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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 32 (47.167)
Città del Vaticano
mercoledì 10 febbraio 2016
.
Nella messa con i cappuccini il Papa parla del confessore
La quaresima nel messaggio papale
Il gran perdonatore
Un tempo privilegiato
per fare verità
di ENZO BIANCHI
a quaresima è un tempo privilegiato, per il singolo cristiano come per la Chiesa
tutta, per fare verità: fare verità trovando e ritrovando l’essenziale della vita cristiana e liberandosi dal
«di più» che «viene dal Maligno»
(Matteo, 5, 37); fare verità purificando il proprio parlare dalla menzogna; fare verità scoprendo l’unità
tra il dire e il fare, tra parola e
azione, entrambe chiamate a obbedire al grande comando dell’amore
del prossimo. Papa Francesco nel
messaggio per la quaresima indica
gli elementi fondamentali per quel
fare la verità che è vitale per giungere alla conversione: l’ascolto della parola profetica, la conoscenza
della misericordia di Dio, e quindi
il «fare misericordia».
Sempre per il cristiano in principio è l’ascolto, così come per Dio
«in principio è la Parola» (cfr. Giovanni, 1, 1). Perciò tutta la vita cristiana sta sotto il primato dell’ascolto e richiede un ascolto orante, obbediente, fattivo. I profeti
dell’antica alleanza avevano affermato che «l’ascolto obbediente vale più del sacrificio» (1 Samuele, 15,
22), perché apre alla conoscenza
del Dio vivente, fa nascere la fiducia in un Dio affidabile, genera
l’amore per lui e per la sua volontà. Quando il credente nell’ascolto
inizia il proprio cammino di conoscenza del Signore, conosce innanzitutto la sua misericordia, sentimento di un padre (chesed) con viscere di misericordia (rechem-rachamim), amore viscerale sempre fedele che non viene mai meno, anche
quando il credente o la comunità
cristiana nel suo insieme giungono
a contraddire l’amore di Dio fino a
rompere l’alleanza. Sì, il comportamento misericordioso di Dio verso
il peccatore non è giustizia né retributiva né meritocratica, ma è volontà che il peccatore non muoia
ma viva, si converta e viva la comunione con il suo Signore (cfr.
Ezechiele, 18, 23; 33, 11).
Questa conoscenza dell’amore
misericordioso di Dio ci è stata data pienamente da Gesù, il Figlio
che ci ha raccontato Dio (exeghésato, in Giovanni, 1, 18): lui che, crocifisso, ha voluto essere «annoverato tra i peccatori» (Isaia, 53, 12;
Luca, 22, 37), come era sempre vissuto, raggiungendoli nella loro lontananza. Per questo Paolo con meraviglia e per esperienza personale
potrà annunciare: «Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» e «quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con
Dio» (Romani, 5, 8.10). Questa è la
misericordia di Dio per noi che
L
«Siate grandi perdonatori»: è l’invito rivolto da
Papa Francesco alle centinaia di frati cappuccini
che hanno partecipato alla messa celebrata martedì mattina, 9 febbraio, in occasione della traslazione nella basilica vaticana delle spoglie di san
Pio da Pietrelcina e san Leopoldo Mandić.
All’omelia il Pontefice ha commentato le letture
del giorno, sottolineando come «la tradizione dei
cappuccini» sia «una tradizione di perdono. Tra
voi — ha constatato — ci sono tanti bravi confessori: è perché si sentono peccatori, davanti alla
grandezza di Dio». Ma soprattutto «perché sanno
pregare, sanno perdonare», mentre «quando qualcuno si dimentica la necessità che ha di perdono,
lentamente si dimentica di Dio, si dimentica di
chiedere perdono e non sa perdonare».
In particolare, ha proseguito Francesco, «l’umile, colui che si sente peccatore, è un gran perdonatore nel confessionale», a differenza di quanti si
sentono “i puri”, “i maestri” e «sanno soltanto
condannare». Per questo il Pontefice ha voluto
sottolineare, «specialmente in quest’anno della
misericordia», che «il confessionale è per perdonare». Per cui anche quando non si può dare l’assoluzione, il Papa ha raccomandato di “non bastonare”. Poiché «la persona che viene» a confessarsi cerca «conforto, perdono, pace».
Ecco allora la necessità di avere quello che il
Pontefice con un’immagine efficace ha definito
«un cuore largo», perché «il perdono è un seme,
è una carezza di Dio» e bisogna avere fiducia nel
suo perdono. Insomma, ha esortato Francesco,
occorre essere «grandi perdonatori, perché chi
non sa perdonare finisce come un grande condannatore. E chi è il grande accusatore, nella Bibbia?
Il diavolo». Di conseguenza: «O fai l’ufficio di
Gesù, che perdona dando la vita, la preghiera,
tante ore lì, seduto, come quei due — ha concluso
indicando le teche contenenti i resti di san Leopoldo e di san Pio — o fai l’ufficio del diavolo
che condanna, accusa».
PAGINA 8
Non si allenta la morsa della violenza mentre Merkel stringe accordi con la Turchia
La tragedia di Aleppo
DAMASCO, 9. Continua la tragedia di
Aleppo, la città siriana dove è in
corso una massiccia offensiva governativa contro le postazioni dei ribelli. Testimoni dal fronte parlano di
una popolazione intrappolata sotto
una pioggia di bombe e senza la
possibilità di ricevere aiuti umanitari. In 35.000 sono riusciti a fuggire
dalle aree dove infuriano i combatti-
rischio, permettendo anche un maggiore coinvolgimento della Nato nel
controllo del flusso migratorio.
Merkel, da parte sua, ha detto di
essere «inorridita dall’emergere della
sofferenza umana per decine di migliaia di persone causata dai bombardamenti». Il capo del Governo di
Berlino ha in particolare criticato la
posizione di Mosca, che attualmente
accesso limitato al cibo, al carburante e all’assistenza medica» si legge
nel rapporto. Le morti sono causate
in queste zone da malnutrizione,
dissenteria, ipotermia e avvelenamento.
Nel frattempo, notizie di nuove
terribili stragi vengono dall’Iraq. A
Mosul i jihadisti dell’Is hanno massacrato, giustiziandole a sangue freddo, almeno trecento persone. Secondo fonti di stampa, le persone uccise
sono soprattutto poliziotti, militari e
esponenti della società civile. Ma
anche semplici cittadini che avrebbero il “torto” di avere parenti tra i militari o i membri della Commissione.
Mosul è situata nella provincia nordoccidentale di Ninive e dallo scorso
luglio è sotto il controllo dei jihadisti. Negli ultimi tempi però i fondamentalisti dell’organizzazione di Al
Baghdadi hanno cominciato a perdere terreno e sono fortemente
osteggiati dalla popolazione.
L’atroce opposto all’umano
Novecento di terrore
ANNA FOA
A PAGINA
5
Allarme delle agenzie dell’Onu per la carestia
Alla fame un quarto dei sudsudanesi
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Il fumo dei combattimenti sui palazzi di Aleppo (Ansa)
menti, ma sono fermi davanti al confine con la Turchia che resta ancora
chiuso.
Il vice premier turco, Numan
Kurtulmus, ha riferito che a breve
termine «lo scenario peggiore» che
si potrebbe prospettare sarebbe quello di «un nuovo afflusso di 600.000
rifugiati alla frontiera turca in fuga
da Aleppo». «Come conseguenza —
ha detto — stiamo vedendo 200.000
persone costrette a fuggire, 65.000
verso la Turchia e 135.000 dentro la
Siria».
Sulla questione dei profughi è intervenuta ieri anche il cancelliere tedesco, Angela Merkel, nel corso di
una visita in Turchia. Berlino e Ankara hanno siglato una serie di accordi per rafforzare i controlli e l’assistenza umanitaria nelle aree più a
supporta le forze di Assad con raid
aerei. In queste condizioni «è difficile negoziare la pace», ha sottolineato
il cancelliere facendo riferimento
all’attuale stallo dei negoziati a Ginevra. Il Cremlino, tuttavia, ha respinto ogni accusa a riguardo.
Sul campo la situazione resta
drammatica in tutto il Paese. Secondo un rapporto del Syria Institute di
Washington, sono più di un milione
le persone che vivono sotto assedio
in Siria. La maggioranza si trovano
alla periferia di Damasco e a Homs.
Inoltre nella città orientale di Deir
Ezzor circa 200.000 persone vivono
assediate sia dalle forze del cosiddetto Stato islamico (Is), sia da quelle
del Governo di Damasco. La fornitura di «elettricità e acqua corrente
viene tagliata di continuo e c’è un
JUBA, 9. Sono alla fame un quarto degli abitanti del Sud Sudan
che ancora non riesce a uscire
davvero, nonostante la firma di
diversi accordi di pace, dalla
guerra civile scoppiata a fine 2013
tra le forze fedeli al presidente
Salva Kiir Mayardit e i ribelli
guidati dal suo ex vice Rijek Machar.
Un allarme lanciato ieri da tre
agenzie delle Nazioni Unite denuncia livelli d’insicurezza alimentare senza precedenti nel
Paese, con quasi tre milioni di
persone nel bisogno urgente di
assistenza e almeno quarantamila
a rischio imminente di morte per
fame. In una nota congiunta,
l’organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il fondo per l’infanzia (Unicef), e il
Programma alimentare mondiale
(Pam) dell’Onu sottolineano che
«questi dati sono particolarmente
preoccupanti perché mostrano un
aumento della denutrizione pro-
dobbiamo conoscere e sperimentare, per diventare noi stessi uomini
e donne di misericordia verso gli
altri.
Così Papa Francesco ci ricorda
che dobbiamo «fare misericordia»
al nostro prossimo con atti concreti
e quotidiani. Come il samaritano
«fece misericordia» (Luca, 10, 37),
così siamo chiamati a fare nel quotidiano, nella storia, perché accanto
a noi c’è sempre il povero concreto: affamato, denutrito, in fuga,
straniero, scartato, dimenticato, ultimo… La nostra coscienza umana,
ammaestrata dalla parola di Dio,
deve imparare a vedere, a «discernere il povero» (cfr. Salmi, 41, 2),
per sentirsi responsabile e incaricarsi di azioni che siano di liberazione, alleviamento, consolazione
dai mali che affliggono i poveri.
Azioni od opere di misericordia
verso i corpi e verso le vite psichiche e spirituali degli altri, che sono
sempre corpo e spirito intimamente
uniti. Per il Papa però — non dimentichiamolo — i poveri non sono
solo i primi destinatari della nostra
carità, ma sono una cattedra magisteriale, perché possono insegnare
a noi ciò che non sappiamo, ovvero
quella «sapienza della croce» (cfr. 1
Corinzi, 1, 17-18) che chi non è povero ignora. D’altronde al centro
della storia, secondo la visione di
Giovanni, c’è l’agnello innocente,
sgozzato ma vincitore sulla morte
(cfr. Apocalisse, 5, 7-14; 7, 17), emblema di ogni vittima, di ogni perseguitato, di ogni giusto non riconosciuto. I poveri sono — non cessa di dire Papa Francesco — la carne di Cristo, sono il roveto ardente
in cui Dio è presente e di fronte ai
quali occorre inchinarsi (cfr. Esodo,
3, 1-6).
Ma è significativo che tra i poveri il Papa ci inviti a mettere anche i
ricchi: perché? Innanzitutto perché
prima o poi nella vita si entra a far
parte della categoria dei poveri, per
malattia, vecchiaia, isolamento, disgrazie della vita. Poi perché il ricco, non sapendo riconoscersi povero, di fatto è più misero degli stessi
poveri. Il ricco che non vede il fratello nel bisogno, è un cieco; se
non ascolta il grido dei poveri, è
un sordo; se non sa condividere ciò
che ha, è destinato a una solitudine
disperante. I ricchi lo sappiano: il
povero che incontrano è uno che li
chiama a conversione, è uno che
passa a mendicare la conversione, è
un vero maestro che ci «fa segno»,
ci indica una via di salvezza. Mosè,
i profeti e soprattutto il Vangelo
sempre continuano ad ammonire:
«Lasciatevi convertire, e pregate:
“Convertici, Signore, e noi ci convertiremo” (Lamentazioni, 5, 21)».
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha nominato Nunzio
Apostolico in Sud Africa e in Botswana il Reverendo Monsignore Peter Bryan Wells, finora Assessore per
gli Affari Generali della Segreteria di
Stato, elevandolo in pari tempo alla
Sede titolare di Marcianopoli, con
dignità di Arcivescovo.
Ragazzi sudsudanesi profughi in una base dell’Onu dopo la morte dei genitori (Ap)
prio nel periodo post-raccolto,
un momento in cui il Paese dovrebbe avere più cibo a disposizione». Secondo Fao, Unicef e
Pam, «il numero delle persone
che soffrono la fame raggiungerà
il picco durante la prossima stagione magra — tra aprile e luglio
— quando la disponibilità di cibo
è al minimo». Particolarmente
grave è la situazione nello Stato
sudsudanese di Unity, dove «gli
sfollati a causa del conflitto che
sinora si sono cibati di pesce e di
ninfee per sopravvivere, stanno
esaurendo le loro poche fonti di
cibo, via via che le inondazioni
recedono», specifica la nota.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della
Diocesi di Santa Ana (El Salvador),
presentata da Sua Eccellenza Monsignor Romeo Tovar Astorga, O.F.M.,
in conformità al canone 401 § 1 del
Codice di Diritto Canonico.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Santa Ana (El
Salvador) Sua Eccellenza Monsignor
Miguel Ángel Morán Aquino, trasferendolo dalla Sede di San Miguel.
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mercoledì 10 febbraio 2016
Operatore finanziario
durante le contrattazioni a Wall Street (Afp)
Obama propone a Mattarella aiuti per gestire l’emergenza
NEW YORK, 9. Borse mondiali ancora nella tempesta. Tokyo ha chiuso
oggi segnando pesanti perdite. L’indice Nikkei ha registrato un meno
5,40 per cento. Uno dei peggiori cali degli ultimi mesi. Ma è tutta
l’Asia a soffrire: risultati negativi si
segnalano anche per i listini di Filippine, Indonesia, Thailandia e
Nuova Zelanda. In Europa a metà
mattinata, dopo un avvio debole, i
listini stanno cercando di riprendere
quota: Londra segna un più 0,68,
Parigi un più 0,33, Madrid un più
0,24 e Francoforte un più 0,39 per
cento.
La giornata di ieri è stata caratterizzata da pesanti crolli: in poche
ore sono stati bruciati oltre 310 miliardi di euro di capitalizzazione.
Wall Street ha chiuso in negativo
con ribassi di oltre il due per cento.
