l`osservatore romano

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 53 (47.487)
Città del Vaticano
domenica 5 marzo 2017
.
Primi contatti militari
Salvate oltre cento persone ma venticinque migranti risultano dispersi
L’utero in affitto
Disgelo
tra Nato
e Russia
Naufragio
al largo della Libia
Una nuova schiavitù
per le donne
MOSCA, 4. Il capo di stato maggiore russo, generale Valery Gerasimov, ha parlato ieri al telefono
con il comandante del comitato
militare della Nato, il generale ceco Petr Pavel. Si è trattato del primo colloquio fra i vertici militari
dei due blocchi dal 2014.
Nella telefonata fra Gerasimov
e Pavel, avvenuta su iniziativa della Nato, è stata «confermata la necessità di adottare passi per ridurre le tensioni, stabilizzare la situazione in Europa», ha precisato —
come riferisce l’agenzia Interfax —
il ministero della difesa a Mosca,
che ha espresso la preoccupazione
della Russia per il dispiegamento
di un sistema di protezione rafforzato e per un aumento dell’attività
militare dell’Alleanza atlantica vicino ai suoi confini.
Il mese scorso nella capitale
dell’Azerbaigian, Gerasimov aveva
incontrato il capo degli stati maggiori riuniti americano, Joseph
D unford.
Fonti dell’Alleanza atlantica
hanno confermato che il colloquio
ha avuto luogo precisando che «è
nell’interesse della Nato e della
Russia avere dei canali di comunicazione attivi tra militari e che
questi canali restino aperti».
Come detto, è la prima volta
che un generale russo si è intrattenuto direttamente con un omologo dell’Alleanza atlantica dopo la
decisione di congelare i rapporti e
la cooperazione in seguito all’annessione della Crimea da parte di
Mosca.
Le relazioni bilaterali si erano
deteriorate con l’inizio del conflitto tra le forze di Kiev e i separatisti filorussi nell’est ucraino, con i
paesi occidentali che accusavano
Mosca di sostenere i ribelli. Poi si
sono registrate una serie di vicendevoli accuse con la Nato che si
diceva preoccupata per le vaste
manovre militari russe e Mosca
che denunciava il rafforzamento
dell’Alleanza atlantica nei paesi
baltici e in Polonia.
La notizia del colloquio è stata
diffusa dal ministero della difesa
di Mosca. In precedenza, il comandante delle forze aeree statunitensi in Europa e in Africa, generale Tod Wolters, aveva denunciato che aerei militari dell’Alleanza atlantica hanno sfiorato aerei
russi, tre Su-24 e un Il-38 per la
pattuglia marittima, in quattro incidenti separati il 10 febbraio scorso. Negli ultimi sei mesi il numero
di questi incidenti si è stabilizzato,
ha aggiunto Wolters.
è stato dibattito in Italia
sull’ordinanza del giudice
di Trento che ha accettato
di considerare due uomini come genitori di due gemelli, nati attraverso
il ricorso all’utero in affitto. Ma il
dibattito è stato pesantemente falsato dal prevalere di un punto di vista parziale: considerare cioè questa
decisione come inevitabile, perfettamente in linea con il progresso
umano, e di conseguenza giudicare
ogni atteggiamento critico come un
segno di assurda resistenza alla modernità.
È una modalità che imprime su
ogni intervista, anche a coloro che
sono contrari a questa decisione,
una interpretazione obbligata. Sarebbe infatti solo questione di tempo per vedere realizzato anche in
Italia ogni “sogno di genitorialità”
che coinvolge l’utero in affitto e
l’accettazione di due persone dello
stesso sesso come genitori.
Colpisce una donna come me,
femminista, il fatto che in un momento come questo in cui tante
energie e tante voci sono impegnate
nel denunciare, giustamente, la violenza sulle donne, siano invece così
poche le donne che denunciano
quanto sta avvenendo contro di loro sul piano fondamentale della
maternità. Cioè che la vendita del
corpo femminile — tradizionalmente
limitata alle prestazioni sessuali o,
un tempo, all’allattamento — si sia
estesa all’intero corpo della donna,
al suo interno, all’utero, e a un tempo lungo, i nove mesi di una gravidanza.
Una nuova schiavitù che non
può essere giudicata diversamente
solo perché è pagata e volontaria.
Le penose condizioni legali imposte
alla donna — come accettare l’aborto se così decidono i committenti,
ad esempio, oppure di avere già dei
figli affinché si affezioni di meno al
bambino che porta in grembo —
non fanno che rivelare maggiormente il carattere disumano della
transazione. Così come l’altra condizione alla quale sempre, per “prudenza”, si ricorre: non utilizzare
mai l’ovulo della madre che affitta,
ma acquistarlo da un’altra donna.
Con il risultato che la figura materna viene definitivamente distrutta,
fatta a pezzi.
C’
Migranti soccorsi dalla guardia costiera libica nel porto di Tripoli (Ap)
ROMA, 4. Venticinque dispersi e oltre cento tratti in salvo. Sono i numeri della nuova tragedia dell’immigrazione registrata nelle ultime ore
nel Mediterraneo. I migranti erano
salpati da Tripoli e diretti in Italia:
hanno inviato una chiamata di
emergenza questa mattina. Dopo
dodici ore di navigazione la loro imbarcazione è naufragata. Tra le persone tratte in salvo si contano anche
sei donne — hanno precisato fonti
libiche — aggiungendo che da gennaio la guardia costiera ha tratto in
salvo oltre 2000 migranti, «un numero molto più alto rispetto allo
stesso periodo del 2016» hanno sottolineato le stesse fonti, senza fornire dettagli.
E sempre in queste ore, a conferma della gravità della situazione
sulle coste italiane, la nave Aquarius
è giunta a Pozzallo con oltre 500
persone a bordo. Si tratta di 423
uomini e 90 donne, di cui otto incinte. Provengono prevalentemente
dalla Nigeria e dal Bangladesh, ma
tra loro vi è anche un gruppo di famiglie siriane. I minori sono 138, dei
quali 92 non accompagnati. 33 i
bambini sotto i 13 anni: 19 hanno
meno di 5 anni e sette non hanno
nemmeno un anno. Sono tutti stati
Le credenziali
dell’ambasciatore dell’Iraq
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di LUCETTA SCARAFFIA
recuperati nelle ultime 24 ore da
cinque imbarcazioni (tre gommoni e
due barconi) al largo delle coste libiche. La guardia costiera italiana
ha comunicato che nella sola giornata di ieri sono stati salvati più di
900 migranti nel Mediterraneo.
In questo quadro, ieri, è giunta la
nuova denuncia dell’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, secondo cui le nuove politiche
di rimpatrio europee «mettono in
pericolo i bambini». Solo pochi
giorni fa fonti europee hanno fatto
sapere
che
i
paesi
membri
dell’Unione potrebbero in futuro
dover rimpatriare almeno un milione di migranti.
