era esposta la salma di Lee. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 30-31 marzo 2015 Superare la memoria della guerra civile e riconoscere gli errori commessi da entrambe le parti Questo l’obiettivo che ne segnò la vita Giovanni Francesco Romanelli, «Allegoria del Trattato dei Pirenei» (1655-1658, particolare) In memoria di José María Martín Patino che fu tra gli artefici della transizione spagnola La mano sinistra del cardinale Tarancón di PEDRO MIGUEL LAMET ggi avrebbe compiuto novant’anni e proprio sabato ci ha lasciati José María Martín Patino, il gesuita artefice della transizione ecclesiale, assieme a colui che fu il suo alter ego e il suo amico del cuore, il cardinale Vicente Enrique y Tarancón. Un paio di giorno fa, mentre ero al suo capezzale, senza nascondere la sua emozione, mi ha detto: «È stato l’uomo della mia vita, un grande cardinale e un eccellente amico». L’allora presidente dei vescovi ripose la sua fiducia proprio in Martín Patino, tanto che i giornalisti lo chiamavano la “mano sinistra” di Tarancón. Ancora ieri, tra terribili sofferenze, José María ha dimostrato il suo vigore di castigliano sobrio e sicuro delle proprie convinzioni. La vita lo aveva temprato fin da bambino. Figlio di maestri che gli fecero amare la lettura, era orgoglioso di loro e di essere salmantino di Lumbrales, paese dove visse le sue prime e dure esperienze, come la morte del brillante fratello a soli ventidue anni e una ferita al braccio sinistro provocata da due pallottole sparate da mezzo metro di distanza da un miliziano falangista con il fucile carico, che gli distrussero la clavicola e la testa dell’omero. Quell’evento segnò tutta la sua esistenza. Visse con profonda preoccupazione e angoscia le fucilazioni eseguite dai picchetti della Falange nei primi mesi della guerra. Pensò di diventare medico, ma poi lo attirò di più la Compagnia di Gesù. Studiò filologia all’università civile di Salamanca. Di quel periodo ricordava sempre l’influenza di Tovar che gli aveva insegnato a lavorare in gruppo. E dei suoi studi di teologia nella Francoforte post-bellica, e il suo lavoro con gli emigranti spagnoli. In Germania, mentre faceva gli esercizi spirituali prima di essere ordinato sacerdote, avrebbe sentito la grande chiamata della sua vita, che lo toccò nel profondo. «Nella città tedesca di Ulm, mentre contemplavo la cattedrale illuminata come una torcia di fuoco posta sul vicino monte che dominava tutta la città, sentii come una sferzata che fece sussultare tutto il mio spirito. Fu una fitta che mi segnò per tutta la vita (…), una chiamata chiara a prendere sul serio la divisione tra vincitori e vinti ancora viva nella coscienza collettiva degli spagnoli. Compresi che avrei dovuto aiutare, con tutte le mie forze, a superare la memoria della guerra civile e a riconoscere gli errori commessi da entrambe le parti». Questo obiettivo segnerà tutta la sua vita. Tarancón lo ingaggiò, quando era arcivescovo di Oviedo, come esperto di liturgia per aggiornare i testi del messale alla luce della riforma del concilio e per introdurre la lingua vernacola con l’aiuto del famoso biblista Alonso Schökel e di Jimena Menéndez Pidal, figlia del medievalista. Tarancón, alla morte del suo predecessore Morcillo, pensò nuovamente a Patino come suo più importante appoggio, il che suscitò diffidenza nello stesso ministro degli Esteri, López Bravo, e anche in alcuni settori del clero. Ma il nuovo arcivescovo di Madrid non solo non fece loro caso, ma lo elevò anche a provicario dell’arcidiocesi, che era come dire suo factotum per undici undici anni. «Vivevamo in conflitto O costante», lo udii una volta dire a José María. Era l’epoca delle omelie multate, del caso Añoveros, dell’Assemblea Congiunta, delle riunioni a El Paular tra teologi e politici, animate da Patino. Ma efficaci furono soprattutto i pranzi che gli preparava una comunità di benedettine, per facilitare l’incontro del cardinale con politici come Suárez, Felipe González, Carrillo e altri rappresentanti sia della sinistra sia della destra. Decisivo fu in particolare il suo intervento nella redazione della famosa omelia della corona, dove coordinò il lavoro di vari teologi famosi. Un momento che Patino considerava provvidenziale nella sua vita. Tra le altre cose, diceva di quell’omelia: «La Chiesa non patrocina nessuna forma né ideologia politica, e se qualcuno utilizza il suo nome per coprire le proprie cause, lo sta chiaramente usurpando. Ho potuto anche intervenire con un certo successo», confessava l’influente gesuita, «nella redazione di alcuni articoli della nuova Costituzione, specialmente nel numero sei, che regola le relazioni dello Stato con le confessioni religiose, come istituzioni autonome che continueranno a mantenere rapporti di cooperazione. Già a El Paular avevamo discusso a lungo su questa importante questione e avevamo persino delineato la formula che in seguito avrebbero proposto i relatori cattolici della conferenza costituzionale. Non ci risultò tanto facile redigere l’articolo 32, che regola la libertà di insegnamento. Qui i socialisti si erano già mostrati molto duri nel sottoporre al Parlamento i Cultura e dialogo Pubblichiamo l’articolo dello scrittore e giornalista gesuita Pedro Miguel Lamet uscito sul quotidiano «El País» di oggi, 30 marzo, in memoria del confratello José María Martín Patino, morto il 28 marzo a Madrid. Nato nel 1925 a Lumbrales (Salamanca), Martín Patino si era laureato in filosofia alla Pontificia università di Comillas, in filologia all’università di Salamanca e in teologia alla Philosophisch-Theologische Hochschule Sankt Georgen di Francoforte e alla Gregoriana. Era stato ordinato sacerdote nel 1957 e nel 1960 era entrato nella Compagnia di Gesù. Stretto collaboratore del cardinale Enrique y Tarancón, dal 1973 al 1984 era stato pro-vicario generale dell’arcidiocesi di Madrid. Autore di numerosi libri, fra i quali La Iglesia en la sociedad española, aveva ricoperto numerosi incarichi, e tra questi quello di direttore del Segretariato nazionale di liturgia e della rivista «Sal Terrae», ed era stato consultore della Sacra Congregazione per il Culto divino. Nel 1985 aveva istituito la Fundación Encuentro con l’obiettivo di analizzare da diverse angolazioni i vari problemi legati alla società spagnola e di favorirne la soluzione attraverso il dialogo. Nel 2009 gli era stata conferita la Cruz de Oro del Orden Civil y de la Solidaridad e nel 2010 gli era stato assegnato il premio Castilla y León de los Valores Humanos. In una lettera a padre Francisco José Pérez, provinciale dei gesuiti in Spagna, il segretario generale della Conferenza episcopale spagnola José María Gil Tamayo, esprime gratitudine per «l’importante servizio» reso da Martín Patino «alla Chiesa in Spagna» insieme al cardinale Tarancón. cosiddetti Accordi Parziali. La que- l’immenso abbraccio del Padre e di stione dell’insegnamento religioso tanti gesuiti e amici di tutte le tennella scuola pubblica non è stata an- denze culturali e politiche che qui cora risolta, a tanti anni di distanza mi hanno generosamente offerto la dall’approvazione della Carta Fon- loro amicizia. L’idea della morte amica mi accompagna quasi costandamentale». Dopo aver raggiunto l’obiettivo temente, e i miei collaboratori si medella sua vita, ossia compiere passi ravigliano che la menzioni con tanta verso la riconciliazione, e una volta frequenza». Persino nelle ultime settimane anlibero dal suo incarico ecclesiastico, pensò di fondare qualcosa per il dava in ufficio, tra intense sofferenconsenso sociale e la pacificazione ze. Non si arrese mai, fino all’ultimo della società spagnola. Nacque così la Fundación Encuentro, un forum per il dialogo sui Diceva che lavorare temi più scottanti della nostra democrazia: dai per gli altri nazionalismi alla poera la sua scelta fondamentale vertà, passando per l’educazione, la corruE considerava l’amicizia zione e la modernizzauno dei beni più preziosi zione della giustizia, temi raccolti in voluminose memorie annuali. Dotato di un carattere forte e di doti di comando, José Ma- momento. Diceva che la sua scelta ría Martín Patino è morto come vo- fondamentale era lavorare per gli alleva, con le scarpe ai piedi. In uno tri. Lo fece anche e profusamente atdei suoi ultimi scritti dice: «La mia traverso i media, come la radio, la vita continua a essere avvincente. televisione e soprattutto la stampa, Non poche volte ho sentito la brez- in particolare «El País». Consideraza del mare immenso come se fossi va l’amicizia uno dei valori più pregià vicino alla foce del fiume della ziosi. «Mi vedo come un figlio previta. Vorrei morire in piena attività e diletto del Dio misericordioso, che questo chiedo al Signore come grazia speciale. La prova di una malat- mi ha dato dei genitori