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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLV n. 53 (46.891)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
venerdì 6 marzo 2015
.
Alla Pontificia Accademia per la vita il Papa parla di assistenza agli anziani e cure palliative
Dopo la strage nel Canale di Sicilia
Malati di abbandono
Immigrazione al centro
dell’agenda europea
Efficienza e profitto non possono essere gli unici criteri dell’agire dei medici
La malattia più grave per un anziano è l’abbandono. Ventiquattr’ore
dopo l’udienza generale dedicata ai
nonni, Papa Francesco è tornato a
parlare della condizione delle persone anziane, denunciando l’indifferenza che spesso circonda coloro che
«a motivo dell’età, ricevono sempre
meno attenzione dalla medicina curativa».
Ai partecipanti alla plenaria della
Pontificia Accademia per la vita, ricevuti in udienza nella mattina di
giovedì 5 marzo, nella Sala Clementina, il Pontefice ha rinnovato l’appello a «prendersi cura di chi, per la
sua condizione fisica o sociale, potrebbe essere lasciato morire o “fatto
morire”». E ha ricordato che «evidenza ed efficienza non possono essere gli unici criteri a governare
l’agire dei medici, né lo sono le regole dei sistemi sanitari e il profitto
economico». Lo Stato, ha incalzato,
«non può pensare di guadagnare
con la medicina»; al contrario, «non
vi è dovere più importante per una
società di quello di custodire la persona umana».
«Coloro che ci hanno aiutato a
crescere — ha raccomandato Francesco — non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro amore e della
nostra tenerezza». Gli anziani dunque «hanno bisogno in primo luogo
delle cure dei familiari, il cui affetto
non può essere sostituito neppure
dalle strutture più efficienti o dagli
operatori sanitari più competenti e
caritatevoli». Quando non autosufficienti o affetti da malattie in stato
avanzato o terminale, possono inoltre beneficiare delle cure palliative
«offerte a integrazione e sostegno
delle cure prestate dai familiari». Si
tratta di terapie, ha ricordato il Papa, che «hanno l’obiettivo di alleviare le sofferenze nella fase finale della
malattia e di assicurare al tempo
stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano».
Da qui l’invito rivolto a professionisti e studenti «a specializzarsi in
questo tipo di assistenza che non
possiede meno valore per il fatto che
“non salva la vita”». Le cure palliative infatti «realizzano qualcosa di altrettanto importante: valorizzano la
persona». Sempre che, ha precisato
il Pontefice, siano praticate «conservando integro lo spirito di servizio e
ricordando che ogni conoscenza medica è davvero scienza, nel suo significato più nobile, solo se si pone come ausilio in vista del bene dell’uomo, un bene che non si raggiunge
mai “contro” la sua vita e la sua dignità».
Vincent Van Gogh, «Vecchio che soffre» (1890)
PAGINA 8
Secondo l’Onu si fa sempre più concreta la minaccia dell’Is che mira a ostacolare una soluzione politica alla crisi
Intesa vicina in Libia
NEW YORK, 5. Un’intesa tra i due
Governi in Libia — quello di Tripoli
e quello di Tobruk — è possibile, come mai finora, e l’incontro di oggi
in Marocco sarà un momento chiave
nel cammino per la formazione di
un Esecutivo di unità nazionale. Il
lavoro è comunque arduo mentre il
tempo stringe: i jihadisti del sedicente Stato islamico (Is) presenti sul
territorio si stanno infatti rafforzando e si dimostrano sempre più aggressivi.
È questa, in sintesi, la fotografia
della situazione presentata dall’inviato speciale dell’Onu in Libia, Bernardino León, al Consiglio di sicurezza, che ieri ha tenuto una riunione per decidere tra l’altro il rinnovo
della missione di supporto nel Paese
(Unsmil).
Un accordo tra Tripoli e Tobruk
su come fronteggiare insieme la minaccia dell’Is «non è mai stato così
vicino» ha poi detto León, lanciando un allarme «per la situazione
umanitaria che si sta deteriorando e
deve essere affrontata». Ma allo stesso tempo, ha aggiunto l’inviato
Onu, l’Is «ha cambiato strategia: da
gruppo terrorista con piccoli com-
mando, si è trasformato in una realtà
che conduce operazioni militari. È
un grande salto di qualità, e per
questo il tempo stringe». Le operazioni terroristiche dei miliziani jihadisti — ha aggiunto León — «sono finalizzate a ostacolare una soluzione
politica» alla crisi nel Paese.
Quasi a conferma delle sue parole,
dalla Libia continuano ad arrivare
notizie di attacchi dell’Is e dei gruppi jihadisti a esso alleati contro le installazioni petrolifere. Conquistati i
campi di Bahi e Al Mabrouk, da dove ieri si sono ritirati, i jihadisti hanno dato ora l’assalto agli impianti di
Al Dahra. E dopo gli scontri che a
dicembre hanno messo fuori uso gli
impianti di Ras Lanuf e Es Sidra, la
produzione petrolifera libica è precipitata a 400.000 barili di greggio al
giorno, contro gli oltre 1,6 milioni
dell’epoca del colonnello Gheddafi.
Anche per questo il Governo di Tobruk — riconosciuto dalla comunità
internazionale — sta facendo pressioni sull’Onu affinché revochi l’embargo di armi imposto alla Libia.
Nel frattempo, proseguono le operazioni militari contro l’Is anche in
Siria e in Iraq. Nel corso delle ultime 24 ore la coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti, ha compiuto almeno dodici nuovi raid aerei
contro postazioni dei jihadisti a Kobane.
Intanto, il segretario di Stato americano, John Kerry, è arrivato oggi in
Arabia Saudita per una serie di colloqui con le autorità di Paesi del
Golfo persico: al centro degli incontri l’accordo sul nucleare iraniano e,
naturalmente, la questione dell’emergenza terrorismo.
Clausola di coscienza
MARY MELONE
A PAGINA
5
Negli Stati Uniti
y(7HA3J1*QSSKKM( +\!"!%!z!.!
Uniti contro la pena
di morte
PAGINA 6
Dal concilio Vaticano
a Papa Francesco
II
Un tempo
per la misericordia
ENZO BIANCHI
A PAGINA
n medico ha il diritto di rifiutare di
prestare delle cure per ragioni professionali o personali, eccetto il caso
di una situazione di emergenza o se dovesse
venire meno ai propri doveri di umanità». Così
recita l’articolo 47 del codice di deontologia medica francese che tutela il diritto dei medici alla
cosiddetta «clausola di coscienza», il rifiuto appunto di prestare la propria opera per ragioni di
coscienza. Un diritto che non si limita a situazioni normate, nelle quali si dovrebbe parlare di
«obiezione» più che di «clausola», ma che si
estende anche a quanto, ed è moltissimo, non è
normato eppur fa parte della pratica clinica
quotidiana.
Il quotidiano «La Croix» nell’edizione del 3
marzo sottolinea come tale clausola rischi prossimamente di vacillare in Francia: il 18 febbraio
scorso alcune deputate della delegazione per i diritti della donna hanno «annunciato l’intenzione
di depositare, in occasione dell’esame del progetto di legge sulla sanità di Marisol Touraine, degli
emendamenti miranti a sopprimere la clausola di
coscienza specifica che permette ad un medico di
rifiutarsi di praticare l’interruzione volontaria di
«U
La vita piena
7
ROMA, 5. Dopo l’ennesima tragedia
del Mediterraneo, con la morte ieri
di dieci migranti per il ribaltamento di un gommone, l’Europa torna
a interrogarsi sulla questione migratoria. L’Alto rappresentante Ue
per la politica estera e di sicurezza
comune, Federica Mogherini, ha
riunito ieri per la prima volta i
commissari europei del gruppo
«relazioni internazionali» e ha anche deciso di inserire il punto immigrazione sul tavolo dei ministri
degli Esteri, in occasione della riunione del Consiglio il prossimo 16
marzo a Bruxelles. Mogherini ha
sottolineato che «c’è una piena
consapevolezza a livello di tutte le
istituzioni europee del fatto che su
questa questione si misura la credibilità nel nostro essere uniti come
europei. Una gestione ordinata e
lungimirante della questione migratoria è non soltanto un dovere ma
anche un preciso interesse strategico dell’Unione».
Per affrontare alla radice il problema dei flussi migratori, «l’Unione deve cooperare con i Paesi di
origine dei migranti, anche se a
volte si tratta di dittature» ha detto
il commissario Ue agli Affari interni e alle politiche sull’immigrazione, Dimitris Avramopoulos. «Il fatto che cooperiamo, nel quadro dei
processi di Rabat e Khartoum, con
alcuni regimi dittatoriali non significa dare loro una legittimità democratica o politica. Dobbiamo cooperare: visto che abbiamo deciso di
combattere il traffico, non possiamo ignorare che in alcuni di quei
Paesi ci sono le radici stesse del
problema». È un fatto che questi
eventi tragici «hanno aumentato il
senso di emergenza» ha sottolineato il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans.
Il dibattito in Francia su aborto e sedazione profonda
di FERDINAND O CANCELLI
Per una nuova pastorale urbana
Soldati libici nei pressi di Tripoli (Ap)
Soccorsi a migranti nel Canale di Sicilia (Afp/Guardia costiera)
gravidanza». In pratica non basterebbe più, come
afferma il codice deontologico attuale, «orientare
il paziente verso un collega che potrebbe curarlo», in questo caso praticare l’aborto, ma il sanitario sarebbe costretto a procedere lui stesso.
Ad essere potenzialmente modificata in questo
senso sarebbe quindi la legge del 1975 che ha legalizzato l’aborto in Francia e, fatto un passo in
questa direzione, potrebbe poi essere la volta dei
due articoli del codice di sanità pubblica che affermano che un medico non è tenuto a praticare
una sterilizzazione a fini contraccettivi o a partecipare a ricerche sugli embrioni e così via.
L’Ordine nazionale dei medici francesi, il collegio dei ginecologi e le ostetriche hanno nettamente rigettato questa prospettiva, sottolineando
per bocca del dottor Jean-Marie Faroudja come
non si comprenda che «un diritto fondamentale
di libertà e di coscienza possa essere rifiutato ad
un medico mentre continuerebbe a far parte dei
diritti inalienabili di ogni cittadino francese».
L’onda di marea ideologica, così violenta da
travolgere e soffocare il concetto stesso di coscienza, rischia di inquinare anche l’ormai imminente discussione dell’Assemblea Nazionale sulla
proposta di legge Claeys-Leonetti sul fine vita. Se
infatti per un verso si invoca la limitazione della
libertà dei medici in tema di aborto, all’estremo
opposto, quasi in una risacca contraria, alcune
voci si sono levate per invocare la clausola di coscienza a proposito della procedura di sedazione
profonda in presenza di sintomi refrattari in fine
vita, come se la sedazione fosse una pratica
eutanasica. Tra le poche voci lucide quella di
Jean Leonetti, l’autore della legge del 2005: «istituire la clausola di coscienza — dichiara il senatore — sarebbe dare un cattivissimo segnale: significherebbe infatti dire che la sedazione è fatta per
dare la morte» mentre il suo solo obiettivo «è
quello di lenire le sofferenze refrattarie» ai comuni farmaci.
Un figlio che sta per nascere o un malato che
sta per morire che cosa chiedono? Il primo, parrebbe banale dirlo, di venire al mondo, il secondo, sembrerebbe scontato, di vedere lenite le proprie sofferenze. Entrambi di essere accolti come
membri preziosi per la società. Il solo problema è
che nessuno dei due ha voce in capitolo, troppo
piccolo il figlio, troppo debole il malato. E noi
dobbiamo guarire per tornare a sentire la loro voce sottile, dobbiamo tornare alla terra ferma della
retta coscienza e uscire dal mare della confusione
e dell’egoismo nel quale incautamente ci siamo
avventurati.
Nel frattempo, i superstiti del
del gommone che si è capovolto
nel Canale di Sicilia, hanno parlato
di cinquanta dispersi nel naufragio.
Interrogati dagli agenti del gruppo
interforze della Procura di Siracusa, i sopravvissutti hanno raccontato che sul natante c'erano circa 270
profughi. In salvo ne sono state
tratte 210, le salme recuperate sono
10, e quindi mancherebbero all’appello cinquanta persone.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza:
Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della
Congregazione per il Clero;
le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori:
— Thomas Yeh Sheng-nan,
Arcivescovo titolare di Leptis
Magna, Nunzio Apostolico
in Algeria e in Tunisia;
— Eugene Martin Nugent,
Arcivescovo titolare di Domnach Sechnaill, Nunzio Apostolico in Haiti;
— Marek Solczyński, Arcivescovo titolare di Cesarea di
Mauritania, Nunzio Apostolico in Georgia, in Armenia e
in Azerbaigian.
Il Santo Padre ha accettato
la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Sens e
della Prelatura territoriale
della Mission de France o
Pontigny presentata da Sua
Eccellenza
Reverendissima
Monsignor Yves Patenôtre,
in conformità al canone 401
§ 1 del Codice di Diritto Canonico.
Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in
Honduras Sua Eccellenza
Reverendissima Monsignor
Novatus Rugambwa, Arcivescovo titolare di Tagaria, finora Nunzio Apostolico in
Angola e in São Tomé e
Príncipe.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Hervé
Giraud Arcivescovo di Sens
(Francia) e Prelato della Prelatura territoriale della Mission de France o Pontigny,
trasferendolo dalla sede Vescovile di Soisson (Francia).
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venerdì 6 marzo 2015
Il ministro delle Finanze greco
Yanis Varoufakis (Epa)
Matteo Renzi in visita a Kiev e a Mosca
Berlino chiede di stabilizzare
la tregua in Ucraina
KIEV, 5. Nelle regioni orientali
dell’Ucraina «il cessate il fuoco è
fragile e va stabilizzato». Così si è
espresso ieri il cancelliere tedesco,
Angela Merkel, in conferenza stampa nella sede della Commissione europea a Bruxelles. Nel corso della
riunione del collegio dell’Esecutivo
Ue, a cui ha partecipato anche il
cancelliere, «abbiamo discusso di come attuare gli accordi di Minsk con
successo, del monitoraggio, di come
portare aiuto umanitario e di come
essere d’ausilio sull’agenda delle riforme del Governo ucraino. Ma abbiamo anche parlato di sanzioni, anche se soprattutto con un approccio
costruttivo per mettere fine allo
spargimento di sangue».
Se viene violato il pacchetto concordato a Minsk — ha affermato Angela Merkel — «siamo disposti a
portare avanti le sanzioni e a vararle». Il cancelliere ha poi dichiarato
che anche nella recente teleconferenza con il presidente Obama è stato
rilevato che «c’è un nesso» tra l’applicazione del pacchetto e le sanzioni che resteranno «finché gli ucraini
non avranno accesso al controllo
della frontiera russo-ucraina».
L’azione diplomatica della Germania e della Francia per una soluzione
del conflitto in Ucraina è stata condotta in accordo con l’Unione europea, come ha confermato Merkel dopo l’incontro con il presidente della
Commissione europea, Jean-Claude
Juncker. Sull’Ucraina e gli altri temi
rilevanti della politica «stiamo lavorando insieme per un buon risultato
per l’Europa».
Intanto, i ministri delle Finanze
del G7 esprimono soddisfazione per
il fatto che il Governo ucraino «ha
intrapreso passi veloci e decisi per
portare in Parlamento una revisione
della bozza del bilancio e un pacchetto complessivo di riforme». È
quello che si legge in una nota del
ministero delle Finanze tedesco.
L’agenda delle riforme di Kiev contiene «tutti gli elementi necessari»
per la stabilizzazione economica e la
ripresa della crescita, scrivono in un
comunicato i ministri.