Insieme ad altre organizzazioni
che si occupano di diritti dei bambini (Oim, Unhcr, Save the children e
altre ong), l’Unicef ha messo in rilievo che il recente piano di azione
adottato dalla commissione «incoraggia gli stati membri a effettuare
rimpatri rapidi, che vanno a limitare
tutele di base e diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti i migranti,
anche nei casi in cui siano coinvolti
i bambini». È essenziale che «vengano applicate delle procedure forti
che seguano il principio dell’interesse superiore prima della decisione di
rimpatrio di ogni bambino, anche di
quelli accompagnati dalle proprie
famiglie. Tutto ciò non può tradursi
in un esercizio di routine». Quando
si valuta — dicono le organizzazioni
— «se il rimpatrio possa essere
nell’interesse superiore del bambino,
l’opinione del bambino stesso dovrebbe essere debitamente presa in
considerazione. I rimpatri forzati e
la detenzione sono estremamente
pericolosi per i bambini e le famiglie. I bambini non dovrebbero mai
essere detenuti per motivi d’immigrazione, neanche come ultima possibilità».
E sempre ieri, sul tema è intervenuto il commissario dell’Ue all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos,
secondo cui «la protezione dei bambini lungo la rotta migratoria è una
priorità, e la nostra normativa ha
salvaguardie molto forti per i migranti minori che cercano protezione in Europa». La prima valutazione «deve essere sempre il miglior interesse del bambino» ha spiegato il
commissario. «I migranti minori
non accompagnati dovrebbero esse-
re considerati prima di tutto e soprattutto bambini, prima che migranti. La legge Ue garantisce i diritti fondamentali dei minori».
Sul tema della solidarietà e del
valore del volontariato è intervenuto
ieri anche il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella.
«Viviamo un tempo successivo alla
lunga crisi economica che ha fatto
crescere la povertà e ampliato le diseguaglianze. Il volontariato è utile
anche su questo fronte: nell’essere
un antidoto nei momenti di crisi»
ha detto il titolare del Quirinale.
«Pensiamo ai bisogni di tante periferie, sociali ed esistenziali. Pensiamo ai migranti che arrivano nel nostro paese. Pensiamo ai malati e alle
persone non autosufficienti. Pensiamo alla famiglie che devono affrontare oneri pesanti e bisogni inattesi».
Pellegrino di Roma
FELICE ACCRO CCA
A PAGINA
Parola in armonia
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza Sua
Eccellenza il Signor Omer
Ahmed Karim Berzinji, Ambasciatore della Repubblica
dell’Iraq, per la presentazione
delle Lettere Credenziali.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza
l’Eminentissimo
Cardinale
Marc Ouellet, Prefetto della
Congregazione per i Vescovi.
Il Santo Padre ha accettato
la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Kuching (Malaysia), presentata
da Sua Eccellenza Monsignor
John Ha Tiong Hock.
Il Santo Padre ha accettato
la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Cartago
(Costa Rica), presentata da
Sua Eccellenza Monsignor
José Francisco Ulloa Rojas.
Provviste di Chiese
Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo di Kuching
(Malaysia) Sua Eccellenza
Monsignor Simon Poh Hoon
Seng, finora Vescovo titolare
di Sfasferia e Ausiliare della
medesima Arcidiocesi.
La Sistina prova in Sistina la sera del 16 febbraio scorso
5
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha nominato Assistente Ecclesiastico
Generale dell’Azione Cattolica Italiana Sua Eccellenza
Monsignor Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno.
Il Papa sulla musica sacra
La vicenda di Ernesto Buonaiuti
Nella mattina di sabato 4 marzo, Papa Francesco ha ricevuto in udienza
Sua Eccellenza il signor Omer Ahmed Karim Berzinji, ambasciatore della Repubblica dell’Iraq,
per la presentazione delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede
È quello che hanno fatto i due
padri, per assicurarsi che i figli fossero veramente solo di loro proprietà. Con l’assenso della legge canadese.
Come è possibile che non si veda
un atto profondamente misogino in
questa operazione di tipo commerciale, che vuole essere nobilitata da
un desiderio che non può essere
considerato un diritto per nessuno?
Si tratta infatti di una cosciente e
voluta distruzione della figura materna, portata a termine con pervicacia, in modo che quei bambini
una madre non ce l’abbiano mai.
Tutti sanno che due padri non sostituiscono una madre, così come
due madri non possono sostituire
un padre.
Se la vita, talvolta, impone a degli esseri umani di convivere fin
dall’origine con questa grave mancanza, si deve cercare di porvi rimedio. Ma creare la mancanza volontariamente — per di più protetti
dalla legge — solo per esaudire il
desiderio di due adulti è veramente
un atto crudele.
E la cultura che ci circonda, che
insiste nell’interpretare questa situazione abnorme come un risultato
del progresso che avanza, quasi come se fosse animato da uno spirito
proprio, e quindi non controllabile,
sta macchiandosi di gravi colpe.
L’allarme si deve invece lanciare, e
ad alta voce. E sono soprattutto le
donne, le più danneggiate da queste assurde manipolazioni, a dover
lottare per difendere se stesse e i
bambini.
PAGINA 7
Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Cartago (Costa
Rica) il Reverendo Mario
Enrique Quirós Quirós, del
clero della Diocesi di Cartago, già Formatore e Direttore
Spirituale
nel
Seminario
Maggiore Nazionale.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
domenica 5 marzo 2017
Il cancelliere tedesco Angela Merkel
con il premier tunisino Youssef Chahed (Afp)
Unionisti primo partito ma cresce il Sinn Féin
Irlanda del Nord
divisa a metà
LONDRA, 4. Il partito unionista democratico (Dup) ha vinto di stretta
misura le elezioni anticipate nell’Irlanda del Nord per il rinnovo
dell’assemblea legislativa, un seggio
appena davanti ai repubblicani del
Sinn Féin, che hanno sfiorato uno
storico sorpasso.
L’assemblea di Stormont a Belfast
cambia dunque assetto: i partiti
unionisti per la prima volta hanno
perso la maggioranza assoluta. Ora
si rischia uno stallo politico che minaccia la stessa divisione del potere
tra unionisti e repubblicani, prevista
dagli accordi del Venerdì santo del
1998, in uno scenario in cui le tensioni tra le due comunità si sono
acuite con la Brexit. Gli unionisti,
favorevoli a rimanere nel Regno
Unito, hanno perso significativamente potere conquistando 28 dei
90 seggi dell’assemblea regionale,
contro i 27 del Sinn Féin, l’ex braccio politico dei paramilitari dell’Ira
favorevole
alla
riunificazione
dell’isola e delle due Irlande. A
maggio 2016, il Dup aveva conquistato 38 deputati, contro i 28 del
Sinn Féin, in un’assemblea che allora contava 108 seggi.
Risultato deludente anche per
l’altro grande partito unionista, l’Ulster Unionist party (Uup), che ha
ottenuto
10
seggi,
superato
dall’Sdlp, il partito socialdemocratico e laburista, con 12 seggi. Il leader
dell’Uup, Mike Nesbitt, ha annunciato le dimissioni. Il voto è stato
caratterizzato da un’affluenza del
64,8 per cento degli aventi diritto,
cioè 10 punti in più di 10 mesi fa e
un record degli ultimi 20 anni. Il
Dup e il Sinn Féin hanno adesso tre
settimane di tempo per mettersi
d’accordo sulla formazione di una
coalizione di governo e risolvere le
questioni che hanno portato alle
elezioni anticipate.