santi il cui tia terminale lunga mi terrorizza. Sa- esempio ha segnato la mia vita, e corà quello che Dio, che in ogni mo- me uno strumento debole scelto per mento mi ha dimostrato la sua pa- portare avanti quelle opere che nella ternità, mi offrirà come purificazione mia vita ho potuto concepire». Tutto o come premio. Sono certo che sommato, forse è questo il suo autodall’altra parte della morte riceverò ritratto più preciso. Il 2 aprile 1948 moriva Biagio Biagetti Quei bozzetti nel retro delle ricevute José María Martín Patino A Firenze una mostra sulla produzione artistica ispirata a san Francesco Il corno e il sultano Il corno, ritenuto secondo tradizione quello donato da san Francesco al sultano d’Egitto Malik-al-Kamil nel 1219, in occasione del loro incontro e conservato ad Assisi, nella cappella delle reliquie della Maestro di san Francesco «San Francesco predica agli uccelli» (1260-1280) basilica, è uno dei pezzi “forti” della mostra L’arte di Francesco. Capolavori d’arte e terre d’Asia dal XII al XV secolo che si apre oggi a Firenze (fino all’11 ottobre) presso la Galleria dell’Accademia. Organizzata dalla Galleria in collaborazione con l’O rdine dei Frati Minori, e ideata con la Commissio Sinica (Scuola superiore di studi medievali e francescani, Pontificia università Antonianum di Roma), l’esposizione si propone di documentare la produzione artistica di diretta matrice francescana (pittura, scultura, arti suntuarie) dal Duecento al Quattrocento. Nello stesso tempo la mostra intende porre in evidenza la grande opera evangelizzatrice dei francescani in Asia, dalla Terra Santa alla Cina, rievocandola anche con oggetti di importanza storica e di indubbia suggestione. Per la pittura riveste particolare rilievo l’opera di Giunta di Capitino, il primo pittore ufficiale dell’Ordine francescano, la cui influenza si estese, nella prima metà del Duecento, in vaste aree dell’Italia centrale. L’artista ricoprì il ruolo d’interprete della spiritualità francescana che poi sarà svolto da due «grandi», Cimabue e Giotto. Tra gli artisti presenti nella mostra figurano poi il Maestro di san Francesco e il Maestro dei Crocifissi francescani, due protagonisti di primo piano della pittura su tavola e in affresco nel corso del XII secolo. Di incarichi ne aveva ricevuti, sin da giovane, numerosi e importanti. Ma certamente il più prestigioso fu quello affidatogli, nel 1931, da Pio XI: il restauro del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina. Fu con giusto orgoglio e con non poco timore che Biagio Biagetti, pittore, accolse la commissione. Dieci anni prima, nel 1921, era divenuto il primo direttore dei Musei vaticani e nel 1923 aveva fondato il primo Laboratorio vaticano per il restauro di opere d'arte. Il 2 aprile ricorrono i sessantasette anni dalla morte, avvenuta a Macerata, di un artista che subito riconobbe nella tematica religiosa il terreno d’elezione per le sue opere. Il suo itinerario artistico viene ripercorso da Paolo Ondarza nel libro Verità e Bellezza. La via pulchritudinis di Biagio Biagetti (Ariccia, Editrice Aracne, 2014, pagine 152, euro 10,20). Tra le opere pittoriche di Biagetti l’ Apoteosi di san Pio X nel duomo di Treviso; gli affreschi della Cappella del Crocefisso nella Michelangelo Buonarroti basilica della Santa «Giudizio Universale» (1536-1541) Casa a Loreto; la pala d’altare rappresentante la Regina Apostolorum nel seminario di Bologna, commissionatagli da Papa Benedetto XV. Si potrebbe definire romantico il modo in cui Biagetti, con il talento del disegnatore, uscì dall’anonimato. I suoi primi bozzetti furono fatti nel retro delle ricevute dei conti di suo padre, che gestiva una locanda nelle Marche. Un giorno passò di lì un pittore, che li notò: quell’incontro gli avrebbe aperto la carriera artistica. (gabriele nicolò) L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 30-31 marzo 2015 Quella sera di quaresima un ronzare frenetico di tweet accompagnò il rito appena i fedeli in chiesa riconobbero il filosofo simbolo dell’intelligentsia laicista In mostra a Torino la Via crucis di Fernando Botero Se le favole raccontano la realtà Fede ritrovata di GIULIANO ZANCHI La seconda vita di Veronica di SILVIA GUIDI Suo fratello, il celebre intellettuale engagé Bernard-Henri Lévy, all’inizio è rimasto sconcertato, irritato e deluso; «che cosa avrebbero pensato i nostri genitori?» si è chiesto, pensando al forte senso di appartenenza alla cultura e alla religione ebraica che da secoli ha plasmato l’identità della sua famiglia. Ma poi vedere sua sorella Véronique più forte, sicura, decisa, piena di energia e di voglia di vivere gli ha fatto cambiare idea sull’autenticità e la profondità della sua conversione al cattolicesimo. E l’ha convinto perfino ad assistere al suo Battesimo, la prima domenica di quaresima di tre anni fa, nella cattedrale di Notre Dame a Parigi. Quella sera, un ronzare frenetico di tweet accompagnò il rito appena gli astanti riconobbero il filosofosimbolo dell’intelligentsia laicista francese seduto su una della panche riservate alle famiglie dei catecumeni. «Mi sono reso conto che non era una cosa infantile, ma un’esperienza interiore autentica» ha spiegato Bernard-Henri Lévy alla giornalista Astrid de Larminat che ha dedicato un reportage alla conversione di sua sorella uscito su «Le Figaro» dell’11 marzo scorso. Che si tratti di un cambiamento radicale lo conferma, suo malgrado, suo fratello, ammettendo che adesso si trova accanto una donna toccata dalla «redenzione» e «da un livello di conoscenza della teologia cristiana, ma anche ebraica, di cui un tempo non sapeva nulla». Una donna più stabile e sicura, con una luce negli occhi che prima non c’era, e quella forza tranquilla che ha solo chi è certo di essere amato. Che cosa ha cambiato tanto Véronique? La sorella più piccola e più fragile, l’adolescente ribelle che si nascondeva dietro un trucco pesante e un’aggressività esibita — «Che vuoi fare da grande?» «La prostituta», diceva ai suoi da ragazzina, sprezzante verso la serenità borghese che respirava in famiglia — l’anticlericale militante che aveva sempre accusato la Chiesa di essere misogina e oscurantista, ha scoperto la dimensione nuziale dell’amore di Dio. E si è accorta che niente può essere più come prima. Con il passare del tempo, ha capito anche che un’esperienza tanto sorprendente e liberante merita di essere raccontata e condivisa, perché può essere un’occasione di speranza per molti. Questo le ha fatto superare le tante resistenze e perplessità iniziali sull’opportunità di parlare di un’esperienza intima come il dialogo interiore con Gesù eucaristia; grazie all’aiuto di François Dabezies, ha scritto il libro Montre-moi ton visage (Paris, Cerf, 2015, pagine 368, euro 20), introdotto da una prefazione di Éric de Moulins-Beaufort, vescovo ausiliare di Parigi. «Vivere la fede è come innamorarsi — ribadisce Véronique — Quando si ama qualcuno incondizionatamente, si sacrifica tutto per quell’amore, non ci si cura del giudizio altrui, si pensa solo a gioire della presenza dell’altro». La parola esperienza ricorre spesso nel libro, e non è un caso. Mille volte nella nostra vita sentiamo ripetere la frase «Dio è amore» ma finché non diventa esperienza reale, concreta, personale queste parole restano lettera morta, suonano come uno slogan vuoto, privo di senso. È quando Dio mostra davvero il suo volto — da qui il titolo del libro, Montre-moi ton visage — il suo «amore dolce e tenero, incondizionato e assoluto, personalizzato, “su misura” per ognuno di noi» che tutto può davvero cambiare. pagina 5 Quel mondo di tribù di cui spesso parla Michel Maffessoli, all’interno del quale gli esseri umani del nostro tempo sembrano aggregarsi, secondo variabili criteri prossemici, in raccolte nicchie di elezione, sembra riflettersi perfettamente nel perimetro dell’odierna cultura artistica, che ha preso la forma di una sorta di costellazione di pratiche anche molto eterogenee tenute insieme dal semplice fatto di essere contemporanee. La linea evolutiva della storia dell’arte, lungo la quale uno stile prendeva il posto dell’altro dentro un chiaro criterio di progres- Per Véronique il primo incontro col cristianesimo è avvenuto quasi per gioco, da piccolissima, su una spiaggia rumorosa e affollata di Antibes. Un giorno Coralie, una bimba poco più grande di lei, le regala un crocifisso di smalto insegnandole l’Ave Maria e la preghiera dell’Angelus. Coralie è figlia di una catechista, e sta imitando i gesti della madre che ha visto tante volte durante la sua attività in parrocchia. Véronique ascolta le preghiere e decide subito di impararle a memoria, ripetendole come una ninna nanna tutte le sere, prima di addormentarsi. Ripone nel cofanetto dei suoi tesori segreti il piccolo crocifisso di