A pesare sono soprattutto i rinnovati
timori degli investitori sulla crescita
economica mondiale con il crollo
del prezzo del petrolio e il rallentamento di Cina e Stati Uniti. In particolare — spiegano gli analisti — sta
crescendo il rischio di una recessione accompagnata dalla deflazione
(una diminuzione del livello generale dei prezzi derivata dalla debolezza della domanda di beni e servizi,
cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende).
Immigrazione
una sfida globale
Dopo i pesanti crolli registrati a Tokyo e a Wall Street
Segno negativo
sui listini mondiali
Si sta scatenando dunque, in queste ore, una corsa alla ricerca di beni
rifugio come titoli di Stato e oro
(salito ai massimi da giugno a 1.198
dollari l’oncia) a discapito di titoli
azionari come gli industriali e soprattutto quelli bancari, che al momento vengono venduti in massa
sulle due sponde dell’Atlantico.
C’è poi la questione della caduta
del prezzo del greggio. A New York
il prezzo del petrolio ha chiuso ieri
in ribasso sotto i trenta dollari, dopo l’incontro tra il ministro del Petrolio saudita, Ali Al Naimi, e il suo
omologo venezuelano. Il vertice, durante il quale il Venezuela ha chiesto
un taglio della produzione per alza-
Grave incidente
ferroviario
in Baviera
A Roma il vertice dei sei Paesi fondatori dell’Unione
Verso un nuovo Trattato europeo
ROMA, 9. Un nuovo trattato europeo che tenga presente le sfide attuali: dal terrorismo globale all’emergenza
immigrazione alla crisi dell’economia. Questo l’obiettivo
del vertice che si apre oggi a Roma, ai Musei capitolini,
tra i ministri degli Esteri dei sei Paesi che nel 1957 fondarono l’Unione europea. L’intento dei sei (Belgio,
Olanda, Germania, Francia, Italia e Lussemburgo) è
quello di «disegnare le future direzioni» per far fronte a
«gravi instabilità» che «mettono in pericolo quanto realizzato finora» si legge nell’invito ufficiale. Tutto lascia
presagire che non si tratti di un’iniziativa soltanto commemorativa e priva di contenuti. L’incontro sarà invece
un banco di prova per i prossimi Consigli Ue, dove iniziare a discutere nei dettagli sulla spinosa questione della “Brexit” (le condizioni poste da Londra per restare
nell’Ue), sulla tenuta del sistema Schengen (diversi Paesi a causa dei flussi di migranti e rifugiati hanno ripristinato i controlli alle frontiere) e della crisi economica
(ormai si fa sempre più largo l’ipotesi di costituire un
ministero dell’Economia comunitario). L’obiettivo concreto è stilare una lista di proposte da presentare agli altri Paesi nel marzo 2017, quando si festeggeranno i sessant’anni della firma che ha istituito la Comunità economica europea, che fu il primo nucleo dell’Unione.
BERLINO, 9. Scontro tra due treni,
oggi, in Baviera. Le vittime sono
nove, tra le quali il macchinista di
uno dei due treni, mentre l’altro
risulta disperso, stando all’ultimo
bilancio fornito dalla polizia regionale. I feriti sono almeno 150,
tra cui quindici gravissimi e una
quarantina in gravi condizioni.
Per il ministro dell’Interno del
Land, Joachim Herrmann, però,
potrebbero esserci «altri morti tra
i rottami dei due treni; sono sconvolto, è un incidente terribile, uno
dei più gravi disastri ferroviari accaduti in Germania».
Al momento non è ancora del
tutto chiara la dinamica dell’accaduto. I convogli appartenevano a
una compagnia privata, la Meridian, gestita dalle Ferrovie dell’Alta Baviera. «Per noi è un enorme
shock» ha detto Bernd Rosenbusch, direttore delle Ferrovie. La
società ha spiegato che il disastro
è avvenuto in un tratto con un solo binario, alle 6.40 del mattino,
per cause non ancora chiare. L’impatto è avvenuto all’altezza di Bad
Aibling, sulla linea tra Rosenheim
e Holzkirchen, circa sessanta chilometri a sud-est di Monaco. La
polizia ha riferito che si sarebbe
trattato di uno scontro frontale, a
seguito del quale uno dei due treni è poi uscito dai binari. I soccorsi sono intervenuti immediatamente.
Dettaglio di una moneta da un euro con raffigurati i Paesi dell’Unione (Reuters)
Cameron annuncia la riforma
delle carceri britanniche
LONDRA, 9. Le carceri britanniche,
sovraffollate e con elevati tassi di
violenza e suicidi al loro interno,
sono al collasso. Lo ha ammesso ieri il primo ministro, David
Cameron, che ha parlato di uno
«scandaloso fallimento del sistema». Nel tentativo di migliorare la
situazione di oltre 85.000 detenuti,
Cameron ha promesso una serie di
riforme strutturali, che prevedono
una maggiore autonomia ai direttori degli istituti e nuovi programmi
di istruzione. L’obiettivo principale
è permettere a chi è stato dietro le
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Allarme terrorismo
per cinque città europee
sbarre il reinserimento nel tessuto
sociale e lavorativo in modo da evitare, come accade troppo spesso,
che l’ex detenuto torni a delinquere
dopo la detenzione. Fra i progetti
sul tavolo, quello di creare nuove
prigioni che possano diventare un
modello in tutto il mondo con migliori condizioni di detenzione e
una serie di attività speciali per il
recupero dei condannati. Fra i problemi da affrontare c’è anche quello
dei molti bambini, un centinaio
nell’ultimo anno, che hanno vissuto
in carcere con le madri detenute.
L’OSSERVATORE ROMANO
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
BRUXELLES, 9. Si estende l’allarme
terrorismo in Europa. Fonti di intelligence occidentali informano
che, prima degli attacchi di novembre a Parigi, il cosiddetto Stato
Islamico (Is) avrebbe inviato in Europa una sessantina di foreign fighters con l’obiettivo di colpire almeno cinque città europee. Oltre
alla capitale francese, nel mirino ci
sarebbero anche Londra, Berlino e
una città del Belgio. Della quinta
non si hanno informazioni certe. La
principale preoccupazione, ora, è
che di tutti questi foreign fighters
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
re i prezzi, non ha prodotto risultati
concreti. E secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale per
l’energia (Aie), pubblicato oggi, è
molto difficile un rimbalzo delle
quotazioni del petrolio nel breve termine; anzi, a causa di un eccesso
dell’offerta, è probabile un ulteriore
abbassamento del prezzo.
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
non si conosce il nome e non si sa
dove si trovino.
Non si conosce nemmeno chi
agisca in gruppo, in seno a delle
cellule organizzate, e chi, invece,
possa agire come “lupo solitario”.
Tutto ciò, a conferma che l’allarme
per imminenti nuovi attentati rimane elevatissimo in tutta Europa. In
Francia, intanto, il primo articolo
della riforma costituzionale voluta
dal Governo, che introduce lo stato
di emergenza e ne detta le regole, è
stato approvato oggi dai deputati
dell’Assemblea nazionale.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
WASHINGTON, 9. Intesa a tutto tondo sui massimi temi della politica
internazionale, soprattutto sul nodo
immigrazione. Questo il principale
risultato del colloquio, ieri alla Casa Bianca, tra il presidente degli
Stati Uniti, Barack Obama, e il capo di Stato italiano, Sergio Mattarella. Al centro la proposta — ma
per il momento, come ha detto
Obama, si tratta soltanto di
«un’idea embrionale» — di mettere
a disposizione i mezzi militari statunitensi di stanza nel Mediterraneo e nell’ambito Nato per soccorrere i migranti e contrastare le organizzazioni di trafficanti di esseri
umani. Nel concreto, dalle centinaia di basi militari americane dislocate in Grecia, Italia e Spagna
potrebbero arrivare decine di elicotteri, aerei di ricognizione e navi da
utilizzare per gestire l’emergenza.
«L’immigrazione è un problema
globale che dobbiamo affrontare insieme» ha detto il presidente Obama. L’alleanza tra Italia e Stati
Uniti «non potrebbe essere più
stretta». Secondo la stampa, il leader della Casa Bianca ha già sottoposto il progetto al cancelliere tedesco, Angela Merkel, e nei prossimi
giorni ne parlerà con il presidente
francese, François Hollande, e con
il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi. La proposta — dicono gli esperti — dovrebbe infine essere valutata durante il vertice della Nato in calendario
l’8 e il 9 luglio a Varsavia.
Dal canto suo, il presidente Mattarella ha sottolineato «la stretta
collaborazione ci consente oggi e ci
consentirà in futuro di fronteggiare
sfide nuove e di sconfiggere i nemici della pace, della libertà e dei diritti umani». L’emergenza immigrazione «va affrontata con equilibrio,
sicurezza e approccio umanitario»
ha detto Mattarella.
Oggi il presidente italiano incontrerà il numero due della Casa
Bianca, Joe Biden, e i vertici del
Congresso. Domani, invece, l’atteso
faccia a faccia con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Kimoon, al palazzo di Vetro di New
York. Giovedì il titolare del Quirinale terrà un discorso alla Columbia University.
Ripartono
i caucus
per le primarie
WASHINGTON, 9. New Hampshire oggi al voto per le primarie. Il
risultato appare meno incerto rispetto ai recenti caucus dell’Iowa. Tutti i sondaggi, infatti, danno la vittoria tra i democratici a
Bernard Sanders e tra i repubblicani a Donald Trump. In base
alle ultime rilevazioni, Trump è
primo con il 31 per cento dei voti, davanti al senatore della Florida, Marco Rubio (15 per cento), e al senatore del Texas, Ted
Cruz (13 per cento). Seguono
poi il governatore dell’Ohio,
John Kasich, all’11 per cento, e
l’ex governatore della Florida,
Jeb Bush, al 10 per cento. In
campo democratico il senatore
del Vermont Sanders è al 54 per
cento, mentre Hillary Clinton è
data attorno al 40 per cento.
La Casa Bianca chiede al Congresso di sbloccare fondi
Massima allerta per Zika
WASHINGTON, 9. Il virus Zika, trasmesso dalle zanzare del genere Aedes Aegypti, che secondo gli esperti
potrebbe provocare microcefalia nei
feti, dilaga anche negli Stati Uniti.
Le autorità sanitarie di statunitensi
hanno deciso oggi di innalzare a livello 1 l’emergenza per Zika. È la
prima volta dalla crisi del virus
Ebola nel 2014.
L’emergenza di livello mondiale,
dichiarata nelle scorse settimane
dall’Organizzazione mondiale della
sanità, non accenna, dunque, a risolversi. Il quadro, anzi, si complica
perché, avverte il Centro europeo
per il controllo delle malattie,
«l’epidemia continua a evolversi rapidamente nelle Americhe» e,
dall’ultimo recente monitoraggio,
altri otto Paesi (Samoa, Costa Rica,
Curaçao, Repubblica Dominicana,
Giamaica, Nicaragua, Tonga e le
Virgin Islands) hanno segnalato casi di trasmissione autoctona.
Proprio per questo, il presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama,
ha presentato una proposta al Congresso per finanziare con 1,8 miliardi di dollari la ricerca su vaccini e
diagnostica, ma anche per aiutare
in termini di sistemi sanitari pubblici. Un’accelerazione alla ricerca,
quella annunciata da Obama, che
tiene conto anche dell’aumento di
casi “importati” di infezione negli
Stati Uniti: sono cinquanta quelli
confermati in viaggiatori statunitensi dallo scorso dicembre.
L’incubo del contagio — riferiscono i commentatori — sta mettendo
in serio pericolo lo svolgimento delle Olimpiadi di Rio dell’estate prossima, con la possibilità di massicce
diserzioni da parte degli atleti a
stelle e strisce.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
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fax 06 69885164, 06 698 82818,
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«New York
Times»
in spagnolo
WASHINGTON, 9. Il «New York
Times» lancia un nuovo servizio
in spagnolo. Il più importante
quotidiano degli Stati Uniti ha
inaugurato oggi una sezione on
line nella quale saranno messi a
disposizione non solo i migliori
articoli dell’edizione internazionale tradotti in spagnolo, ma anche contenuti originali. Al centro
temi riguardanti l’America latina
e i rapporti con gli Stati Uniti.
Concessionaria di pubblicità
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Il Sole 24 Ore S.p.A.
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Banca Carige
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 10 febbraio 2016
pagina 3
Il premier designato Fayez Al Sarraj chiede un’altra settimana per definire la lista dei ministri
Slitta ancora
il varo del Governo libico
Burundi
segnato
da sanguinose
violenze
BUJUMBURA, 9. Una nuova fase
delle violenze che da quasi un anno insanguinano il Burundi si è
registrata nel fine settimana scorso. Almeno undici persone sono
state uccise nella capitale Bujumbura, teatro di fortissime tensioni
a seguito della ricandidatura, in
aprile, e della successiva rielezione, in luglio, del presidente Pierre
Nkurunziza a un terzo mandato
giudicato incostituzionale dall’opposizione e da diversi soggetti internazionali.
L’ultimo corpo senza vita a essere stato ritrovato ieri è quello di
una guardia giurata di un negozio
di alimentari. Tra le altre vittime,
figurano quattro civili uccisi
dall’esplosione di alcune granate e
cinque membri delle milizie Imbonerakure, l’ala giovanile del
partito di governo che aiuta la polizia a individuare e arrestare i sospetti oppositori armati. La decima vittima era il capo di una postazione militare il cui corpo con
una ferita da proiettile è stato ritrovato da un corrispondente
dell’agenzia di stampa Dpa. Dopo
la sua uccisione, la polizia ha effettuato una quindicina di arresti
nel quartiere di Cibitoke, considerato una roccaforte dei gruppi armati dell’opposizione.
Finora non hanno avuto esito
gli sforzi internazionali per interrompere la spirale di sanguinose
violenze che minacciano di far di
nuovo precipitare il Paese nella
guerra civile. Nkurunziza ha respinto la richiesta del Consiglio di
sicurezza dell’Onu, che ha condotto anche una visita a Bujumbura, di dispiegare una missione
dell’Unione africana, sostenendo
che sarebbe un’invasione ostile.
Secondo i dati delle Nazioni
Unite, dallo scorso aprile sono
quasi cinquecento le persone morte a causa delle violenze politiche
in Burundi. A fine gennaio Amnesty International ha diffuso le prove dell’esistenza di fosse comuni
con decine di corpi alla periferia
di Bujumbura. Secondo l’organizzazione umanitaria, quasi un centinaio di persone sarebbero state
uccise dalle forze della sicurezza
in una repressione seguita ad alcuni attacchi armati a basi militari
del 10 dicembre scorso.