Gli accordi di pace del 1998 —
che posero fine al sanguinoso conflitto civile nordirlandese, i cosiddetti “Troubles” — prevedono la pari
dignità tra unionisti e repubblicani.
Questo principio si traduceva, fino
al gennaio scorso, in un esecutivo
guidato dalla leader del Dup, Arlene Foster, e dal vicepremier del
Sinn Féin, Martin McGuinness. Ma
a inizio anno McGuinness si è dimesso, ufficialmente per motivi di
salute, ma soprattutto — ricordano
Theresa May
esclude
ulteriori poteri
alla Scozia
Fossa comune
con i resti
di 800 bambini
a Tuam
LONDRA, 4. Theresa May ha deciso di applicare la linea dura nei
confronti della Scozia. Ieri, ha infatti sfidato apertamente il first
minister di Edimburgo, Nicola
Sturgeon, leader dello Scottish national party (Snp), che chiede
maggiore autonomia da Londra
dopo la Brexit e minaccia un nuovo referendum per l’indipendenza
come contromisura rispetto alla
Brexit e all’uscita dal mercato unico europeo.
Intervenendo al congresso del
Partito conservatore scozzese riunito a Glasgow, il primo ministro
britannico ha categoricamente
escluso la concessione di nuovi
poteri a Edimburgo che, a suo
giudizio, «renderebbero il Regno
Unito più debole e scollegato».
May — informa la stampa — ha ribadito che il suo obiettivo principale è proteggere l’integrità del
Regno Unito, che verrebbe compromessa da un’ulteriore autonomia legislativa e di spesa assegnata alla Scozia. Evidentemente,
commentano i media britannici, la
premier si sente sicura rispetto alla
minaccia di un nuovo referendum.
Nonostante l’ampia maggioranza politica di cui gode in Scozia,
lo Scottish national party, sul tema del referendum, non raccoglie
altrettanti consensi. Solamente il
35 per centro degli scozzesi, infatti, vuole un nuovo referendum
prima della Brexit e i favorevoli
all’indipendenza sono fermi al 45
per cento, ben al di sotto della
maggioranza che sarebbe necessaria a Sturgeon per indire una nuova consultazione sul divorzio da
Londra.
Durante il convegno a Glasgow,
Sturgeon è stata accusata dal primo ministro britannico di perseguire il suo interesse politico e
non quello del popolo scozzese.
Non è stata da meno la first minister, che rivolta a May ha detto:
«Il suo governo qui non ha mandato». E poi ha accusato May di
«ostinazione e intransigenza» nel
gestire i rapporti con le amministrazioni emerse dal processo di
devolution, in particolare rispetto
alla separazione con l’Ue.
DUBLINO, 4. Orrore in Irlanda. A
Tuam, nel prato di un ex orfanotrofio, è stata scoperta ieri una
fossa comune con i resti di ottocento bambini. Dai primi test del
dna è emerso che appartenevano a
bimbi deceduti tra il 1925 e il 1961,
in particolare durante gli anni cinquanta. I più grandi avevano tre
anni. La struttura della contea di
Galway era gestita da suore, le
Sorelle del buon soccorso (congregazione cattolica fondata nel
1822), e ospitava ragazze madri
che avevano avuto figli fuori dal
matrimonio, i loro bimbi e anche
molti orfani. Stando agli inquirenti che stanno ricostruendo la storia
(la commissione è stata istituita
dal governo nel 2015), le donne e i
loro bambini erano costretti a vivere in misere condizioni, tanto
che spesso morivano di fame e
stenti. In quei casi, venivano sepolti in modo sbrigativo e senza
formalità, spesso senza nemmeno
che i cadaveri fossero identificati.
A Tuam gli inquirenti hanno scoperto una struttura divisa in celle
senza lapidi né nomi. I vescovi irlandesi e le Sorelle del buon soccorso hanno espresso il loro pieno
sostegno all’inchiesta per fare la
massima chiarezza sui fatti accaduti a Tuam e in altri 17 istituti.
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gli analisti politici — a seguito di un
aspro scontro politico con il Dup e
Foster, coinvolti in uno scandalo sui
rimborsi per lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Se i negoziati fallissero, il ministro britannico per l’Irlanda del
Nord, James Brokenshire, potrebbe
decidere di amministrare temporaneamente l’Irlanda del Nord, per la
prima volta in 10 anni. Lo scontro
sulle sovvenzioni energetiche nasconde infatti un faccia a faccia più
pesante sulla Brexit. Il Dup ha fatto
campagna a favore dell’uscita
dall’Unione europea, mentre il Sinn
Féin era contro: ha prevalso il no
con il 56 per cento dei voti e il voto
pro-Ue dimostra anche l’esistenza di
un orientamento ormai maggioritario in favore della riunificazione
dell’isola. I nazionalisti nordirlandesi hanno sempre guardato all’Ue come un contrappeso rispetto a Londra. L’elemento più disastroso della
Brexit, sostengono gli osservatori,
sarebbe il ritorno della frontiera fisica con la Repubblica dell’Irlanda,
con pesanti conseguenze economiche e, soprattutto, il rischio di un ritorno alle divisioni del passato.
Sul rimpatrio di migranti e per finanziare progetti di sviluppo
Intesa tra Berlino e Tunisi
TUNISI, 4. Germania e Tunisia hanno raggiunto un’intesa per un accordo sul rimpatrio di migranti, a
cui si aggiungerà un aiuto di 250
milioni di euro versato da Berlino
per finanziare progetti di sviluppo
che creino posti di lavoro nelle aree
più povere del paese nordafricano.
L’intesa è stata annunciata a Tunisi in una conferenza stampa congiunta tra il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente tunisino, Béji Caïd Essebsi. L’accordo segue l’attentato di dicembre al mercato di Berlino, perpetrato da un
cittadino tunisino che le autorità tedesche non erano riuscite a rimpatriare perché il suo paese natale non
aveva spedito i documenti necessari.
«La Tunisia è il faro della speranza», ha detto il cancelliere nel suo
discorso ieri al parlamento tunisino
del Bardo. Merkel ha evidenziato le
crisi alle quali la Tunisia si è trovata
e si trova a fare fronte, a partire dagli omicidi politici del passato fino
alle sfide più importanti per il futuro, esprimendo la sua soddisfazione
per i traguardi raggiunti, prendendo
ad esempio il premio Nobel per la
pace del 2015 assegnato al Quartetto
del dialogo nazionale.
Il cancelliere tedesco ha inoltre
affermato «che l’istituzione della
Corte Costituzionale, l’attuazione
della decentralizzazione e la prossima tenuta delle elezioni comunali»
sono le sfide più grandi che attendono il paese. «Non si possono negare i progressi realizzati dalla Tunisia dalla rivoluzione del 2011 a oggi
e la Germania, in qualità di paese
amico, vi vuole accompagnare su
questa via» ha concluso la Merkel
tra gli applausi dei deputati.