smalto, colpita «da quell’uomo con i capelli lunghi e con le braccia aperte sulla croce che non evocavano dolore, ma amore». Coralie la mette in guardia: solo le preghiere hanno il potere di tenere lontana l’armata dei robot che un giorno salirà dal mare per aggredire e rendere schiavi tutti gli uomini. Véronique guarda angosciata la linea dell’orizzonte e prova a immaginare chi siano i mostri che minacciano la sua vita, che tanto spaventano la piccola Coralie. Un semplice gioco da bambini sulla spiaggia, che negli anni si rivela profetico. I tanti castelli di sabbia costruiti durante i primi anni della giovinezza — le tante relazioni di breve respiro, i tanti progetti di lavoro iniziati con entusiasmo e mai portati a termine — non resistono alle ondate del tempo e rivelano presto la loro natura provvisoria. E il rischio di trasformarsi in robot — schiavi di desideri compulsivi, “meccanizzati” dai ritmi ossessivi di una vita che sembra fatta apposta per dimenticare il proprio desiderio di felicità e l’anelito dell’anima verso Dio — è sempre più reale. Dopo tanto dolore e tanti anni alla deriva, l’incontro con padre Pierre-Marie Delfieux, fondatore della fraternità monastica di Gerusalemme, insediata a SaintGervais, e la scoperta dell’amore “ricostituente” di Dio, capace di sanare ogni ferita e di aprire dovunque nuovi percorsi di libertà. Ora Véronique riconosce che quella Chiesa che prima accusava di oscurantismo ha «ricostruito la sua femminilità danneggiata», ed è la sua casa. Ora c’è spazio solo per Lui, «unica promessa mantenuta». sione, si è, almeno per ora, improvvisamente interrotta e attorcigliata attorno a un eterno presente dove tutti gli stili convivono e tutte le contaminazioni sono possibili. È come se il fiume dell’arte si fosse gettato dentro un vasto lago in cui può nuotare ogni genere di essere acquatico. A dominare le acque è ovviamente quella cultura estetica che ci siamo abituati a chiamare “arte contemporanea”, i cui confini di appartenenza e le cui graduatorie di successo sono determinate da una neanche troppo complessa alchimia fatta di mercanti, galleristi, musei e critici che contano. Nel bene e nel male essa è diventata l’estetica del nostro tempo. La sua egemonia però non impedisce l’esistenza, l’affermazione e il successo di altre tribù dell’arte, aggregate attorno a predilezioni formali non allineate, spesso debitrici di un passato figurativo tenuto a lungo ai margini dell’ortodossia artistica ufficiale. Nell’orbita di questi vasti cerchi concentrici hanno così cominciato a ruo- tare esperienze anche molto singolari, capaci di vasto consenso pubblico, anche quando non sempre fornite di un regolare permesso di soggiorno nella piena cittadinanza contemporanea dell’arte. Questo è il caso di Fernando Botero di cui è sbarcata a Palermo, nelle Sale di Duca di Montalto del Palazzo Reale, un’esposizione di opere a soggetto religioso intitolata «Via Crucis. La Pasiòn de Cristo», dopo aver fatto tappa a New York, Medellin, Lisbona e Panama. Assai sospetto alla critica di avanguardia, Fernando Botero, nato a Medellin nel 1932, si è conquistato una fama planetaria grazie all’invenzione di un universo iconografico abitato da figure più che grasse “espanse”, come preferirebbe definirle lo stesso artista, in cui uomini e cose acquistano dimensioni deformate e insolite, mettendo in scena situazioni sospese e quasi prive di tensione psicologica. La piacevolezza e in qualche caso l’evidente ironia di questi squarci di un mondo fantastico hanno decretato la fortuna di questo genere di pittura presso il largo pubblico, conquistato da una immediatezza quasi naive. Il primo sguardo corre subito alla citazione del realismo magico di Gabriel Garcia Marquez, benché Botero spergiuri di aver cominciato a lavorare secondo questo stile ben dieci anni prima che il grande scrittore colombiano scrivesse Cent’anni di solitudine. Diffi- Fernando Botero, «Cabeza de Cristo» e «Deposizione» (2010) cile però non percepire un analo- avendo pretese di profondità non go profumo di incantesimi in per questo muove una parte mequesta sorta di placido e sornione no vera di noi. Il prezzo che il tema della passortilegio di obesità sotto gli effetti del quale i suoi quadri ci in- sione paga all’ospitalità di questa vitano a osservare il mondo. pittura fantasmatica, debitrice Questa levità senza complessi tanto dei muralisti messicani nella quale galleggiano i suoi per- quanto dei classici italiani, è sonaggi ha fatto delle opere di quello di evaporare nell’aneddoBotero un emblematico esempio to, riallacciandosi ai sensi di una devozione che ha certamente sedi fortunato brand artistico. Cimentandosi con il tema della gnato molta della nostra tradizioPassione, la cifra drammatica per ne religiosa e che non smette eccellenza della storia dell’arte, nemmeno ora di reclamare le sue Fernando Botero sfida a duello i prerogative. Non è certamente di detrattori della sua “pittura faci- fronte a questa addomesticata le”, dei suoi soggetti privi di pro- memoria narrativa che il principe fondità, quasi intrisi di una inesorabile serena inesistenza. Non è la Cimentandosi col tema della Passione prima volta che prova a ospitare il dramma l’artista crea un equilibrio nella sua cifra stilistica. fra la paciosità delle forme Nel 2005 una serie di e la crudezza del contenuto dipinti mettevano in scena gli orrori di Abu Graib, camminando sul filo di un sottile equilibrio fra la residua paciosità Myškin, quello de L’idiota di Dodelle forme e la nota crudezza stojevski, rinnoverebbe i suoi del contenuto. Sullo stesso filo atroci dubbi di fede. Ma forse è a cammina anche questa Via crucis, logiche e ad affetti meno elitari intrisa dei sensi eccitati della reli- che queste opere si rivolgono. giosità popolare sudamericana e Così confessa Fernando Botero in al suo immaginario eclettico e va- una intervista: «Bisogna descriveriopinto. La tensione esistenziali- re qualcosa di molto locale, di stica e tragica della tradizione eu- molto circoscritto, qualcosa che si ropea del tema sembra stempera- conosce benissimo, per poter esta nel tono novellistico di un ri- sere capiti da tutti. Io mi sono cordo che non genera più dolore, convinto che devo essere parrocil racconto attorno al fuoco di chiale, nel senso di profondamenuna vicenda divenuta favola, ca- te, religiosamente legato alla realpace di parlare alla residua infan- tà, per poter essere universale». zia dell’adulto, quel tasto elemen- Spesso non esiste niente di più tare delle emozioni che pur non reale delle favole. Una Napoli dai colori accesi L’accoglienza di Carmen di GIUSEPPE FIORENTINO Come un piatto fortemente speziato, Carmen in scena al teatro Argentina di Roma sorprende per la varietà e gli accostamenti di sapori. Allo stesso modo di una pietanza dal gusto mediorientale, accosta aromi alla cui coesistenza il palato dello spetta- A Roma prima assoluta di Salvatore Sciarrino di MARCELLO FILOTEI Non ci sono più gli estremisti di una volta. Se anche Salvatore Sciarrino, che per decenni ci ha negato il sollievo di un solo intervallo consonante si mette a scrivere unisoni e ottave significa che qualcosa sta cambiando sul serio. Il compositore siciliano, che sabato scorso ha presentato in prima assoluta all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia La nuova Euridice secondo Rilke, sui versi dell’Orpheus, Eurydike, Hermes, di certo non ha cambiato linguaggio, ma, almeno in questo lavoro, particolarmente riuscito, a tratti l’ha reso più eufonico del solito. Certo se parti da un testo che Josif Brodskij considerava la più grande opera del Novecento sicuramente costruisci su fondamenta molto solide. Sul lavoro di Rilke Sciarrino rifletteva da molto tempo. Lui stesso ha tradotto e adattato i versi che ha usato e ne è scaturito un pezzo che ruota interamente intorno alla scrittura vocale. Lo scopo è quello di ottenere una drammaturgia scattante fatta di scene concepite quasi come fossero inquadrature cinematografiche dal montaggio molto Euridice tra Orfeo ed Hermes serrato. Un continuo mutamento di immagine drammatica sostenuto da una parte orchestrale fatta di ricerca timbrica, lunghi silenzi, e processi compositivi che scaturiscono dalle potenzialità degli stessi materiali sonori. Quando Antonio Pappano presenta il brano dal podio, come encomiabilmente fa sempre prima di un’opera contemporanea, il pubblico trema alla prospettiva di non trovare «un solo suono tradizionale» dall’inizio alla fine. Poi invece qualche nota si sente, e soprattutto la tensione è alta proprio perché costruita su multifonici degli archi, suoni multipli dei legni, campane percosse con tale forza da perdere l’intonazione, soffi, ruggiti gravissimi. È proprio questo, del resto, che rende Sciarrino quello che è: uno dei compositori più