TRIPOLI, 9. Slitta ancora la presentazione del nuovo Governo libico di
unità nazionale. Il premier designato
Fayez Al Sarraj, che ne avrebbe dovuto annunciare tra ieri e oggi la
composizione, ha chiesto un ulteriore rinvio. Almeno una settimana prima di fornire i nomi dei ministri del
nuovo Esecutivo, dopo che la precedente lista, composta da 32 nomi,
era stata bocciata il 19 gennaio scorso dal Parlamento di Tobruk, finora
l’unico riconosciuto dalla comunità
internazionale. La richiesta di Al
Sarraj è arrivata al termine di una
nuova riunione del Consiglio presidenziale.
Il nodo da sciogliere, secondo
quanto riferisce la stampa, resterebbe la nomina ai vertici del ministero
della Difesa, collegata alla questione
del ruolo del generale Khalifa Haftar in una futura Libia che veda
un’autentica riconciliazione tra la fazione di Tobruk e quella islamista
che controlla la capitale Tripoli.
Per il resto, come si è riferito nei
giorni scorsi, il nuovo Esecutivo dovrebbe essere formato da soli 12 ministri. Sembrerebbe comunque essere rispettato il criterio che aveva
portato a quello di 32 ministri bocciato a gennaio, ossia la divisione
del Paese fra tribù, etnie e aree geografiche. I ministri dovrebbero cioè
essere rappresentanti delle tre regioni storiche: cinque dalla Tripolitania,
quattro dalla Cirenaica (le due regioni che si sono aspramente combattute in questi anni seguiti alla ca-
Per riconquistare la capitale Sana’a
Truppe governative yemenite
preparano l’attacco finale
Al Sarraj presiede la riunione del consiglio presidenziale (Afp)
Inaccettabile per il Cremlino il lancio del satellite
Anche Mosca contro Pyongyang
SANA’A, 9. Non accenna a stemperarsi il conflitto armato nello Yemen. Le forze armate governative
yemenite, supportate dalla coalizione internazionale a guida saudita,
stanno preparando un attacco finale contro i ribelli sciiti che controllano la capitale Sana’a. Secondo
quanto riferisce l’emittente «Al Jazeera», le forze governative stanno
ammassando truppe e mezzi nella
provincia di Mareb in vista dell’assalto finale alla capitale. Le truppe
leali al presidente Hadi, infatti,
stanno proseguendo la loro avanzata nella provincia di Al Hodeida,
lungo la costa occidentale del Pae-
se, in modo da accerchiare Sana’a
e stringerla da due lati. Le forze di
Hadi — dicono gli analisti — hanno
anche conquistato un nuovo distretto nella zona, quello di Maidid, della provincia di al Hujja, costringendo i ribelli sciiti ad arretrare. Combattimenti sono segnalati
questa mattina anche nella città di
Aden, principale centro della costa
meridionale. La città è stata sottratta al controllo dei ribelli nel luglio 2015. Tuttavia gruppi legati ad
Al Qaeda hanno lanciato un’offensiva: gli attacchi contro sedi istituzionali e forze di sicurezza si sono
intensificati negli ultimi mesi.
Le prospettive negoziali non fermano ancora le violenze
Attentati in diverse provincie afghane
KABUL, 9. Non diminuiscono le
violenze in Afghanistan nonostante
le prospettive di positivi sviluppi
negoziali legate all’annuncio di imminenti trattative dirette con i talebani da parte dei rappresentanti di
Pakistan, Cina, Stati Uniti e, naturalmente, Afghanistan.
Nuove stragi si sono infatti registrate nelle ultime ore. Sei civili sono stati uccisi da un attentatore suicida che si è fatto esplodere a
Yahyakhil, capoluogo dell’omonimo
distretto della provincia orientale
afghana di Paktika. Obiettivo
dell’attentato era il governatore locale, Musa Khan Kharotai, che ne
è però uscito incolume, secondo
quanto riferito dal portale di notizie
Khaama Press. Lo stesso governatore ha raccontato che l’attentatore
suicida si è fatto esplodere vicino a
una panetteria al passaggio del suo
veicolo.
duta e alla morte di Gheddafi) e altri tre dal Fezzan. Proprio alla regione meridionale del Fezzan dovrebbe
appartenere il nuovo ministro della
Difesa, chiamato a un ruolo cruciale
nell’azione per scacciare da Sirte le
milizie jihadiste che dichiarano appartenenza al cosiddetto Stato islamico (Is)
Sotto questo aspetto ancora nelle
ultime ore sono stati segnalati raid
aerei dell’aviazione di Tobruk su
Derna, la città con forte presenza di
jihadisti situata appunto all’estremità
orientale del golfo di Sirte. Il capo
di stato maggiore dell’aeronautica, il
generale Saqr Al Jaroushi, ha ammesso l’abbattimento di un Mig-32
rivendicato da un portavoce della
coalizione delle milizie islamiche a
Derna, precisando che il pilota è riuscito a lanciarsi. Domenica, invece,
la stampa libica aveva riferito di un
raid aereo su un ospedale di Derna,
alcune case e una moschea, con almeno quattro morti. Al Jaroushi lo
ha attribuito a un «Paese confinante», con chiaro riferimento all’Egitto, che però ha negato.
Nelle stesse ore un altro attentatore suicida si è fatto esplodere vicino a un minibus che trasportava
personale militare a Mazar-e-Sharif,
il capoluogo della provincia settentrionale di Balkh. Nell’esplosione
oltre all’attentatore sono morti tre
soldati e una ventina sono rimasti
feriti. In questo caso la responsabilità dell’attacco è stata rivendicata
dai talebani, mentre non ci sono
state rivendicazioni di quanto accaduto a Yahyakhil,
Nessun gruppo si è dichiarato responsabile neppure dell’uccisione,
avvenuta sempre ieri, di un membro
della Guardia presidenziale afghana
nella provincia orientale di Nangarhar. Un portavoce del Governo
provinciale, Ataullah Khogyani, citato dall’agenzia di stampa Pajhwok, ha precisato che sconosciuti
hanno attaccato l’uomo, di nome
Islahuddin, con colpi d’arma da
fuoco a casa sua uccidendolo e ferendo anche sua madre.
Sempre dall’Afghanistan è giunta
oggi la notizia della morte del mullah Mohammad Hassan Rahmani,
uno dei più autorevoli leader talebani, deceduto questa notte in un
imprecisato ospedale dove era ricoverato perché affetto da cancroLo
hanno reso noto gli stessi insorti.
Stretto consigliere del mullah
Omar, il defunto fondatore del cosiddetto emirato islamico dell’Afghanistan, il mullah Rahmani era
membro del Consiglio direttivo del
gruppo ed era stato governatore
della provincia meridionale di Kandahar fra il 1996 e il 2001. La sua
ultima attività conosciuta è stata la
partecipazione a un incontro sulla
possibilità di un negoziato di pace
afghano tenutosi nella città cinese
di Urumqi.
MOSCA, 9. Il satellite lanciato nello
spazio dalla Corea del Nord due
giorni fa è in orbita attorno alla Terra, anche se — riferisce l’agenzia di
stampa sudcoreana Yonhap, che cita
un funzionario del ministero della
Difesa di Seoul — non è ancora
chiaro se stia funzionando correttamente. Alla ferma condanna della
comunità internazionale per l’iniziativa compiuta in violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite si è
unita anche la Russia. In una nota il
Cremlino ha definito infatti «inaccettabile» il lancio del razzo/satellite, un atto — ha indicato il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov
— «che viola il diritto internazionale».
Il lancio di un razzo a lunga gittata per mettere in orbita il satellite
“Kwangmyongsong-4”, formalmente
destinato a osservazioni terrestri, viene considerato dagli analisti internazionali come un tentativo mascherato di sviluppare un missile balistico
con raggio d’azione di circa 9.000
chilometri, capace quindi di colpire
gli Stati Uniti.
E oggi, nel corso di una conversazione telefonica, il premier giapponese, Shinzo Abe, e i presidenti degli Stati Uniti, Barack Obama, e
della Corea del Sud, Park Geun-hye,
hanno concordato la rapida attuazione di una dura risoluzione al
Consiglio di sicurezza dell’Onu contro la Corea del Nord, e la necessità
di un programma di cooperazione
con gli alleati. «Le azioni della
A Hong Kong
scontri tra polizia
e manifestanti
HONG KONG, 9. Notte di guerriglia
a Hong Kong, dove violenti scontri
tra manifestanti e polizia sono scoppiati nel quartiere di Mong Kok, in
seguito a un’operazione delle forze
dell’ordine contro i venditori ambulanti. Bancarelle e stand gastronomici erano stati allestiti per le celebrazioni del capodanno lunare, ma, secondo le autorità, erano privi di permesso e sono stati, quindi, fatti
sgomberare. La decisione ha provocato la violenta reazione degli abitanti, che hanno iniziato a lanciare
sassi e bottiglie contro gli agenti,
dando fuoco ad alcune auto. Nei disordini, almeno quarantaquattro persone, tra poliziotti e giornalisti, sono
rimasti feriti, mentre sono stati eseguiti ventitré arresti. Il capo
dell’Esecutivo, Leung Chun-ying, ha
condannato le violenze.
Corea del Nord pongono una serie
di minacce alla sicurezza del Giappone e degli Stati Uniti», ha dichiarato Abe, aggiungendo che «è necessario adottare con risolutezza
nuovi provvedimenti per evitare il
proliferarsi di altri incidenti».
Nella discussione con Park, il premier nipponico ha appoggiato l’iniziativa della Corea del Sud di adottare il sistema di intercettazione antimissile ad alta quota Thaad fornito
dall’Amministrazione di Washington, e concordato per la collaborazione trilaterale dei Paesi alleati.
Una sua eventuale adozione, precisano gli analisti, potrebbe però causare nuove frizioni con la Cina,
preoccupata di possibili interferenze
dei radar statunitensi con le proprie
basi missilistiche nella regione.
Nel frattempo, il Parlamento giapponese ha approvato all’unanimità
una risoluzione di condanna per la
sfida lanciata dalla Corea del Nord
contro le direttive internazionali, e
l’invio di una nota di protesta ufficiale al regime di Pyongyang, raccomandando l’adozione di nuove sanzioni.
Spiragli positivi
per l’elezione di Suu Kyi
NAYPYIDAW, 9. Bisognerà attendere
almeno fino alla metà di marzo per
conoscere il nuovo presidente del
Myanmar. Al momento non è trapelato nessun nome. L’unico dato
certo è che sarà un esponente della
Lega nazionale per la democrazia
(Lnd), il partito del premio Nobel
per la pace, Aung San Suu Kyi,
che ha nettamente vinto le legislative di novembre, le prime democratiche dopo oltre vent’anni.
Tra conferme e smentite, si sta
però facendo strada una prospettiva fino a poco tempo fa impensabile nel Paese del sudest asiatico.
Da tempo, infatti, si rincorrono
sempre di più le voci di una trattativa in corso per permettere a Suu
Kyi di prendere la guida del Paese,
nonostante il divieto imposto dalla
Costituzione. Il premio Nobel è
bandita per legge dalla corsa presidenziale perché moglie e madre di
stranieri (il marito, deceduto, e il
figlio hanno passaporti britannici).
Si tratta di una norma ad hoc vo-
luta dai militari proprio per impedire a Suu Kyi di concorrere per la
più alta carica dello Stato. Ma ieri,
due televisioni filo-governative
hanno parlato di «possibili spiragli
positivi nel negoziato» tra il leader
dell’Lnd e l’esercito per la sospensione dell’articolo 59 della Costituzione, ovvero la clausola che preclude l’incarico di presidente a chi
abbia sposato o abbia figli stranieri. L’abolizione di questa clausola è
stata oggetto di negoziazione tra
Suu Kyi e i generali. Per cambiare
la Carta serve il 75 per cento dei
voti in Parlamento, ma i militari
hanno un sostanziale diritto di veto, dato che per legge detengono il
25 per cento dei seggi. Per bloccare
la clausola basta la maggioranza
della metà più uno, eventualità
possibile grazie agli attuali numeri
in Parlamento. L’eventuale modifica potrebbe essere comunque bollata come illegale e anticostituzionale. Da qui, la trattativa che sarebbe in corso tra Lnd e i generali.
Bambina estratta viva
dalle macerie a Taiwan
TAIPEI, 9. Una bambina di otto anni è stata estratta viva ieri sera dalle macerie del complesso residenziale a Tainan, Taiwan meridionale,
crollato per il forte sisma che sabato ha colpito l’isola. La piccola era
disidratata ma cosciente, hanno riferito i soccorritori. Stamane, intanto, la polizia ha arrestato il costruttore dell’edificio. Nel riportare
la notizia, fonti di stampa locale citate dalla Bbc ricordano che nel
crollo dell’edificio sono morte 39
persone. I soccorritori sono riusciti
a estrarre vivi 320 superstiti, ma si
teme che altre cento persone possano essere ancora intrappolate. A
Taiwan, dove i terremoti sono frequenti, vi sono rigide regole per la
costruzione dei palazzi. Il fatto che
quell’edificio sia stato in pratica
l’unico a crollare a Tainan fa ritenere che le regole di sicurezza siano state ampiamente violate.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 10 febbraio 2016
L’arrivo dei profughi
alla Villa pontificia
di Castel Gandolfo (1944)
Le novità introdotte dal primo francescanesimo
Beata
semplicità
di GIOVANNI CERRO
Nella vasta letteratura critica su
Francesco d’Assisi, l’ultimo libro di
Maria Pia Alberzoni, docente di
Storia medievale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano,
Santa povertà e beata semplicità.
Francesco d’Assisi e la Chiesa romana
(Milano, Vita e Pensiero, 2015, pagine 308, euro 25), rappresenta senza dubbio un contributo importante dal punto di vista storiografico.
L’obiettivo del volume, che raccoglie otto saggi pubblicati dalla studiosa negli ultimi anni e per l’occasione ampliati e rielaborati, è sottolineare l’originalità dell’esperienza
minoritica nel contesto della vita
regolare tra la fine del Duecento e i
primi decenni del secolo successivo, rileggendo la santità e la persona di Francesco alla luce del binomio paupertas/simplicitas e delle recenti acquisizioni della storia istituzionale.
Il primo ambito in cui emerge il
carattere originale del francescanesimo è legato alla regolamentazione
della vita religiosa. Se originariamente la regola designava l’insieme
di precetti ed esortazioni volti alla
realizzazione di un ideale di spiritualità all’interno di una comunità
monastica, a partire dal secolo XI il
termine assunse una connotazione
decisamente più giuridica. Tale trasformazione fu favorita sia dalle
spinte riformiste interne alla Chiesa, sia dalle elaborazioni ecclesiologiche delle scuole di teologia di Parigi, che recuperarono il tema della
ecclesiae primitivae forma. Nel 1215 si
ebbe un momento di svolta fondamentale con la costituzione 13 del
IV Concilio lateranense, in cui si
stabiliva che chi avesse voluto fondare una nuova casa religiosa
avrebbe dovuto attenersi alla regola
di Benedetto, a quella di Agostino
o a quella di Basilio, nel caso del
monachesimo orientale.