Il nuovo
ambasciatore
dell’Iraq
L’inviato dell’Onu preoccupato per la situazione dei civili
Violenta battaglia
nella zona petrolifera libica
Scontri nella zona di Ras Lanuf (Reuters)
TRIPOLI, 4. L’inviato dell’Onu per
la Libia, Martin Kobler, ha condannato l’escalation nella zona petrolifera libica, dove una milizia jihadista ha strappato due terminal
all’esercito del generale Khalifa
Haftar che fa riferimento al parlamento di Tobruk, definendola «una
minaccia grave ai mezzi di sussistenza di milioni di cittadini libici». Kobler chiede moderazione a tutte le
parti «per evitare ulteriori escalation
e per assicurare la protezione dei civili, delle risorse naturali della Libia
e delle infrastrutture petrolifere».
Ed è tornata a riaccendersi l’area
della Mezzaluna petrolifera libica,
già teatro lo scorso settembre di pesanti scontri armati. Le brigate della
difesa di Bengasi, potente milizia
jihadista, hanno preso il controllo
dei due importanti terminal di Ras
Lanuf e Al Sidra, scontrandosi con i
soldati di Tobruk, che fanno capo al
generale Haftar, che dallo scorso
settembre li controllavano. A renderlo noto è stato il portavoce dei
jihadisti, Faisal Al Zwei, precisando
che un migliaio di miliziani, con circa 200 veicoli, si sono scontrati con
le forze armate dell’est libico, costringendo quest’ultime alla ritirata.
Al Zwei ha poi aggiunto che a sostegno dei miliziani si sono aggiunti
alcuni combattenti fedeli a Ibrahim
Jedran, la formazione vicina a Tripoli, che controllava i terminal ma
che lo scorso settembre venne cacciata proprio dalle forze di Haftar.
Cinque mesi fa in un blitz a sorpresa i soldati di Tobruk entrarono
nell’area della Mezzaluna petrolifera
e conquistarono senza combattere
proprio Ras Lanuf e Al Sidra, sottraendole alle guardie di Jedran.
Anche il governo di Tripoli del
premier Fayez Al Sarraj ha condannato quanto accaduto ieri e ha precisato di non avere alcun ruolo. Secondo alcune fonti nei combattimenti si sarebbero registrate molte
vittime fra le fila dei soldati libici,
mentre l’aviazione avrebbe condotto
diversi raid aerei per respingere
l’avanzata dei jihadisti. Ma le forze
militari dell’est non hanno al momento confermato tali bilanci.
Inondazioni
nello Zimbabwe
Le acque che hanno invaso la zona di Bulawayo in Zimbabwe (Afp)
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
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vicedirettore
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HARARE, 4. Almeno 250 persone sono morte a causa delle inondazioni che
stanno flagellando da dicembre lo Zimbabwe, paese già duramente colpito
dalla siccità. Oltre 2000 sarebbero gli sfollati a causa dell’emergenza. «Non
ci sono abbastanza tende, cibo e medicine» è l’allarme lanciato ieri dal ministro delle comunità territoriali di Harare. «Dopo avere sofferto per gli effetti della siccità, ora la popolazione è alle prese con le inondazioni», ha
dichiarato Bishow Parajuli, responsabile del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo in Zimbabwe.
È il distretto di Tsholotsho, nel sudovest del paese africano, a essere stato
maggiormente colpito. Dopo la siccità causata dal fenomeno atmosferico
«El Niño», lo Zimbabwe ha subito in pieno gli effetti della «Niña», fenomeno inverso, caratterizzato dalle forti precipitazioni. Le immagini trasmesse dalle televisioni mostrano i soccorsi aerei alla popolazione di interi villaggi distrutti dalle acque.
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don Sergio Pellini S.D.B.
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Sua Eccellenza il signor Omer
Ahmed Karim Berzinji, nuovo
ambasciatore della Repubblica
dell’Iraq presso la Santa Sede, è
nato il 10 gennaio 1960.
È sposato e ha quattro figli. Si
è laureato all’università di Baghdad. Ha ricoperto, tra gli altri, i
seguenti incarichi: membro del
sindacato degli avvocati (19842004) e dell’unione dei giuristi
iracheni; lettore presso l’Istituto
europeo per le scienze umane in
Francia - sezione olandese per la
lingua araba e storia islamica
(2002-2003); lettore per i diritti
umani nei corsi per i diplomatici
organizzati nell’istituto diplomatico del ministero degli Affari esteri
iracheno e ambasciatore presso il
ministero degli Affari esteri con
l’incarico di capo del dipartimento
per i diritti umani (2004-2009);
ambasciatore in Libano (20092013); ambasciatore in Romania
(2013-2015); sottosegretario per gli
Affari legali e per le relazioni multilaterali (dal 2015).
A Sua Eccellenza il signor
Omer Ahmed Karim Berzinji,
nuovo ambasciatore della Repubblica dell’Iraq presso la Santa Sede, nel momento in cui si accinge
a ricoprire il suo alto incarico,
giungano le felicitazioni del nostro giornale.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
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pagina 3
L’aula di una scuola distrutta da una bomba
a Duma nei pressi di Damasco (Reuters)
Terzo anno consecutivo
Cala
il budget militare
cinese
PECHINO, 4. Il budget militare
della Cina salirà di circa il 7 per
cento quest’anno: lo ha annunciato oggi Fu Ying, portavoce del
congresso nazionale del popolo. Il
totale della spesa per la difesa si
attesterà intorno all’1,3 per cento
del pil, ha aggiunto Fu, in occasione della conferenza stampa di
presentazione del congresso che si
apre domani. I numeri più dettagliati, come di consueto, saranno
diffusi dal premier Li Keqiang nel
suo discorso di apertura.
Con il budget 2015 in aumento
annuo del 10,1 per cento e quello
2016 del 7,6 per cento (per la prima volta in sei anni a cifra singola
e non doppia), il 2017 si profila in
ulteriore discesa per il terzo anno
di fila. La scelta del 2016 era stata
motivata come il desiderio di riflettere un’economia cresciuta ai
ritmi più bassi da 25 anni, un periodo in cui il budget militare è
aumentato a doppia cifra, a eccezione del 2010 (più 7,5 per cento).
Il portavoce Fu ha ribadito che
le forze militari cinesi hanno lo
scopo di «pura difesa» costituendo una forza di stabilizzazione
dell’Asia. «Sosteniamo il dialogo
per le risoluzioni pacifiche, mentre
allo stesso tempo abbiamo bisogno di avere la capacità di difendere la nostra sovranità e i nostri
interessi. Il rafforzamento delle
capacità cinesi porta benefici per
preservare la pace e la sicurezza
nella regione e non il contrario».
Se sarà confermato l’aumento del
7 per cento circa, il budget dovrebbe segnare 67 miliardi di yuan
(quasi 10 miliardi di dollari) in
più, salendo per la prima volta al
totale di 1.000 miliardi di yuan
(145 miliardi di dollari).
La percentuale di pil cinese corrispondente alle spese militari è
minima rispetto a quella di altri
paesi e sotto la soglia del 2 per
cento. «Il gap della nostra capacità rispetto agli Stati Uniti è enorme, ma lo sviluppo e la costruzione delle nostre forze armate continuerà in base alla necessità di rispettare i bisogni di difesa della
nostra sovranità e sicurezza nazionali», ha concluso Fu.