eseguiti al mondo. Ma il grosso, nel lavoro commissionato dall’Accademia di Santa Cecilia, lo fa la voce. Barbara Hanningan è una musicista eccezionale, dirige e can- ta come poche, soprattutto nel repertorio contemporaneo. Però è un soprano e se la parte scende in regioni molto gravi perde necessariamente di agilità. Il personalissimo atteggiamento vocale di Sciarrino, un marchio di fabbrica che lo rende inconfondibile, è fatto di portamenti tra una nota e l’altra: un glissato continuo, perfettamente coerente con la scrittura orchestrale. Quando, quasi sempre, canto e strumenti camminano assieme sul filo di intensi crescendo e diminuendo la tensione è altissima. Se, al grave, i movimenti vocali diventano meno fluidi, il canto vira verso un recitativo, quasi Sprechgesang, che rischia di allontanarlo dal resto. Pappano è preciso è dettagliato, entra dentro il lavoro e ne restituisce una lettura analitica. L’orchestra ha fatto grandi passi in avanti con lui e ora pare a proprio agio anche con il repertorio contemporaneo, sorretta da prime parti estremamente solide. Buona l’accoglienza del pubblico. Nella seconda parte successo per il Magnificat di Bach che ha visto impegnati anche il Coro e il Coro delle Voci Bianche preparati da Ciro Visco. tore non è abituato. Dolce e amaro e una punta di acido si alternano nella Napoli in cui lo spettacolo — basato sul testo di Enzo Moscato per la regia di Mario Martone e con la direzione musicale di Mario Tronco — è ambientato. Una Napoli dai colori accesi, come una qualunque metropoli mediterranea, dove la storia di Carmèn (secondo la pronuncia partenopea) è solo un pretesto per una riflessione che, partendo dalla denuncia delle violenze contro le donne, si allarga fino a divenire un apologo dell’accoglienza. E con queste premesse a chi poteva essere affidato il commento musicale — tratto molto liberamente dall’Opera di Bizet — se non all’Orchestra di Piazza Vittorio? L’ensemble multietnico, nato proprio per favorire l’integrazione culturale nel quartiere romano dell’Esquilino, è anzi un vero protagonista dello spettacolo. Come Iaia Forte la quale, nei panni di Carmèn, suggerisce al pubblico le tante letture possibili del testo. È lei infatti che denuncia l’ottusa violenza di José, sottolineandone l’incapacità di intendere il diverso. Di José — caratterizzato in questa Napoli levantina da una forte pronuncia veneta — la protagonista dice: «Viene dall’altra Italia» e non dall’alta Italia, come sarebbe lecito aspettarsi. Una definizione a suo modo illuminante, che spiega il distacco dalla realtà di quanti rifiutano la principale qualità di un mondo ogni giorno più piccolo, in cui sono destinate a coesistere persone, culture e religioni diverse. Imporre con la forza e la violenza la propria identità — sia di genere, sia politica o religiosa — conduce solo a disastri, genera sofferenza e risentimento. Lo impara a sue spese José, il quale, dopo avere accecato l’oggetto — e non la persona — dei suoi desideri, termina i suoi giorni nel carcere di Procida. Lo comunica alla fine dello spettacolo la stessa Carmèn, la quale, benché priva di vista, “vede” con chiarezza che la chiave per aprirsi al futuro è proprio l’accoglienza. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 lunedì-martedì 30-31 marzo 2015 Visita dei vescovi statunitensi al centro di detenzione texano per immigrati Il dramma delle famiglie nel carcere di Dilley A Brasilia una settimana dedicata al dialogo con i giovani Missione per le nuove vocazioni BRASILIA, 30. Missione, gioventù e vita consacrata sono i temi affrontati nel corso della quarta Settimana vocazionale, appena conclusasi a Brasilia. Il tema di quest’anno è stato: «Chiamati a risvegliare il mondo: Vangelo, profezia e speranza». L’iniziativa è stata promossa dal Centro culturale missionario (Ccm) in collaborazione con la Conferenza dei religiosi del Brasile (Crb) e la commissione episcopale per i ministeri ordinati e la vita religiosa. Alla settimana vocazionale hanno preso parte una quarantina di rappresentanti provenienti da tutto il Brasile, fra sacerdoti, religiosi, religiose e laici, con l’obiettivo di qualificare il servizio di animazione missionaria. Padre Stephen Raschietti, direttore del Ccm, e padre Jaime Carlos Patias, segretario nazionale della Pontificia unione missionaria, hanno invitato i partecipanti a riflettere in particolare sul tema: «Missione e cooperazione missionaria: linee guida per l’animazione missionaria nella Chiesa in Brasile». Nella sua presentazione, padre Raschietti ha sottolineato l’importanza della dimensione missionaria come fondazione intrinseca della vocazione. «L’animatore vocazionale — ha sottolineato il sacerdote — è il missionario per eccellenza: perché Gesù ha inviato i suoi fratelli non per fare opere, ma per fare discepoli». Padre Patias ha invece puntato l’attenzione sull’importanza del coordinamento tra animazione vocazionale e animazione missionaria. Nel presentare il quadro delle istituzioni missionarie in Brasile, riunite nei consigli missionari in ambito diocesano, regionale e nazionale, il religioso ha chiesto che anche le agenzie di promozione vocazionale facciano parte di queste importanti realtà: «L’animazione missionaria e vocazionale devono andare insieme: arricchirsi l’uno con l’altro, guardare nella stessa direzione, proporre prospettive di impegno e di coinvolgimento concreto per la generosa gioventù di oggi». Durante i lavori, padre Valdecir Ferreira, presidente della commissione episcopale per il ministero ordinato e la vita consacrata, e don Antonio Ramos Prado, consigliere del settore giovanile della Conferenza episcopale brasiliana, hanno focalizzato la loro attenzione sul dialogo costante tra pastorale giovanile e animazione vocazionale. «Non ci sono più vocazioni tra i giovani. È perché non sono più interessati?» si è chiesto padre Valdecir. «Noi — ha detto il religioso — lavoriamo per cambiare la mentalità, la sensibilità, per avviare una nuova pratica e una nuova pedagogia vocazionale. Percepiamo che al momento la missione è collocata come fine e non come processo. Dobbiamo recuperare la missione come itinerario». Dalle religiose presenti è arrivato il contributo di suor Zenilda Petry, consigliera del Crb nazionale, che ha parlato della vocazione missionaria profetica nella vita religiosa nella Chiesa e nel mondo di oggi. Per suor Maria Dolores Silva, invece, questa settimana di lavoro è stata un’importante opportunità di condivisione, che ha aiutato a crescere e ad ampliare gli orizzonti dell’animazione vocazionale. «La sfida più grande — ha sottolineato la religiosa — è quella di scoprire che cosa cercano e cosa vogliono i giovani di oggi. Abbiamo delle proposte, ma non è quello che i giovani vogliono da noi. Quindi, dobbiamo cambiare la nostra mentalità e sperimentare una nuova cultura per capire il linguaggio di oggi». I partecipanti si sono trovati d’accordo nell’affermare che la vita consacrata è chiamata oggi a risvegliare il mondo e non deve rassegnarsi al pessimismo. «La sfida più grande — ha concluso Rafaeli Gonçalves de Meira, dell’Istituto secolare Sacro cuore di Gesù di Tapaborã — è quella di raggiungere i giovani. O meglio, permettere ai giovani di venire da noi». SAN ANTONIO, 30. Una testimonianza importante. Perché si accendano i riflettori sul dramma di intere famiglie di immigrati irregolari detenute in carcere. Per dimostrare ancora una volta come il tema dell’immigrazione deve essere affrontato presto e con efficacia. Per ricordare che la Chiesa è pronta a ogni sforzo per dare dignità alle persone in fuga dalla povertà e dalla violenza. È questo il significato della visita di una delegazione della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (Usccb) presso il centro di detenzione di Dilley, in Texas. L’episcopato da tempo sta sollecitando il Congresso a porre mano a una riforma seria delle norme attualmente in vigore. Uno sforzo che si è intensificato lo scorso anno a seguito della crescita esponenziale degli arresti di minori non accompagnati provenienti dall’America centrale. «Dopo questa visita — ha detto monsignor Gustavo Garcia-Siller, arcivescovo di San Antonio — la mia domanda principale è: perché? Perché mettere in stato di detenzione queste persone vulnerabili, madri giovani e traumatizzate che, con i loro figli, sono fuggite dalla persecuzione nei loro Paesi di origine? Una grande nazione come la nostra non può incarcerare le persone più vulnerabili in nome della deterrenza. Il carattere morale di una società si giudica da come tratta i più vulnerabili. La politica che autorizza la detenzione di intere famiglie è per il nostro Paese una vergogna e dunque imploro le nostre autorità elette dal popolo di porvi fine subito». Già in diverse occasioni i vescovi degli