Pur appartenendo a un simile retroterra teologico e culturale, Fran-
mente; in secondo luogo, il controllo non si limitava a un singolo insediamento, ma, data la forte mobilità dei frati, insisteva su una base
più ampia.
Nel caso specifico dei frati minori, la visita era saldamente ancorata
all’idea di obbedienza e di correctio.
Già la Regula non bullata, risalente
al 1221, distingueva al capitolo V
due forme di correzione — quella
dei frati nei confronti dei ministri e
quella dei frati nei confronti dei
confratelli — stabilendo che la denuncia al ministro generale o a
quello provinciale doveva essere
preceduta da tre ammonizioni fraterne. Si poneva l’accento non tan-
Invece di attenersi alle regole
di Benedetto o di Agostino
il Poverello d’Assisi si riferì
direttamente alla «sequela Christi»
Situandosi al di fuori
delle forme religiose allora esistenti
to sulla punizione, quanto sull’esortazione a ravvedersi e sull’importanza del richiamo misericordioso.
A questo proposito, nella già citata
Regula bullata si assiste a una sorta
di rovesciamento del concetto di visita tradizionale. Se i frati si fossero
resi conto di «non poter osservare
la Regola secondo lo Spirito»,
avrebbero dovuto ricorrere spontaneamente all’aiuto dei ministri. A
loro volta, i ministri avrebbero dovuto accoglierli «con carità e benevolenza», usando nei loro riguardi
«tanta familiarità, che quelli possano parlare con loro e fare come i
padroni con i loro servi; infatti così
deve essere, che i ministri siano i
servi di tutti i frati». Il comportamento codificato nelle due regole,
incentrato non sul controllo ma sulla misericordia e sulla fraternità,
sembra
rimandare
all’esperienza personale
di Francesco, come testiIl caso della «Regula» bullata,
moniano il biglietto a
frate Leone e l’Epistola
approvata nel novembre del 1223
ad quendam ministrum.
da Papa Onorio III
Dal volume di Alberzoni emerge, quindi, che
può essere considerato un unicum
le novità introdotte dalnella Chiesa di quel periodo
la comunità di Francesco a livello organizzativo e istituzionale dipencesco preferì far riferimento diretta- devano soprattutto dal particolare
mente alla sequela Christi, situando- carisma incarnato dall’assisiate, una
si così al di fuori delle forme reli- forma di investitura ricevuta direttagiose allora esistenti. Cristo stesso, mente dall’Altissimo. In quanto fiinfatti, aveva indicato secondo gura carismatica, Francesco era perFrancesco la nuova via da percorre- ciò in grado di tenere insieme e di
re, ovvero «vivere secondo la
forma del santo Vangelo». Il
caso della Regula bullata, approvata nel novembre del 1223
da Papa Onorio III, può quindi essere considerato un unicum nella Chiesa di quel periodo: i frati minori poterono
dirsi regolari pur senza aver
accolto una delle regole della
tradizione.
La verifica dell’osservanza
della regola in una comunità
monastica era in genere affidata a un sistema di controllo
fondato sul capitolo generale
annuale e sulla visita canonica. Tra il XII secolo e l’inizio
del XIII tale sistema, messo a
punto dai circestensi per permettere all’abbazia madre di
comunicare con le sue varie
filiazioni, fu progressivamente
esteso a tutte le reti monastiche.
Domenico Ghirlandaio, «Conferma della regola» (1482-85,
Tuttavia la nascita delle fraCappella Sassetti, Santa Trinita, Firenze, particolare)
modificando
la
ternitates,
struttura gerarchica degli ordini, ebbe evidenti ripercussioni su questo modello e in parti- far interagire aspetti differenti del
colare sulla pratica della visita. In messaggio cristiano, dalla spiritualiprimo luogo, i visitatori erano ora tà penitenziale al tentativo di aderilegati a un insieme di frati o a un re il più possibile in modo letterale
territorio specifico, cioè la provin- alla vita del Vangelo, dall’impegno
cia, ed erano nominati per svolgere missionario alla sincera obbedienza
il loro compito solo provvisoria- alla Chiesa.
Il soccorso ai profughi offerto dalla Guardia Palatina
Nessuna distinzione
Pubblichiamo uno stralcio dal volume «La Guardia Palatina
d’Onore di Sua Santità. 18501970 Fedeltà, Onore, Servizio»
(Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2015, pagine 437,
euro 55).
di ANTONIO MARTINI
A Castelgandolfo, già nella metà di settembre, era iniziata
l’opera di aiuto a ricercati e
profughi. Con l’aumento di
questi “ospiti” si presentava la
necessità di un servizio di sicurezza. Già dal 3 ottobre era atteso l’arrivo della Palatina e fervevano i preparativi per l’accoglienza anche di Gendarmi e
Guardie Svizzere e le suore addette avevano già allestito la loro cucina.
Come abbiamo accennato, il
primo
distaccamento
della
Guardia Palatina era partito
per la Villa Pontificia di Castel-
Nelle Ville Pontificie
furono accolte persone
senza casa né viveri
Si doveva affrontare
l’eccezionale freddo del 1944
che che sono però risolte con
l’intervento di un Ufficiale Superiore della Guardia che ottiene la solerte collaborazione della Direzione degli Uffici Tecnici del Governatorato.
Il 22 gennaio 1944 le truppe
alleate sbarcano ad Anzio e in
tutti si accende la speranza di
una loro rapida avanzata verso
Roma con la fine dei disagi fino ad allora sofferti. Come sappiamo quelle speranze furono
frustrate dalla mancata avanzata degli alleati. Come prima
conseguenza, giunsero alla Villa
altri profughi provenienti dalle
zone dei combattimenti, tutti
accolti, senza alcuna distinzione, dalla infinita carità del Santo Padre, anche se con
serie
preoccupazioni
per il loro alloggiamento e mantenimento.
Quando si tratta di
lontani eventi di cui
molto e molti hanno
detto, è meglio attingere a fonti ufficiali redatte nel momento su fatti
accertati e testimonianze. Una di queste è la
pubblicazione annuale
Attività della Santa Sede
che parlando dei danni
e delle violenze subite
nelle zone extraterritoriali, così riferisce gli
avvenimenti di quei
giorni: «Altra zona duramente provata dalla
violenza della guerra
sono state le Ville Pontificie di Castelgandolfo. A più riprese dal
febbraio alla metà di
maggio del corrente anno, aerei hanno sganciato bombe su quella
località, protetta dalla
immunità diplomatica e
ove si addensavano i
profughi delle vicine
zone devastate dalla
bufera della guerra, in
grande numero: in taluni periodi fino a 15.000
rifugiati erano accolti
negli immobili della
Santa Sede. Purtroppo numerose sono state le vittime: in
una sola incursione se ne ebbero oltre quattrocento; considerevoli i danni ai fabbricati e alle istallazioni della Villa».
Il Santo Padre, con amorosa
premura, secondato dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e
gandolfo il 5 ottobre, gli uomini ebbero una discreta sistemazione e il loro servizio, anche
se pesante a causa della vastità
della zona da tenere sotto controllo era regolarmente prestato
senza difficoltà.
Tra gli immobili extraterritoriali, il più difficile da controllare era la Villa, per la vastità
del territorio, la distanza dal
Vaticano e gli ingressi molto
esposti perché dislocati in pieno centro dei paesi di Castelgandolfo e di Albano, per cui il
distaccamento era più numeroso.
Quindici uomini con il loro
ufficiale iniziarono subito il servizio di vigilanza specialmente
all’ingresso principale della Villa e alla “macelleria”, vicina
all’ingresso di Albano. Il tempo
passava piuttosto tranquillo in
una struttura bene organizzata,
con cambio settimanale del distaccamento. Presto crebbero le
esigenze di sorveglianza interna
per l’aumento dei rifugiati nel
territorio della Villa e di coloro
che volevano entrare
ritenendo che quel
luogo fosse più sicuAl termine della guerra
ro, perché sotto la
protezione del Papa.
fu ritrovata la normalità
Costantemente arriRiprese così il servizio
vavano nuovi rifugiati bisognosi di
di anticamera, di parata
aiuto, benevolmente
e di ordine nelle cerimonie
accolti anche se tra
gravi difficoltà di organizzazione, sicurezza e specialmente per il loro dal Direttore della Villa Pontimantenimento, tanto che ai pri- ficia di Castelgandolfo, Emilio
mi di novembre l’economato Bonomelli, ha provveduto, con
entrò in crisi per il timore di ogni genere di soccorsi, a lenire
non poter provvedere al vitto le gravissime difficoltà di una
popolazione rimasta priva, d’un
per tutti.
Per far fronte alle nuove esi- tratto, della casa e di ogni più
genze si accresce il numero del- urgente sussidio per la vita.
La carità del Santo Padre acle Guardie dislocate a Castelgandolfo, con il loro aumento colse nella Villa i suoi figli colnascono nuove necessità logisti- piti nelle più elementari neces-
sità: senza casa, senza viveri e
mancanti perfino di che combattere l’eccezionale freddo di
quell’inverno 1944. Profughi,
sfollati e rifugiati arrivarono a
15.000 fino a occupare l’intera
Villa, “intera” nel più stretto significato del termine; lo sappiamo dal racconto dei nostri
commilitoni che vissero quei
tragici momenti e dalle cronache contemporaneamente pubblicate come quella de «L’O sservatore Romano» del 22 febbraio 1944: «Non soltanto i
giardini con tutti i loro locali,
gli angoli pittoreschi, i viali, le
siepi, il cripto-portico, le serre,
ma anche il palazzo, la grande
scalinata, le stanze riservate ai
di salvare quante più persone
possibile.
La maggioranza degli ausiliari erano apolitici che si contentavano di essersi messi al sicuro, di avere una buona refezione in cambio di un servizio,
spesso non gravoso, prestato
con riconoscente onestà.
Il primo periodo dell’arruolamento, fino al marzo 1944,
trascorse per gli ausiliari in relativa tranquillità con un servizio ogni 15 giorni per 24 ore
durante le quali erano loro
somministrati
«veri
pasti»,
evento eccezionale nella carestia della città. In primavera furono stabiliti, anche per gli ausiliari, turni più lunghi con periodi di «accasermamento» in
Vaticano o negli edifici extraterritoriali, compreso quello di
Castelgandolfo a causa di quei
tragici avvenimenti che incombevano su tutti.
Dopo la liberazione di Roma
del giugno 1944 il personale
entrato nella Guardia con gli
arruolamenti straordinari fu
congedato e a tutti guardie, allievi e ausiliari fu rilasciato un
diploma e una medaglia, con
nastro cremisi listato di bianco
e giallo, che reca al dritto il ritratto del Papa con la scritta
Pius XII Pontifex M. e al rovescio Al merito per servizi straordinari 1943-1944 circondata da
Guardia Palatina d’Onore di
Sua Santità.
A proposito del diploma e
della medaglia l’Allievo congedato Carlo Laurenzi realisticamente commenta: «Onesta-
Baracche e tende ospitano i profughi nella Villa pontificia (1944)
dignitari, l’ampio salone dello
Svizzero, la scala detta di Napoleone, le varie aule dell’Anticamera segreta e fin le sale del
Trono e del Concistoro ed altre
ancora dell’appartamento papale, lasciano solo, nel mezzo, un
ristretto passaggio, giacché intere famiglie si sono alloggiate
lungo le pareti utilizzando le
scarse masserizie sottratte alla
tormenta e tutte le suppellettili
che la Direzione della villa, insieme a risorse di natura alimentare, ha potuto mettere a
loro disposizione. La massima
parte dei disgraziati appartiene
a zone delle immediate vicinanze: ma non pochi provengono
da altre plaghe flagellate dalla
bufera; ve n’è di quelli che per
ben quattro volte, risalendo un
doloroso cammino sono stati
costretti a sfollare dopo il primo distacco dal paese natio!».
Nella maggioranza degli arruolati vi era indubbiamente un
senso di fedeltà al Papa, ma alcuni ebbero come stimolo la ricerca di sicurezza profittando
proprio della sconfinata carità
del Papa che, indipendentemente da tutto, aveva lo scopo
mente i meriti straordinari non
furono nostri verso la Santa Sede, ma della Santa Sede per
noi. Eravamo sbandati nella fame della città, cominciavamo a
nasconderci, le case delle madri
non erano più sicure».
In rapporto al grande numero di ausiliari immessi nella
Guardia in quel periodo, furono relativamente pochi quelli
che restarono nella Guardia dopo la liberazione di Roma nel
giugno del 1944, poiché il numero degli effettivi previsto dal
regolamento era ormai quasi
completamente coperto dalle
vecchie Guardie rimaste sempre
in servizio, da quelle nel frattempo congedate dall’Esercito
italiano e dagli allievi che avevano già prestato giuramento e
quasi tutti passati effettivi.
Con quelle tragiche vicende
la Guardia Palatina chiuse un
intervallo di vita che, per la sua
particolarità, resterà a suo merito consacrato al ricordo. Nella
ritrovata normalità riprese, come per il passato, il suo servizio di Anticamera e di parata e
d’ordine nelle cerimonie religiose e civili.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 10 febbraio 2016
pagina 5
Le violenze religiose e politiche
che si susseguono anche oggi
tendono a trasformarsi
in nuovi genocidi
A cominciare
dal massacro dei cristiani
Un gulag sovietico
Quando l’atroce si oppone all’umano
Novecento
di terrore
troppo condizionato dalle conse- conquista nazista, la produzione deguenze politiche del riconoscimento stinata a sostenere l’industria bellica
di questa etichetta, creata come sap- e civile. Un nesso, questo, che il lipiamo da Raphael Lemkin nel 1944 bro di Vercelli non sottolinea, mi
sull’onda della memoria del genoci- sembra, a sufficienza, attento com’è
dio armeno sommata a quella della ad altri aspetti, quelli di arbitrarietà
consapevolezza della Shoah che an- del diritto e quelli punitivi, del sistecora si stava consumando. Ma co- ma concentrazionario sia nazista che
munque indispensabile anche per comunista.
Il salto qualitativo è introdotto
evitare confronti tra fenomeni incomparabili, di mescolare conflitti dal campo di sterminio, cioè nella
politici con genocidi, stato di ecce- trasformazione del campo da campo
zione con stermini e via discorrendo. di lavoro forzato sia pure ad altissiAnche se, in sé, le limitazioni delle mo degrado e mortalità, a campo di
libertà legate allo stato d’eccezione sterminio pianificato attraverso l’inpossono contenere i germi di svilup- troduzione delle camere a gas. Un
pi molto più devastanti, il percorso salto che viene compiuto dai soli nanon è né automatico né ineluttabile zisti, come Vercelli sottolinea, e che
o predeterminato. Insomma, Guan- rappresenta realmente l’aspetto di
tánamo, per quanto fenomeno inde- unicità della Shoah, separandola
gno, non è certo una qualitativamente dal resto del sistema concentrazionario. Una separastrada per Auschwitz.