Nuova legge
sulle spose
bambine
nel Bangladesh
Dai colloqui tra governo e opposizione a Ginevra
Un’agenda chiara per la Siria
DAMASCO, 4. «C’è un’agenda chiara» su tutti i
punti cruciali della crisi siriana. Questo, nelle parole dell’inviato dell’Onu, Staffan de Mistura, è il
principale risultato della quarta sessione di colloqui tra governo e opposizione siriani che si è conclusa ieri a Ginevra. De Mistura ha detto di
aspettarsi che «governo di Damasco e opposizioni perseguano la chiara tabella di marcia enunciata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
per giungere a scrivere insieme una bozza di costituzione entro dodici mesi e di tenere libere e
giuste elezioni sotto la supervisione Onu entro
un ulteriore anno e mezzo». De Mistura ha anche annunciato l’intenzione di invitare al più presto le parti di nuovo nella città svizzera per una
ulteriore tornata di negoziati di pace. «Il treno è
pronto, è nella stazione» ha detto il diplomatico
italo-svedese. «Credo che ora abbiamo un’agenda
chiara davanti su quattro aree di discussione,
compresa una sulla richiesta di Damasco contro il
terrorismo». Il documento finale, composto da
dodici punti, è stato siglato da tutte le delegazioni presenti.
Poco prima della conclusione ufficiale dei colloqui un esponente dell’opposizione siriana, Nasr
El Hariri, aveva detto ai giornalisti che la tornata
di trattative, non ancora conclusa, «non aveva
prodotto risultati chiari», ma aveva comunque ottenuto «progressi maggiori rispetto a quelle precedenti». Fra questi, l’aver affrontato per la prima
volta il tema della transizione politica e quindi il
futuro della attuale leadership. Era la quarta volta
che le delegazioni di governo e opposizione tornavano nella città svizzera sotto l’egida di Onu e
Russia per prolungare il cessate il fuoco e cercare
una soluzione alla crisi.
Sul terreno, intanto, la situazione è critica.
Fonti militari di Mosca hanno registrato undici
violazioni del cessate il fuoco nelle ultime 24 ore,
di cui sette nella provincia di Latakia, due in
quella di Hama e due in quella di Damasco. La
Turchia invece ha denunciato tredici violazioni
della tregua: tre nella provincia di Aleppo, tre
nella provincia di Homs, una nella provincia di
Hama, cinque nella provincia di Damasco e una
in quella di Daraa. La tregua riguarda soltanto le
aree del paese in cui non sono presenti formazioni jihadiste.
C’è poi lo spettro delle armi chimiche. L’O rganizzazione dell’Onu per la proibizione delle armi
Altre vittime civili
del conflitto afghano
Il re saudita
in Indonesia
JAKARTA, 4. Strettissime misure di
sicurezza sono state predisposte
nell’isola indonesiana di Bali, dove
il re Salman dell’Arabia Saudita è
giunto nell’ambito di un viaggio
iniziato lunedì scorso in Malaysia, e
che in circa un mese prevede anche
tappe in Brunei, Giappone, Cina e
nelle Maldive.
Al suo seguito, informa la Bbc, ci
sono 620 persone che fanno parte
del suo entourage, così come 800
delegati, tra cui dieci ministri e 25
principi. Per trasportarli tutti in Indonesia — informa la stampa locale
— sono stati necessari ben 27 voli
per Jakarta e nove per Bali.
Offensiva
contro Al Qaeda
nello Yemen
SANA’A, 4. Decine di bombardamenti aerei e di droni, raid di elicotteri anche se il Pentagono ha
smentito incursioni di forze speciali sul terreno. È comunque
un’operazione senza precedenti
quella che gli Stati Uniti stanno
conducendo da tre giorni contro
miliziani di Al Qaeda nella penisola arabica (Aqpa) nello Yemen.
L’operazione lanciata a partire
da mercoledì sera dalle forze statunitensi è concentrata in un
triangolo tra le province meridionali di Bayda, Shabwa e Abyan,
dove Al Qaeda ha rafforzato negli
ultimi anni la sua presenza,
approfittando della guerra in corso tra il governo del presidente
Abd Rabbo Mansour Hadi, riconosciuto internazionalmente e
sostenuto da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, e i ribelli
huthi.
Il Pentagono ha confermato
l’attuazione di almeno 30 raid aerei, smentendo però l’utilizzo di
forze a terra. Da fonti locali si è
appreso che gli ultimi attacchi si
sono concentrati in particolare sulla cittadina di Wadi Yabsham, dove vive colui che è considerato il
numero due di Al Qaeda, Saad
Atef, ma sulla cui sorte non si
hanno notizie. Alcuni residenti —
come hanno riferito le emittenti
Al Jazeera e Al Arabya — parlano
di feriti anche tra i civili. Bombardamenti sono segnalati anche nel
distretto di Yakla, nella provincia
di Bayda, teatro della prima operazione a terra autorizzata dalla
nuova amministrazione Trump, alla fine di gennaio.
chimiche (Opac) ha aperto un’inchiesta su otto
presunti attacchi condotti con gas tossici. È quanto si legge in un rapporto presentato al Consiglio
di sicurezza dal direttore generale dell’O pac,
Ahmet Üzümcü.
E la questione dell’uso delle armi chimiche si
pone anche in Iraq. La Croce rossa internazionale
ha denunciato ieri che all’ospedale di Rozhawa,
nei pressi di Mosul, sono stati curati sette pazienti con sintomi dovuti ad agenti chimici tossici. La
Croce rossa ha quindi condannato l’uso delle armi chimiche, ricordando che esso «è assolutamente proibito in base alle leggi umanitarie internazionali». Sono quasi 50.000 i civili fuggiti da
Mosul ovest, dove le forze speciali irachene affrontano i miliziani dell’Is.
Nelle ultime ore i governativi hanno riconquistato un altro quartiere. A parlare esplicitamente
di crisi umanitaria è il Cremlino. «L’assalto a
Mosul — ha dichiarato ieri il generale russo Serghiei Rudskoi — dura da oltre quattro mesi, ma il
compito non è stato ancora eseguito in pieno. Il
disastro umanitario, incomparabile per dimensioni con la situazione ad Aleppo alla fine del 2016,
continua nella città».
Soldato afghano nella provincia di Laghman (Ansa)
KABUL, 4. Almeno nove civili, fra
cui quattro bambini, sono morti ieri
in un raid aereo dell’aviazione afghana nella provincia occidentale di
Farah. Lo riferiscono oggi i media a
Kabul. A quanto si è appreso l’attacco aereo è stato sferrato nell’area
di Farah Road del distretto di Bala
Balok, e il vicegovernatore provinciale, Yonus Rasuli, ha confermato
l’esistenza di vittime civili, fra cui
quattro bambini in tenera età.
Intensi scontri sono in corso da
giorni nella zona tra forze di sicurezza afghane e talebani che, a detta delle autorità locali, hanno le lo-
ro postazioni in abitazioni civili. Il
direttore dell’ospedale civile di Farah City, Abdul Hakim Rasouli, ha
reso noto, riferisce l’agenzia di
stampa Pajhwok, che le persone decedute sono nove, mentre i feriti ricoverati sono una ventina, fra cui
molte donne.