Stati Uniti hanno chiesto alle autorità del loro Paese di proteggere i minorenni che viaggiano da soli verso la frontiera del Messico, per lo più senza documenti legali. I pericoli che affrontano nel lungo viaggio configurano una vera e Messaggio pasquale dei vescovi argentini della Patagonia Bisogna aprire gli occhi alla giustizia BUENOS AIRES, 30. Un invito a guardare alla vita con occhi nuovi, aperti alla verità e alla giustizia viene dai vescovi argentini della regione Patagonia-Comahue, Che hanno diffuso nei giorni scorsi il messaggio pasquale dal titolo «Guarda le mie mani e i miei piedi. Sono proprio io». L’esortazione è a vivere «con la forza e l’audacia dello Spirito, per renderlo presente nel fango della nostra vita e nel nostro mondo». Consapevoli della realtà di violenza, egoismo, indifferenza, negligenza ed esclusione nella quale spesso ci si trova a vivere, i vescovi propongono «la rivoluzione della tenerezza, per decidere del bene comune e costruire una società che si occupi e preoccupi della felicità di tutti». Con l’invito a «non rimanere indifferenti», i presuli spiegano nel loro messaggio che il mondo sarebbe migliore se tutti, a seconda del luogo e della responsabilità che compete a ognuno, lavorassero per il bene e la felicità di ognuno. Nel messaggio, inoltre, ricordano che chi segue Gesù «non può restare indifferente», occupato solo del suo proprio benessere. La Patagonia argentina è una zona che presenta problematiche complesse. La popolazione indigena, che vi abita, si trova a dover affrontare la minaccia di progetti minerari i cui effetti sociali sono pesanti. La stessa conformazione geografica del territorio, ostacolando gli spostamenti, rende le condizioni di vita più severe. La Chiesa in questa regione ha sempre incoraggiato e sostenuto l’impegno della popolazione per uno sviluppo integrale e per la difesa dei diritti umani. Anche lo scorso anno, in occasione della Pasqua, i presuli della Patagonia avevano sottolineato che «l'istruzione pubblica deve promuovere il valore e la cura per la vita, lo sviluppo integrale delle persone e la convivenza sociale». Secondo i presuli, la pace sociale si raggiunge in particolare «con il lavoro per tutti, dignitosamente pagato, e la partecipazione di tutti nelle decisioni che quotidianamente possono indirizzare al bene comune». In generale, i vescovi argentini hanno esortato la popolazione a «costruire insieme un Paese più fraterno e a rinnovare l’impegno per la pace», ricordando che questo dono è «sempre una sfida per tutti gli uomini e le donne di buona volontà». Inoltre, i presuli hanno più volte sottolineato che «ciò che mette a rischio la pace è radicato nel cuore dell’uomo ferito dal peccato e le sue conseguenze si vedono negli squilibri economici e sociali che richiedono un ordine mondiale più giusto; nel disprezzo della vita, che è il diritto fondamentale dell’individuo; nel reato del traffico di droga e nella tratta delle persone». Anche la tossicodipendenza e il commercio egli stupefacenti è infatti una piaga che la Chiesa è da tempo impegnata a combattere. propria emergenza umanitaria. «Sono bambini estremamente esposti ai trafficanti di persone senza scrupoli — ha dichiarato il presidente del Comitato per le migrazioni della Conferenza episcopale e vescovo ausiliare di Seattle, monsignor Eusebio L. Elizondo — e devono essere protetti». A sostegno delle migliaia di giovani migranti disperati c’è sempre la Chiesa cattolica. Il gesuita Pedro Pantoja Arreola, direttore della Posada Belén di Saltillo, nello Stato messicano di Coahuila, da diversi anni gestisce un rifugio che offre ricovero a giovani emigranti centroamericani che intraprendono la cosiddetta rotta del Golfo, a differenza di altri che preferiscono quella del Pacifico o delle zone montagnose della Sierra Madre. Da quando è stato aperto, nel 2000, l’ostello ha ospitato più di cinquantamila persone. Racconta il religioso: «Sono sempre di più i minorenni che si uniscono al flusso dei migranti e anche il crimine organizzato è sempre più attivo nel reclutare emigranti adolescenti». Il sacerdote e il suo gruppo, tra cui alcune religiose, furono tra i primi a denunciare il sequestro e l’assassinio dei migranti, nel 2010: settantadue barbaramente uccisi nella località di San Fernando. Poi i fatti del 2011 a Tamaulipas, quasi duecento cadaveri ritrovati in una fossa comune, e quelli di Cadereyta, quarantanove corpi disseppelliti nello Stato di Nuevo León il 13 maggio 2012. Secondo la portavoce della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, Norma Montenegro Flyn, la vi- sita a Dilley «ci aiuterà a fare proposte al Congresso, anche se diversi vescovi hanno già fornito le loro testimonianze in passato». La delegazione era composta, oltre che dall’arcivescovo Garcia-Siller e dal vescovo Eusebio Elizondo, dal vescovo di Laredo, monsignor James Anthony Tamayo, e da due vescovi luterani, Julian Gordy e Michael Rinehart. Secondo la Conferenza episcopale statunitense, circa sessantottomila famiglie del Centroamerica sono fuggite dalla violenza e dalla povertà dei loro Paesi. «Il Governo — ha detto il vescovo Tamayo — dovrebbe considerare vie alternative alla detenzione di queste famiglie, luoghi dove possano vivere in comunità e avere accesso ai servizi di cui necessitano, compresa l’assistenza legale. La Chiesa è pronta a sostenere questo sforzo». L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 30-31 marzo 2015 pagina 7 Messaggio per l’anniversario della nascita di Mahavir Jayanti Chiesta dai fedeli indiani Una Pasqua senza violenze Nelle celebrazioni da Gerusalemme al Libano il pressante bisogno di pace Le palme del Medio oriente GERUSALEMME, 30. La persecuzione dei cristiani nel mondo, le loro particolari sofferenze in Medio oriente, l’odio religioso che ha animato gli atti terroristici in Europa attribuiscono alla celebrazione della settimana che precede la Pasqua in Terra santa un significato ancora più profondo. L’invito alla pace, al dialogo e alla riconciliazione viene così lanciato da Gerusalemme a Beirut a ogni parte del pianeta dove si hanno a cuore quanti sono perseguitati per la loro fede. Sono state molte le persone che hanno partecipato al rito della domenica delle Palme a Gerusalemme. Il patriarca latino, monsignor Fouad Twal, ha preso parte alla processione che si è svolta dal villaggio di Betfage (Monte degli Ulivi) alla chiesa di Sant’Anna. Un rito che — come ricorda il sito del patriarcato — antichi manoscritti testimoniano avvenire nella città santa sin dal IV secolo dell’era cristiana. Diciassette secoli dopo, la tradizione è più viva che mai e la comunità cristiana — soprattutto quella cattolica di rito latino — ne ha fatto un appuntamento irrinunciabile per entrare nella settimana che prelude alla Pasqua di risurrezione. Accanto a Twal c’era il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, e numerose personalità politiche. La memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme è particolarmente sentita dalle comunità cristiane palestinesi e da quelle in Israele. Secondo alcune stime sono state circa cinquemila le persone, di diversa nazionalità, che hanno partecipato alla processione. Le autorità israeliane hanno concesso il permesso a circa il 70 per cento dei richiedenti nei territori palestinesi. Molti, secondo quanto riferito da padre Mario Cornioli, del patriarcato latino di Gerusalemme, anche i cristiani palestinesi provenienti da Nazareth e i cristiani di lingua ebraica israeliani. «Questa processione — ha detto padre Cor- nioli — è un messaggio di speranza e di convivenza soprattutto per i cristiani palestinesi che ripercorrono i passi di nostro Signore ed entrano senza limitazioni nella città santa». Per molti fedeli, il clima della processione è stato “impressionante” per la gioia dei partecipanti e per l’intensità spirituale che l’ha circondata. La chiesa di Sant’Anna — nel quartiere musulmano di Gerusalemme, dove secondo il Vangelo Gesù compì il suo primo miracolo — è stata raggiunta attraverso la porta dei leoni, uno dei principali ingressi alla città vecchia di Gerusalemme. Anche a Beirut, così come in altre città libanesi, la comunità cristiana ha preso parte numerosa alla tradizionale processione e alle celebrazioni della domenica delle palme. L’arcivescovo di Beirut dei Maroniti, monsignor Paul Youssef Matar, ha invitato i leader religiosi e i fedeli di tutte le comunità ecclesiali a riconciliarsi l’uno con l’altro nel rispetto della loro dignità e dei loro diritti, al fine di vivere in un mondo armonioso, in un clima di pace, e lontano da guerre e conflitti. In particolare, ha espresso l’auspicio che il Medio oriente possa al più presto vivere riconciliato. Anche il vescovo di Sidone dei Maroniti, monsignor Elias Nassar, durante l’omelia