Uno dei fili attra- zione, dobbiamo aggiungere, che
verso cui si dipana nella realtà non fu così netta dato il
l’analisi di Vercelli è sovrapporsi delle due diverse funzioquello dell’istituzione ni in molti campi di concentramento
“campo di concentra- nazisti, dalla Risiera di San Sabba a
mento”, un’invenzione Ravensbrück. Il sistema concentraNella serata di martedì 9 viene
della fine dell’O tto- zionario nei suoi due modelli nazista
presentato a Roma, presso il
cento
perfezionatasi e comunista appare qui come un siCentro Ebraico Italiano «G. e V.
nel Novecento, dalle stema vasto e molto simile, sia pur
Pitigliani», il libro di Claudio
prime forme embrio- nelle differenze d’intenti e di modaVercelli Il dominio del terrore.
nali con la guerra di lità, mentre se ne stacca nettamente
Deportazioni, migrazioni forzate e
secessione americana, il solo sistema dello sterminio nastermini nel Novecento (Roma,
alla guerra di Cuba zista.
Salerno Editrice, 2016, pagine
L’analisi che Vercelli compie dei
del 1896-98 fino alla
166, euro 12). All’incontro,
guerra
anglo-boera, due sistemi, quello del gulag e quelmoderato da Franca Giansoldati,
dove viene introdotto lo dei lager, è al centro del breve vointervengono Lucetta Scaraffia e
il filo spinato, divenu- lume. Del gulag vengono spiegati
l’autrice dell’articolo che
to oggi simbolo del sia la molteplicità delle funzioni (recampo. Di lì allo ster- pressione, rieducazione, manodopera
pubblichiamo in questa pagina.
minio degli Herero, forzata, sovietizzazione forzata) sia i
primo genocidio del nessi con le eredità del passato e i
Novecento, opera del- provvedimenti amministrativi di redel terrore nel secolo XX . Non si la Germania guglielmina, dove si pressione sotto lo zarismo. Del lager,
tratta di fare una contabilità del ter- formalizza tanto il nome, campo di il rapporto della formazione di un
rore, di valutare il numero più o me- concentramento, quanto il nesso tra sistema concentrazionario pervasivo
no grande delle vittime, gli strumen- genocidio e campo. Poco usati, se e onnipresente con la guerra, il proti più o meno gravi di violenza e non come campi di transito, nel getto di schiavizzazione delle razze
morte, insomma, per dirla con Jean- grande genocidio armeno, i campi di inferiori e dell’eliminazione di ebrei
Michel Chaumont, di fare una gra- concentramento, già preduatoria delle vittime, intento ab- senti nell’Urss degli anni
bandonato da molti anni dalla sto- Venti, vedono il loro culAl centro del libro
riografia anche se ancora prediletto mine negli anni Trenta del
dal senso comune storiografico, che secolo, nel nascere dopo il
sono i due sistemi vasti e molto simili
ama dibattere a forza di cifre sul fat- 1933 del sistema concentraquello del gulag e quello dei lager
to se abbiano fatto più vittime Hi- zionario nazista, e nel fortler o Stalin, Pol Pot o Mao. Il pro- marsi di quello sovietico
Nati dall’invenzione
blema è un altro: quello di decifrare con il gulag (il gulag, non
del campo di concentramento
le modalità delle violenze di massa e i gulag, dal momento che
degli stermini, di coglierne la genesi si tratta di un acronimo
e le conseguenze, i rapporti con le per il burocratese Direzioideologie, con le legittimazioni stata- ne principale dei campi di lavoro e oppositori. Comune ad ambedue i
li, con le rinunce al diritto. In que- collettivo). Sia nei lager nazisti che sistemi, scrive, era «l’uso del terrore
sto senso aiuterebbe, anche se non nel gulag il campo è strettamente le- di massa fino alla soglia dello sterpuò essere risolutivo, un maggiore gato con l’idea di lavoro forzato. È minio ed oltre».
ricorso da parte di Vercelli al termi- sul lavoro schiavistico di milioni di
Il volume va oltre la fine del nazine, giuridicamente definito a livello prigionieri che si realizza in Urss smo e del comunismo e del loro sidi diritto internazionale, di “genoci- l’accesso all’industrializzazione, è nel stema concentrazionario. Esso arriva
dio”. Non risolutivo, evidentemente, lavoro schiavistico del campo di all’oggi, attraverso un’analisi a volo
perché troppo connotato anch’esso concentramento che si realizza sem- d’uccello sia sul dopoguerra e sulla
dai rapporti di forze internazionali, pre più, nel corso della guerra di risistemazione dei rapporti politici
di ANNA FOA
Il problema che la storia del Novecento, con il suo susseguirsi di genocidi, sistemi concentrazionari, stermini e migrazioni forzate ci pone, è
anche il problema di trovare un filo
rosso che li colleghi, che leghi fra loro le più o meno diverse violenze di
Stati a percorsi ideologici differenti,
quali la Turchia dei Giovani Turchi,
la Germania nazista, il sistema del
terrore nell’Impero sovietico. Che
trovi costanti e uniformità in episodi
di violenza di massa ognuno diverso
e specifico, ma tutti caratterizzati dal
fatto di contrapporre “l’atroce
all’umano”, per usare la terminologia adoperata da Claudio Vercelli in
questo libretto dedicato al dominio
ed etnici (riutilizzazione, sia pur in
altro modo, dei campi ex nazisti da
parte delle potenze vincitrici, pulizia
etnica e grandi migrazioni forzate,
repressioni oltre la cortina di ferro)
sia sui genocidi più recenti: dall’autogenocidio di Pol Pot ai genocidi
in Ruanda e in Bosnia. Tra ottocentomila e un milione i dati dei tutsi
massacrati in Ruanda (che Vercelli
tende, sulla base di fonti riduzioniste, a sottostimare a cinquecentomila) al genocidio di Srebrenica, a po-
chi chilometri dai confini dell’Unione europea. Genocidi non ancora
del tutto relegati al passato, che possono lasciare spazio a nuovi massacri. Fino ai nessi tra i massacri del
Medio oriente (in particolare, in Siria) e i grandi fenomeni migratori
che si riacutizzano oggi. Il tutto in
un mondo in cui il problema dei diritti umani continua a essere agitato
più come una bandiera che come un
programma effettivo di azione politica. Dove le violenze religiose e poli-
La presentazione
Viaggio in Italia
La telecamera di George
Simonetta Agnello Hornby, il figlio George e Andrea Camilleri in «Io & George»
di GIULIA GALEOTTI
L’avevamo conosciuta come scrittrice di una avvincente Sicilia, grazie a romanzi quali La Mennulara (2002) o Boccamurata (2007). E poi come avvocatessa impegnata, sia in qualità di fondatrice
dello studio legale Hornby and Levy specializzato
in diritto di famiglia, minori e violenza domestica,
sia come presidente (per otto anni) del tribunale
inglese per i bisogni educativi speciali e la disabilità. Ora infine, grazie al film documentario in sei
puntate Io & George, anche come madre.
Nata e cresciuta a Palermo, dopo la laurea in
legge nel 1967, Simonetta Agnello Hornby si è
trasferita a Londra, dove si è sposata con un inglese da cui ha avuto Nicolas e George. Quest’ultimo, ora quarantacinquenne e padre a sua volta
di due figli, da oltre un decennio è affetto da
sclerosi multipla primaria progressiva, una grave
Disegni riprodotti in modelli al Science Museum di Londra
Leonardo va alla guerra
Leonardo da Vinci non solo in versione pars costruens ma anche in
quella pars destruens: i progetti scaturiti dalla sua mente vulcanica sono
stati riprodotti in modelli dal Science
Museum di Londra che ha allestito
la mostra, dal 10 febbraio al 4 settembre, Leonardo da Vinci: The Mechanics of Genius. Nei suoi disegni —
affermano i curatori citati dal «The
Guardian — è riconoscibile un doppio binario: l’amore per l’umanità e
per il suo progresso unito a un desiderio di distruzione del nemico, visto
come tale se ostacolo a quel progresso. Ecco allora che Leonardo disegna
La ricostruzione di macchine lanciapietre progettate dal genio leonardesco
tiche si susseguono e tendono a trasformarsi in nuovi genocidi (a cominciare dal sistematico massacro
dei cristiani, che pure forse avrebbe
meritato una menzione nel libro),
mentre le istituzioni internazionali
rivelano ogni giorno di più la loro
impotenza e la loro incapacità di intervenire. Se quella delineata da Vercelli è la storia del Novecento, il secolo che abbiamo iniziato non lascia
presagire molto di meglio.
anche macchine da guerra, in particolare crossbows, ovvero balestre di
grandi dimensioni, la cui vista sarebbe stata capace già da sola di spaventare il nemico, sottolinea Sue
Mossman, direttore dei progetti al
Science Museum. Ma alcuni studiosi,
convinti del suo assoluto pacifismo,
ritengono che Leonardo avrebbe in
realtà introdotto intenzionalmente
difetti nei suoi progetti di armi di
guerra così da renderle innocue. Ma
al di là del bene e del male, o presunto tale, resta il suo genio. (gabriele
nicolò)
malattia che lentamente porta alla paralisi. Ebbene, madre e figlio hanno compiuto insieme un
viaggio di tre settimane lungo la penisola italiana, da Milano ad Agrigento: il risultato è la serie
Io & George, diretta da Riccardo Mastropietro,
andata in onda su Rai Tre qualche mese fa e ora
fruibile in streaming. Le puntate si snodano da
Londra — in cui entrambi vivono — fino alla Sicilia, passando per Milano, la Toscana, Roma, Napoli, Palermo e Agrigento, dove, nella contrada
Mosè, si trova la casa di campagna della famiglia
Agnello.
Il risultato è un viaggio tra passato e presente
della storia italiana, tra monumenti, strade, incontri e flashback (attraverso documentari
dell’epoca), ma è anche un viaggio tra il cibo
(dal maritozzo con la panna al babà), condito di
incontri, di nuovi e vecchi amici ritrovati lungo la
via — compresi Andrea Camilleri e il presidente
della Repubblica Sergio Mattarella. Il tutto adorno da un filo rosso: lo stile narrativo della scrittrice che lo spettatore ritrova nelle parole con cui
Simonetta Agnello Hornby si relaziona con la
realtà, la natura, le radici familiari, gli odori e i
volti che incontra nel viaggio con suo figlio.
Un viaggio non sempre facile a causa delle difficoltà logistiche per la sedia a ruote di George,
difficoltà in cui — sia grazie a una delle telecamere montata sullo speciale velivolo proveniente
dalla Malesia e acquistato sul web, sia grazie allo
sguardo della madre — lo spettatore riesce facilmente a immedesimarsi. Tra barriere architettoniche e sampietrini, meravigliosi monumenti che
diventano trappole senza uscita, treni e autobus a
volte sorprendentemente attrezzati, il messaggio
non è sempre confortante: se George riesce a
compiere felicemente il suo giro per l’Italia, è solo grazie alla disponibilità casuale di chi incontra,
e alla sua posizione privilegiata di turista seguito
da una troupe televisiva.
Il messaggio di denuncia arriva, ma con toni delicati e rilassati: Simonetta e George sono infatti
non solo una coppia madre-figlio curiosa e coraggiosa, ma anche incredibilmente serena. Un modo
intelligente ed efficace di mettere l’accento su quello che non va. Senza astio, ma in modo fermo.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 10 febbraio 2016
Lettera pastorale in vista delle elezioni del 28 febbraio
Ognuno si impegni
per il futuro del Benin
ABUJA, 9. «Occorre fare una revisione del sistema educativo e sanitario
della Nigeria, per restaurare l’integrità sociale e politica di tutto il
Paese»: a sottolinearlo, nei giorni
scorsi, è stato monsignor Jude Ayodeji Arogundade, vescovo di Ondo,
presiedendo la messa per l’avvio
delle celebrazioni del centenario
dell’arrivo dei primi missionari. Il
presule, in particolare, ha puntato il
dito contro le carenze del sistema
educativo, evidenziando, al contrario, come le scuole cattoliche rappresentino ancora «i canali più vitali
per la formazione della popolazione». Di qui — riferisce Radio
Vaticana — il richiamo di monsignor
Arogundade “all’immenso contributo” che la Chiesa cattolica ha dato e
continua a dare «allo sviluppo religioso, pastorale e sociale della Nigeria».
In merito alla ricorrenza centenaria, il presule ha lodato l’impegno
dei primi missionari che hanno portato la fede nella regione e ha ringraziato i fedeli per aver contribuito, con generosità, al radicamento
del cattolicesimo. «Tuttavia — ha
aggiunto il vescovo di Ondo — non
bisogna riposarsi sugli allori, perché
il messaggio evangelico di Cristo
deve raggiungere ancora molti
luoghi della diocesi e di tutta la
Nigeria».
Per questo monsignor Arogundade ha esortato i fedeli a «portare la
buona novella di Cristo a tutti i fratelli, sia con le parole sia con le
I vescovi a sostegno delle scuole cattoliche
Valori
per la Nigeria
azioni, al fine di migliorare la società, in favore dei più poveri e bisognosi. Grandi cose — ha spiegato il
presule — possono essere fatte con
la preghiera e la fedeltà a Dio».
Di recente, i vescovi nigeriani
hanno sottolineato quanto sia in
sofferenza l’economia del Paese, ricordando che «sempre più nigeriani
lottano o sono incapaci di soddisfare le necessità di base delle loro famiglie. La forte disoccupazione giovanile — hanno lamentato i vescovi
— costringe i nostri cittadini, spe-
La denuncia del mercato nero di cibo e farmaci
Contro chi affama
il popolo del Malawi
LILONGWE, 9. La commissione
Giustizia e pace (Ccjp) della Conferenza episcopale del Malawi ha
espresso profonda preoccupazione
per la costante mancanza di cibo,
generi di prima necessità e medicine negli ospedali pubblici e nei
depositi pubblici dell’Agricultural
Development and Marketing Corporation (Admarc). Una situazione che mette a rischio la vita di
vasti strati della popolazione, in
particolare di bambini e anziani.
Il vice segretario nazionale della
Ccjp, Martin Chiphwanya, ha sollecitato le autorità competenti ad
assicurare a tutti i cittadini il diritto al cibo e ai servizi sanitari essenziali.
Chiphwanya ha denunciato anche il fatto che in alcuni casi le
medicine sono disponibili nelle
strutture sanitarie ma vengono rubate. Molti — ha avvertito Chiphwanya — stanno morendo a causa di malattie che potrebbero essere facilmente curabili: la situazione
«è preoccupante specialmente nei
villaggi, dove la gente compra le
medicine nei negozi e nelle farmacie non autorizzate, e ciò rappresenta una grande minaccia per la
†
Mario Agnes partecipa con affetto al
dolore per la morte di
GIUSEPPE CANESSO
che ha servito la Chiesa con amore e
con totale dedizione.