Nel frattempo, il presidente del
Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, dopo la missione a Kiev e
l’incontro con il presidente Petro Poroshenko, al quale ha assicurato che
l’Occidente vuole «il rispetto e l’indipendenza
della
sovranità
dell’Ucraina», è giunto ieri sera a
Mosca. Renzi questa mattina, dopo
aver deposto dei fiori sul luogo dove
è stato assassinato il leader dell’opposizione russa, Boris Nemtsov, ha
incontrato alla Casa Bianca, sede del
Governo russo, il premier Dmitri
Medvedev, e poi si è spostato al
Cremlino per un faccia a faccia con
Vladimir Putin. Tra i temi in discussione l’Ucraina, la Siria, la Libia, la
lotta allo Stato islamico. Putin, dal
canto suo, si è detto ieri indignato
per l’uccisione di Nemtsov e ha messo in guardia i vertici del ministero
dell’Interno avvertendoli che è necessario «liberare la Russia dalla vergogna» di delitti «che hanno una
grande risonanza, compresi quelli a
sfondo politico» come «l’omicidio
sfacciato di Nemtsov proprio nel
centro della capitale».
Il cancelliere tedesco con il presidente e i commissari dell’Esecutivo Ue (Afp)
I rappresentanti di Brasile, Ecuador e Colombia a Caracas
Missione
per il dialogo in Venezuela
CARACAS, 5. Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha annunciato ieri che domani venerdì arriveranno nella capitale Caracas rappresentanti di Brasile, Ecuador e Colombia. Obiettivo della visita è
«appoggiare la democrazia che abbiamo in Venezuela» ha detto il
leader di Caracas. Da settimane il
Paese è segnato dalle proteste
dell’opposizione, esplose dopo l’arresto del sindaco anti-chavista di
Caracas, Antonio Ledezma.
Quanto alle misure restrittive nei
confronti dei diplomatici statunitensi, Maduro ha sottolineato che «sia-
mo anti-imperialisti, non anti-americani». Maduro ha poi respinto le
voci secondo cui il suo Governo
starebbe considerando di sospendere le elezioni legislative in programma per quest’anno. Per il presidente, si andrà al voto «a qualunque
costo».
Proteste ad Haiti
contro
la Repubblica
Dominicana
PORT-AU-PRINCE, 5. La Repubblica
Dominicana ha annunciato oggi la
chiusura temporanea dei suoi consolati ad Haiti per motivi di sicurezza.
Rimarrà aperta solo l’ambasciata
nella capitale, Port-au-Prince.
La decisione — rilevano autorevoli
fonti di stampa — è stata presa una
settimana dopo che oltre diecimila
persone hanno inscenato una grande
marcia di protesta nella capitale contro quelle che considerano vere e
proprie vessazioni nei confronti dei
contadini haitiani che lavorano nella
Repubblica Dominicana.
Durante le proteste, un uomo era
riuscito a salire sul tetto di un consolato e a strapparne la bandiera,
poi bruciata da una folla di manifestanti. La situazione è molto tesa.
Il portavoce del ministero degli
Esteri dominicano, il giornalista
Miguel Medina, ha detto che il Governo di Santo Domingo ritiene che
le «aggressioni contro i consolati»
mettano il personale a rischio. Per
questo, i cinque consolati dominicani di Haiti resteranno chiusi finché
l’amministrazione del presidente,
Michel Martelly, non «fornirà garanzie di una adeguata protezione».
Haiti vive da tempo una grave crisi
umanitaria anche a causa del terremoto del 2010, che uccise oltre duecentoventimila persone.
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Forze di sicurezza venezuelane durante le proteste a San Cristóbal (Afp)
Obamacare sotto la lente
della Corte suprema
WASHINGTON, 5. La Corte Suprema
degli Stati Uniti ha iniziato ieri
l’esame di uno dei punti chiave della riforma sanitaria firmata dal presidente Obama nel 2010. I ricorsi
presentati alla Corte e che i giudici
costituzionali hanno deciso di esaminare rappresentano l’attacco più
significativo alla norma dalla sua
entrata in vigore, dopo i tentativi
dei repubblicani in Congresso di
abolirla o di modificarla radicalmente. Del resto il presidente Obama anche nelle ultime settimane ha
ribadito come sia pronto a porre il
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direttore responsabile
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vicedirettore
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segretario di redazione
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Atene
alla prova del sei
BRUXELLES, 5. Atene alla prova del
nove, anzi del sei. Sono infatti sei i
punti del piano che il Governo di
Alexis Tsipras si appresta a presentare alla Commissione Ue come
stabilito negli accordi. La riforma
della pubblica amministrazione, la
lotta a evasione fiscale e corruzione
e un piano contro la crisi umanitaria sono i pilastri del programma
greco, che il ministro delle Finanze
ellenico, Yanis Varoufakis, presenterà a nome del Governo lunedì
prossimo, 9 marzo, all’Eurogruppo.
La proposta — spiegano i media —
sarà articolata appunto in sei grandi temi, in base ai quali Atene spera di assicurarsi almeno una parte
dei 7,2 miliardi di finanziamento
che restano da versare da parte dei
creditori internazionali, dopo che è
stato esteso per quattro mesi il programma assistenziale siglato dal
precedente Governo di Samaras
con la Troika (Bce, Ue, Fmi).
Atene ha bisogno di liquidità in
tempi brevi. C’è il rimborso di 1,5
miliardi di euro dovuto all’Fmi nel
solo mese di marzo, di cui 303 milioni già venerdì. E in Borsa corrono i preparativi e le strategie per
guadagnare fondi. Sullo sfondo, le
voci che rimbalzano dalla Spagna
di un nuovo piano da trenta o quaranta miliardi di aiuti, da definire
dopo l’estate. Ipotesi sulla quale
frena il numero uno della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker: «È
prematuro».
Secondo fonti governative citate
dai media ateniesi, le prime due riforme che Tsipras intende presentare a Bruxelles riguardano la crisi
umanitaria e la riforma amministrativa. Previsto poi un intervento che
mira a risolvere la questione dei
debiti verso i fondi statali e assicurativi: l’obiettivo è far sì che milioni di greci morosi comincino a pagare le imposte creando una sorta
di “coscienza fiscale” nel Paese. I
debiti non saranno tagliati, a differenza delle promesse di campagna
elettorale, ma dovrebbero essere introdotti nuovi criteri con meccanismi per premiare i contribuenti
onesti.
Gli altri punti del piano di Tsipras riguardano la riforma dell’amministrazione fiscale (verrà creato
un organismo che monitori e dia
indicazioni sulla politica fiscale);
l’unificazione delle tasse municipali
(utilizzate per la pulizia delle stra-
de e la raccolta dei rifiuti) e l'istituzione di una nuova agenzia che effettuerà verifiche fiscali mirate.
Ad Atene resta poi da fare ordine sulle tasse che riguardano gli
immobili, un altro punto delicato.
Anche su questo piano, il Governo
ha promesso misure che alleggeriscano il carico fiscale e aiutino i
contribuenti più onesti. Intanto,
con diverse leggi approvate dal
nuovo Esecutivo, 150.000 famiglie
in situazione di povertà estrema
avranno l’elettricità gratis. Altre
30.000 famiglie avranno un sussidio per l’affitto tra 70 e 220 euro al
mese. I coupon per il cibo arriveranno a 170.000 famiglie povere.
Boss dei narcos
arrestato in Messico
veto a ogni cambiamento. In ballo
presso la Corte Suprema, che dopo
il primo giorno di lavori appare divisa, c’è soprattutto la norma che
riconosce sussidi a ben sette milioni
e mezzo di americani in 34 Stati
per permettere loro di dotarsi di
una assicurazione sanitaria. Una
norma che, se giudicata incostituzionale, provocherebbe — a detta
degli esperti — un terremoto portando a triplicare il costo che quei
sette milioni e mezzo di americani
devono sostenere per la propria copertura.
Servizio vaticano: [email protected]
Tsipras pronto a varare un piano di riforme
CITTÀ DEL MESSICO, 5. Nuovo colpo delle autorità messicane contro i
boss del narcotraffico. Le forze di
sicurezza hanno infatti arrestato ieri Omar Treviño Morales, conosciuto anche con lo pseudonimo di
“Z-42”, il famigerato capo dei Los
Zetas, uno dei gruppi criminali più
sanguinari del Paese centroamericano. Sulla testa di Treviño Morales
— che a soli 41 anni era uno dei
criminali più ricercati del Messico
— pendeva una taglia di due milioni di dollari. L’uomo è stato arrestato in un quartiere residenziale di
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
San Pedro Garza García, nello Stato nord-orientale di Nuevo León.
Dopo la cattura nel 2013 di suo
fratello Miguel, Omar aveva assunto il controllo delle operazioni dei
Los Zetas, il cartello nato alla fine
degli anni 90 da una scissione di
un gruppo di sicari del Cartello del
Golfo, in gran parte ex militari, e
diventato rapidamente celebre per
l’efferatezza delle stragi che venivano loro attribuite. Los Zetas controlla gran parte degli affari illeciti
in una fascia di territorio che va
dal nord-est al sud-est del Messico.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Il quantitative
easing
della Bce
FRANCOFORTE, 5. Il piano di acquisti di titoli di Stato (quantitative easing) della Bce «da solo
non basterà per la crescita
dell’eurozona». Così si è espresso ieri Mario Draghi, presidente
della Bce, spiegando in un’intervista che «l’obiettivo è salvaguardare la stabilità dell’euro e
tutti devono fare la loro parte
per questo». Draghi ha annunciato il quantitative easing lo
scorso gennaio. Oggi, al termine
di una nuova riunione del board
dell’Istituto, il presidente illustrerà i particolari del piano.
Sono infatti pochi gli elementi conosciuti e molti i nodi ancora da sciogliere. Draghi, a
gennaio, aveva indicato il mese
di marzo come data di partenza
del piano. Di fatto, però, gli acquisti di titoli non sono ancora
partiti. È escluso che le banche
centrali nazionali, che dovrebbero essere il “braccio operativo”
del piano, possano far partire la
procedura in tempi brevi. Se ne
parlerà almeno la settimana
prossima: manca infatti ancora
la pubblicazione dell’atto legale
che rappresenta il presupposto
giuridico dell’attuazione della
misura.
Un altro punto problematico
riguarda la portata del piano.
Draghi ha annunciato un programma di acquisti di titoli per
sessanta miliardi al mese «almeno fino a settembre 2016», equivalente ad almeno 1140 miliardi
di euro. Il presidente ha tuttavia
specificato che in ogni caso gli
acquisti proseguiranno «finché il
consiglio direttivo non riscontrerà un aggiustamento durevole
del profilo d’inflazione», vale a
dire fino a quando il livello di
inflazione non sarà arrivato
all’obiettivo del due per cento.
Un terzo capitolo ancora
aperto è invece quello delle quote nazionali. La Bce ha già chiarito che l’ottanta per cento dei
rischi dovrà essere gestito dalle
banche centrali nazionali, ma
ancora non è chiaro come e in
che misura.
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Credito Valtellinese
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venerdì 6 marzo 2015
pagina 3
L’ambasciatore statunitense a Seoul
dopo l’aggressione (foto Ap)
Il premier Li Keqiang apre i lavori dell’Assemblea nazionale del popolo
Pechino taglia
le stime sulla crescita
PECHINO, 5. La Cina dovrà affrontare «sfide straordinarie» in economia
nel 2015 che sono «tigri lungo la
strada» dello sviluppo. Lo ha dichiarato oggi il primo ministro, Li
Keqiang, all’apertura dei lavori
dell’Assemblea nazionale del popo-
Il presidente
dello Sri Lanka
in visita
nelle aree tamil
COLOMBO. 5. In un ulteriore gesto di distensione, il nuovo presidente
dello
Sri
Lanka,
Maithripala Sirisena, si è recato
nelle aree del Paese asiatico dove
vive la minoranza etnica dei tamil. Durante una riunione di
coordinamento della provincia
settentrionale tenutasi a Jaffna,
Sirisena ha detto che «quando si
tratta di cercare soluzioni ai problemi, non vi è alcuna differenza
tra sud o nord dello Sri Lanka».
Il Governo — ha aggiunto — «è
pienamente impegnato a risolvere
i problemi della gente e tutti dovrebbero lavorare in fraternità a
prescindere dalle differenze».
Sirisena — a capo del Paese dal
9 gennaio scorso dopo avere vinto le elezioni presidenziali, battendo a sorpresa il predecessore,
Mahinda Rajapaksa — ha poi
precisato che colmare il divario
tra nord e sud, attraverso l’amicizia e la comprensione reciproca,
è uno degli auspici del nuovo
Esecutivo di Colombo.
Nella sua prima visita nella zona, che per oltre trent’anni ha subito gli effetti violenti di un conflitto civile, le cui drammatiche
conseguenze sono ancora fortemente presenti, il presidente ha
ascoltato i rappresentanti del popolo e i funzionari governativi,
che hanno esposto a Sirisena le
diverse problematiche del territorio, legate, in particolare, all’agricoltura, alla scarsità dell’acqua
potabile, alle terre sottratte ai legittimi proprietari per motivi di
sicurezza e alla pesca. Tutte questioni che necessitano di accordi
stabili, anche con il vicino Governo federale indiano.
Rispondendo al governatore
della Provincia del Nord, che ha
esposto a Sirisena le difficoltà
che devono affrontare gli ospedali e le istituzioni educative come
pure la mancanza di opportunità
di lavoro nella zona, il presidente
ha affermato che cercherà di intervenire rapidamente. La visita
rientra nell’ambito delle promesse
fatte da Sirisena durante la campagna elettorale di avviare un
processo di riconciliazione tra
tutte le comunità dell’isola.
lo, dopo avere annunciato l’obiettivo di crescita per l’anno in corso al
7 per cento, il più basso degli ultimi
ventidue anni.
Il primo ministro ha poi elencato
le difficoltà a cui andrà incontro
l’economia. «La crescita negli investimenti — ha commentato — è fiacca e non ci sono segnali di ripresa
significativa sui mercati internazionali. Mantenere stabile la crescita è
diventato sempre più difficile».
L’obiettivo fissato per il 2015, ha
spiegato ancora il primo ministro Li
Keqiang, permetterà di mantenere
alto il tasso di impiego, con la creazione di dieci milioni di posti di lavoro entro fine anno nelle aree urbane e mantenere entro il 4,5 per
cento il tasso di disoccupazione.
L’imprenditoria diffusa, l’innovazione tecnologica, l’aumento dei salari
e una politica fiscale dinamica sono
alcuni dei fattori segnalati dal premier cinese come motori della crescita futura.
«Per evitare di cadere nella trappola del Paese a reddito medio e
raggiungere la modernizzazione —
Per l’aggressione di un attivista filo-Pyongyang
Ferito l’ambasciatore statunitense a Seoul
SEOUL, 5. Momenti di paura nella capitale sudcoreana
dove questa mattina l’ambasciatore americano è stato
ferito in un attacco compiuto da un uomo armato di un
rasoio, mentre stava per partecipare a una conferenza
sui rapporti intercoreani. Mark Lippert è stato subito
trasportato in ospedale per gli immediati soccorsi e le
sue condizioni non sono gravi. La Casa Bianca ha reso
noto che il presidente Obama lo ha chiamato per sincerarsi sulla sua salute. L’aggressore, arrestato e identificato, era già stato condannato nel luglio 2010 per aver
lanciato un pezzo di cemento contro l’ambasciatore
giapponese a Seoul. L’uomo, un attivista filo-Pyongyang, ha urlato frasi di protesta contro le manovre militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud cominciate questa settimana. La presidente sudcoreana, Park
Geun Hye, ha duramente condannato l’aggressione definendola un attacco all’alleanza bilaterale che non può
essere tollerato. «L’ultimo incidente non è solo un atto
di violenza fisica all’ambasciatore statunitense a Seoul,
ma anche un attacco all’alleanza tra i due Paesi che non
può essere perdonato», ha riferito il segretario presidenziale per gli Affari esteri, Ju Chul Ki.