che ha preceduto la processione, ha sottolineato «l’importanza dell’amore e dell’umiltà per accedere al regno di Dio». Secondo il presule, riuscire a stare insieme in queste occasioni è molto importante perché è come se si costruisse uno schermo a protezione di tutti i libanesi. La necessità di preservare l’unità dei libanesi e di un dialogo sincero tra tutte le parti in campo per uscire dalla crisi politica e poter eleggere il capo di Stato in Libano, è stata sottolineata dai presuli durante le cele- brazioni eucaristiche nelle chiese di San Giovanni e di Mar Saba. Inoltre, il vescovo ausiliare di Joubbé, Sarba e Jounieh dei Maroniti, monsignor Maroun Ammar, ha evidenziato i valori veicolati dal rito delle palme, fra i quali la semplicità e l’accettazione degli altri: le due condizioni per rafforzare, secondo il presule, l’unità sociale e nazionale. Tutta la Chiesa si stringe attorno ai fedeli del Medio oriente: un appello affinché «i cristiani non siano costretti a lasciare quella che da sempre è la loro patria» è stato rivolto dai vescovi e dagli abati territoriali della Chiesa in Svizzera a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. «È con il cuore gonfio di tristezza — si legge nel documento diffuso dai presuli — che guardiamo al Medio oriente. Non possiamo non vedere l’emergenza degli sfollati, le violenze e le sofferenze di un numero troppo grande di persone. Ed è con grande preoccupazione che assistiamo al protrarsi dei conflitti; siamo profondamente delusi dal fatto che la disponibilità a trovare una soluzione dipenda fortemente dagli interessi di parte e da fattori politico economici. Il senso di umanità, di responsabilità per la collettività, l’amore del prossimo, la libertà e la giustizia — si legge ancora nel testo dei presuli elvetici — sono valori da rispettare anche e soprattutto in Medio oriente, culla della nostra fede». In particolare, i vescovi richiamano l’importanza di sostenere le istituzioni ecclesiali che spesso rappresentano «un barlume di speranza anche nei momenti bui». Infine, l'invito ai fedeli a essere «solidali e uniti ai fratelli e alle sorelle dei Paesi in cui è nato il cristianesimo» e a mostrarsi generosi con loro attraverso offerte e preghiere. MUMBAI, 30. «Chiediamo che alle indifese comunità cristiane sia garantita incolumità e sicurezza mentre partecipiamo alle cerimonie della passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo». È quanto chiede Sajan K. George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) alla Commissione nazionale per le minoranze in India, dopo gli ultimi episodi di violenza contro chiese e persone da parte di radicali indù. «I cristiani in India — ha dichiarato ad AsiaNews il presidente del Gcic — sono in apprensione per la lentezza con cui si muove il sistema della giustizia criminale davanti agli attacchi contro le minoranze. Ciò ha reso i fedeli insicuri e timorosi». L’ultimo inquietante episodio in ordine di tempo si è verificato, domenica, a Sringar, dove il reverendo Paul Augustine, coordinatore per il Kashmir del Gcic, è stato arrestato mentre stava partecipando a un servizio religioso. Augustine è ora in prigione con l’accusa di «fomentare scontri interreligiosi». La famiglia e la comunità cristiana sono preoccupate per la sua vita. «In India la minuscola popolazione cristiana si trova fra l’incudine e il martello. La legge della maggioranza — ha detto il presidente del Gcic — prevale e, laddove chi è più numeroso impone il suo credo e le sue pratiche, le minoranze sono in pericolo». Contro le cosche mafiose In Calabria nuove regole per le processioni TROPEA, 30. Per porre fine alla strumentalizzazione dei riti religiosi da parte delle cosche mafiose, il vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, monsignor Luigi Renzo, ha disposto un nuovo regolamento stabilendo che le effigi sacre saranno portate in processione da persone scelte a sorte. Dall’elenco di chi si prenota saranno esclusi le associazioni sospette di infiltrazoni e persone che siano «sotto processo per associazione mafiosa o che siano incorsi in condanna per mafia». Cristiani e giainisti insieme per gli anziani «Cristiani e giainisti insieme per promuovere la cura degli anziani» è il tema del messaggio inviato dal Pontificio consiglio per il Dialogo Interreligioso ai giainisti nella festa di Mahavir Jayanti 2015 Pubblichiamo una nostra traduzione italiana del testo firmato dal cardinale presidente Jean-Louis Tauran e dal segretario, il comboniano Miguel Ángel Ayuso Guixot. Cari amici giainisti, 1. Il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso con grande gioia vi porge i suoi saluti nell’anniversario della nascita del Tirthankar (esploratore) Vardahaman Mahavir, che quest’anno si celebra in tutto il mondo il 2 aprile. Possano le celebrazioni di questa festa rafforzare e rinnovare l’amicizia e la vicinanza tra gli individui e le famiglie, nonché consolidare il vostro impegno a promuovere la cura per tutti gli esseri viventi, in particolare gli anziani nelle famiglie e nelle comunità, per una maggiore pace, armonia e felicità nel mondo. 2. Portando avanti una onorata tradizione, quest’anno riflettiamo su come noi, cristiani e giainisti, possiamo promuovere insieme la cura per gli anziani. In molte società nel mondo la gente tende a rifiutare gli anziani. Altrettanto preoccupante e deplorevole è il fatto che molti anziani, specialmente quelli malati e soli, vengono abbandonati dalle famiglie e dai parenti perché percepiti come un problema, un peso e uno scarto, o che vengono trattati come i nuovi fuoricasta del mondo contemporaneo, serviti con pochissimo contatto e cure. Questa tendenza sta crescendo e causando preoccupazione nella nostra società. Papa Francesco giustamente sottolinea che ogni società in cui «gli anziani o sono scartati [...] porta con sé il virus della morte» (Udienza generale, 4 marzo 2015) e un popolo che «non custodisce i suoi anziani [...] è un popolo senza futuro, un popolo senza speranza» (Discorso alla Comunità di Sant’Egidio, 15 giugno 2014). Il compito di garantire le cure dovute agli anziani diventa dunque una nobile priorità per tutti, nonché un imperativo etico vincolante per tutti i Governi e le comunità politiche. 3. Gli anziani sono i principali pilastri delle nostre famiglie multigenerazionali. Vivono con noi come nostro tesoro e nostra benedizione, poiché ci trasmettono non soltanto le loro ricche esperienze di vita e di fede, ma anche la storia delle nostre famiglie e comunità. Questi “tesori” vanno protetti con affetto e assistiti con gratitudine, di modo che possano continuare a ispirare e a guidare le persone con la loro saggezza, frutto di tutta una vita. È innegabile che nel mondo c’è ancora un numero consistente di famiglie che, fedeli alle loro tradizioni, ai loro valori e alle loro convinzioni, si prendono cura in modo esemplare degli anziani: i bambini in queste famiglie, e perfino i parenti e gli amici, spesso fanno grandi sacrifici e compiono uno sforzo in più per servire gli anziani. È una cosa lodevole, poiché fanno ciò che è bene e giusto nel rispetto dei loro genitori, nonni e parenti anziani e bisognosi di cure, attenzione e assistenza. Mentre prendersi cura degli anziani è un dovere morale e sacro vincolante per gli individui e la società, l’assistenza professionale e medica offerta da operatori sanitari competenti e caritatevoli va considerata come la misura che la società adotta per assicurare cure agli anziani. 4. Tutte le religioni spiegano gli obblighi morali che i figli hanno verso i propri genitori e anziani, specialmente quello di prendersi cura di loro, con rispetto e amore, sino al termine della loro vita terrena. La Sacra Bibbia dice: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio» (Esodo 20, 12). E dice anche: «Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele» (1 Tm 5, 8). Il giainismo pone grande enfasi sul rispetto della vita; per quanto riguarda gli esseri umani, tale rispetto significa promuovere la dignità di ogni persona e di tutto ciò che questo comporta. 