E intanto, nelle ultime 24 ore le
forze di sicurezza afghane hanno
ucciso almeno 149 talebani, ferendone altri 73 in operazioni realizzate nelle province di Laghman, Nangarhar, Kapisa, Logar, Farah, Takhar, Baghlan ed Helmand.
Per la sicurezza dell’anziano monarca le autorità indonesiane hanno
dislocato 2500 agenti e soldati, oltre
ad alcune navi della marina — con a
bordo personale della polizia antiterrorismo — ancorate al largo della
costa. Lo hanno confermato fonti
militari a Jakarta.
L’ultima visita ufficiale di un monarca saudita in Indonesia risale al
1970, quando re Faisal venne ricevuto dall’allora presidente Suharto. In
quest’occasione, re Salman ricambia
una visita effettuata nel 2015 in Arabia Saudita dall’attuale presidente
Widodo.
Aumentano
le domande
di asilo
in Canada
La Fed
pronta
ad alzare i tassi
d’interesse
OTTAWA, 4. Il numero di migranti
africani e siriani che ha presentato
una domanda di asilo in Canada,
dopo aver attraversato il confine
con gli Stati Uniti, è in aumento
dall’inizio
dell’anno,
secondo
quanto rende noto la polizia di
frontiera. Tra il primo gennaio e il
21 febbraio, circa 4000 persone
hanno presentato domanda di asilo in Canada, circa 1500 candidati
in più rispetto allo stesso periodo
del 2016. I funzionari canadesi
non hanno fornito dettagli sulla
situazione dei migranti, limitandosi a dire che «alcuni di loro hanno
trascorso poco tempo negli Stati
Uniti», mentre altri hanno avuto
la loro domanda di asilo respinta
da parte di Washington.
WASHINGTON, 4. Il presidente
della Federal Reserve, Janet Yellen, ha dichiarato che la banca
centrale statunitense «probabilmente aumenterà i tassi di interesse durante il meeting di marzo».
Altri aumenti — ha poi aggiunto il
presidente — saranno possibili nelle successive riunioni dell'anno, se
l’economia seguirà l’andamento
atteso. Parlando all'Executives
Club of Chicago, Yellen ha spiegato che «sulle politiche di bilancio c'è grande incertezza: dobbiamo essere pazienti». Poi una battuta sull’immigrazione: «Sulla crescita della forza di lavoro noi non
possiamo fare molto. L’immigrazione aiuta la crescita della forza
lavoro» ha detto Yellen.
DACCA, 4. Proteste e condanne da
parte delle organizzazioni per i diritti umani dopo l’approvazione,
ieri in Bangladesh, di una nuova
legge che consente alle minori di
18 anni di sposarsi per volontà dei
genitori in «circostanze particolari» e, qualora ciò avvenga, «per il
loro bene».
Il punto contestato, oltre all’abbassamento dell’età, riguarda proprio queste «circostanze particolari», perché — rilevano gli analisti
— la legge non chiarisce quali esse
siano, lasciando troppo spazio
all’interpretazione. Il timore delle
organizzazioni per i diritti umani,
scrive la Cnn sul suo sito, è che i
genitori possano costringere le ragazze vittime di stupro a sposare i
loro violentatori.
Il governo bengalese ha difeso
il provvedimento, dichiarando di
avere totale fiducia nei giudici e
nei tribunali locali, che dovranno
valutare le «circostanze particolari». Secondo i dati diffusi da Human Rights Watch, il Bangladesh
ha la più alta percentuale di spose
bambine di tutta l’Asia. Il 52 per
cento delle donne nel paese si
sposano entro i 18 anni, rivela
l’Unicef. E il 18 per cento di queste sono spose già a 15, una delle
più alte percentuali al mondo.
In Groenlandia
è già
primavera
WASHINGTON, 4. Il riscaldamento
globale sta sconvolgendo sempre
di più il clima. In Groenlandia,
l’erba sui prati è spuntata con un
mese di anticipo, mentre al Polo
sud il mare ghiacciato intorno alla
terraferma ha raggiunto la sua
estensione minima. Sempre in Antartide è stata registrata la temperatura più alta mai rilevata, 17,5
gradi sopra lo zero, mentre l’Australia brucia in un’estate bollente.
Il servizio geologico statunitense rivela come quest’anno la primavera sia arrivata con ben 22
giorni di anticipo. D’altronde, c’è
poco da stupirsi. Il 2016 è stato
l’anno più caldo in assoluto dal
1880, da quando si fanno rilevazioni scientifiche della temperatura (terzo anno da record consecutivo).
I ghiacci del Polo nord negli
ultimi anni hanno registrato riduzioni senza precedenti, mentre in
Antartide la superficie di mare
ghiacciato intorno al continente
ha raggiunto il suo nuovo minimo, 2.123.790 chilometri quadrati.
Le piattaforme di ghiaccio antartiche perdono ogni anno fra 63
e 80 miliardi di tonnellate di massa, pari a 10 metri di spessore e
l’Organizzazione
meteorologica
mondiale ha reso noto il nuovo
valore massimo di temperatura
mai registrato nella zona: 17,5 gradi Celsius rilevati sulla punta nord
della penisola antartica.
E collegata ai mutamenti climatici è senza dubbio l’ondata di caldo torrido in Australia, dove negli
ultimi due mesi in alcune zone
meridionali il termometro ha sfiorato 45 gradi centigradi. Gli scienziati del Climate change research
center concordano che, se non si
riducono drasticamente le emissioni di gas serra, queste intense ondate di calore saranno la norma in
futuro. Se non si riuscisse a contenere il riscaldamento globale entro
2 gradi dai livelli pre-industriali —
soglia limite indicata anche
dall’Accordo sul clima di Parigi —
estati calde da record come quella
in Australia potrebbero verificarsi
non più ogni mezzo secolo (come
stimato per le condizioni attuali),
ma ogni cinque anni.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 5 marzo 2017
Un cammino millenario
Tra storia e leggenda
Vitalità della carta
in Giappone
S’intitola Le antiche Chiese cristiane
d’oriente, un cammino millenario (Roma,
Città Nuova, 2016, pagine 283, euro 26)
la nuova edizione di una panoramica
scritta oltre un decennio fa da Paolo
Siniscalco. Il libro, aggiornato al punto
da risultare come impianto del tutto
nuovo, descrive la realtà antichissima e
oggi per molti aspetti dolorosa, delle
Chiese nate e caratterizzatesi
originalmente lungo i secoli nell’attuale
Vicino e Medio oriente, là dove il
cristianesimo stesso ha avuto origine: da
Gerusalemme e dall’antica Giudea ad
Antiochia e alla Siria, per estendersi in
Egitto e nella regione anatolica, poi
ancora a oriente fino all’Armenia, alla
Georgia e all’India, e verso
mezzogiorno fino all’Etiopia.