I ribelli sciiti assaltano a San’a la sede del dialogo nazionale
Inviato delle Nazioni Unite ad Aden
SAN’A, 5. L’inviato speciale dell’O nu
nello Yemen, Jamal Ben Omar, è arrivato ad Aden, nel sud del Paese,
per incontrare il presidente Abd
Rabbo Mansour Hadi e presentargli
alcune proposte per risolvere la crisi.
Lo ha riferito l’agenzia Anadolu, citando una fonte vicina al presidente,
secondo la quale il piano che sarà illustrato da Ben Omar prevede l’inizio di una fase di transizione e la
formazione di un consiglio presidenziale guidato dallo stesso Hadi o da
uno dei suoi vice. Nel corso di una
conferenza stampa organizzata subito dopo il suo arrivo ad Aden, Ben
Omar ha espresso la sua «frustrazione per il rifiuto» da parte dei ribelli
huthi di «rispettare le risoluzioni del
Consiglio di sicurezza dell’O nu»,
che ha chiesto ai ribelli di ritirarsi
dalle sedi istituzionali e mettere fine
agli arresti domiciliari ai quali sono
sottoposti esponenti del Governo.
L’incontro tra l’inviato dell’Onu e il presidente yemenita (Afp)
Orfani dell’ebola
nella Sierra Leone
FREETOWN, 5. Oltre dodicimila
bambini nella Sierra Leone sono rimasti orfani a causa dell’ebola. Lo
ha denunciato un rapporto dell’organizzazione umanitaria britannica
Street Child. Lo studio evidenzia
l’impatto devastante della malattia
sulla vita dei bambini che sono sopravvissuti alla diffusione del virus,
sottolineando come molti di loro vivano in una situazione drammatica,
fatta di paura, isolamento, fame e
sfruttamento.
Il rapporto, infatti, si concentra
sul futuro difficile che dovranno affrontare ora questi bambini. Alcuni
di loro, respinti dagli amici a causa
dei forti pregiudizi che circondano
l’ebola, hanno anche cercato di togliersi la vita, mentre le ragazze sono spesso costrette a prostituirsi per
sopravvivere.
L’epidemia di ebola nella Sierra
Leone è iniziata nel maggio 2014 e
ha dichiarato — la Cina deve affidarsi allo sviluppo, e lo sviluppo richiede un tasso di crescita appropriato». Il Governo, ha poi spiegato
il premier, investirà oltre 800 miliardi di yuan (115,3 miliardi di euro)
nell’ampliamento della rete ferroviaria e altrettanti nei progetti di tutela
delle falde acquifere. L’Esecutivo,
ha poi promesso Li Keqiang, fornirà
sussidi per la realizzazione di 7,4
milioni di unità abitative popolari
entro la fine dell’anno. In totale, la
spesa del Governo salirà a 17.150 miliardi di yuan (2471 miliardi di euro)
con un incremento del 10,6 per cento su base annua.
Li Keqiang ha poi parlato dei
progetti già in corso di riforma delle
imprese di Stato, del sistema finanziario e del settore bancario e ha
spiegato che il Governo continuerà
a lavorare per rendere lo yuan pienamente convertibile. Altro obiettivo segnalato dal primo ministro è la
riduzione delle emissioni inquinanti.
Li Keqiang ha infine promesso «tolleranza zero» nella lotta alla corruzione.
ha interessato ogni regione del Paese dell’Africa occidentale. Il 31 luglio 2014 è stato dichiarato lo stato
di emergenza nazionale. Per fermare la diffusione del virus è stata disposta la chiusura di tutte le scuole
e la quarantena delle persone colpite dalla malattia. Secondo l’O ms,
su un totale di undicimila casi conclamati della malattia nel Paese, si è
contato un totale di 3.350 morti.
La trasmissione del virus è attualmente diffusa nella parte occidentale del Paese, compresa la capitale,
Freetown, e i distretti di Port Loko
e di Kambia. Oltre alla sopravvivenza quotidiana, la sfida più grande che si prospetta per gli orfani è
l’educazione. Le scuole dovrebbero
riaprire il 30 marzo e, anche se molti vorrebbero rientrare tra i banchi,
alcuni di loro non saranno in grado
di farlo, dal momento che hanno
assunto il ruolo di capifamiglia.
In Senegal
riforma
mineraria
DAKAR, 5. Nell’ambito della riforma del codice minerario in Senegal, organizzazioni di civili hanno
incontrato ieri le autorità del Paese per presentare proposte. Le richieste più importanti riguardano
le tasse: le royalties (tasse alle
aziende) annuali dovrebbero essere comprese tra 5 e 10 per cento,
indipendentemente dal tipo di minerale sfruttato. La percentuale da
destinare a un fondo di sostegno
dovrebbe essere poi del 30 per
cento, invece dell’attuale 20 per
cento. Alle collettività locali dovrebbero infine essere destinate altre tasse a carico delle compagnie,
come quelle relative ai diritti di
superficie (ovvero di costruire
strutture su un determinato terreno). Le popolazioni dovrebbero
poi avere propri rappresentanti.
Il mese scorso Hadi ha lasciato gli
arresti domiciliari a San’a per riparare ad Aden, roccaforte dei governativi. Nella città dello Yemen meridionale il presidente ha definito «nulli e
illegittimi» tutti i provvedimenti decisi dagli huthi, come la Dichiarazione costituzionale con la quale i ribelli hanno sciolto il Parlamento, e
ha annunciato il ritiro delle dimissioni presentate in precedenza.
Per tutta risposta, i ribelli sciiti
dell’imam Abdel Malik Al Huthi
hanno assaltato oggi la sede del dialogo nazionale a San’a. Secondo
quanto riferisce l’inviato dell’emittente televisiva «Al Jazeera», i miliziani sciiti hanno distrutto gli uffici
che ospitano le riunioni del dialogo.
L’attacco è stato lanciato dopo che
l’inviato Onu ha criticato il gruppo
sciita per il fatto che non rispetta le
sanzioni imposte dal Consiglio di sicurezza. Nell’attacco sono andati distrutti anche importanti documenti
relativi ai lavori del dialogo svolti finora.
Intanto, forze speciali iraniane
hanno liberato un diplomatico di
Teheran rapito 19 mesi fa in Yemen.
Lo riporta l’agenzia di stampa Irna
citando il viceministro degli Esteri
Hossein Amirabdolahian. «È stata
compiuta un’operazione difficile e
complicata» per liberare Nour
Ahmad Nikbakhat dalle «mani dei
terroristi», ha spiegato la fonte.
L’uomo era stato rapito nel luglio
2013: nessuno ha mai rivendicato il
sequestro del diplomatico.
Al centro della campagna elettorale nigeriana
La sfida di Boko Haram
ABUJA, 5. La gestione della lotta
contro i miliziani del gruppo Boko
Haram è al centro dei dibattiti elettorali in Nigeria, in vista delle elezioni presidenziali e legislative originariamente previste a febbraio e
poi rinviate al 28 marzo.
Come riportano diversi media locali, Muhammadu Buhari, principale sfidante del capo dello Stato,
Goodluck Jonathan, ha più volte
criticato il Governo in carica per
non essere stato in grado di sconfiggere Boko Haram senza aiuti
esterni. Secondo più fonti, l’avanzata dell’esercito nigeriano nelle roccaforti islamiste potrebbe favorire il
People’s Democratic Party, al potere dal 1999.
Nel frattempo, i vertici del Governo e delle forze armate della Nigeria premono per ridurre la presenza e ridimensionare il ruolo delle truppe straniere impegnate nella
lotta contro i fondamentalisti islamici di Boko Haram.
Alla
Reuters,
il
portavoce
dell’esercito del Ciad, colonnello
Azem Bermandoa, ha detto che
l’esercito di Abuja ha respinto
un’offerta di aiuto per la riconquista di Baga, cittadina sulle rive del
Lago Ciad occupata da Boko Haram a gennaio.
A fine febbraio, le forze di
N’Djamena hanno ripreso Dikwa,
antica capitale del califfato di Kenem-Borno, sottraendola al controllo degli islamisti dopo scontri che
hanno provocato decine di morti.
La città si trova a pochi chilometri
dal confine con il Camerun, da dove è cominciata l’offensiva di
N’Djamena. Dista invece novanta
chilometri Maiduguri, la capitale
dello Stato del Borno, culla di Boko Haram e ora presidiata dall’esercito nigeriano.
L’Australia
riflette
sull’opzione
nucleare
SYDNEY, 5. L’Australia s’interroga
sulla scelta del nucleare. Il Paese,
che possiede le maggiori riserve di
uranio al mondo, non chiude più
la porta in faccia a questa opzione: sono molti i progetti sul tavolo della politica che puntano a integrare il nucleare nelle risorse
energetiche. In effetti, attualmente
il sistema energetico australiano fa
affidamento soprattutto sul carbone, di cui il sottosuolo del Paese è
ricco. E tuttavia, il carbone inquina troppo: l’Australia è il Paese
sviluppato che emette la maggior
quantità di gas serra in tutto il
mondo.
A meno di un anno dalla conferenza di Parigi che dovrà ridisegnare il programma di Kyoto, il
premier Tony Abbott è stato molto chiaro: «Se dobbiamo ridurre
considerevolmente le nostre emissioni, l’opzione migliore è di passare al nucleare. Il governatore
dello Stato dell’Australia meridionale, Jay Weatherill, ha annunciato lo scorso febbraio la costituzione di una commissione di esperti
indipendenti sul nucleare civile:
avranno un anno di tempo per
formulare proposte concrete. «È
tempo di aprire un dibattito maturo sul futuro ruolo dell’Australia
nell’industria nucleare» ha detto
Weatherill.
Sciopero
generale
in Burundi
BUJUMBURA, 5. Il Collettivo contro il carovita, composto di circa
1.500 organizzazioni non governative, realtà della società civile e
sindacati del Burundi, ha proclamato per oggi uno sciopero generale. La motivazione è il rifiuto
del presidente, Pierre Nkurunziza,
di accettare alcune richieste del
Collettivo: abolizione di una nuova tassa sulle chiamate telefoniche
e il ribasso dei prezzi della benzina. Le richieste erano già state
avanzate due volte per lettera, ma
non c’era stata risposta da parte
del Governo. Attraverso il portavoce
presidenziale,
Leonidas
Hatungimana,
l’Esecutivo
di
Bujumbura ha chiesto ai promotori dello sciopero generale di «partecipare assieme alla ricerca di una
soluzione per tutti».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
venerdì 6 marzo 2015
Gino Bartali accanto
a Giuseppe Placido Nicolini
vescovo di Assisi dal 1928 al 1973
Autore del libro è il Platina
L’allievo di Pomponio Leto
che dal 1475 alla morte
guidò la Biblioteca di palazzo
antenata della Vaticana
Monsignor Nicolini
si improvvisò muratore
nascondendo
in un vano
dei sotterranei
i libri sacri degli sfollati
Digitalizzato l’incunabolo di Bartolomeo Sacchi
L’Artusi
del Quattrocento
che, il volume di cui sto parlando,
presso il tipografo Uldericus Han.
Subito dopo, nel 1475, lo ristampò a
Venezia per i torchi di Laurentius
de Aquila e Sybillinus Umber, questa volta svelandosi come autore e
fornendo le note tipografiche.
Nei cento anni successivi l’opera
ebbe una grande diffusione, anche
al di là dei confini italiani: ne comparvero oltre trenta edizioni e numerose traduzioni in francese, inglese e tedesco. Appunto, un vero bestseller.
Platina vi aveva del resto raccolto
il frutto maturo della produzione
del tempo sull’argomento, dedicando una prima parte
dell’opera a raccontare
la natura degli alimenti
e una seconda parte a
trascrivervi in latino le
ricette, inventate e redatte in lingua volgare
dal maestro Martino de’
Rossi da Como, il cuoco più celebre del
Quattrocento. Dalla seconda metà degli anni
Cinquanta fino al 1465,
Martino manifesta la
sua arte presso le cucine
del cardinale camerlengo Ludovico Trevisan,
patriarca di Aquileia, e
viene componendo un
manuale, il Libro de Arte
Coquinaria, che diventerà immediatamente lo
specchio della gastronomia italiana del tempo:
la forza rivoluzionaria
del suo saggio segna di
fatto il passaggio storico dall’arte culinaria
medievale a quella rinascimentale.
Tuttavia tale trattato
sarebbe rimasto presso«De honesta voluptate et valetudine», Roma, Ul. Han, c.
ché sconosciuto, se il
1475, 2recto (incipit dell’indice con i temi sulla salute
Platina non avesse decie l'inizio del ricettario)
so di valorizzarlo, utilizzandolo ampiamente
nell’opera da lui combestseller della cucina, un vero pro- posta, che non si riduce tuttavia a
totipo dunque dei ricettari moderni. un ricettario ben costruito, ma conSi tratta del volume intitolato De testualizza le ricette in un quadro
honesta voluptate et valetudine. Po- medico-filosofico, soffermandosi sul
tremmo intendere, parafrasando: ruolo che i cibi possono avere sia da
«Come onestamente coltivare il pia- un punto di vista igienico sia da un
cere del cibo insieme alla salute». punto di vista sociale e conviviale.
Insomma, un libro moderno che
L’autore è Bartolomeo Sacchi, detto
il Platina (latinizzazione di Piadena, intendeva coniugare la nouvelle cuisiun borgo in provincia di Cremona ne d’allora con i principi base noti a
dove era nato nel 1421). Inseritosi a quei tempi sulla salute e sulla cura
Roma fra gli allievi di Pomponio di se stessi. Il suo discorso gastroLeto, dal 1475 alla morte, avvenuta nomico viene ricondotto — in modo
nel 1481, fu alla guida della Biblio- inedito per il tempo — all’idea di
teca di palazzo — come allora era dieta, del valore del cibo locale,
definita la Vaticana — per volere di persino dell’utilità di un regolare
Sisto IV.
esercizio fisico che dovrebbe accomNegli anni o mesi immediatamen- pagnare ogni sana nutrizione.
te antecedenti la sua nomina a biIl volume era stato stampato, cobliotecario diede alle stampe, in for- me accennavo, a Roma da Uldericus
ma anonima e senza note tipografi- Han, che fu tra i primi stampatori
di CESARE PASINI
e ricette di cucina si trovano anch’esse numerose
sul web. Non è più necessario ritagliarle dai
giornali o consultarle sui
ricettari: eccole pronte in rete a ogni
evenienza, disponibili a ogni interrogazione, e anche eseguite a video
dai più bravi chef.
Il libro che ora descrivo è nato in
un’epoca nella quale non si poteva
sognare una diffusione di questo genere, anche se risulta tradotto in varie lingue e in notevole tiratura per
quel tempo: in qualche modo un
L
tedeschi latori in ambiente romano
della nuova arte della stampa inventata vent’anni prima da Johannes
Gutenberg. Han, che si sottoscrive
in alcune opere con il nome latinizzato di Gallus oppure di Barbatus,
fu attivo a Roma tra il 1467 e il 1478,
lavorando in società con il fratello
Lupus Gallus e con il nipote Henricus Gallus. Stampò prevalentemente
opere classiche e religiose, tra cui le
Meditationes del cardinal Juan de
Torquemada, che fu il primo libro illustrato stampato in Italia, il 31 dicembre del 1467. Associatosi nel 1470
allo stampatore Simone Cardella di
Lucca, dopo la sua morte, avvenuta
presumibilmente nel 1479, gli strumenti della sua bottega furono rilevati dal maestro Stephan Planck, altro famoso stampatore romano.