Città del Vaticano, 9 febbraio 2016.
loro salute. Esortiamo la polizia e
le autorità a fare il loro dovere per
garantire la sicurezza di chi va in
questi magazzini e punire coloro
che vendono sottobanco mais e altri beni di prima necessità».
Chiphwanya ha ricordato che finora non sono state adottate misure punitive nei confronti di chi ruba i farmaci. «Nessuna punizione
esemplare è stata comminata a chi
ruba, come, invece, ci si aspetterebbe in una società civile. La
commissione episcopale Giustizia e
pace — ha spiegato il segretario
nazionale della Ccjp — crede nella
sacralità della vita e sostiene che
occorra compiere ogni sforzo possibile per assicurare che la vita delle persone non venga messa a rischio». Il segretario generale della
Ccjp ha anche sfidato quanti stanno lucrando sulla scarsità di mais
nel Paese a porre fine a ogni connivenza: «Non si possono realizzare le proprie ambizioni politiche —
ha detto per ottenere più voti donando scorte di mais agli ospedali
solo durante la campagna elettorale».
I vescovi ricordano infine le migliaia di poveri che fanno lunghissime file per molte ore, anche la
notte, davanti ai depositi, per assicurarsi una scorta di mais. «Attualmente — ha ricordato Chiphwanya — ogni persona ha diritto
all’acquisto di venti chilogrammi
di mais, ma il costo è così alto da
non poterselo permettere». Il capo
dello Stato, Peter Mutharika, nel
suo discorso alla nazione, mercoledì scorso, aveva ordinato alla polizia di rintracciare e arrestare tutti i
venditori di mais di contrabbando
che sono conniventi con i funzionari dell’Admarc.
Fame e povertà sono talmente
diffusi in Malawi da vedere ricomparire la lebbra, una malattia che
sembrava ormai debellata.
Intanto, la commissione cattolica per lo sviluppo in Malawi (Cadecom), in collaborazione con la
commissione Giustizia e pace, sta
distribuendo aiuti alimentari alla
popolazione nella zona, fra le più
colpite dalla carestia, di Thyolo (a
sud del Paese), nell’ambito del
World Food Program.
cialmente i giovani, a emigrare, sia
all’interno sia in altri Paesi,
esponendosi a condizioni inumane,
incluse diverse forme di depravazione e di criminalità. In tanti casi
giovani vite sono andate perdute
nelle nostre strade, nei deserti di
qualche Paese africano e sulle rive
dell’Europa».
In un messaggio si nota con soddisfazione la volontà espressa dal
nuovo Governo «di investire nel
settore agricolo e di cercare nuove
alternative al gas e al petrolio».
L’economia nigeriana infatti dipende da decenni dalle esportazioni di
petrolio, mentre gli altri settori economici nazionali, a iniziare dall’agricoltura, l’istruzione e la sanità, sono
stati a lungo trascurati, con conseguenze negative sull’occupazione in
un Paese di oltre 100 milioni di abitanti. I ricavi del settore petrolifero
sono stati inoltre depredati dalla
corruzione. Su questo tema i vescovi
sono più volte intervenuti. «Fin dalla sua fondazione, questa Conferenza episcopale ha costantemente condannato la corruzione, la violenza e
l’ingiustizia, ed ha invitato i nigeriani a vivere nella trasparenza e con
spirito di servizio tutti i nigeriani
devono aderire alla lotta alla corruzione in modo da recuperare le opportunità sprecate».
PORTO-NOVO, 9. Conversione: è
questa la chiave di volta per il
futuro del Benin indicata dai vescovi in una lunga lettera pastorale, diffusa in vista delle elezioni presidenziali che si terranno il
28 febbraio prossimo.
Intitolata «Sotto lo sguardo
di Dio», la nota episcopale esorta i fedeli a vincere, con il bene,
i numerosi mali che attanagliano
il Paese: «il male culturale
dell’egocentrismo; il male del
denaro, primo flagello sociale e
politico; il male del potere, percepito come il potere del male e
perpetrato attraverso violazioni
delle legge, avidità e autoritarismo; il male della menzogna
pubblica e privata; il male di
un’amministrazione statale carente; il male sociale della corruzione». Di qui, il richiamo a un
esame di coscienza personale,
vescovi inclusi. A questi in particolare si chiede «prudenza e imparzialità, soprattutto durante il
periodo elettorale».
Centrale anche l’invito dei
presuli alla “pace sociale” che
non potrà mai essere raggiunta
se continuerà a essere «minacciata dai sentimenti di ostilità e
rivalità dannosa che predominano» tra la popolazione. In particolare a tutti gli attori coinvolti
nel processo elettorale la Chiesa
in Benin chiede «un sussulto
morale», affinché il voto possa
svolgersi «in libertà, con uno
spirito patriottico di etica e di
equità, senza mai infrangere il
codice elettorale».
Quanto a coloro che «deliberatamente e senza scrupoli si
preparano a effettuare brogli,
manipolando il meccanismo di
voto o falsificando gli scrutini»,
i vescovi affermano: «Dio vi
guarda». E li esortano «a una
conversione dei cuori e delle coscienze».
Ai fedeli i vescovi rivolgono
l’incoraggiamento a guardare alle prossime elezioni «con fede e
speranza, senza lasciarsi prendere dall’angoscia e dalla paura».
In quest’ottica, l’attuale giubileo
straordinario si presenta come
«un tempo di grazia particolare
che dispone l’uomo a sperimentare la misericordia divina». Di
qui, il forte appello all’onestà
«perché — scrivono i vescovi —
la politica è un ambiente che
porta spesso a posizioni nette,
critiche radicali, parole estreme
che suscitano rancore e violenza.
Per questo, sono necessari conversione e perdono. Il periodo
della campagna elettorale — si
legge ancora nella lettera pasto-
rale — è spesso marcato da
scontri e da violenze tra i sostenitori dei diversi candidati». I
fedeli, allora, in quanto “discepoli di Cristo” sono invitati ad
«agire e reagire come artigiani
della pace».
Per questo, i presuli del Benin
raccomandano ai sacerdoti di incentrare le loro omelie sulla tolleranza e la riconciliazione «evitando assolutamente di schierarsi per un candidato o per l’altro,
ma anzi offrendo le messe del
periodo elettorale per l’unità del
Paese».
Infine, affidando il Paese alla
Vergine Maria, i presuli suggeriscono ai fedeli di valutare i candidati alla corsa presidenziale in
base ad alcune e importanti
qualità: rispetto del sacro; senso
di responsabilità; capacità di
ascolto; buona gestione sociale;
preparazione politica solida;
competenza professionale; amor
di patria; spirito di giustizia e
pace.
Nei giorni scorsi, si ricorda, i
vescovi hanno indetto una giornata di preghiera per sostenere
il Paese in un momento così importante e affinchè tutti collaborino per un sereno svolgimento
della campagna elettorale.
Messaggi per la quaresima
I presuli colombiani
Conversione e misericordia in Argentina
Il virus Zika
non si combatte
con l’aborto
BUENOS AIRES, 9. «Vivere la quaresima nell’ambito dell’Anno santo della
misericordia è una grazia che deve
illuminare il nostro cammino di conversione e orientare il nostro impegno ecclesiale»: lo scrive l’arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz, José
María Arancedo, presidente della
Conferenza episcopale argentina. La
conversione, sottolinea il presule, «è
un aspetto centrale nella vita cristiana. La domanda che dovremmo porci è “Ci convertiamo a che cosa o
per che cosa?”. La conversione necessita di un progetto di vita da ve-
dere come un ideale. Nel nostro caso
si identifica con una persona. È per
questo che la conversione non comincia guardando
noi stessi ma
Gesù
Cristo,
nel quale scopriamo questo
progetto di vita come cammino della
nostra piena realizzazione e motivo
che ci spinge a partecipare alla vita
della Chiesa».
La dimensione escatologica è essenziale nella fede cristiana, ricorda
monsignor Arancedo. Esiste «un
orizzonte trascendente nelle nostre
vite che si è compiuto in Cristo e
che viviamo nella speranza».
Per questo, la conoscenza della fede «non è qualcosa di chiuso che
dominiamo e maneggiamo, ma di
aperto, paragonabile alla certezza del
pellegrino che cammina verso una
meta, sa dove va, sebbene non la conosca pienamente». Il presidente
dell’episcopato, ricordando il legame
con la celebrazione del giubileo, afferma che la misericordia «è espressione di un amore che si fa vicinanza
davanti al dolore e alla necessità
dell’altro. È un amore paziente che
attende il momento dell’incontro,
che non si ferma di fronte a una risposta negativa o inaspettata; così ci
ama Dio, anche nella nostra lontananza».
Temi ripresi dal vescovo di Gualeguaychú, Jorge Eduardo Lozano,
presidente della Commissione episcopale di pastorale sociale, che nella
sua riflessione settimanale parla della
quaresima come di «un tempo favorevole per uscire dalla nostra alienazione esistenziale, grazie all’ascolto
della Parola e alla pratica delle opere
di misericordia, corporali e spirituali». È un invito «a mettere da parte
la monotonia e a correggere la rotta
per orientarci con chiarezza verso il
destino anelato».
BO GOTÁ, 9. Anche i vescovi colombiani, come già nei giorni
scorsi hanno fatto l’episcopato
brasiliano e quello paraguayano,
mettono in guardia dal diffuso
tentativo di strumentalizzare l’allarme per la diffusione del virus
Zika e dei suoi possibili effetti negativi sulla salute del feto, a favore della campagna per la legalizzazione e una più ampia diffusione dell’aborto.
Per il segretario aggiunto
dell’episcopato, padre Pedro Mercado, si tratta di una campagna
«scorretta». Il sacerdote, replicando all’appello lanciato nei giorni
scorsi dalle agenzie delle Nazioni
Unite ai Governi dell’America latina per facilitare il ricorso
all’aborto alle donne contagiate
dal virus Zika, ha sottolineato al
contrario la necessità di dare un
forte impulso alle misure di prevenzione. «La priorità — ha detto
— deve essere sterminare la zanzara vettore della malattia e non i
bambini innocenti».
Da parte sua anche il ministro
della Sanità, Alejandro Gaviria, ha
affermato che la pratica dell’aborto non può essere considerata come «misura preventiva» e non è
«una raccomandazione plausibile
di salute pubblica». E ha precisato che «l’opzione di usare l’aborto
come una misura terapeutica preventiva non è stata considerata dal
Governo colombiano».
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 10 febbraio 2016
Quando è a rischio la libertà religiosa
Lo Stato è laico la società no
di LLUÍS MARTINEZ SISTACH
Lo Stato è laico, ma la società non
è e non può essere laica. In essa vi
sono uomini e donne che sono
credenti e non credenti, e coloro
che hanno una religione e la vivono, la celebrano nel seno della
convivenza sociale. Perché la per-
Ma non deve essere confuso con la
possibilità di proporre la propria
fede agli altri rispettando la loro
libertà, giacché questo fa parte
della libertà di espressione.
Un’altra tendenza attuale si manifesta nella opposizione a prendere posizioni pubbliche nei confronti delle religioni. Ciò si riflette
Il nodo
Stato laico e società multi-religiosa è il titolo di un volumetto (Città del
Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2015, pagine 85, euro 10) del cardinale
arcivescovo emerito di Barcellona. La pubblicazione, che affronta uno dei
nodi più dibattuti nelle società occidentali, raccoglie il discorso che il
porporato ha pronunciato il 10 novembre 2015 in occasione della nomina a
membro dell’Accademia di giurisprudenza e legislazione di Catalogna.
Pubblichiamo per intero il capitolo intitolato «Verso una società laica?».
sona è sociale per natura e vive
anche la fede in mezzo alla società. Nelle nostre società dell’Europa
occidentale, possiamo domandarci
se camminiamo verso una laicità
della società. Il cardinale Ricard di
Bordeaux, parlando di laicità afferma che da dieci anni almeno, in
alcuni settori, vi è un trasferimento
da una laicità dello Stato a una
laicità della società. La sana laicità
oggi riceve forti pressioni che hanno la loro origine in correnti molto
diverse, ma che si possono combinare e rafforzare reciprocamente
per andare a creare un clima culturale e sociale laicista, giacché la
laicità della società è il laicismo.
Queste correnti pretendono di eliminare la presenza della religione
nella società. Vorrei sottolineare alcune di queste correnti che sostengono i gruppi sociali.
Oggi si sostiene una laicità che
è figlia della laicizzazione. Questa
non è militante — a differenza di
altre correnti — ma per il percorso
degli eventi causati da una certa
politica contribuisce a eliminare la
sfera religiosa della società. Qui
non si tratta di combattere o di
lotta, ma semplicemente di ignoranza e di indifferenza verso la dimensione religiosa. Ciò significa
un indebolimento della presenza
sociale e pubblica delle religioni e
della Chiesa.
Questa laicizzazione della società si manifesta in molti modi da
parte delle amministrazioni comunali, come il fatto di disporre di
case parrocchiali quando i sacerdoti non le occupano, l’uso culturale
delle chiese e dei luoghi di culto
per concerti, mostre, spettacoli
senza ben percepire la dimensione
religiosa di questi luoghi, la soppressione delle cappelle degli
ospedali e degli ospizi, il lavoro
domenicale a beneficio degli interessi economici, ecc.
In alcune società occidentali si
verifica la laicizzazione dello spazio pubblico. Si tratta di una forma di laicismo che vuole confinare
la dimensione religiosa nel dominio delle cose private, proibendo
qualsiasi forma di espressione religiosa nello spazio pubblico. Molti
dei nostri contemporanei non vogliono che la religione esprima con
forza e convinzione militante le
proprie convinzioni. Di qui il significato del termine “proselitismo”, che deve essere respinto per
mancanza di rispetto per la libertà.
negli interventi pubblici dei responsabili della Chiesa che si pronunciano su contenuti e fatti della
vita sociale e politica che hanno
un ambito etico. Queste dichiarazioni sono considerate come un intervento indebito e che va contro
la laicità. Ma la vera laicità ci garantisce piena libertà di offrire riflessione su questioni che toccano
la dignità della persona umana e
dei suoi diritti fondamentali. Come ogni associazione, la Chiesa ha
il diritto di esprimere liberamente
la sua riflessione; le corrisponde
direttamente e fa parte della sua
missione.
C’è anche la tendenza a cambiare i giorni delle festività religiose.
Può essere a causa di ostilità o
l’indifferenza per la storia del Paese, che nel nostro occidente europeo è fortemente segnato dal cristianesimo. Può essere il risultato
di voler dare a ogni religione la
possibilità di celebrare le proprie
festività religiose. Obbedisce anche
a criteri economici della società.