5. La crescente incuria verso gli anziani da parte dei giovani e la tendenza a sottrarsi alla responsabilità filiale verso i genitori e i nonni, pertanto, invitano tutti noi, credenti e altri, a risvegliare in noi, a livello sia personale sia collettivo, un senso di gratitudine, di affetto e di responsabilità verso i nostri genitori, nonni o altre persone anziane. Fare loro sentire di essere parte viva delle nostre famiglie, comunità e società e che siamo sempre in debito con loro è un modo certo per sfidare la cultura dello “scarto”. Ciò è possibile solo «con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani» (Papa Francesco, Udienza generale, 11 marzo 2015). Che noi cristiani e giainisti, come persone radicate nelle nostre rispettive tradizioni religiose e consapevoli della nostra comune responsabilità verso la società, unendo le nostre mani a quelle di altri, possiamo promuovere una cultura in cui gli anziani siano amati, rispettati e in cui ci si prenda cura di loro! Auguro a tutti voi un felice Mahavir Jayanti! La settimana santa nella tradizione bizantina Lutto nell’episcopato Monsignor Juan Carlos Maccarone, vescovo emerito di Santiago del Estero, in Argentina, è morto la mattina di domenica 29 marzo, alle ore 7. Il compianto presule era nato in Buenos Aires il 19 ottobre 1940 ed era stato ordinato sacerdote il 7 dicembre 1968. Eletto alla Chiesa titolare di Mauriana e nel contempo nominato ausiliare di Lomas de Zamora il 30 gennaio 1993, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 21 aprile. Trasferito alla sede residenziale di Chascomús il 3 luglio 1996, era stato nominato poi vescovo di Santiago del Estero il 18 febbraio 1999. Aveva rinunciato al governo pastorale il 19 agosto 2005. Oggi, lunedì 30, si celebra la messa di suffragio nel Cottolengo di Don Orione a Claypole, in diocesi di Lomas de Zamora, dove monsignor Maccarone ha vissuto gli ultimi anni. Ecco lo sposo arriva nel mezzo della notte La liturgia della settimana santa nella tradizione bizantina scandisce tutto il mistero della passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, celebrazione che inizia già il sabato della risurrezione di Lazzaro e la domenica delle Palme con l’ingresso regale di Cristo a Gerusalemme. Da lunedì a mercoledì santo si celebra l’ufficiatura mattutina e quindi nelle ore serali la liturgia dei Doni presantificati, in tre giorni che contemplano la figura di Cristo sposo della Chiesa che le viene incontro nella sua croce, il vero talamo nuziale. Nel giorno di giovedì santo si celebra la Divina liturgia di san Basilio, dove si contemplano i misteri di Cristo che lava i piedi ai discepoli, che si dà come pane di vita, che è tradito e portato alla passione. Il venerdì santo raduna la Chiesa attorno alla croce di Cristo, luogo di sofferenza, di sconfitta, ma anche di vittoria di colui che vi è appeso. Il sabato santo invece raccoglie la comunità dei fedeli attorno alla tomba di Cristo, una tomba bella, adorna di fiori, vero luogo della celebrazione di questo sabato benedetto; nel mattutino, celebrato la sera di venerdì, si cantano gli enkòmia, canto sì di lamento, ma soprattutto di speranza attorno al sepolcro di co- lui che è la vita. Nel mattino del sabato viene celebrata di nuovo la Divina liturgia di san Basilio, con le letture veterotestamentarie che introducono i fedeli alla celebrazione di colui che risorge per giudicare la terra. A notte fonda inizia l’ufficiatura del mattutino di Pasqua, con la proclamazione del vangelo della risurrezione, il canto delle bellissime odi di san Giovanni Damasceno e la Divina liturgia di san Giovanni Crisostomo. Al vespro della domenica di Pasqua si proclama la pericope evangelica in diverse lingue, quelle dei fedeli presenti nella celebrazione. Le celebrazioni nella tradizione bizantina si tengono a Roma in alcune chiese che seguono questa liturgia, come in quella di Sant’Atanasio a via del Babuino, dove viene celebrata dalla comunità del Pontificio collegio greco. Fondato da Gregorio XIII il 13 gennaio 1576, il collegio è il più antico tra quelli orientali di Roma e nel 1591 venne affidato ai gesuiti. Dal 1586 Sisto V riservò agli alunni del collegio il privilegio di cantare l’epistola e il vangelo in greco nelle messe papali solenni. Nel 1897 Leone XIII decise di affidare ai monaci benedettini, nella persona dell’abate primate di Sant’Anselmo, la re- sponsabilità del Pontificio collegio greco, esercitata oggi in piena collaborazione con la Congregazione per le Chiese orientali. Nella chiesa di Sant’Atanasio quest’anno la liturgia dei Presantificati si tiene lunedì, martedì e mercoledì santo alle 18.45. Giovedì il vespro e la liturgia di san Basilio iniziano alle 10.30, mentre l’ufficio della Passione, con la lettura dei Dodici vangeli è alle 18. Venerdì santo alle 10 si celebrano l’ora nona, il vespro e la deposizione dalla croce, mentre alle 18 si tiene l’Epitàphios thrìnos, seguito dal canto degli enkòmia e dalla suggestiva processione che esce dalla chiesa, arriva al Collegio greco percorrendo un brevissimo tratto di via del Babuino per rientrare a San’Atanasio. Sabato alle 10 vengono celebrati il vespro e la liturgia di san Basilio e alle 23 inizia la celebrazione del Mesonyktikòn, seguita dall’Anàstasis, dal mattutino e dalla liturgia di san Giovanni Crisostomo. Questa viene celebrata anche la mattina di Pasqua alle 10.30, mentre alle 19 iniziano il vespro e la proclamazione del vangelo in diverse lingue. (manuel nin) L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 lunedì-martedì 30-31 marzo 2015 Nella domenica delle Palme il Pontefice ricorda i cristiani perseguitati e invita a seguire Gesù sulla strada dell’umiltà Con i martiri di oggi Nomine episcopali I «martiri di oggi» sono coloro che seguono la via di Dio e «pagano di persona» per «il loro comportamento fedele al Vangelo». Lo ha ricordato Papa Francesco all’omelia della messa celebrata in piazza San Pietro nella mattina del 29 marzo, domenica delle Palme. Al centro di questa celebrazione, che appare tanto festosa, c’è la parola che abbiamo ascoltato nell’inno della Lettera ai Filippesi: «Umiliò sé stesso» (2, 8). L’umiliazione di Gesù. Questa parola ci svela lo stile di Dio e, di conseguenza, quello che deve essere del cristiano: l’umiltà. Uno stile che non finirà mai di sorprenderci e di metterci in crisi: a un Dio umile non ci si abitua mai! Umiliarsi è prima di tutto lo stile di Dio: Dio si umilia per camminare con il suo popolo, per sopportare le sue infedeltà. Lo si vede bene leggendo la storia dell’Esodo: che umiliazione per il Signore ascoltare tutte quelle mormorazioni, quelle lamentele! Erano rivolte contro Mosè, ma in fondo andavano contro di Lui, il loro Padre, che li aveva fatti uscire dalla condizione di schiavitù e li guidava nel cammino attraverso il deserto fino alla terra della libertà. In questa Settimana, la Settimana Santa, che ci conduce alla Pasqua, noi andremo su questa strada dell’umiliazione di Gesù. E solo così sarà “santa” anche per noi! Sentiremo il disprezzo dei capi del suo popolo e i loro inganni per farlo cadere. Assisteremo al tradimento di Giuda, uno dei Dodici, che lo venderà per trenta denari. Vedremo il Signore arrestato e portato via come un malfattore; abbandonato dai discepoli; trascinato davanti al sinedrio, condannato a morte, percosso e oltraggiato. Sentiremo che Pietro, la “roccia” dei discepoli, lo rinnegherà per tre volte. Sentiremo le urla della folla, sobillata dai capi, che chiede libero Barabba, e Lui crocifisso. Lo vedremo schernito dai soldati, coperto con un mantello di porpora, coronato di spine. E poi, lungo la via dolorosa e sotto la croce, sentiremo gli insulti della gente e dei capi, che deridono il suo essere Re e Figlio di Dio. Questa è la via di Dio, la via dell’umiltà. È la strada di Gesù, non ce n’è un’altra. E non esiste umiltà senza umiliazione. Percorrendo fino in fondo questa strada, il Figlio di Dio ha assunto la “forma di servo” (cfr. Fil 2, 7). In ef- Le nomine di ieri e di oggi riguardano le Chiese in Giappone e in Mozambico. Michael Gorō Matsuura, vescovo di Nagoya (Giappone) fetti, umiltà vuol dire anche servizio, vuol dire lasciare spazio a Dio spogliandosi di sé stessi, “svuotandosi”, come dice la Scrittura (v. 7). Questa — svuotarsi — è l’umiliazione più grande. C’è una strada contraria a quella di Cristo: la mondanità. La mondanità ci offre la via della vanità, dell’orgoglio, del successo... È l’altra via. Il maligno l’ha proposta anche a Gesù, durante i quaranta giorni nel deserto. Ma Gesù l’ha respinta senza esitazione. E con Lui, con la sua grazia soltanto, col suo aiuto, anche noi possiamo vincere questa tentazione della vanità, della mondanità, non solo nelle grandi occasioni, ma nelle comuni circostanze della vita. Ci aiuta e ci conforta in questo l’esempio di tanti uomini e donne che, nel silenzio e nel nascondimento, ogni giorno rinunciano a sé stessi per servire gli altri: un parente malato, un anziano solo, una persona disabile, un senzatetto... Pensiamo anche all’umiliazione di quanti per il loro comportamento fedele al Vangelo sono discriminati e pagano di persona. E pensiamo ai nostri fratelli e sorelle perseguitati perché cristiani, i martiri di oggi — ce ne sono tanti — non rinnegano Gesù e sopportano con dignità insulti e oltraggi. Lo seguono sulla sua via. Possiamo parlare in verità di “un nugolo di testimoni”: i martiri di oggi (cfr. Eb 12, 1). Durante questa Settimana, mettiamoci anche noi decisamente su questa