L’esemplare conservato in Biblioteca Apostolica Vaticana (Stamp.
Nel volume si parla di cucina
in modo inedito per l’epoca
valorizzando i prodotti locali
E sottolineando l’utilità
di un regolare esercizio fisico
Barb. BBB. II.41) proviene dalla prestigiosa Biblioteca Barberini. Esso
conserva, sul verso dell’ultima carta
originariamente bianco, due ricette
di cucina vergate da una mano anonima attorno alla fine del Quattrocento e quindi coeva alla pubblicazione. La prima ricetta descrive la
preparazione del civerium (ovvero il
cibreo), un tipo di condimento usato per insaporire piatti generalmente
di carne, in particolare di cacciagione; la seconda ricetta insegna a fare
la torta sperduta, o torta bianca, così detta perché le uova venivano
“sperdute” nel ripieno di ricotta.
Evidentemente all’anonimo scrittore
non bastavano le numerose ricette
stampate nel volume. E da buon
prototipo di tutti i ricettari a stampa
che si rispettino, il libro passò dunque nelle mani di qualche esperto,
che intese rammemorare a se stesso
un paio di aggiunte originali.
Questo incunabolo, con tutte le
sue istruzioni per la salute e i suoi
manicaretti per la gola, entra a far
parte degli incunaboli e dei manoscritti digitalizzati per il progetto
sostenuto dalla Fondazione Polonsky, attuato dalla Biblioteca Vaticana insieme alla Bodleian Library di
Oxford, e raggiunge quindi una
nuova più vasta divulgazione. Con
questo incunabolo il progetto nel
suo insieme tocca la milionesima
pagina digitalizzata.
Un bel traguardo che, tanto per
stare in tema, ci piacerebbe festeggiare con qualche buona ricetta.
Trecento ebrei trovarono rifugio ad Assisi dopo l’8 settembre 1943
E Lea Baruch
diventò Ileana Bartoli
di GIOVANNI PREZIOSI
eri e oggi, i
Giusti
sempre
necessari», questo è il tema
scelto per celebrare, il 6 marzo, la Giornata
europea dei Giusti, giunta quest’anno alla terza edizione, istituita nel 2012 dal Parlamento
europeo su proposta dell’onlus
Gariwo per «ricordare chi ha saputo cercare il bene con la scelta
di difendere la dignità umana
nei momenti bui» mettendo a
repentaglio la propria vita e opponendosi a ogni totalitarismo e
ai crimini contro l’umanità. In
questo giorno ad Assisi, nella
Piazza del Vescovado, verrà
inaugurato il Giardino dei Giusti.
Un’occasione per rievocare la
storia esemplare della città umbra che, nel periodo più tragico
«I
della seconda guerra mondiale,
accolse migliaia di persone, soprattutto ebrei. Gli sfollati, infatti, trovarono sostegno e ospitalità presso il vescovado, nei
monasteri e negli istituti religiosi, grazie alla capillare rete di assistenza clandestina allestita —
seguendo l’esempio di tante altre diocesi italiane come quella
di Firenze e Genova — dal vescovo Giuseppe Placido Nicolini
coadiuvato dal clero diocesano
guidato dal suo braccio destro,
il canonico don Aldo Brunacci,
all’epoca dei fatti narrati giovane sacerdote della cattedrale di
San Rufino di Assisi.
Il popolo dell’arca
Capitello con altorilievo di Vergine e bambino (Dvin, V-VI secolo)
nalità — come le famiglie Viterbi, Fano, Jakobson, Baruch,
Kropf, Majonica, Eppinigi, Romanoski, Lyovin e Corinaldi —
che trovarono rifugio tra le mura dei conventi e nel vescovado.
Monsignor Nicolini non esitò a
trasformarsi in muratore, occultando in un vano dei sotterranei
tutti i documenti, i libri sacri e
gli oggetti di valore degli ebrei
ospitati.
I conventi che si rivelarono
più sicuri in questa catena di solidarietà furono quelli di clausura femminili come quello delle
Clarisse di San Quirico, delle
Stimmatine, delle Benedettine di
Sant’Apollinare, delle Colettine
e quello di Santa Croce delle
Suore Cappuccine tedesche.
Grazie alla segnalazione di padre Michele Todde, Marco Baruch — un commerciante di tes-
Vennero falsificate
centinaia di carte d’identità
usando nomi fittizi di persone
provenienti da zone
già occupate dagli Alleati
Reperti armeni in mostra al Vittoriano
Reperti archeologici, codici miniati, opere
d’arte, oggetti liturgici, antichi vangeli e
documenti. Per raccontare l’Armenia e il suo
popolo. E proprio «Armenia, il popolo
dell’Arca» è il nome della mostra inaugurata il
5 marzo al Complesso del Vittoriano a Roma.
L’Armenia è la prima nazione al mondo a
proclamarsi cristiana grazie all’opera di
evangelizzazione di san Gregorio
l’illuminatore. La sua conversione risale al 299,
quando nell’impero romano si stava
preparando la persecuzione di Diocleziano.
Due anni più tardi, nel 301, il re Tiridate III
proclama il Cristianesimo religione di Stato.
Da questo momento la fede cristiana, insieme
alla lingua armena, sarà la componente più
Subito dopo l’armistizio firmato dal Governo Badoglio,
verso la fine del settembre 1943,
monsignor Nicolini chiamò don
Aldo in disparte e lo esortò a
prendersi cura di tutti i profughi
— comprese le persone di origine ebraica — mostrandogli una
lettera che aveva appena ricevuto dal Vaticano in cui erano
contenute precise direttive in
merito. «Io vidi realmente questa lettera — raccontò a chi scrive alcuni anni or sono don Aldo
Brunacci — che monsignor Nicolini aveva fra le mani quando
mi chiamò in disparte. Gli era
stata inviata dalla Segreteria di
Stato della Santa Sede. Mi lesse
il contenuto integralmente».
Con il contributo di alcuni
volontari laici e religiosi — come
il guardiano del convento di
San Damiano fra’ Rufino Nic-
dinamica del Paese come si può vedere dal
ricco patrimonio esposto con flabelli, turiboli,
capitelli, vangeli e la sezione dedicata
all’iconografia della croce. La nascita e la
codificazione di un nuovo alfabeto a opera del
monaco Mesrop Mashtots, è invece
documentata da epigrafi e iscrizioni originali
in lingua armena. Ma la vita dell’Armenia si è
sviluppata anche in stretta relazione con l’Italia
in uno scambio continuo di merci e saperi:
dall’albicocca portata nell’antica Roma da Silla
con il nome di prunus armeniaca, fino ai
mercanti armeni nelle Repubbliche Marinare,
dagli ideali rinascimentali italiani che hanno
raggiunto la lontana Armenia. (rossella fabiani)
Hella, Lea e Mira Baruch
cacci, che spesso si recava a Firenze dal cardinale Dalla Costa
per ricevere «istruzioni, indirizzi
e mezzi di finanziamento», il
giovane frate del sacro Convento di San Francesco Michele
Todde, la superiora della Clarisse Colettine suor Hélène e quella delle Clarisse di San Quirico
suor Giuseppina Biviglia — fu
allestita presso il vescovado
un’efficiente organizzazione di
assistenza per tutti i profughi.
Successivamente, ci si preoccupò di stampare nella tipografia
di Luigi e Trento Brizi, nei pressi di piazza Santa Chiara, centinaia di carte d’identità e tessere
annonarie falsificate, poi smistate al convento di San Quirico
dove, sotto la supervisione dei
due ufficiali lì nascosti — il colonnello Paolo Gay e il tenente
Antonio Podda — venivano
completate con nomi fittizi di
persone provenienti da zone già
occupate dagli Alleati e quindi
non accessibili al controllo dei
nazifascisti. Un anello fondamentale di collegamento con la
curia fiorentina era il celebre Gino Bartali che, fingendo di allenarsi in sella alla sua bicicletta,
macinava chilometri su chilometri per trasportare — nascosti nel
telaio — i documenti falsificati
da Assisi a Firenze.
Dopo l’8 settembre 1943, per
sfuggire alle persecuzioni razziali, giunsero nella città umbra circa trecento ebrei di varia nazio-
suti proveniente da Fiume —
con la moglie Erminia Lipschitz
e le tre figlie Lea, Hella e Mira
furono nascosti da don Aldo
Brunacci dapprima nel convento
delle suore claustrali di San
Quirico, poi, all’inizio di dicembre, nella foresteria del monastero delle Clarisse Cappuccine tedesche.
«Per uscire dal convento — ricorda nel suo memoriale Lea
Baruch — c’era bisogno di documenti falsi. Furono preparati da
Giorgio Kropf con l’aiuto di un
tipografo, Luigi Brizi, nella sua
tipografia. Brizi stampava le carte d’identità e le portava a Giorgio che, coi suoi compagni a
San Quirico, scriveva i nomi e
gli altri dati».
Poi, con la scusa che le carte
si erano deteriorate, con la complicità di un’impiegata dell’anagrafe, Marcella Paladin, si scambiavano queste con quelle originali e il gioco era fatto. Da quel
momento in poi i Baruch
presero il nome di Bartoli, una
famiglia originaria di Bojano in
provincia di Campobasso, e Lea
si chiamò Ileana. Provvisti di
questi
falsi
documenti,
si
spostarono presso il convento
delle Suore Stimmatine, dove
furono nascosti nell’ala destinata
agli ospiti. Appena la situazione
lo permise, verso la fine di gennaio del 1945, si trasferirono in
Israele, ad Haifa, dove vivono
tuttora.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 6 marzo 2015
pagina 5
Per una nuova pastorale urbana
La vita piena
di MARY MELONE
n apertura del volume, Carlos María Galli richiama immediatamente la nostra attenzione sulla formulazione del
titolo, che volutamente non è
interrogativa, ma dichiarativa. Dio
vive nella città, sottolinea l’autore,
non è un interrogativo, perché «è
un’affermazione che scaturisce dalla
fede, come dire: Dio è presente nella
storia».
Da questo positivo sguardo sulla
realtà della città — sicuramente in se
stessa complessa, contraddittoria e
problematica ma, allo stesso tempo,
anche «satura di religiosità» — si
snoda tutto il percorso del libro che,
attraverso una serie di analisi e ap-
I
profondimenti, tesse pian piano l’appello a sviluppare la cultura dell’incontro, della comunione e dell’integrazione.
Dio vive nella città: su questo dato, dunque, non sono ammessi interrogativi. Eppure, leggendo il libro,
non ho proprio potuto fare a meno
di pormelo, un interrogativo, che anzi si è fatto via via più pressante.
Dio vive nella città. Ma quale Dio?
Quale Dio vive nella città secondo
Carlos
María
Galli?
Quali sono i tratti del
suo volto? Quali sono i
desideri del suo cuore
per l’uomo?
Credo che si comprenda facilmente il senso di
questa domanda: sebbene infatti l’autore non
possa e non debba elaborare in maniera teorica
un’immagine di Dio a
cui fare riferimento, tuttavia è chiaro che la sua
visione dell’evangelizzazione, della pastorale ecclesiale, del discepolato
cristiano, e il suo stesso
modo di leggere i documenti delle Conferenze
Episcopali latinoamericane e caraibiche sono
fortemente ancorati a
una precisa immagine di
D io.
Non è la stessa cosa
immaginare che il Dio
che abita nella città sia
un giudice esigente e impaziente o che sia un
Dio che non si interessa
della sofferenza degli
uomini, perché tanto serve alla loro conversione.
Nulla di tutto questo,
però, nella visione di
Galli: il Dio che vive in
città per l’autore è un
Dio appassionato della
vita dell’uomo, un Dio
che desidera la comunioEdward Hopper, «Night Shadows» (particolare, 1921)
ne con lui.
Se si volesse fare una statistica, infatti, risulterebbe che nel libro i due
termini ricorrenti non appena si parla di Dio sono proprio vita e comunione.
Anzitutto vita, ma non vita in senso generico, bensì vita piena, pienezza di vita, cioè pienezza di senso, felicità completa, dice l’autore. Dio è
sorgente di vita piena: il suo desiderio, la sua volontà di salvezza consiste proprio nel rendere accessibile a
ogni uomo la vita in pienezza. Questi è il Dio che vive nella città.
Mi sembra che questo aspetto meriti una particolare sottolineatura.
Che senso avrebbe richiamare il dovere della missione, che senso avrebbe riconoscerla costitutiva del discepolato cristiano, che senso avrebbe
costruire un atteggiamento positivo
verso i luoghi del vivere umano, se
poi l’annuncio fosse vuoto, mancasse
di un’autentica consapevolezza evangelica? Questa consapevolezza, invece, emerge chiaramente dalle pagine
di Galli, pagine in cui la missione
viene
costantemente
ricondotta
all’annuncio di Cristo come proposta di vita piena per tutti.
Ma questa è, del resto, anche la
visione dei documenti che egli presenta e analizza.
La Chiesa missionaria è al servizio
della vita piena in Cristo. Così si
esprime, in particolare, il documento
di Aparecida: «La Chiesa ha la missione propria e specifica di comunicare la vita di Gesù Cristo a tutte le
persone». E Galli aggiunge: «La
Chiesa deve evangelizzare per condividere il Regno della vita nuova,
piena, degna e felice in Cristo».
L’annuncio del Regno è l’annuncio
del Regno della vita, una vita che ha
i tratti della novità. La vita piena
che Dio offre all’uomo in Cristo è
infatti vita nuova, vita che fa nuove
tutte le cose, che rinnova l’essere
umano.
Un Dio per la vita dell’uomo, per
la sua vita in pienezza: questi è il
Dio che vive nella città, che ama la
città perché è casa dell’uomo. Perciò
La riforma di Coletta di Corbie
Bellezza del realismo
di PIETRO MESSA
Nel 1406 a Nizza, Coletta di Corbie
(1381-1447) non solo fece la sua professione nell’Ordine delle clarisse, ma ricevette da Benedetto XIII il permesso di
iniziare quella che diventerà la riforma
La sua fu una iniziativa che proponeva
una struttura istituzionale ben definita
Grazie ad appoggi influenti
e soprattutto alla capacità di cogliere
le occasioni favorevoli
collettina, ossia una delle pagine più
belle della storia della Chiesa e, in generale, della cultura francese. Tale attività
di riforma troverà la sua formulazione
nelle Costituzioni scritte da Coletta che
si caratterizzano per una chiara e precisa
struttura istituzionale, con regolamenti
minuziosi inerenti tutti gli aspetti della
vita monastica.
La diversità tra la dimensione spirituale della regola di Chiara d’Assisi e la dimensione propriamente giuridica delle
Costituzioni di Coletta è più che evidente: qualcuno ha voluto vederne la causa
non solo nella volontà della riformatrice
francese di assicurare alla sua riforma
una durata nel tempo onde essere efficace, ma anche di rispondere a un periodo
di decadenza mediante il connubio della
forza dell’istituzione con la carità.
Nella sua opera di riforma Coletta ebbe l’appoggio — da lei accolto e, in alcuni casi, anche cercato — di persone facol-
tose, come i nobili locali delle città in
cui venivano edificati i monasteri. Una
serie di relazioni potenti in grado di aiutarla non solo nella fondazione dei monasteri, ma anche nel loro mantenimento. La sua, però, fu una riforma con una
struttura istituzionale ben definita soprattutto grazie alla capacità di cogliere
le occasioni favorevoli. In tutto ciò Coletta si mostra come una donna d’azione, e pragmatica.