Ma senza dubbio, sullo sfondo c’è
la convinzione da parte di alcuni
gruppi di nascondere sistematicamente tutta una parte della storia
e della cultura del Paese segnato
dalla religione che vale per il presente e il futuro. Si dimentica l’importanza delle radici cristiane della
nostra Europa occidentale che segnano positivamente la nostra
identità, senza la quale non sapremmo chi siamo, con tutte le
sue conseguenze negative.
C’è anche la volontà di trasformare le feste religiose patronali in
feste unicamente civili o eliminare
gli atti religiosi dei programmi ufficiali delle feste che hanno le loro
origini nella celebrazione religiosa.
Nel farlo si sostiene che la religione è qualcosa di personale e privato, e se ne manifesta la aconfessionalità, negando alla religione la
sua presenza pubblica nella società. Puro laicismo.
A causa dell’immigrazione, ci
sono state nei Paesi ospitanti reazioni sollevate dall’islam. In particolare la Francia, con la legge del
15 marzo 2004, vieta l’uso di segni
che esprimono l’appartenenza a
una religione nelle scuole pubbliche e nei licei pubblici. Tale disposizione può essere compresa se si
viola l’ordine pubblico da parte di
giovani innalzando segni religiosi
visibili e provocatori. Se questo
non è il caso, tale disposizione è
vista come una violazione del diritto alla libertà religiosa. Come
abbiamo detto, in questo modo la
scuola pubblica si converte in un
santuario dello Stato in cui le religioni non hanno posto. Sono interessanti le manifestazioni del presidente del Concistoro centrale degli
ebrei in Francia, Joël Mergui: «Accordi di buon senso hanno sempre
permesso agli ebrei di Francia di
rispettare le tradizioni religiose.
Ma si è perso quello spirito in nome di una radicalizzazione della
laicità. Ora, se la laicità indurisce,
gli ebrei saranno i grandi perdenti».
Voglio soffermarmi anche sul
concetto che cerca di giustificare la
non presenza delle autorità pubbliche alle celebrazioni religiose in
nome e come requisito della aconfessionalità e laicità dello Stato.
Quella presenza sembra per alcuni
in contraddizione con la laicità
dello Stato, o una situazione propria dello Stato confessionale. A
questo proposito, ritengo che uno
Stato laico con una laicità democratica, positiva e aperta, non vieta
né contraddice che le autorità pubbliche credenti o non credenti possano partecipare alle celebrazioni
religiose.
La laicità dello Stato è in sintonia con lo stile di vita della società, che è multi religiosa. Le autorità sono al servizio dei cittadini e
dei gruppi, delle associazioni e
delle istituzioni della società. La
loro presenza in un atto religioso
che è apprezzato e partecipato da
cittadini di una religione è un’altra
manifestazione del rispetto e della
stima che l’autorità pubblica deve
ai suoi cittadini e del suo desiderio
di partecipare a ciò che i cittadini
di una religione amano celebrare.
È davvero bello vedere i rappresentanti del popolo alle manifestazioni culturali, religiose e sociali
che i cittadini considerano, organizzano e celebrano.
Il caso più evidente si ha nelle
celebrazioni religiose dei festeggiamenti patronali delle città e dei
paesi. La presenza delle autorità in
tali atti è una presenza solidale, in
particolare con i cattolici locali, ed
è espressione del rispetto che hanno per i cittadini che celebrano la
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loro festa patronale e anche il riconoscimento delle autorità per la
partecipazione di questi cittadini e
della loro religione nei lavori della
società, nella collaborazione alla
realizzazione del bene comune.
Gli atti e le celebrazioni religiose sono azioni esercitate dai cittadini in virtù del loro diritto fondamentale alla libertà religiosa e di
aiuto nella realizzazione della loro
persona e della sua partecipazione
al bene comune della società. Si
pensi, per esempio, al servizio fornito dalla Caritas e dalle parrocchie, senza dimenticare le congregazioni religiose, a tante persone
in difficoltà, soprattutto in considerazione delle gravi conseguenze
della crisi economica.
L'espressione pubblica e sociale
della fede forma parte del diritto
del credente. Ciò deve essere possibile, in ogni società, perché una
società democratica è una società
pluralista in cui, nel rispetto
dell’ordine stabilito, si possono
manifestare tutte le espressioni
pubbliche della religione.
Qui conviene ripetere che lo
Stato è laico ma la società non lo
è. La società ha una missione: permettere alle religioni di apportare
tutta la loro ricchezza spirituale e
umana e arricchire in questo modo
la vita sociale. In una società democratica, la laicità ben compresa
permette la comunicazione tra le
diverse tradizioni spirituali e religiose della società, e questo deve
interessare molto le autorità che
cercano il bene comune.
Giovanni Paolo II, nel suo discorso al corpo diplomatico, del 12
gennaio 2004, ha detto che «le comunità di credenti sono presenti in
tutte le società, espressione della
L’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Cirillo
Musulmani ed ebrei russi
guardano con speranza all’Avana
MOSCA, 9. Anche le comunità
non cristiane di Russia, musulmana
ed
ebraica,
salutano
positivamente la notizia dell’imminente storico incontro, in programma venerdì 12 a Cuba, tra
Papa Francesco e il patriarca Cirillo. Un avvenimento importante
— sottolineano — non solo per il
Proposta del direttore della Fondazione Migrantes
Mare nostrum per salvare i bambini
ROMA, 9. Di fronte all’ennesima
tragedia di bambini migranti
morti nel Mediterraneo l’indignazione non basta: «Occorre far seguire realmente una nuova operazione “Mare nostrum”, che non
solo arrivi a salvare in mare le
persone che sono messe da trafficanti senza scrupoli sui barconi
improvvisati e sui gommoni, ma
giunga con le navi della flotta
della marina dei diversi Paesi europei sulle coste da dove partono
i migranti forzati (oggi in particolare in Libia e in Turchia), per
proteggere e accompagnare almeno le persone più fragili e deboli:
le donne, le famiglie con bambini, i minori non accompagnati».
È quanto chiede monsignor Gian
Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, commentando la drammatica notizia dei
naufragi nel Mare Egeo che lunedì sono costati la vita, fra gli altri, anche a 11 bambini. Si tratterebbe, ha aggiunto Perego di
«uno scatto di umanità e di civiltà europea. Sarebbe il primo segno di una lotta efficace contro
la tratta».
Proprio lunedì è stata celebrata
la Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone,
iniziativa voluta da Papa Francesco. «Un giorno — ha ricordato
monsignor Perego — nato per denunciare i ventuno milioni di
persone vittime di tratta nel mon-
do negli ultimi anni, di cui due
milioni e mezzo solo nell’ultimo
anno».
Per il direttore di Migrantes,
negli ultimi mesi c’è stata una
crescita esponenziale del flusso
migratorio, ma al contrario sia in
Italia sia in altri Paesi europei si
è abbassata la guardia.
La Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone ha avuto l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul
dramma che milioni di persone
sono costrette a vivere. «Ci sono
sempre più arrivi nel nostro Paese
— ha aggiunto monsignor Perego
— ma poca protezione sociale per
i migranti». Dietro le migrazioni
c’è il rischio sempre maggiore che
si nascondano traffici criminali:
«Si pensi, ad esempio — suggerisce monsignor Perego — alle donne nigeriane pronte a essere portate in strada come prostitute. A
fronte di questa crescita del fenomeno vediamo una grande diminuzione d’attenzione al problema». Dai dati forniti dalla Fondazione Migrantes, si evince che
nel Mediterraneo i migranti morti
nel 2015 sono più che raddoppiati
dimensione religiosa della persona
umana. I credenti si aspettano
dunque legittimamente di poter
partecipare al dibattito pubblico.
Purtroppo bisogna osservare che
non è sempre così. In alcuni Paesi
europei siamo testimoni, in questi
ultimi tempi, di un atteggiamento
che potrebbe mettere in pericolo il
rispetto effettivo della libertà di religione».
La Chiesa non è e non pretende
essere un agente politico, ma ha
un interesse profondo per il bene
della comunità politica, la cui anima è la giustizia, e offre due livelli
nel suo contributo specifico. Infatti, la fede cristiana purifica la ragione e l’aiuta a essere quello che
deve essere. La Chiesa deve assumersi positivamente tutta la sua
missione evangelizzatrice di fronte
a qualsiasi posizione puramente
“difensiva” interna alla Chiesa o
extra-ecclesiale “proibitiva”, sia
nelle cose riguardanti l’annuncio
della fede del Vangelo, che nella
capacità di trasmettere alla società
civile uno “spirito” che possa renderla più umana.
Certamente il pieno riconoscimento della vera sfera religiosa è
assolutamente vitale per una corretta e fruttuosa presenza della
Chiesa nella società. Come abbiamo detto, la dimensione religiosa
va oltre gli atti tipici della predicazione e del culto; si ripercuote e si
esprime per sua natura nel vissuto
morale e umano, che è efficace nei
campi dell’istruzione, della vita sociale, del matrimonio, della famiglia e della cultura. Tutto questo,
insistiamo, presuppone una accettazione, riconosciuta giuridicamente del suo significato pubblico.
rispetto all’anno precedente: da
1600 si è passati a oltre 3200. E
sono oltre settecento i bambini
che sono morti annegati nel 2015.
Elementi di speranza vengono
invece dall’assistenza che viene
fornita ai richiedenti asilo nelle
strutture ecclesiali, nelle parrocchie e nelle famiglie soprattutto
dopo l’appello di Papa Francesco
del 6 settembre scorso: «Un’accoglienza diffusa — ha ricordato recentemente monsignor Perego —
costruita insieme, senza conflittualità e che supera pregiudizi e
contrapposizioni ideologiche».
futuro dei rapporti tra i cristiani
ma anche per la stabilità e la pace nel mondo.
«Ogni incontro è un passo
verso la comprensione reciproca», ha dichiarato all’agenzia Interfax-Religion il gran mufti di
Russia, Talgat Tadzhuddin. Riferendosi al patriarca di Mosca, il
gran muftì ricorda come Cirillo,
durante il suo precedente incarico come metropolita e cofondatore del Consiglio interreligioso di
Russia, abbia accumulato una
«ricca esperienza nel dialogo» tra
le fedi e le diverse tradizioni religiose.
Questa esperienza, ha aggiunto, «gli permetterà di rendere
questo incontro con il Papa veramente storico e avrà un effetto
benefico sulla situazione dei cristiani e le loro relazioni reciproche». Tutto ciò, ha precisato, non
solo per sanare le ferite e le divisioni del passato ma anche in
considerazione del fatto che in
vaste regioni del pianeta, dal Medio oriente all’Africa, i cristiani
subiscono attacchi e persecuzioni. L’attuale escalation di violenza tra cristiani e musulmani «è
una cosa recente ed è stata indotta artificialmente da politici ed
estremisti», ha spiegato Tadzhuddin, sottolineando l’importanza
di proseguire sulla strada del dialogo.
Anche la comunità ebraica in
Russia ha sottolineato l’«importanza» dell’evento che si terrà
all’aeroporto dell’Avana. «Benediciamo questo incontro», ha dichiarato il rabbino Zinovy Kogan, vice presidente del Congresso delle comunità e organizzazioni ebraiche in Russia.
«L’attuale Papa incoraggia in
ogni modo possibile il dialogo
tra ebrei e cattolici», ha sottolineato Kogan, ricordando positivamente l’incontro del 20 aprile
dello scorso anno in Vaticano tra
il Pontefice e il presidente della
Conferenza dei rabbini europei,
il rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldsmith.
L’OSSERVATORE ROMANO
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mercoledì 10 febbraio 2016
«Il re Salomone» (2004, particolare del mosaico realizzato
dal Centro Aletti per la cappella del collegio universitario
San Stanislao a Ljubljana-Šentvid, in Slovenia)
Nella messa con i frati cappuccini il Papa parla del confessore
Il gran perdonatore
Centinaia di frati minori cappuccini, confratelli dei due santi Pio da
Pietrelcina e Leopoldo Mandić — le cui spoglie in questi giorni sono
esposte alla venerazione dei fedeli in Vaticano — si sono riuniti intorno
all’altare della Cattedra della basilica di San Pietro per partecipare
alla concelebrazione eucaristica presieduta da Papa Francesco martedì
mattina, 9 febbraio. Sacerdoti e fratelli laici, guidati dal ministro
generale Mauro Jöhri, hanno animato la liturgia. Insieme con il
Pontefice hanno concelebrato gli otto porporati partecipanti ai lavori
del Consiglio di cardinali, tra i quali Pietro Parolin, segretario di
Stato, e quattordici tra arcivescovi e vescovi. Sono saliti all’altare al
momento della consacrazione il cardinale cappuccino Sean Patrick
O’Malley, arcivescovo di Boston, il ministro generale, i padri
provinciali cappuccini del Veneto e della Puglia, rispettivamente
Roberto Genuin e Francesco Colacelli, e i due rettori dei santuari di
San Giovanni Rotondo e di Padova. Alla preghiera dei fedeli si è
pregato per il Papa e la Chiesa, per i confessori, per i poveri e i
sofferenti, e per le monache clarisse. Al termine, padre Jöhri ha rivolto
un breve saluto al Papa, nel quale ha sottolineato l’importanza
dell’esempio dei due santi cappuccini, Pio e Leopoldo, che sono stati
servitori e modelli della misericordia. Il ministro generale ha poi
sottolineato il gran numero di fedeli accorsi in questi giorni per
venerare le spoglie dei due confessori. In particolare, padre Jöhri ha
ricordato che il «piccolo Leopoldo di animo sensibile» è stato
un’offerta viva per l’unità dei cristiani: sicuramente, ha aggiunto,
anche il suo sacrificio ha contribuito allo storico incontro del Papa con
il Patriarca Cirillo in programma il 12 febbraio a Cuba. Infine, a
nome di tutti i cappuccini, ha confermato l’affetto filiale e la preghiera
secondo le intenzioni del Pontefice. Di seguito l’omelia di Francesco.
Nella liturgia della Parola di oggi si riscontrano due atteggiamenti. Un atteggiamento di grandezza davanti a Dio,
che si esprime nell’umiltà di re Salomone, e un altro atteggiamento di meschinità che viene descritto da Gesù
stesso: come facevano i dottori della
legge, che tutto era preciso, lasciavano
da parte la legge, per osservare le loro
piccole tradizioni.
La tradizione vostra, dei Cappuccini,
è una tradizione di perdono, di dare il
perdono. Tra di voi ci sono tanti bravi
confessori: è perché si sentono peccatori, come il nostro fra Cristoforo. Sanno
che sono grandi peccatori, e davanti alla grandezza di Dio continuamente
pregano: “Ascolta, Signore, e perdona”
(cfr. 1 Re 8, 30). E perché sanno pregare così, sanno perdonare. Invece, quando qualcuno si dimentica la necessità
che ha di perdono, lentamente si dimentica di Dio, si dimentica di chiedere perdono e non sa perdonare. L’umile, colui che si sente peccatore, è un
gran perdonatore nel confessionale.