Aggiornato bibliograficamente, il libro
ha una nuova introduzione che
ripercorre in modo sintetico le
vicissitudini dei cristiani orientali fino
alla drammatica situazione attuale,
soffermandosi brevemente sulla realtà
poco conosciuta ma vitale della
diaspora nei paesi occidentali. E se
rispetto all’edizione precedente viene
sacrificata la parte letteraria, resta
fondamentale e utile la rassegna del
cristianesimo come è venuto
sviluppandosi nelle diverse regioni
dell’oriente. (g.m.v.)
da Tokyo
CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
gni anno vengono acquistati circa trecento milioni di nuovi computer, e solo lo scorso anno
quasi un miliardo di nuovi smartphone. Stiamo
parlando di strumenti capaci di immagazzinare
informazioni che solo vent’anni fa probabilmente sarebbero state stampate su carta.
Il grande numero delle vendite di questo tipo di prodotti e
il loro utilizzo universale ha ispirato a molti analisti le più fosche previsioni sulla fine di un’intera era geologica: quella del
“cartaceo”. È però bene sottolineare che questi analisti quasi
sempre provengono da occidente, infatti le cose viste da oriente appaiono alquanto diverse. Basta viaggiare su qualunque
treno giapponese per accorgersi che i lettori di libri, manga e
giornali stampati su supporti di carta sono infinitamente superiori ai lettori di materiale digitale.
La scrittura a mano, ormai quasi in via d’estinzione in occidente, è invece ancora fondamentale per lo studio della lingua
giapponese che si apprende sui banchi di scuola, scrivendo rigorosamente su dei fogli di carta (kanji rensyu cyou) a quadratini prestampati dove appunto i giovani, da sette fino a
vent’anni, si esercitano nella composizione dei vari kanji.
Non solo, la carta in Giappone è ancora utilizzata per cose
che in altre parti del mondo sono già state rimpiazzate con
materiali di altro tipo: gli ankicado, ovvero una sorta di “pizzini” tenuti insieme da un cerchietto di metallo, sono utilizzati
moltissimo dagli studenti di tutte le età come appunti per fissare l’apprendimento mnemonico: stiamo parlando di generazioni dalle quali ci si aspetterebbe piuttosto l’utilizzo di note
di tipo digitale, tutti i ragazzi da dieci anni in su sono infatti
dotati di smartphone.
Il noshi, una decorazione di carta rosso e bianco, rimpiazza
la plastica per avvolgere i regali per i festeggiamenti particolarmente importanti: la nascita di un figlio, un fidanzamento
annunciato, e così via.
Per non parlare dell’uso degli hagaki, ovvero le cartoline
scritte a mano che vengono spedite l’ultimo giorno dell’anno
a colleghi, professori e amici, a volte nell’ordine delle centinaia. Non è un caso che il volume di recupero della carta in
Giappone è aumentato costantemente dal 1980, quasi triplicando da 8,1 milioni di tonnellate alle 21,4 del 2015. Gli sforzi
di recupero sono stati alimentati anche da una maggiore consapevolezza dei problemi ambientali e di riciclaggio delle risorse.
La tecnica di fabbricazione della carta è stata introdotta in
Giappone dalla Cina all’inizio del VII secolo. Il suo processo
di produzione ha subito notevoli cambiamenti, dando
luogo a un tipo di carta che
possiede una duplice qualità
di robustezza e morbidezza
che impedisce lo strappo
quando viene maneggiata: il
washi.
Il washi è prodotto in modo simile a quello della carta
normale, ma con metodi ancora manuali. Si tratta di un
processo lungo e complicato
che è spesso praticato al freddo dell’inverno, difatti l’acqua corrente utilizzata deve
essere fredda e pura, questo
punto è essenziale in quanto
il freddo inibisce i batteri,
impedendo la decomposizione delle fibre.
Il washi giapponese viene
utilizzato per creare vari oggetti artistici ma in modo
particolare è conosciuto per
l’utilizzo che se ne fa nella
creazione degli origami. Se
l’origine degli origami si fa
risalire al gioco, col tempo
questo semplice passatempo è
entrato nella leggenda: ad
esempio il Senbazuru, le mille gru di origami tenute insieme da corde.
Un’antica leggenda giapponese promette a tutti coloro che ripiegheranno mille
gru in origami l’esaudimento
di un desiderio da parte degli
dei. Un’altra versione racconta che non si tratta di un solo
desiderio, bensì di eterna
buona fortuna, a esempio
una vita lunga o il recupero
da una malattia o un infortunio. Per questo gli origami di gru sono regali popolari che solitamente si fanno ad amici speciali e familiari.
Ma le mille gru di origami sono diventate popolari soprattutto con la storia di Sadako Sasaki, una ragazza giapponese
che aveva 24 mesi quando venne esposta alle radiazioni del
bombardamento atomico di Hiroshima. Sasaki si ammalò di
leucemia e, all’età di 12 anni, dopo aver trascorso moltissimo
tempo in ospedale, ispirata dalla leggenda Senbazuru, iniziò a
fare gru di origami con l’obiettivo di giungere alle fatidiche
mille.
Alcune versioni della storia di Sadako raccontano che era
riuscita a piegare solo 644 gru prima di morire, nell’ottobre
del 1955, ma il Museo di Hiroshima racconta una versione differente: Sadako non solo aveva completato le mille gru ma
aveva perfino continuato a farle nonostante il suo desiderio
non si fosse realizzato. Oggi c’è una statua a Hiroshima Peace
Park che ricorda la storia di Sadako, e ogni anno il giorno di
Obon (la festività degli antenati), la gente lascia centinaia di
origami di gru presso la statua in memoria della giovane ragazza.
O
In Egitto un festival del cinema dedicato alle donne
Il risveglio
della questione femminile
da Assuan
ROSSELLA FABIANI
er l’Egitto è stata una
novità. Un festival internazionale del cinema dedicato alle donne. Che, per di più,
ha avuto come palcoscenico Assuan, la più grande città meridionale del paese, al confine con
il Sudan.
«La scelta di fare questo festival proprio ad Assuan, dal 20 al
26 febbraio, rientra nella volontà
di coinvolgere l’intero paese nelle iniziative» sottolinea Ahmed
Awaad, responsabile del Fondo
per lo sviluppo culturale e consigliere del ministero della cultura. Awaad ricorda poi che quest’anno Assuan è stata dichiarata
«capitale della cultura africana»
e il 2017 anno delle donne. E risale all’inizio di febbraio la nomina per la prima volta di una
donna, Nadia Abdou, come governatore di una provincia del
paese, quella di Béheira, nel
nord-ovest dell’Egitto.
Alla serata di apertura, oltre
al ministro della cultura e del
governatore di Assuan c’erano
alcune protagoniste della società
femminile egiziana: dalla consigliera economica del presidente
Al-Sisi, Alba Abdel Latif, a Maya Morsy, presidente del Consiglio nazionale delle donne; da
Inès Abdel Daim, direttrice
dell’Opera House del Cairo, a
Ines el Deghedi, regista impegnata nelle questioni sociali;
dalla scrittrice Azza Kamel,
all’attrice e produttrice Elham
Shahein. Il festival, oltre a mostrare una trentina di film selezionati da vari paesi, ha affrontato la tematica femminile anche
attraverso incontri, conferenze e
workshop.