Se la sua opera di riforma si inserisce
in una serie di relazioni che si mostreranno determinanti, gli agiografi successivi però — dando una lettura teologica
della sua vita e volendo mostrare con
forza l’azione della grazia — metteranno
in risalto l’aspetto miracoloso della vita
di Coletta, lasciando in sordina tale
mondo relazionale. È come se gli agiografi provino un certo imbarazzo davanti
a Coletta riformatrice, donna pragmatica, e debbano occultare tali sue caratteristiche per mettere in evidenza l’aspetto
più propriamente spirituale. Tale esigenza sarà anche alla base di coloro che elaboreranno un testo che verrà a lei attribuito come Testamento.
Certamente chi legge la vicenda di
Coletta cercando di trovarvi una spiritualità resta deluso. Qualcuno potrebbe
anche cercare di sforzarsi di estrapolare
da certe frasi o anche semplici parole alcune linee spirituali, ma tale operazione
— oltre che dare dei risultati abbastanza
deludenti — appare forzata. Una giustificazione di tale assenza potrebbe venire
dal fatto che il tempo in cui Coletta visse fu caratterizzato da una forte presenza dell’aspetto giuridico, così come per
lo spirito di organizzazione e di amministrazione.
il suo amore, in Cristo, si fa presente
dove vive l’uomo, soprattutto nelle
sue situazioni drammatiche, come
sono a volte quelle della vita urbana.
E si comprende anche perché l’autore richiami un preciso invito di Bergoglio che, quando era arcivescovo
di Buenos Aires, esortava a trasformare le parrocchie in santuari, dove
si sperimenta la presenza di Dio che
ama, unisce, salva.
Il riferimento al farsi presente di
Dio ha uno spessore teologico che
vorrei richiamare: si radica, infatti,
nella verità dell’incarnazione, nell’annuncio che Dio in Cristo ha
messo la sua tenda tra di noi. Non
solo: coerente con il riconoscimento
del grande e insostituibile valore della religiosità popolare, Galli non poteva non richiamare anche un altro
segno della vicinanza del Dio della
vita. E questo segno è la Vergine
Maria, la donna più amata, volto
della tenerezza e della bellezza di
Dio. È dal Dio della vita, dunque,
che scaturisce una precisa pastorale
della presenza e dell’incontro.
L’altro aspetto che aiuta a rispondere alla domanda su chi è il Dio
che vive nella città è la comunione.
Il libro
Il 3 marzo a Roma
presso la Basilica di San
Bartolomeo all’Isola è
stato presentato il
volume di Carlos María
Galli, Dio vive in città.
Verso una nuova pastorale
urbana (Città del
Vaticano, Libreria
editrice Vaticana, 2014,
pagine 408, euro 22).
Pubblichiamo uno
stralcio dalla relazione
del rettore della
Pontificia Università
Antonianum.
vo di ottenere un’unione senza integrazione, e si condanna alla dispersione, alla distanza, alla confusione.
Ma la differenza non sta solo
nell’esito delle due immagini bibliche, quanto piuttosto nella loro origine. Mentre Babele si affida
all’opera dell’uomo, al suo desiderio
di grandezza mettendone così in evidenza tutta la debolezza, la Pentecoste è invece l’opera propria dello
Spirito, che realizza la comunione
tenendo insieme unità e diversità.
Il volume termina con un riferimento al pontificato di Francesco e
ad alcuni passaggi fondamentali
dell’Evangelii gaudium. Vorrei concludere richiamando la profonda sintonia del volume di Galli con questa
esortazione, per tanti aspetti, ma soprattutto per quello che riguarda la
Non si tratta, a mio giudizio, di
un’altra dimensione, estranea alla
prima, anzi. Il Dio della vita è il
Dio comunione: la sua offerta di vita
piena è offerta di vita in comunione.
Così mi sembra venga proposto dalle pagine del libro.
L’insistenza di Galli sulla coscienza di una Chiesa che è popolo di
Dio e comunità di amore credo che
lo dimostri con sufficienza. Questa
dimensione è fondamentale in rapporto all’opera di evangelizzazione.
Nel testo riaffiora continuamente il
riferimento al principio
di attrazione, pronunciato da Benedetto XVI proLa Chiesa cresce per attrazione
prio in occasione della
conferenza di Aparecida:
non per persuasione né per proselitismo
la Chiesa cresce per atMa l’attrazione la può esercitare
trazione, non per persuasione, né per proselisolo una comunità
tismo. Ma l’attrazione la
che vive l’esperienza della comunione
può esercitare solo una
comunità che vive l’esperienza della comunione,
e che così, sono parole dell’autore, nostra domanda di partenza: Quale
rispecchia la gloria dell’amore di Dio vive nella città?
Galli risponde: «Il Dio della vita,
D io.
È importante che l’insistenza sulla appassionato per la vita dell’uomo,
dimensione comunionale della vita perché l’uomo abbia una vita piena,
cristiana sia radicata sulla fede trini- degna e felice». Francesco, dal canto
taria e chiami in causa, in modo par- suo, lo afferma con altrettanta chiaticolare, l’azione dello Spirito. Il Dio rezza, scrivendo: «Non si può perseche vive in città è un Dio che è Pa- verare in un’evangelizzazione piena
dre, Figlio e Spirito, perfetta comu- di fervore se non si resta convinti, in
nione nell’amore, che spinge l’uomo virtù della propria esperienza, che
a edificare comunità urbane in cui non è la stessa cosa aver conosciuto
sia possibile fare esperienza di co- Gesù o non conoscerlo, non è la
munione, attraverso relazioni che stessa cosa camminare con Lui o
siano vere, attraverso una cultura del camminare a tentoni, non è la stessa
cosa poterlo ascoltare o ignorare la
dialogo e della prossimità.
A questo proposito, è significativo sua Parola, non è la stessa cosa porichiamare il compito teologico che terlo contemplare, adorare, riposare
assume nel libro l’immagine della in Lui, o non poterlo fare. Non è la
Pentecoste e la sua opposizione a stessa cosa cercare di costruire il
Babele, un’immagine più volte evo- mondo con il suo Vangelo piuttosto
che farlo unicamente con la propria
cata nel percorso di Galli.
La pentecoste rappresenta il supe- ragione. Sappiamo bene che la vita
ramento di Babele perché assicura il con Gesù diventa molto più piena e
mantenimento del plurale, l’integra- che con Lui è più facile trovare il
zione, la realizzazione di un’unione senso di ogni cosa. È per questo che
che custodisce l’universalità, lì dove, evangelizziamo» (Evangelii gaudium,
invece, Babele rappresenta il tentati- 266).
Anonimo tedesco, «La sacra stirpe»
(XV-XVI secolo). La rappresentazione
della Vergine accanto a quella
della madre Anna si basa su una visione
che Coletta di Corbie ebbe nel 1406
Una cosa però è sicura: santa Coletta
— che la Chiesa ricorda il 6 marzo —
non è diventata una maestra spirituale,
come invece è avvenuto per un’altra riformatrice, ossia Teresa d’Ávila, e ciò è
mostrato anche dal fatto che nei secoli
successivi le stesse collettine nella loro
vita spirituale abbiano avuto forti influenze di altre spiritualità, come appunto quella carmelitana o quella dell’espiazione.
Questa constatazione implica forse
una riduzione dell’opera di Coletta? La
smentita a tale ipotesi viene dalla posterità della stessa santa di Corbie, ossia
dalle clarisse collettine le quali, nonostante le diverse tribolazioni che hanno
dovuto attraversare — soprattutto al tempo della Rivoluzione — non solo non si
sono estinte, ma continuano a vivere.
Viene da chiedersi dove stia allora la forza propulsiva della riforma di Coletta,
posta la carenza di una forte dimensione
spirituale vera e propria.
Tale forza va riconosciuta proprio in
ciò che si vorrebbe indicare come il limite della riforma di Colletta, ossia nella
dimensione istituzionale, cioè nella forte
e precisa struttura espressa nelle Costituzioni. Contrariamente, infatti, alla facile
contrapposizione tra intuizione e istituzione, tra carisma e gerarchia, l’istituzione è il luogo in cui i valori o un determinato carisma acquistano concretezza.
L’istituzione permette che non si resti a
livello di sogno o di utopia — fosse pure
quella francescana, clariana o persino
evangelica — ma di vivere la bellezza del
realismo cristiano. È grazie alle istituzioni che i valori diventano vita.
Qualche esempio può aiutare a capire
questo aspetto. Molte persone desiderano e proclamano il valore della pace: si
fanno manifestazioni, marce, si esibiscono i simboli, come la bandiera. E ciò è
più che giusto. Tuttavia, se tali espressioni del valore della pace non diventano istituzioni o strutture — con tutta la
loro complessità — rimangono soltanto
dei buoni sentimenti. Se qualcuno ha
una capacità pragmatica e istituzionale
in grado di rendere tale valore concretezza, certamente andrebbe riconosciuto
come una persona d’ammirare. In questo
senso l’uomo delle istituzioni non sarebbe un essere grigio, senza personalità e
schiavo del sistema come normalmente
si trova nell’immaginario collettivo, ma
sarebbe considerato geniale. Se poi tale
istituzione ha anche la capacità di dura-
re nel tempo tale stima si accrescerebbe.
Proprio qui sta la caratteristica della santa di Corbie.
Coletta, donna delle Costituzioni che
rese possibile una riforma durata nei secoli. Tutto iniziò a Nizza nel 1406 quando non solo fece la sua professione nelle
mani di Benedetto XIII, ma ottenne da
lui il permesso di fondare monasteri accogliendo monache provenienti da altri
luoghi. Così Coletta ha trovato il modo
di non “scrivere sull’acqua”, ossia di rendere effimera la sua riforma. Per questo
nell’ottobre 1406 a Nizza iniziava una
pagina importante della storia francescana. E non solo.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 6 marzo 2015
Lettera dei presuli statunitensi ai membri del Congresso
Le conseguenze umane
del bilancio
WASHINGTON, 5. Le esigenze di bilancio non possono far dimenticare
le necessità dei più poveri e degli
svantaggiati. È quanto, in sostanza,
ricordano i presuli degli Stati Uniti
ai membri del Congresso. L’appello
è contenuto in una lettera, diffusa
dal sito dell’episcopato statunitense,
a firma dell’arcivescovo di Miami,
Thomas Gerard Wenski, e del vescovo di Las Cruces, Oscar Cantú,
rispettivamente
presidenti
della
Commissione nazionale per la giustizia e lo sviluppo umano e del Comitato internazionale giustizia e pace. «La misura morale del bilancio
federale non sta nella vittoria di un
partito o nel prevalere di interessi di
potere, ma piuttosto nel vedere come vengono trattati coloro che sono
disoccupati, affamati, senza dimora
e poveri», scrivono i presuli, annotando come «le voci di costoro sono
spesso assenti nei dibattiti» riguardanti la discussione del bilancio federale.
Pur consapevoli che la redazione
dei bilanci di previsione per il 2016
«richiederà scelte difficili», i presuli
esortano i membri del Congresso a
salvaguardare i finanziamenti ai programmi dedicati alle persone povere
e vulnerabili sia negli Stati Uniti
che all’estero. E offrono alla comu-
ne riflessione alcuni «criteri morali». In primo luogo, i presuli ritengono che ogni decisione di bilancio
dovrebbe essere valutata rispetto al
suo grado di protezione o di minaccia che essa presenta alla dignità
della vita umana. In questo senso,
un altro criterio morale determinante in ogni decisione di bilancio dovrebbe essere quello di rispettare in
via preliminare le necessità di coloro
che soffrono la fame, sono senza
tetto, senza lavoro o in condizioni
di povertà. Conseguentemente, ed è
il terzo criterio di giudizio esposto
dai vescovi, il Governo e le altre
istituzioni hanno una responsabilità
comune nel promuovere il bene di
tutti, specialmente quello degli operai e delle famiglie che lottano per
vivere dignitosamente in tempi economicamente difficili.
I presuli, in sostanza, esprimono
apprezzamento per l’impegno profuso nella riduzione di un deficit insostenibile per il futuro e nel miglioramento dell’economia del Paese
ma avvertono che il bilancio federale non può far quadrare i conti puntando su «tagli sproporzionati» ai
servizi essenziali per le persone povere. In particolare, viene notato come il Budget Control Act abbia limitato molti programmi destinati alla lotta della povertà nazionale e internazionale. «Come pastori — osservano i vescovi — vediamo ogni
giorno le conseguenze umane delle
scelte di bilancio». Infatti, viene ricordato, «la comunità cattolica difende il nascituro, sfama gli affamati, offre riparo ai senzatetto, educa i
giovani e si prende cura dei malati,
sia in patria che all’estero. Aiutiamo
le famiglie povere a risalire la china
della povertà, assistiamo rifugiati
che fuggono da conflitto e persecuzione e lasciano comunità devastate
da guerre, catastrofi naturali e carestie».
Secondo l’Ethics and Public Policy Center nel 2050 cresceranno del tre per cento
I cristiani nel mondo
WASHINGTON, 5. Cosa accadrà al
cristianesimo nei prossimi 35 anni?
È quanto cerca di prevedere un recente studio dal titolo: «Lo status
del cristianesimo globale» (The Status of Global Christianity) realizzato da George Weigel, senior fellow
alla Ethics and Public Policy Center
di Washington, e pubblicato dall’International Bulletin of Missionary
Research. La ricerca riguarda una linea temporale che si estende dal
1900 al 2050 e fa delle proiezioni relative ai cristiani attraverso le prossime generazioni.
Weigel ha incentrato i suoi studi
su tre grandi gruppi: i cristiani in
Africa, i cristiani delle grandi città e
i cosiddetti “carismatici”, che fanno
riferimento a comunità di ispirazione cristiana nate dall’ispirazione di
leader carismatici. Secondo lo studioso, entro il 2050 ci saranno in
Africa tanti cristiani quanti ce ne sono in America latina e in Europa
messe insieme, per un totale di 1,2
miliardi di persone. I dati evidenziano che l’Africa nel secolo scorso
ha registrato una crescita di cristiani
esponenziale. Per i cristiani che vivono nelle aree urbane si prevede
invece un calo del 6 per cento entro
il 2050, attestandosi al 59 per cento
della popolazione. Tuttavia, il cristianesimo urbano è cresciuto in
questo secolo del 65 per cento, rispetto al 29 per cento del 1900. Passando ai circa 644 milioni di cristiani pentecostali e “carismatici”, secondo la ricerca, il numero di questi
fedeli dovrebbe raggiungere oltre un
miliardo nel corso dei prossimi 35
anni, il che li rende uno dei gruppi
in maggiore rapida crescita nel panorama religioso odierno.
«Questi tre fenomeni: crescita in
Africa, urbanizzazione e aumento
del pentecostalismo, contribuiscono
— spiega Wiegel — a una maggiore
frammentazione del mondo cristiano». Lo studioso, inoltre, sottolinea
che l’aumento del cosiddetto “cristianesimo imprenditoriale” — il fenomeno delle comunità di ispirazione cristiana riunite attorno a figure
carismatiche — contribuisce a questi
numeri sorprendenti.
«Questo aiuta a spiegare il motivo per cui il numero di denominazioni cristiane è passato da 1.600 nel
1900 a 45.000 di oggi, con proiezioni di 70.000 nel 2050. Questo atteggiamento “imprenditoriale” — aggiunge — sarà anche parzialmente
responsabile dell’aspetto che avrà il
cristianesimo nel 2050. Anche se si
prevede una crescita apprezzabile a
livello globale, per il 2050 si prevede un calo all’interno dei Paesi europei. Vale la pena notare che, pure
in un secolo di grande crescita cri-
stiana complessiva come quello concluso, il cristianesimo europeo ha
registrato il tasso di crescita più basso: 0,16 per cento».