L’altro, come questi dottori della legge
che si sentono “i puri”, “i maestri”,
sanno soltanto condannare.
Vi parlo come fratello, e in voi vorrei
parlare a tutti i confessori, specialmen-
te in quest’Anno della Misericordia: il
confessionale è per perdonare. E se tu
non puoi dare l’assoluzione — faccio
questa ipotesi — per favore, non “bastonare”. La persona che viene, viene a
cercare conforto, perdono, pace nella
sua anima; che trovi un padre che lo
abbracci e gli dica: “Dio ti vuole bene”; e che lo faccia sentire! E mi spiace
dirlo, ma quanta gente — credo che la
maggioranza di noi l’abbia sentito —
dice: “Io non vado mai a confessarmi,
perché una volta mi hanno fatto queste
domande, mi hanno fatto questo...”.
Per favore...
Ma voi Cappuccini avete questo speciale dono del Signore: perdonare. Io
vi chiedo: non stancatevi di perdonare!
Penso a uno che ho conosciuto nell’altra diocesi, un uomo di governo, che
poi, finito il suo tempo di governo come guardiano e provinciale, a 70 anni è
stato inviato in un santuario a confessare. E quest’uomo aveva una coda di
gente, tutti, tutti: preti, fedeli, ricchi,
poveri, tutti! Un gran perdonatore.
Sempre trovava il modo di perdonare,
o almeno di lasciare in pace quell’anima con un abbraccio. E una volta andai a trovarlo e mi disse: “Senti, tu sei
vescovo e puoi dirmelo: io credo che
Conclusa la tredicesima riunione
del consiglio di cardinali
Sinodalità, decentralizzazione, riorganizzazione dei dicasteri, tutela dei
minori, riforme nel campo dell’economia e del processo canonico sulla
validità del matrimonio: sono i temi sui quali ha discusso il Consiglio
di cardinali, nel corso della tredicesima riunione con il Papa, svoltasi
per l’intera giornata di lunedì 8 e nella mattina di martedì 9 febbraio,
dopo che i porporati hanno concelebrato la messa presieduta da Francesco per i frati cappuccini nella basilica vaticana. Come ha informato
il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ai lavori non ha partecipato il cardinale Gracias, sottopostosi a
un’operazione chirurgica già preventivata da tempo.
Come già previsto al termine del precedente incontro, nella prima
sessione sono stati approfonditi i temi del discorso pronunciato dal
Pontefice il 17 ottobre scorso, durante la commemorazione del cinquantesimo anniversario del Sinodo dei vescovi. Un discorso nel quale
Francesco ha sviluppato ampiamente il tema della sinodalità, ricordando allo stesso tempo «la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione». Si tratta di indicazioni che costituiscono un riferimento
importante per la riforma della Curia.
Si è poi svolta la lettura “finale” delle proposte del Consiglio a proposito dei due nuovi dicasteri di cui già si è parlato in precedenza:
quello riguardante “laici, famiglia e vita” e quello su “giustizia, pace,
migrazioni”. Tali proposte sono state affidate al Papa per le sue decisioni.
C’è stato anche un ulteriore scambio di considerazioni sulla Segreteria di Stato e sulla Congregazione per il Culto divino e la Disciplina
dei sacramenti.
Il cardinale statunitense Sean Patrick O’Malley ha poi riferito sulle
attività della Commissione per la tutela dei minori, da lui presieduta.
Riguardo invece alle questioni giuridico-disciplinari che coinvolgono
la competenza di dicasteri della Curia, queste dovranno essere ulteriormente approfondite.
Infine il cardinale Georg Pell ha informato sullo stato e sull’attuazione delle riforme nel campo economico. I cardinali hanno ricevuto
documentazione sul cosiddetto “vademecum” preparato dal Tribunale
della Rota romana per l’attuazione della riforma del processo canonico
sulla validità del matrimonio.
pecco perché perdono troppo, e mi
viene questo scrupolo...” — “E perché?”
— “Non so, ma sempre trovo come perdonare...” – “E cosa fai, quando ti senti
cosi?” – “Vado in cappella, davanti al
tabernacolo, e dico al Signore: Scusami, Signore, perdonami, credo che oggi ho perdonato troppo. Ma, Signore,
sei stato Tu a darmi il cattivo esempio!’”. Ecco. Siate uomini di perdono,
di riconciliazione, di pace.
Ci sono tanti linguaggi nella vita: il
linguaggio della parola, anche ci sono i
linguaggi dei gesti. Se una persona si
avvicina a me, al confessionale, è perché sente qualcosa che gli pesa, che
vuole togliersi. Forse non sa come dirlo, ma il gesto è questo. Se questa persona si avvicina è perché vorrebbe
cambiare, non fare più, cambiare, essere un’altra persona, e lo dice con il gesto di avvicinarsi. Non è necessario fare
delle domande: “Ma tu, tu...?”. Se una
persona viene, è perché nella sua anima vorrebbe non farlo più. Ma tante
volte non possono, perché sono condizionati dalla loro psicologia, dalla loro
vita, dalla loro situazione... “Ad impossibilia nemo tenetur”.
Un cuore largo... Il perdono... Il
perdono è un seme, è una carezza di
Dio. Abbiate fiducia nel perdono di
Dio. Non cadere nel pelagianesimo!
“Tu devi fare questo, questo, questo,
questo...”. Ma voi avete questo carisma
dei confessori. Riprenderlo, rinnovarlo
sempre. E siate grandi perdonatori,
perché chi non sa perdonare finisce come questi dottori del Vangelo: è un
grande condannatore, sempre ad accusare... E chi è il grande accusatore, nella Bibbia? Il diavolo! O fai l’ufficio di
Gesù, che perdona dando la vita, la
preghiera, tante ore lì, seduto, come
quei due [san Leopoldo e san Pio]; o
fai l’ufficio del diavolo che condanna,
accusa... Non so, non riesco a dirvi
un’altra cosa. In voi lo dico a tutti, a
tutti i sacerdoti che vanno a confessare.
E se non se la sentono, che siano umili
e dicano: “No, no, io celebro la Messa,
pulisco il pavimento, faccio tutto, ma
non confessare, perché non so farlo bene”. E chiedere al Signore la grazia,
grazia che chiedo per ognuno di voi,
per tutti voi, per tutti i confessori, anche per me.
I cardinali Parolin e Rivera Carrera sul viaggio del Papa in Messico
Bisogna alzare la voce
Il problema migratorio e la piaga del narcotraffico; l’impegno della Chiesa, che conta
un elevato numero di martiri per la giustizia;
la devozione mariana del popolo: sono i temi
portanti del viaggio di Papa Francesco in
Messico, di cui il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha parlato in un’intervista
pubblicata sul settimanale «Famiglia cristiana» del 6 febbraio.
Rispondendo alle domande di Anna Chiara Valle, il porporato — che accompagnerà il
Pontefice nella visita — ha presentato una
realtà che conosce bene, avendovi svolto servizio diplomatico dal 1989 al 1992, e dove è
tornato anche nel luglio 2014, per partecipare
al colloquio Messico - Santa Sede su mobilità umana e sviluppo, organizzato dal ministero degli esteri del Paese latinoamericano.
In proposito il segretario di Stato ha ricordato «che gli atteggiamenti di chiusura e di indifferenza devono lasciar spazio a una cultura dell’accoglienza e dell’incontro, a partire
dalla disponibilità ad aiutare le persone concrete nelle loro necessità. La Chiesa in Messico è particolarmente impegnata su questo
fronte — ha aggiunto — e sta dando una bella testimonianza». Per il porporato «bisogna
poi porre attenzione al binomio povertà-emigrazione, che comporta nuove sfide, soprat-
tutto quella della disgregazione delle famiglie. È importante cercare soluzioni attraverso la collaborazione di tutti i Paesi interessati. Ho constatato l’efficacia di tale approccio
al seminario sull’emergenza umanitaria costituita dai bambini che emigrano soli verso gli
Stati
Uniti,
provenendo
soprattutto
dall’America centrale, per sfuggire la miseria
e la violenza, che si è tenuto a Città del
Messico».
Sul problema droga, che riguarda l’intero
continente, il cardinale Parolin ha sottolineato che «bisogna alzare la voce per condannare la corruzione e i legami tra certe strutture
di potere e i cartelli della droga e i narcotrafficanti. Inoltre, si deve operare in tutti gli
ambiti, a livello soprattutto di educazione e
di prevenzione: promuovere una formazione
ai valori che danno senso alla vita, insistere
sulla legalità e sulla sobrietà, incidere sulle
cause sociali, quali la povertà e la disoccupazione, offrire concrete prospettive di uscita
dalla dipendenza, sostenere le famiglie e le
comunità che lottano e si prendono a carico
quanti ne sono vittime, sanare i territori e i
quartieri periferici degradati». E in tale contesto «la Chiesa non mancherà di continuare
a svolgere il suo ruolo».
Del resto, la Chiesa messicana continua a
pagare un notevole tributo anche in termini
di vite umane per la liberazione e la promozione degli ultimi. «Se non perderemo la
memoria di coloro che hanno accettato di
svolgere questo servizio ai poveri fino al dono della vita, se sapremo apprezzarne e valorizzarne la testimonianza, che talvolta può
diventare particolarmente scomoda, se ci impegneremo a seguirne l’esempio, allora potremo — confida il cardinale — aiutare efficacemente la Chiesa latinoamericana».
Infine una riflessione sul legame dei messicani con la Vergine. «La Madonna, nelle sue
apparizioni a Juan Diego a Guadalupe, si è
mostrata madre piena di amore — ha detto
Parolin — nei confronti di un popolo che stava vivendo una fase particolarmente travagliata della sua vicenda storica e, soprattutto,
nei confronti degli umili. Negli anni seguenti
alle apparizioni, pur in mezzo alle tensioni e
ai conflitti, si assiste a una ondata di conversioni. Questo è il messaggio perenne di Guadalupe: l’invito ad accogliere Gesù nella propria vita e nella propria storia, personale, nazionale, continentale». Ed è per rinnovare
questo messaggio che Francesco si reca in
Messico nell’anno santo della misericordia,
cercando di incoraggiare «ad affrontare le
non poche difficoltà del presente e avanzare
nella costruzione di un futuro migliore».
Intanto il cardinale Norberto Rivera Carrera, arcivescovo di México, ha voluto anticipare il suo benvenuto a Papa Francesc0, indirizzandogli un messaggio che ha letto personalmente al termine della messa celebrata
domenica 7 febbraio. Il porporato si è rivolto
al Pontefice come «al pastore supremo della
Chiesa che vuole avere l’odore delle pecore»
e che in quella terra «si impregnerà dell’odore del Messico», di cui parla un poeta locale:
«Tu odori di tragedia terra mia, e tuttavia, ridi troppo, forse perché sai che il riso è l’involucro di un dolore silenzioso». Il cardinale
ha poi sottolineato come il Papa verrà ricevuto come «il figlio di migranti» che giunge
in un «Paese di migranti, una madre patria
che piange l’assenza dei suoi figli che se ne
sono andati da casa a cercare il pane che in
essa non ha potuto trovare». Il porporato ha
salutato il Papa come «uno di noi», innamorato della «nostra Morenita, la nostra madre
che ci rende fratelli e ha forgiato la nostra
patria». I messicani, ha sottolineato, amano
il Pontefice «nostro pastore» e cercheranno
di manifestare questo amore in mille modi,
perché il Messico è anche la casa del Papa.
SANTA SEDE
Il Santo Padre ha nominato Direttore
del Dipartimento Teologico-Pastorale
della Segreteria per la Comunicazione
la Professoressa Nataša Govekar, docente presso l’«Atelier di Teologia Card. T.
Špidlík» del Centro Aletti in Roma, e
Direttore della Direzione Tecnologica
della medesima Segreteria per la Comunicazione l’Ingegnere Francesco Masci,
finora Responsabile dell’Area Tecnica
del Servizio Internet Vaticano.
Nomine
episcopali
Le nomine di oggi riguardano le rappresentanze pontificie in Sud Africa e
Botswana e la Chiesa in Salvador.
Peter Bryan Wells
nunzio apostolico
in Sud Africa e in Botswana
Nato a Tulsa, in Oklahoma, Stati
Uniti d’America, il 12 maggio 1963, è
stato ordinato sacerdote il 12 luglio 1991,
ed è incardinato a Tulsa. Ha compiuto
gli studi di filosofia a Saint Meinrad
Seminary College in Indiana, dove si è
laureato in lettere. Ha compiuto gli studi di teologia a Roma come alunno del
Collegio Americano del Nord (North
American College). Nel 1990 ha ottenuto il baccalaureato in teologia della
Pontificia università Gregoriana, conseguendo successivamente la licenza in
teologia presso il Pontificio istituto Giovani Paolo II per studi su matrimonio e
famiglia di Roma, nel 1992. Ha ottenuto
la licenza e il dottorato in diritto canonico dalla Pontificia università Gregoriana, rispettivamente nel 1998 e 1999.
Ha ricoperto i seguenti incarichi: vicario
parrocchiale nella cattedrale della Santa
Famiglia di Tulsa, segretario particolare
del vescovo e vicario per l’educazione
religiosa della sua diocesi. Entrato nel
servizio diplomatico della Santa Sede il
1° luglio 1999, ha prestato la propria
opera nella nunziatura apostolica in Nigeria e, dal 2002, presso la sezione per
gli Affari generali della Segreteria di
Stato. Dal 16 luglio 2009 era assessore
della Segreteria di Stato.
Miguel Ángel
Morán Aquino
vescovo di Santa Ana
Nato il 25 maggio 1955 a Esquipulas,
in diocesi di Santa Ana, nel 1967 è entrato nel seminario minore diocesano.
Ha ricevuto la formazione filosofica a
Santa Ana e quella teologica nel seminario maggiore San José de la Montaña. Ordinato sacerdote il 5 dicembre
1981, ha ottenuto la licenza in teologia
presso la Pontificia università Antoniana. È stato parroco di Santa Bárbara a
Santa Ana (1986-1988), di San Andrés
in Apaneca e prefetto degli studi nel seminario maggiore (1988-1990), parroco
per sei mesi della cattedrale metropolitana, parroco di San Miguelito a Santa
Ana (1990-1996). Era vicerettore del seminario maggiore quando il 19 luglio
2000 è stato nominato vescovo di San
Miguel. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 2 settembre. In seno alla Conferenza episcopale è delegato presso il Celam e incaricato dell’istituto di previdenza sociale del clero.