strada dell’umiltà, con tanto amore per Lui, il nostro Signore e Salvatore. Sarà l’amore a guidarci e a darci forza. E dove è Lui, saremo anche noi (cfr. Gv 12, 26). All’Angelus il saluto ai giovani riuniti per la trentesima giornata mondiale Verso Cracovia Durante la preghiera dell’Angelus, recitato al termine della messa di domenica delle Palme, Papa Francesco ha salutato in particolare i giovani riuniti in occasione della trentesima giornata mondiale della gioventù invitandoli a lasciarsi «riempire dalla tenerezza del Padre». «Ingresso di Gesù in Gerusalemme» (XIII secolo, pontificale, biblioteca della cattedrale di Toledo) Al termine di questa celebrazione, saluto con affetto tutti voi qui presenti, in particolare i giovani. Cari giovani, vi esorto a proseguire il vostro cammino sia nelle diocesi, sia nel pellegrinaggio attraverso i continenti, che vi porterà l’anno prossimo a Cracovia, patria di san Giovanni Paolo II, iniziatore delle Giornate Mondiali della Gioventù. Il tema di quel grande Incontro: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7), si intona bene con l’Anno Santo della Misericordia. Lasciatevi riempire dalla tenerezza del Padre, per diffonderla intorno a voi! E ora ci rivolgiamo in preghiera a Maria la nostra Madre, perché ci aiuti a vivere con fede la Settimana Santa. Anche Lei era presente quando Gesù entrò in Gerusalemme acclamato dalla folla; ma il suo cuore, come quello del Figlio, era pronto al sacrificio. Impariamo da Lei, Vergine fedele, a seguire il Signore anche quando la sua via porta alla croce. Affido alla sua intercessione le vittime della sciagura aerea di martedì scorso, tra le quali vi era anche un gruppo di studenti tedeschi. Dopo la recita della preghiera mariana e la benedizione, il Pontefice ha aggiunto: Vi auguro una Santa Settimana in contemplazione del Mistero di Gesù Cristo. Nel ricordo delle vittime della sciagura aerea Nel giorno in cui in tutto il mondo si è celebrata la trentesima giornata mondiale della gioventù, il pensiero e la preghiera di Papa Francesco sono andati alle giovani vittime della sciagura aerea di martedì scorso, il gruppo di studenti tedeschi che hanno perso la vita nello schianto avvenuto sulle Alpi francesi. Il Pontefice li ha affidati alla Vergine Maria durante l’Angelus pronunciato sul sagrato della Convegno dei formatori a Roma Laboratori di vita consacrata Un convegno di formatori e formatrici alla vita religiosa si svolgerà a Roma dall’8 all’11 aprile, nell’ambito delle iniziative organizzate per l’Anno dei consacrati. Provenienti da ogni parte del mondo, in 1.200 si confronteranno sui fondamenti dell’identità del consacrato e sulle esigenze formative nell’epoca contemporanea. Oltre alle relazioni sono in programma più di cinquanta laboratori su tematiche di attualità. Chiuderà i lavori un forum sulla formazione nella visione interdicasteriale, con la partecipazione del cardinale Stella, prefetto della Congregazione per il clero, e degli arcivescovi Rodríguez Carballo e Zani, segretari rispettivamente delle Congregazioni per la vita consacrata e per l’educazione cattolica. Alla vigilia, martedì 7 aprile, si terrà una veglia di preghiera nella parrocchia di San Gregorio VII. Sabato mattina, 11 aprile, il cardinale Braz de Aviz, prefetto del dicastero organizzatore, celebrerà la messa in San Pietro. basilica di San Pietro, domenica mattina, 29 marzo, a conclusione della concelebrazione eucaristica nella domenica delle Palme e della Passione del Signore, alla quale hanno partecipato settantamila fedeli. Il Papa, vestito con il piviale rosso, è giunto intorno alle 9.30 e dal Braccio di Costantino ha raggiunto a piedi l’obelisco al centro della piazza, dove ha avuto inizio il rito con la commemorazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. A precederlo in processione i cardinali e i vescovi concelebranti, un gruppo di sacerdoti e prelati, numerosi giovani provenienti da varie parti del mondo (in particolare della diocesi di Roma, del Pontificio Consiglio per i laici e del centro San Lorenzo), i ministranti, tra i quali quelli del preseminario San Pio X, e i diaconi. Ai piedi dell’obelisco Francesco ha benedetto i rami di ulivo, dono della direzione delle Ville pontificie di Castel Gandolfo, e i rami di palme, offerti dal Cammino neocatecumenale. Quindi in processione ha raggiunto l’altare sul sagrato della basilica — addobbato con piante e rami di ulivo donati dalla regione Puglia — dove si è svolta la celebrazione eucaristica. Da Sanremo e da Bordighera, dal consorzio Il Cammino e dal Centro studi e ricerche per le palme, sono venuti anche i “palmurelli”, foglie di palma intrecciate artisticamente. Il passo del vangelo di Marco che narra la passione di Cristo è stato letto a più voci da tre diaconi, Paolo D’Argenio, Giovanni Lo Giudice e Domenico Simari, con brani cantati dalla Cappella Sistina diretta dal maestro Palombella. A eseguire i canti anche il coro e l’orchestra diretti dal maestro Frisina, con il coro guida Mater Ecclesiae. Alle intenzioni universali, sono state elevate intenzioni in polacco per la Chiesa, in francese per i cristiani perseguitati, in indonesiano per i giovani, in cinese per quanti cercano la verità, in swahili per i poveri e i sofferenti. Con il Papa hanno concelebrato trentatré cardinali, fra i quali Sodano, decano del Collegio cardinalizio, Parolin, segretario di Stato, Vallini, vicario generale di Roma, e Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici (questi ultimi due sono saliti all’altare al momento della consacrazione insieme all’arcivescovo vicegerente Iannone e al vescovo segretario del dicastero per i laici Clemens); ventisette arcivescovi e vescovi, fra i quali il sostituto Becciu e il segretario per i Rapporti con gli Stati Gallagher; alcuni prelati della Curia romana. Erano presenti, tra gli altri, i cardinali Brandmüller, Ruini e Castrillón Hoyos, e il direttore del nostro giornale. Ad accompagnare il Pontefice l’arcivescovo Gänswein, prefetto della Casa Pontificia. Nato a Nagoya il 28 settembre 1952, è entrato nel seminario minore di Osaka e ha compiuto gli studi secondari presso la Meisei school a Osaka. Passato poi al seminario maggiore interdiocesano di Tokyo, ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso l’Università Sophia, dove ha ottenuto un master in ambedue le discipline. Ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Osaka il 21 marzo 1981, è stato viceparroco di Koori (1981-1984), di Shukugawa (1984-1986) e di Albeno (1986-1988), poi rettore del seminario minore di Osaka. Ha quindi studiato l’inglese negli Stati Uniti d’America (1993-1994) e compiuto ulteriori studi di formazione nelle Filippine (1994-1995), dopodiché è stato incaricato del Sakai-Semoku parish team Ministry (1995-1997) e vicario generale dell’arcidiocesi (1997-1999). Eletto alla sede titolare di Sfasferia e nel contempo nominato ausiliare di Osaka il 19 aprile 1999, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 17 luglio. Alberto Vera Aréjula ausiliare di Xai-Xai (Mozambico) Nato l’8 aprile 1957 ad Aguilar del Río Alhama, nella diocesi spagnola di Calahorra y La Calzada - Logroño, dopo gli studi secondari nel 1967, è entrato nel seminario mercedario di Reus (Tarragona) e ha proseguito, poi, con la formazione religiosa, emettendo la prima professione nel 1975 nel monastero di San Ramon Nonato (Lérida) e quella solenne, il 19 marzo 1981, nel monastero del Puig (Valencia). Ha conseguito il baccellierato in teologia, frequentando il primo anno di licenza in teologia sistematica nel 1982, presso la facoltà di teologia di Catalunya (Barcellona). Terminato il secondo anno di psicologia all’Università di Valencia nel 1985, nel 1987 ha concluso il corso per insegnanti di filosofia di scuola media nell’università Francisco Marroquín, in Guatemala. Dopo aver ricevuto il 22 agosto 1981 l’ordinazione sacerdotale, ha svolto i seguenti incarichi: vicario della parrocchia Nuestra Senora de El Puig, Valencia (19821985); formatore dei postulanti e promotore vocazionale nella vicaria di America Centrale a Città del Guatemala (1986-1994); vicario della parrocchia San José Obrero di Castellón, e al contempo eletto consigliere provinciale e responsabile della pastorale giovanile e vocazionale della provincia di Aragón (1994-1997); formatore nella Comunità di Reus (1997-2000); superiore della comunità di MatolaMozambico, rettore degli studi del seminario mercedario, parroco di Nossa Senhora do Livramento, direttore della scuola primaria e secondaria della Parrocchia, consigliere diocesano della Caritas di Maputo (20002013). Dal 2000 è delegato del provinciale dei padri mercedari in Mozambico e dal 2013 superiore della nuova comunità di Xai-Xai nella nuova parrocchia di Nossa Senhora das Mercès.
© Copyright 2024