Nel 1900 c’erano 267 milioni di
cattolici in tutto il mondo, oggi la
Chiesa cattolica conta 1,2 miliardi di
fedeli, con una crescita prevista per
la metà del secolo fino a 1,6 miliardi. «Ma nell’ultimo quarto del XX
secolo — spiega Wiegel — il cattolicesimo è stato superato dall’islam.
La popolazione musulmana mondiale è passata da 571 milioni del
1970 a 1,7 miliardi di oggi». Attualmente, i cristiani costituiscono il 33
per cento della popolazione globale.
Probabilmente, secondo la ricerca, si
registrerà un aumento del tre per
cento entro il 2050.
Negli Stati Uniti
Uniti contro la pena
di morte
Il prossimo mese la Corte Suprema
statunitense esaminerà la causa
Glossip vs Gross, un caso proveniente dall’Oklahoma che mette in
discussione il protocollo più largamente usato per l’iniezione letale
effettuata sui condannati a morte e
accusato di essere una punizione
estremamente crudele. La Corte ha
preso in carico questo caso a gennaio, dopo che lo scorso anno in
tre Stati si sono verificate tre esecuzioni che si sono presentate problematiche. La decisione della Corte
verrà probabilmente pronunciata
entro giugno. È nostra speranza
che serva ad accelerare la fine della
pena di morte negli Stati Uniti.
L’arcivescovo di Miami Thomas
Wenski, presidente del Comitato
per la giustizia interna e lo sviluppo umano della Conferenza episcopale statunitense, ha apprezzato la
decisione della Corte di esaminare
il caso, affermando che «il ricorso
alla pena di morte toglie valore alla
vita umana e riduce il rispetto della
dignità umana. Noi vescovi continuiamo a ribadire che non si può
insegnare che uccidere è male uccidendo». Anche il presidente del
comitato per le attività pro-vita, il
cardinale di Boston Seán O’Malley,
ha elogiato la decisione della Corte: «La società può proteggere se
stessa in modi diversi dal ricorso
alla pena di morte», ha affermato.
«Preghiamo affinché la revisione di
questi protocolli da parte della
Corte porti a riconoscere che le
pratiche di violenza istituzionaliz-
Vescovi emeriti
a confronto
sul tema
della formazione
BO GOTÁ, 5. Si svolgerà dal 23
al 27 marzo a Bogotá il primo
incontro dei vescovi dell’America latina promosso dal dipartimento Comunione ecclesiale e
dialogo del Consiglio episcopale Latinoamericano (Celam).
Per quattro giorni decine di
vescovi emeriti dal Messico al
Cile, dopo moltissimi anni sia
di servizio sacerdotale sia di
missione episcopale, daranno
vita a uno spazio di convivenza
e dialogo fraterno per approfondire esperienze e riflessioni
sul magistero episcopale con
particolare riferimento alla formazione dei presbiteri e alla
pastorale.
Il vescovo emerito, anche se
non più responsabile della guida di una comunità locale, è
sempre, in virtù della sua consacrazione episcopale, fino alla
morte, membro del collegio
episcopale e quindi il suo dovere di collaborare in comunione
col Papa nel governo della
Chiesa non termina con il suo
ritiro. I vescovi emeriti rimangono un tesoro per la Chiesa,
come lo sono in ogni ambito
della società tutti gli anziani, la
cui esperienza, conoscenza e
preparazione si rivelano di
grande aiuto per le nuove generazioni.
zata contro qualunque persona erodono il rispetto per la santità di
ogni vita umana. La pena capitale
deve finire».
Noi, redazioni di quattro giornali cattolici — America, National Catholic Register, National Catholic Reporter e Our Sunday Visitor — esortiamo i lettori delle nostre pubblicazioni, come anche tutta la comunità cattolica statunitense e le persone di buona volontà, a schierarsi
con noi e a dire: “La pena capitale
deve finire”. La Chiesa cattolica in
questo Paese combatte da decenni
contro la pena di morte. San Giovanni Paolo II ha modificato il Catechismo della Chiesa Cattolica
perché comprendesse de facto un
divieto contro la pena capitale. Lo
scorso anno, Papa Francesco ha invitato i cattolici a «lottare per
l’abolizione della pena di morte».
Si tratta di una pratica ripugnante
e non necessaria. È anche assurdamente cara, poiché le battaglie in
tribunale assorbono risorse che potrebbero essere meglio utilizzate, in
primo luogo, nella prevenzione del
crimine e poi per lavorare a una
giustizia riabilitativa per quanti
commettono crimini meno gravi.
Lodevolmente, la Florida ha sospeso le esecuzioni in attesa della
sentenza della Corte Suprema, e il
governatore dell’Ohio, John Kasich, in attesa di ulteriori valutazioni, ha rimandato tutte e sette le
esecuzioni previste nello Stato per
il 2015. Il governatore della Pennsylvania Tom Wolf ha dichiarato
una moratoria sulla pena di morte
fino a quando non avrà ricevuto e
analizzato la relazione di una task
force sulla pena capitale, che lui
definisce «un sistema fallato…
inefficace, ingiusto e costoso». Entrambi i governatori hanno citato
anche il numero crescente di detenuti nel braccio della morte che sono stati scagionati negli ultimi anni
in tutto il Paese.
In una dichiarazione in cui ringrazia Wolf, l’arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput, ha detto:
«Abbandonare la pena capitale
non significa diminuire il nostro
sostegno alle famiglie delle vittime
di omicidio… Ma uccidere i colpevoli non rende onore ai morti, né
nobilita i vivi. Quando togliamo la
vita a un colpevole, non facciamo
altro che accrescere la violenza in
una cultura già violenta e svilire la
nostra dignità». L’arcivescovo Chaput ci ricorda che quando pensiamo alla pena di morte non dobbiamo dimenticare che siamo noi a essere, attraverso il nostro governo,
gli agenti morali di un’esecuzione.
Il detenuto ha commesso il suo
reato e ne ha risposto durante la
sua vita, proprio come ne risponderà dinanzi a Dio. Ma è il governo,
agendo a nome nostro, che ordina
e perpetra l’iniezione letale. Siamo
noi che aumentiamo la violenza invece di guarirla.
I sostenitori della pena di morte
spesso affermano che essa pone fine alla sofferenza della famiglia
della vittima. Ma le persone che
camminano accanto alle famiglie
delle vittime, come la suora della
Misericordia Camille D’Arienzo, ci
raccontano un’altra storia: «Penso
alle madri che partecipano alla nostra celebrazione annuale per i familiari e gli amici delle vittime di
omicidio», un programma che le
suore della Misericordia portano
avanti da 18 anni. «Se si domanda
loro che cosa vogliono per gli as-
sassini dei loro figli, nessuna chiede la pena di morte. La ragione è
la seguente: “Non voglio che un’altra madre soffra quello che ho sofferto io”. Il loro cuore, pur se spezzato, è integro nella sua umanità».
I fatti relativi alla causa in
Oklahoma — che fanno eco ad altre storie in Ohio e in Arizona —
sono particolarmente vergognosi.
Lo scorso aprile, nell’esecuzione di
Clayton Lockett, il protocollo per i
farmaci ha fallito. Lockett si la-
Editoriale
per la dignità
di ogni vita
Pubblichiamo, in una nostra
traduzione, un editoriale
che le redazioni di quattro
importanti testate cattoliche
statunitensi, «America»,
«National Catholic Register»,
«National Catholic Reporter»,
«Our Sunday Visitor»,
hanno scritto insieme al fine
di sollecitare, anche attraverso
la mobilitazione dei loro lettori,
l’abolizione
della pena di morte
negli Stati Uniti. L’editoriale
viene pubblicato il 6 marzo
da diversi organi di stampa
statunitensi.
mentò per il dolore prima che le
autorità sospendessero l’esecuzione;
più tardi, quella sera stessa, morì
d’infarto. All’epoca l’arcivescovo
Paul Coakley di Oklahoma City
disse: «L’esecuzione di Clayton
Lockett mette davvero in evidenza
la brutalità della pena di morte e
spero che ci porti a riflettere
sull’eventualità di adottare una moratoria sulla pena di morte o addirittura di abolirla». La Corte Suprema è d’accordo con l’arcivescovo Coakley e ora esaminerà la questione. Ci uniamo ai nostri vescovi
nello sperare che la Corte giunga
alla conclusione che è tempo che la
nostra nazione incarni il suo impegno a favore del diritto alla vita,
abolendo in modo definitivo la pena di morte.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 6 marzo 2015
Dal concilio Vaticano
II
a Papa Francesco
Assemblea del circolo San Pietro
Un tempo
per la misericordia
di ENZO BIANCHI
In occasione dell’apertura del concilio, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII
pronunciò la prolusione Gaudet mater ecclesia, un testo ispirato, profetico, che orientò lo svolgimento del
Vaticano II in modo differente rispetto ai concili precedenti. Consapevole che la Chiesa ha il dovere di
opporsi agli errori e anche di condannarli con la massima severità, come era avvenuto nel passato, Papa
Giovanni tuttavia dichiarava con
convinzione: «Quanto al tempo presente … la sposa di Cristo preferisce
usare la medicina della misericordia
invece che imbracciare le armi del rigore… Così la Chiesa cattolica …
vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da
lei separati».
Con queste parole si poneva fine
a un’epoca caratterizzata da una forte intransigenza assunta nella dottrina, nella morale e nel confronto tra
Chiesa e società, tra cattolici e quanti non appartenevano alla Chiesa. È
l’apertura al dialogo che successivamente Paolo VI delineò in modo mirabile nell’Ecclesiam suam e che il
concilio fece propria, aprendo brecce, abbattendo muri e bastioni, inaugurando quello scambio, quell’ascolto dell’umanità di oggi che in questi
cinquant’anni ha sì conosciuto rallentamenti, senza tuttavia mai venir
meno.
È in questa linea che, fin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha fatto risuonare con tono rinnovato e forte la parola misericordia.
Le parole rivolte ai parroci di Roma
nel marzo dello scorso anno — «[occorre] ascoltare la voce dello Spirito
che parla a tutta la Chiesa in questo
nostro tempo, che è proprio il tempo della misericordia. Di questo sono sicuro. Noi stiamo vivendo in
tempo di misericordia» — rivelano il
cuore e il programma dell’attuale
pontificato. Più che mai oggi i cristiani, e gli uomini e le donne con
loro, in questa situazione mondiale
che sentono tanto precaria e segnata
da ogni tipo di ferita, abbisognano
dell’annuncio della misericordia del
Signore. Quando Papa Francesco dice: «La Chiesa oggi possiamo pensarla come un “ospedale da campo”
… Lo vedo così, lo sento così: un
“ospedale da campo”. C’è bisogno
di curare le ferite, tante ferite! Tante
ferite!», di fatto fa prevalere su altre
immagini della Chiesa, che certo
non nega né esclude, quella di una
Chiesa che cura le ferite, che si piega sull’uomo, che non ha paura di
essere contagiata, che sceglie la prossimità dei peccatori e di tutti coloro
che hanno bisogno di salvezza.
Comprendiamo bene queste sue
parole: «Né lassismo né rigorismo
[ma] una misericordia [che è] sofferenza pastorale. Soffrire per e con le
persone. E questo non è facile! Soffrire come un padre e una madre
soffrono per i figli; mi permetto di
dire, anche con ansia. Non avere
vergogna della carne del tuo fratello.
Alla fine, saremo giudicati su come
avremo saputo avvicinarci a ogni
carne».
In tutti gli interventi di Papa
Francesco c’è un’insistenza sulla doverosa “prossimità”, sulla vicinanza,
sul farsi prossimo (cfr. Luca, 10, 36)
alla carne del fratello, che è carne
umana, di uomini e donne piagati
dalla sofferenza e dal peccato, bisognosi di qualcuno che si prenda cura
di loro. Ma a nessuno di noi sfugge
che questo è semplicemente lo stile
di Gesù nel Vangelo, del Gesù che è
venuto «a portare la buona notizia
ai poveri, a proclamare la liberazione ai prigionieri, ai ciechi la vista, a
rimettere in libertà gli oppressi, a
predicare un anno di grazia del Signore» (cfr. Luca, 4, 18-19; Isaia, 61,
1-2).
Sovente rischiamo di avere sulla
Chiesa uno sguardo che non è lo
sguardo di Gesù: vediamo la Chiesa
come comunità di salvati, insieme di
eletti, come realtà in cui ci sono
“giusti” distinti da ingiusti e peccatori, ravvisabili sempre negli altri
fuori dalla Chiesa, quando non addirittura chiamati e giudicati nemici
della Chiesa. Lo sguardo di Gesù,
invece, vede la Chiesa, sua sposa
amata, come una comunità di pecca-
tori sempre da lui perdonati nel dono del calice, una comunità che non
ha consistenza in se stessa ma solo
nella fede in Cristo. Chi è il peccatore? «Innanzitutto io», dice il cristiano, e si guarda bene dal giudicare gli altri. Quando il Papa, con il
suo linguaggio diretto e pieno di misericordia, più volte ha esclamato,
anche nel corso di omelie: «Chi sono io per giudicare?», ha assunto la
postura di Gesù di fronte all’adultera: «Neanch’io ti condanno; va’ e
d’ora in poi non peccare più» (Giovanni, 8, 11), e ha messo in pratica in
modo epifanico il comando di Gesù:
«Non giudicate e non sarete giudicati» (Luca, 6, 37; cfr. Matteo, 7, 1),
che deve essere letto accanto a: «Siate misericordiosi e otterrete misericordia» (cfr. Matteo, 5, 7). In questo
si mostra anche fedele successore di
Pietro, che così si giustifica per aver
battezzato degli incirconcisi a Cesarea: «Se dunque Dio ha dato a loro
lo stesso dono che a noi per aver
creduto nel Signore Gesù Cristo, chi
ero io per porre impedimento a
D io?».
Dicevano i padri del deserto:
«Chi riconosce di essere peccatore, e
dunque riconosce il proprio peccato,
è più grande di uno che risuscita i
morti». Ecco la misericordia schietta,
evangelica: non il lassismo di chi
non discerne il bene dal male, ma
una vera assunzione di responsabilità verso l’altro, il peccatore, una capacità di mostrare la misericordia
che è il volto stesso di Dio. Per questo il Papa, in un’altra omelia, annota che «il perdono di Gesù va oltre
la legge», che chiede la punizione.
«Gesù va oltre la legge … Questo è
il mistero della [sua] misericordia …
Gesù difende il peccatore anche dalla giusta condanna». Eppure la severità a volte emerge con forza nelle
parole di Papa Francesco, severità
mai contro i peccatori, ma contro i
pagina 7
Piccoli operatori
di pace
«corrotti», che per lui sono i peccatori che si sono venduti, coloro che
vivono il peccato in modo nascosto
e senza pentimento, fieri di non essere scoperti, i peccatori «con i
guanti bianchi», che approfittano
della loro posizione di potere sacrale
o ecclesiastico per peccare più facilmente e impunemente.
Il tema della misericordia e della
Chiesa misericordiosa è riproposto
con forza da Papa Francesco in un
passaggio dell’esortazione apostolica
Evangelii gaudium, che cita a sua
volta Tommaso d’Aquino: «La misericordia è in se stessa la più grande
delle virtù, infatti spetta ad essa donare ad altri e, quello che più conta,
sollevare le miserie altrui. Ora, questo è compito specialmente di chi è
superiore».
Papa Francesco vuole che nella
Chiesa regni la misericordia e anche
le due assemblee sinodali dedicate
alla famiglia e alle sue fragilità sono
state pensate e strutturate in modo
tale che la Chiesa si possa interrogare sulla misericordia, soprattutto verso quelli che non vivono le storie
dell’amore conformemente alla volontà del Creatore e di Cristo Gesù.
È ormai chiaro a tutti coloro che si
interrogano onestamente che non si
tratta di mutare il Vangelo, perché le
parole di Gesù sul matrimonio fedele (cfr. Marco, 10, 1-12; Matteo, 19, 19) sono la volontà di Dio detta una
volta per sempre. Si tratta invece di
affermare come questi cristiani in
contraddizione con la volontà di
Dio possano, nella comunità del Signore — comunità di peccatori sempre purificati e perdonati — avere il
loro posto ed essere nutriti da Dio
stesso, come i loro fratelli e sorelle,
nel cammino verso il Regno.
Ritengo che nell’intenzione di Papa Francesco ci sia la volontà di
porre fine a ogni “intransigentismo”,
e il cammino sinodale intrapreso
condurrà la Chiesa tutta a esprimersi
con l’aiuto dello Spirito santo. Papa
Francesco ha messo in atto con risolutezza il principio cattolico formulato da Papa Bonifacio VIII e ripreso
da Yves Congar come principio di
vita ecclesiale, soprattutto sinodale:
Quod omnes tangit ab omnibus tractari
et approbari debet (Decretales, Liber
sextus, 5, 12, 29), «quello che riguarda tutti, da tutti deve essere trattato
e approvato». Davvero questo pontificato si sta rivelando un tempo per
la misericordia di Dio, un tempo in
cui il cuore della Chiesa si fa carico
della miseria umana, a immagine del
suo Signore, ricco di misericordia.
Bisogna diventare «piccoli operatori di pace» nella quotidianità,
perché soltanto «rispondendo alla
nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà» siamo in
grado di «resistere alla tentazione
di comportarci in modo non degno della nostra umanità». Le parole del messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale
della pace 2015 hanno trovato eco
nella relazione del presidente del
circolo San Pietro, Leopoldo Torlonia, all’assemblea solenne del
sodalizio, svoltasi nel pomeriggio
di mercoledì 4 marzo, nella Sala
dei Papi della sede di Palazzo
San Calisto.
Presieduta quest’anno dall’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto
della Segreteria di Stato, l’assemblea rappresenta il momento più
importante della vita sociale del
circolo, da 146 anni impegnato
accanto ai bisognosi e ai sofferenti attraverso un impegno di carità
che guarda anzitutto al riconoscimento della dignità del bisognoso. In proposito il presidente Torlonia ha sottolineato la necessità
di aprirsi sempre di più «all’accoglienza, all’amore per l’altro, riconoscendo e rispettando la sua dignità e la sua libertà; non “uguaglianza”, che troppo spesso diventa omologazione a un modello
imposto dall’alto, dalle convenzioni, dalle mode; piuttosto, invece, parità e rispetto della diversità, per una autentica comprensione e per una pace duratura».
L’assemblea, alla quale è giunto anche un messaggio di augurio
del presidente della Repubblica
italiana Sergio Mattarella, ha visto la partecipazione del cardinale
Francesco Monterisi, di numerose
autorità ecclesiastiche, militari e
civili. Dopo la relazione del presidente, ha avuto luogo la cerimonia del giuramento dei nuovi soci
Il cardinale Tagle alla Catholic University of America
Così la «Gaudium et spes» parla all’Asia di oggi
WASHINGTON, 5. La missione della
Chiesa in Asia come paradigma
dell’opera evangelizzatrice cui sono
chiamati i credenti in tutto il mondo. Infatti, il continente asiatico
pur con tutte le sue peculiarità — e
forse proprio in forza di esse — pone alla Chiesa universale, in tema
di diffusione della fede, l’esigenza
di evangelizzare attraverso gli incontri personali e non inseguendo
strategie studiate a tavolino. È
quanto, in sostanza, ha affermato il
cardinale arcivescovo di Manila,
Luis Antonio G. Tagle, parlando
nella capitale statunitense presso la
Catholic University of America.
L’occasione è stata l’annuale Cardinal Dearden Lecture, cerimonia in
memoria del cardinale John Francis
Dearden, arcivescovo di Detroit dal
1958 al 1980, protagonista del concilio Vaticano II, in particolare nella stesura di due documenti chiave
come la Lumen gentium e la Gaudium et spes.
Proprio la recezione nel continente asiatico della costituzione
conciliare sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, nel cinquantenario
della sua pubblicazione, è stato il
tema affidato alla riflessione del
porporato filippino, che a cavallo
tra gli anni ottanta e novanta del
secolo scorso scorso è stato studente in teologia proprio presso il prestigioso campus cattolico statunitense. «Dobbiamo ammettere che,
fino a oggi, in alcune parti
dell’Asia il cristianesimo è percepito come estraneo alle culture asiatiche», ha detto il cardinale Tagle, il
quale ha sottolineato come faccia
«parte della missione della Chiesa
in Asia mostrare la ricchezza del
Vangelo nella sua verità universalmente valida, valori aperti a tutti
gli esseri umani. Ma questo dovrebbe accadere in ogni relazione
umana», perché «l’evangelizzazione non può mai trascurare gli uo-
mini e le donne nella loro situazione concreta».
In questa prospettiva, si comprende come la cosiddetta «cultura
dell’incontro», sollecitata in più occasioni da Papa Francesco, sia così
fondamentale, quasi la carta vincente, per un continente vasto e
variegato come l’Asia, dove il cristianesimo è solo una piccola minoranza, spesso guardata anche
con diffidenza. Infatti, ha ricordato
il cardinale, anche se l’Asia è il
continente più grande del pianeta
ed è abitato dai due terzi della popolazione mondiale, i battezzati sono soltanto il tre per cento, e la
metà di questi sono nelle Filippine.
A tutto ciò si aggiunge — ha detto il cardinale tratteggiando i principali aspetti della realtà asiatica —
una povertà dilagante. L’Asia è
piena di «brulicanti masse di poveri», composte da immigrati, vittime
della tratta, del turismo sessuale,
delle vittime del contrabbando di
manodopera a basso costo. «In alcune zone dell’Asia ci sono campi
che accolgono profughi senza nessuna nazionalità, gli apolidi. Nessun Paese vuole difendere loro e i
loro diritti», ha detto il porporato
citando la penosa situazione dei
rohingya, gruppo etnico di religione musulmana in fuga dal Myanmar, dove sono perseguitati dalla
maggioranza buddista. Si stima
che circa 300.000 rohingya vivano
nei campi profughi dei Paesi confinanti con l’ex Birmania.
L’insieme della cultura asiatica,
ha rimarcato il cardinale, è stata
modellata dalle «antiche religioni»,
molte delle quali sono antecedenti
allo stesso cristianesimo, che anche
per questo viene spesso percepito
come qualcosa di estraneo, anche
se esso pure ha le sue radici in
Asia.
Alla luce della Gaudium et spes e
della particolare attenzione della
Chiesa per il mondo contemporaneo, il porporato è tornato dunque
a sottolineare come l’evangelizzazione sia soprattutto un incontro
«da persona a persona». Una cosa,
ha ammesso, che è più facile a dirsi
che a farsi, in contesti di ostilità o
di persecuzione. Così, per esempio,
quando un Governo vara una legge
anti-cristiana, «noi continueremo a
dialogare?», si è domandato il porporato. Tuttavia, ha aggiunto, la
Chiesa è tanto più credibile quando con la sua azione si mette in
ascolto delle sofferenze del popolo,
e dimostra che i suoi valori guida
sono quelli della dignità di ogni
persona, specialmente dei poveri. E
ricordando la forte spinta pastorale
conseguente al viaggio di Papa
Francesco nelle Filippine e in Sri
Lanka nel gennaio scorso, il cardinale ha sottolineato che la Chiesa è
chiamata a impegnarsi con le persone, laddove esse vivono: nelle famiglie, comprese quelle in cui si
praticano differenti religioni, nei
quartieri, nei luoghi di lavoro.
effettivi e il conferimento del distintivo dorato e della medaglia
dorata, rispettivamente a quanti
hanno compiuto venticinque e
cinquant'anni di appartenenza al
sodalizio. In conclusione l’assistente ecclesiastico monsignor
Franco Camaldo ha dato lettura
del chirografo inviato da Papa
Francesco. Quindi l’arcivescovo
Becciu ha impartito la benedizione all’assemblea dopo la recita
dell’Oremus pro Pontifice, la preghiera recitata dai soci ogni giorno, alle 19, nella sede del circolo.
Esercizi spirituali
per i dipendenti
laici del Vaticano
Saranno proposte da don Fabio Rosini, direttore del servizio per le vocazioni del Vicariato di Roma, le meditazioni
degli esercizi spirituali per i dipendenti laici degli Uffici palatini del Vaticano: Segreteria
di Stato, Amministrazione del
Patrimonio della Sede Apostolica, Ufficio delle Celebrazioni
liturgiche del Sommo Pontefice, Archivio segreto Vaticano,
Biblioteca apostolica Vaticana,
Elemosineria Apostolica, Prefettura della Casa Pontificia,
Anticamera Pontificia e Sediari
Pontifici. Gli incontri, sul tema
«Le tentazioni di Gesù», si
terranno dal 23 al 26 marzo
nella cappella Paolina. Le meditazioni inizieranno alle 8.30
e si svilupperanno intorno al
capitolo 4 del Vangelo di Matteo. Nella giornata conclusiva
sarà celebrata la messa.
Nomina
episcopale
in Francia
La nomina di oggi riguarda la
Chiesa in Francia.
Hervé Giraud
arcivescovo di Sens
e prelato della Mission
de France o Pontigny
È nato a Tournon, in diocesi
di Viviers, il 26 febbraio 1957.
Dopo gli studi secondari ha
conseguito una formazione
universitaria a Lyon e ha insegnato matematica per due anni. Quindi è entrato nel seminario interdiocesano di Lyon,
concludendo la sua formazione
teologica con una licenza in
teologia morale alla Pontificia
università Gregoriana a Roma
e con l’ammissione al dottorato
presso l’Institut Catholique de
Paris. È stato ordinato sacerdote il 22 settembre 1985 per la
diocesi di Viviers. Ha esercitato il suo ministero sacerdotale
dapprima come vicario parrocchiale nella sua diocesi, poi come professore all’Institut Pastoral d’Etudes Religieuses
(Iper) di Lyon e all’abbazia di
Champagne. È divenuto formatore presso il seminario di
Lyon e rettore dal 1997 al 2003.
Dal 1999 al 2003 ha ricoperto
anche l’ufficio di segretario del
Conseil national des grands séminaires e della Commission
épiscopale pour les ministères
ordonnés. Nominato vescovo
titolare di Silli e ausiliare di
Lyon il 15 aprile 2003, è stato
ordinato il 25 maggio seguente. Il 13 novembre 2007 è stato
nominato coadiutore di Soissons, divenendo ordinario il 22
febbraio 2008. Attualmente
presso la Conferenza episcopale francese ricopre l’incarico di
presidente del Consiglio per le
comunicazioni.
L’OSSERVATORE ROMANO
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venerdì 6 marzo 2015
Alla Pontificia Accademia per la vita il Papa parla di assistenza agli anziani e cure palliative
Malati di abbandono
«Assistenza all’anziano e cure palliative» è il tema della
assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita
che si svolge in Vaticano dal 5 al 7 marzo. Nella mattina di
giovedì 5 Papa Francesco ha ricevuto nella Sala Clementina
i partecipanti all’incontro. Rivolgendosi a lui, il presidente, il
vescovo Ignacio Carrasco de Paula, ha ricordato tra l’altro
Cari Fratelli e sorelle
vi saluto cordialmente in occasione
della vostra Assemblea generale,
chiamata a riflettere sul tema “Assistenza all’anziano e cure palliative”,
e ringrazio il Presidente per le sue
cortesi parole. Mi piace salutare specialmente il cardinale Sgreccia che è
un pioniere... Grazie.
Le cure palliative sono espressione
dell’attitudine propriamente umana
a prendersi cura gli uni degli altri,
specialmente di chi soffre. Esse testimoniano che la persona umana rimane sempre preziosa, anche se segnata dall’anzianità e dalla malattia.
La persona infatti, in qualsiasi circostanza, è un bene per se stessa e per
gli altri ed è amata da Dio. Per que-
che nel suo lavoro l’Accademia cerca di abbinare «il rigore
dei ragionamenti con la misericordia e la tenerezza del
cuore». Ai presenti il Pontefice ha ricordato che
«l’abbandono è la malattia più grave dell’anziano, e anche
l’ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno
aiutato a crescere non devono essere abbandonati».
sto quando la sua vita diventa molto
fragile e si avvicina la conclusione
dell’esistenza terrena, sentiamo la responsabilità di assisterla e accompagnarla nel modo migliore.
Il comandamento biblico che ci
chiede di onorare i genitori, in senso
lato ci rammenta l’onore che dobbiamo a tutte le persone anziane. A
questo comandamento Dio associa
una duplice promessa: «perché si
prolunghino i tuoi giorni» (Es 20,
12) e — l’altra — «tu sia felice» (Dt 5,
16). La fedeltà al quarto comandamento assicura non solo il dono della terra, ma soprattutto la possibilità
di goderne. Infatti, la sapienza che
ci fa riconoscere il valore della persona anziana e ci porta ad onorarla,
è quella stessa sapienza che ci con-
A colloquio con il vescovo Carrasco de Paula
Più vecchi, più preziosi
di MARIO PONZI
Un miliardo e mezzo di anziani nel
2025, oltre due miliardi nel 2050. I
numeri non lasciano dubbi: la società mondiale invecchia rapidamente. E tuttavia, come ha sottolineato Papa Francesco proprio mercoledì scorso durante l’udienza generale, non è assolutamente preparata a riconoscere ruolo e dignità
delle persone anziane; anzi tende a
considerarle un peso gravoso per la
comunità, soprattutto se malate, e
dunque a “scartarle”. La Chiesa
«non può e non vuole conformarsi
a una mentalità di insofferenza —
ha ribadito ancora Papa Francesco
— e tanto meno di indifferenza e di
disprezzo, nei confronti della vecchiaia». E facendo eco alle parole
di Benedetto XVI, ha aggiunto:
«Dove non c’è onore per gli anziani, non c’è futuro per i giovani».
Ne abbiamo parlato con il vescovo
Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia
per la vita, che proprio al tema
«L’assistenza agli anziani e le cure
palliative» dedica il workshop in
programma venerdì 6 marzo
nell’ambito della plenaria che si
svolge dal 5 al 7 nell’Aula nuova
del Sinodo.
Il seminario di studio non poteva
avere miglior viatico delle parole pronunciate mercoledì dal Pontefice.
È stata una coincidenza, felice e
molto significativa. Papa Francesco, del resto, ha sempre avuto
molto a cuore la situazione degli
anziani, sin da quando era arcivescovo a Buenos Aires. Da parte sua
la Pontificia Accademia è molto attenta agli anziani, alla qualità della
loro vita, e cerca le vie per stimolare la società verso la piena assunzione di responsabilità nei loro
confronti, considerandole, come effettivamente sono, delle persone
con piena dignità, dotate di una
saggezza maturata attraverso le
tante esperienze vissute.
Lei parla di qualità della vita. In
che cosa consiste?
Evidentemente quando si parla
di qualità della vita non ci si riferisce alla quantità della vita da vivere. Sarebbe un errore considerare i
progressi della medicina in questo
settore solo in quanto fattori di allungamento della vita. Semmai si
tratta di un’opportunità da cogliere
proprio per vivere una vita di qualità, nel senso di una vita che dà
frutti. Ecco, gli anziani devono essere messi in condizione di poter
continuare a dare il loro prezioso
contributo. Non a caso Papa Francesco ha detto che gli anziani non
sono alieni. E non sono neppure
degli optional. Sono persone che
restano tali, con tutta la loro dignità, sino all’ultimo istante della loro
vita. E noi, come Chiesa e come
sente di apprezzare i numerosi doni
che quotidianamente riceviamo dalla
mano provvidente del Padre e di esserne felici. Il precetto ci rivela la
fondamentale relazione pedagogica
tra i genitori e i figli, tra gli anziani
e i giovani, in riferimento alla custodia e alla trasmissione dell’insegnamento religioso e sapienziale alle generazioni future. Onorare questo insegnamento e coloro che lo trasmettono è fonte di vita e di benedizione.
Al contrario, la Bibbia riserva una
severa ammonizione per coloro che
trascurano o maltrattano i genitori
(cfr. Es 21, 17; Lv 20, 9). Lo stesso
giudizio vale oggi quando i genitori,
divenuti anziani e meno utili, rimangono emarginati fino all’abbandono;
e ne abbiamo tanti esempi!
La parola di Dio è sempre viva e
vediamo bene come il comandamento risulti di stringente attualità per
la società contemporanea, dove la
logica dell’utilità prende il sopravvento su quella della solidarietà e
della gratuità, persino all’interno
delle famiglie. Ascoltiamo, dunque,
con cuore docile, la parola di Dio
che ci viene dai comandamenti i
quali, ricordiamolo sempre, non sono legami che imprigionano, ma sono parole di vita.
“O norare” oggi potrebbe essere
tradotto pure come il dovere di avere estremo rispetto e prendersi cura
di chi, per la sua condizione fisica o
sociale, potrebbe essere lasciato morire o “fatto morire”. Tutta la medicina ha un ruolo speciale all’interno
della
società
come
testimone
dell’onore che si deve alla persona
anziana e ad ogni essere umano.
Evidenza ed efficienza non possono
essere gli unici criteri a governare
l’agire dei medici, né lo sono le regole dei sistemi sanitari e il profitto
economico. Uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina.
Al contrario, non vi è dovere più importante per una società di quello di
custodire la persona umana.
Il vostro lavoro di questi giorni
esplora nuove aree di applicazione
delle cure palliative. Fino ad ora esse sono state un prezioso accompagnamento per i malati oncologici,
ma oggi sono molte e variegate le
malattie, spesso legate all’anzianità,
caratterizzate da un deperimento
cronico progressivo e che possono
avvalersi di questo tipo di assistenza.
Gli anziani hanno bisogno in primo
luogo delle cure dei familiari — il cui
affetto non può essere sostituito
neppure dalle strutture più efficienti
o dagli operatori sanitari più compe-
società, dobbiamo essere in grado
di accompagnarli, di affiancarli soprattutto nella fase finale della loro
esistenza.
Perché certe politiche ispirate a quella
che Francesco chiama “cultura dello
scarto” tendono a identificare l’anziano col malato?
Questo nasce essenzialmente dal
fatto che la società non è preparata
all’allargarsi della fascia degli anziani. Non sapendo come affrontare la questione, spesso identifica
l’anziano con il malato. Certamente ci sono anziani malati, ma ancor
prima degli anziani malati bisognerebbe parlare degli anziani che soffrono. Molti anziani cominciano a
soffrire molto prima che, come è
inevitabile, sopraggiunga la malattia. Soffrono per le violenze che
sempre più spesso subiscono; soffrono per il disprezzo di cui sono
oggetto; soffrono perché abbandonati. Ma qui entra in gioco il discorso sul ruolo della famiglia. Fin
quando è possibile l’anziano deve
essere affiancato dalla sua famiglia,
alla quale ha dato tutto se stesso
durante la sua vita e che ora è
chiamata ad accompagnarlo nella
fase finale dell’esistenza.
Senza nome
sco, «non dice che era cattivo»:
piuttosto «era un uomo di vita agiata, si dava alla buona vita». In fondo «il Vangelo non dice che si divertisse alla grande»; la sua era piuttosto «una vita tranquilla, con gli amici». Chissà, magari «se aveva i genitori, sicuramente inviava loro dei beni perché avessero il necessario per
vivere». E forse «era anche un uomo
religioso, a suo modo. Recitava, forse, qualche preghiera; e due o tre
volte l’anno sicuramente si recava al
tempio per fare i sacrifici e dava
grosse offerte ai sacerdoti». E «loro,
con quella pusillanimità clericale lo
ringraziavano e lo facevano sedere al
posto d’onore». Questo era «social-
Non abbiamo paura di niente
Sì. È il momento in cui c’è più
bisogno di amore, di calore, di vicinanza.
Però è diventato anche il momento in
cui intorno alla persona sofferente si
contrappongono diverse visioni della
medicina e della vita.
Quale può essere il messaggio del vostro seminario?
Uno solo: non dimenticare mai
la persona anziana, la sua dignità,
la sua preziosità.
meno valore per il fatto che “non
salva la vita”. Le cure palliative realizzano qualcosa di altrettanto importante: valorizzano la persona.
Esorto tutti coloro che, a diverso titolo, sono impegnati nel campo delle cure palliative, a praticare questo
impegno conservando integro lo spirito di servizio e ricordando che
ogni conoscenza medica è davvero
scienza, nel suo significato più nobile, solo se si pone come ausilio in vista del bene dell’uomo, un bene che
non si raggiunge mai “contro” la sua
vita e la sua dignità.
È questa capacità di servizio alla
vita e alla dignità della persona malata, anche quando anziana, che misura il vero progresso della medicina
e della società tutta. Ripeto l’appello
di san Giovanni Paolo II: «Rispetta,
difendi, ama e servi la vita, ogni vita
umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera,
pace e felicità!» (ibid., 5).
Vi auguro di continuare lo studio
e la ricerca, perché l’opera di promozione e di difesa della vita sia sempre più efficace e feconda. Vi assista
la Vergine Madre, Madre di vita e vi
accompagni la mia Benedizione. Per
favore, non dimenticate di pregare
per me. Grazie.
Messa a Santa Marta
Essere mondani significa perdere il
proprio nome fino ad avere gli occhi
dell’anima «oscurati», anestetizzati,
tanto da non vedere più le persone
che ci stanno intorno. È da questo
«peccato» che Francesco ha messo
in guardia nella messa celebrata giovedì mattina, 5 marzo, a Santa
Marta.
«La liturgia quaresimale di oggi ci
propone due storie, due giudizi e tre
nomi» ha subito fatto notare Francesco. Le «due storie» sono quelle della parabola del ricco e del mendicante Lazzaro, narrata da Luca (16,
19-31). In particolare, ha affermato il
Papa, la prima storia è «quella
dell’uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e lino finissimo» e «si
trattava bene», tanto che «ogni giorno si dava a lauti banchetti». In
realtà il testo, ha precisato France-
Lei si riferisce anche alla fase terminale della malattia?
È il momento in cui si accendono infinite e continue polemiche.
Polemiche che investono la questione dell’opportunità delle cure,
delle spese ritenute inutili. È il momento in cui si avanzano insinuazioni ispirate da quella cultura della morte, da anni denunciata dalla
Chiesa, che cerca di camuffare l’eutanasia con una presunta dolce
morte. La dolce morte è solo quella naturale. È il compimento di
una vita che si spegne tra gente
che ama, che si prende cura della
sofferenza, consapevole dell’inutilità di continuare a somministrare
medicine ormai rivelatesi inefficaci
o di intervenire con altri mezzi altrettanto inutili. E che cerca solo di
alleviare la sofferenza con le cure
palliative e senza far mancare, oltre
all’affetto, il necessario nutrimento,
del corpo così come dell’anima.
L’eutanasia non allevia sofferenze.
Anticipa la morte provocandola.
tenti e caritatevoli. Quando non autosufficienti o con malattia avanzata
o terminale, gli anziani possono godere di un’assistenza veramente
umana e ricevere risposte adeguate
alle loro esigenze grazie alle cure
palliative offerte ad integrazione e
sostegno delle cure prestate dai familiari. Le cure palliative hanno
l’obiettivo di alleviare le sofferenze
nella fase finale della malattia e di
assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento
umano (cfr. Lett. enc. Evangelium vitae, 65). Si tratta di un sostegno importante soprattutto per gli anziani,
i quali, a motivo dell’età, ricevono
sempre meno attenzione dalla medicina curativa e rimangono spesso abbandonati. L’abbandono è la “malattia” più grave dell’anziano, e anche
l’ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno aiutato a
crescere non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro amore e della
nostra tenerezza.
Apprezzo pertanto il vostro impegno scientifico e culturale per assicurare che le cure palliative possano
giungere a tutti coloro che ne hanno
bisogno. Incoraggio i professionisti e
gli studenti a specializzarsi in questo
tipo di assistenza che non possiede
«Ci hanno messi di fronte alla scelta se essere cristiani o essere uccisi» e
«siamo dovuti scappare dalle nostre terre con il nostro Cristo, con la nostra fede e con i nostri principi. Abbiamo scelto di andare via lontano
dalle nostre case e dal nostro Paese che amiamo, preferendo diventare
stranieri in una terra straniera, con tutto il dolore e la sofferenza che ne
consegue, piuttosto che diventare parte di quel male e di quella violenza
inumana contro gli innocenti». È un passaggio della commovente lettera
inviata al Papa da alcune famiglie cristiane irachene rifugiate da alcuni
mesi nella parrocchia di Naour in Giordania. A consegnarla nelle mani di
Francesco — dopo la messa a Santa Marta di giovedì 5 marzo — è stato
padre Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media di
Amman e parroco a Naour. Padre Rifat ha donato al Pontefice anche la
copia di un dipinto realizzato da uno di questi profughi: «Non posso rivelarne il nome — ci ha detto il religioso — perché teme per la sua vita,
ma nel quadro ha racchiuso tutto il dramma vissuto dalla comunità cristiana di Mosul». L’opera raffigura una carovana che si lascia alle spalle
le mura della città (sulla sinistra si vede anche una statua di lamassu, uno
dei simboli della civiltà assira che sono stati distrutti dai terroristi). In testa la Sacra famiglia («anche loro sono stati dei rifugiati») e un angelo
custode che accompagna il cammino di un popolo intero: sacerdoti, suore, uomini, donne, anziani, bambini, alcuni indossano abiti tipici delle
città di Mosul e Qaraqosh. «In questi mesi — ci dice padre Rifat — ho ricevuto da queste persone, perseguitate proprio perché cristiane, una grande testimonianza: non hanno più nulla, la loro unica ricchezza è la fede».
Lo scrivono loro stessi al Papa: «La nostra fede oggi è molto più forte di
prima. Non abbiamo paura di niente perché siamo convinti che Dio è
con noi». (maurizio fontana)
mente» il sistema di vita dell’uomo
ricco presentato da Luca.
C’è poi «la seconda storia, quella
di Lazzaro», il povero medicante
che sta davanti alla porta del ricco.
Com’è possibile che quell’uomo non
si accorgesse che sotto casa sua c’era
Lazzaro, povero e affamato? Le piaghe di cui parla il Vangelo, ha rilevato il Papa, sono «un simbolo delle
tante necessità che aveva». Invece
«quando il ricco usciva da casa, forse la macchina con la quale usciva
aveva i vetri oscurati per non vedere
fuori». Ma «sicuramente la sua anima, gli occhi della sua anima erano
oscurati per non vedere». E così il
ricco «vedeva soltanto la sua vita e
non si accorgeva di che cosa era accaduto» a Lazzaro.
In fin dei conti, ha affermato
Francesco, «il ricco non era cattivo,
era ammalato: ammalato di mondanità». E «la mondanità trasforma le
anime, fa perdere la coscienza della
realtà: vivono in un mondo artificiale, fatto da loro». La mondanità
«anestetizza l’anima». E «per questo, quell’uomo mondano non era
capace di vedere la realtà».
Perciò, ha spiegato il Papa, «la seconda storia è chiara»: ci sono «tante persone che conducono la loro vita in maniera difficile», ma «se io ho
il cuore mondano, mai capirò questo». Del resto, «con il cuore mondano» non si possono comprendere
«la necessità e il bisogno degli altri.
Con il cuore mondano si può andare
in chiesa, si può pregare, si possono
fare tante cose». Ma Gesù, nella
preghiera dell’ultima cena, che cosa
ha chiesto? «Per favore, Padre, custodisci questi discepoli», in modo
«che non cadano nel mondo, non
cadano nella mondanità». E la mondanità «è un peccato sottile, è più di
un peccato: è uno stato peccaminoso
dell’anima».
«Queste sono le due storie» presentate dalla liturgia, ha riepilogato
il Pontefice. Invece «i due giudizi»
sono «una maledizione e una benedizione». Nella prima lettura, tratta
da Geremia (17, 5-10), si legge: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal
Signore». Ma questo, ha puntualizzato Francesco, è proprio il profilo
del «mondano che noi abbiamo visto» nell’uomo ricco. E «alla fine,
come sarà» quest’uomo? La Scrittura lo definisce «come un tamerisco
nella steppa: non vedrà venire il bene, “dimorerà in luoghi aridi nel deserto” — la sua anima è deserta — “in
una terra di salsedine, dove nessuno
può vivere”». E tutto questo «perché i mondani, per la verità, sono
soli con il loro egoismo».
Nel testo di Geremia c’è poi anche la benedizione: «Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua», mentre l’altro «era come un
tamerisco nella steppa». E, poi, ecco
«il giudizio finale: niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce:
quell’uomo aveva il cuore ammalato,
tanto attaccato a questo modo di vivere mondano che difficilmente poteva guarire».
Dopo le «due storie» e i «due
giudizi» Francesco ha riproposto anche «i tre nomi» suggeriti nel Vangelo: «Sono quello del povero, Lazzaro, quello di Abramo e quello di
Mosè». Con un’ulteriore chiave di
lettura: il ricco «non aveva nome,
perché i mondani perdono il nome».
Sono soltanto un elemento «della
folla benestante che non ha bisogno
di niente». Invece un nome lo hanno «Abramo, nostro padre, Lazzaro,
l’uomo che lotta per essere buono e
povero e porta tanti dolori, e Mosè,
quello che ci dà la legge». Ma «i
mondani non hanno nome. Non
hanno ascoltato Mosè», perché hanno bisogno solo di manifestazioni
straordinarie.
«Nella Chiesa — ha proseguito il
Pontefice — tutto è chiaro, Gesù ha
parlato chiaramente: quella è la strada». Ma «c’è alla fine una parola di
consolazione: quando quel povero
uomo mondano, nei tormenti, chiede di inviare Lazzaro con un po’
d’acqua per aiutarlo», Abramo, che
è la figura di Dio Padre, risponde:
«Figlio, ricordati...». Dunque «i
mondani hanno perso il nome» e
«anche noi, se abbiamo il cuore
mondano, abbiamo perso il nome».
Però «non siamo orfani. Fino alla fine, fino all’ultimo momento c’è la sicurezza che abbiamo un Padre che
ci aspetta. Affidiamoci a lui». E il
Padre si rivolge a noi dicendoci «figlio», anche «in mezzo a quella
mondanità: figlio». E questo significa che «non siamo orfani».
«Nella preghiera all’inizio della
messa — ha detto infine Francesco —
abbiamo chiesto al Signore la grazia
di volgere i nostri cuori a lui, che è
Padre». E così, ha concluso, «continuiamo la celebrazione della messa
pensando a queste due storie, a questi due giudizi, ai tre nomi; ma, soprattutto, a quella bella parola che
sarà sempre detta fino all’ultimo momento: figlio».