Tema di questa prima edizione è stata la violenza di genere.
«Parliamo di donne e alle donne, ma è a tutta la società che ci
rivolgiamo» dice Azza Kamel,
scrittrice, attivista e responsabile
del Nut Forum (dal nome della
divinità femminile che sorregge
il cielo nell’iconografia faraonica), nato nell’ambito di una manifestazione appena conclusasi
in Alto Egitto che ha riunito
scrittrici, attiviste, registe giornaliste e deputate provenienti da
vari paesi del Mediterraneo per
discutere della violenza contro le
donne. «Un tema sensibile e
spesso anche un tabù — sottolinea Kamel — ma per fortuna
non siamo sole: il governo ci ha
P
dato il suo sostegno e anche lo
shayk Ahmad al-Tayyib, imam
di al-Azhar, da tempo lavora a
favore delle donne nonostante
attorno a lui molte forze remino
contro, come quelle dei salafiti e
dei fanatici che si sono pronunciati contro la realizzazione di
questo festival. Nella nuova Costituzione egiziana ci sono diciannove articoli che tutelano i
diritti delle donne. Quello che
manca ancora, però, sono le leggi che mettano in pratica questi
principi».
E «bisogna lavorare anche
per il cambiamento dell’immagine della donna nei giornali e
nelle tv egiziane» insiste Karima
Kamal, giornalista e attivista.
Contro le donne si continuano a
pronunciare anatemi da parte di
fanatici, come è accaduto alla
presidente onoraria del festival,
l’attrice e produttrice egiziana
Elham Shahein, attaccata e minacciata dai salafiti nel 2012 e
poi riuscita a ottenere giustizia
da un tribunale egiziano.
«Anche se la mentalità di alcuni fanatici non cambierà mai,
è importante coinvolgere i capi
religiosi perché con le loro parole possono cambiare la mentalità
degli uomini» afferma la libanese Ghida Anani, fondatrice di
Abaad (“D imensione”), associazione che dal 2011 si batte per i
diritti delle donne e contro la
violenza di genere. «Ottenere
un loro coinvolgimento funziona di più di una qualsiasi campagna a livello nazionale. Quando, tre anni fa, abbiamo fatto
una campagna insieme al mufti
del Libano, dopo la sua dichiarazione di condanna molte donne hanno avuto il coraggio di
denunciare gli abusi subiti. Lavoriamo insieme anche al patriarca del Libano, il cardinale
Béchara Boutros Raï, mentre
con la comunità sciita è più difficile» dice Kamal.
Fra le battaglie portate avanti
da Abaad, l’approvazione di una
legge che punisca i reati di stupro contro le donne e l’abolizione dell’articolo 522 del codice
penale libanese che dal 1948
consente di ricorrere al «matrimonio riparatore» che è soltanto
una copertura a molestie e a
violenze sessuali. Ad Assuan,
Anani ha mostrato il documentario Ana Ahlaam (“Io sono
Ahlaam”), girato nel campo di
Rashidiya, a Tiro, e tratto dalla
storia vera di una donna che ha
subito violenze e abusi dal marito. Nel documentario, tra i di-
versi interventi, anche quello
dello shayk Hasan Mousa,
membro della Dar al Fatwa di
Tiro, che rimarca una differenza
tra religione e tradizione: «Se le
donne oggi sono oppresse nella
società e se i loro diritti sono diminuiti non è colpa dell’islam,
anche se questa oppressione ricorre nelle società musulmane.
Il problema è nelle persone e
non nell’islam. Sono le persone
che opprimono le donne».
Rimane però il peso di un
pensiero religioso estremista.
«Oggi in Egitto dobbiamo confrontarci con il wahabismo. Per
questo i salafiti e i religiosi si sono opposti alla realizzazione di
questo festival» dice ancora Kamel. «Avere riunito tutte queste
donne ad Assuan non è stato
semplice, ma la strada è tracciata e soprattutto dobbiamo lavo-
le donne in Libia non fa che aumentare. Non c’è stato di diritto, non c’è costituzione e le
donne sono quelle che pagano
di più». Molte attiviste, lei compresa insieme alla madre Fawsia
Gabriel, sono state costrette a
espatriare. Oggi Langhi vive al
Cairo e ad Assuan ha portato il
documentario Justice for Salwa
in memoria dell’avvocatessa e
attivista per i diritti umani più
nota in Libia, Salwa Bugaighis,
assassinata a Bengasi nel giugno
del 2014.
Al festival erano presenti anche la giudice libica Naima Gebril, le egiziane Manal Hanafy,
responsabile degli affari femminili del ministero della solidarietà sociale, e Magda Mahmoud,
direttore del magazine «Hawaa»
(“Eva”), la marocchina Ayat Aznak e l’algerina Amal Benkaci-
rare insieme agli altri paesi». E
«questo festival può diventare
una piattaforma importante per
tutto il Medio oriente» ribadisce
la poetessa e regista emiratina
Nujoom al-Ghanem che con il
suo lavoro ha cambiato la percezione della donna degli Emirati.
Ad Assuan c’era anche Zahra’
Langhi, attivista e cofondatrice
della Lybian Women’s Platform
for Peace, movimento nato nel
2011 che afferma: «Dalla caduta
di Gheddafi la violenza contro
mi. E vi erano anche donne nubiane. Impegnate e combattive,
le nubiane godono di maggiore
rispetto e autonomia: «Il figlio
maschio non viene chiamato con
il nome del padre ma con quello
della madre — dice Sana Sir elKhatim — e anche nei balli si
può notare una differenza: se
nelle danze egiziane l’uomo balla sempre da solo accompagnato
dal suo bastone, tra i nubiani
uomini e donne danzano insieme».
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 5 marzo 2017
pagina 5
Ernesto Buonaiuti
La vicenda umana e intellettuale di Ernesto Buonaiuti
Pellegrino di Roma
di FELICE ACCRO CCA
n anziano frate agostiniano, all’epoca già più
che ottuagenario, mi si
avvicinò un giorno a
Latina — dove dimorò
per un ventennio prima di spegnersi
nel convento di Genazzano — porgendomi una busta: «La lascio a te — mi
disse — perché so che è in buone mani». La busta, per la verità, portava
già i segni del tempo, cosa che m’incuriosì: vi trovai dentro il ricordino
della prima messa di Ernesto Buonaiuti, forse un unicum ormai, che il
buon padre Lucio Fabbroni, mite e
saggio, aveva a sua volta ricevuto in
dono non ricordo più da chi.
In alto, l’immagine del Cristo sembra quasi poggiare sulla scritta «Redemtor [sic] noster aspice Deus»; in
U
basso, l’altare sul quale, tra candidi
gigli, sono posati il libro (vi si legge
il verso del salmo 115: «Calicem salutaris accipiam et nomen Domini invocabo!»), la stola, il calice. Sul retro la
scritta: «Nella santa letizia di questo
giorno / 20 dicembre 1903 / con ardenti voti desiderato / Don Ernesto
Buonaiuti / salendo per la prima volta l’altare / nel tempio di San Filippo
Neri / in Roma / la madre i parenti
gli amici / a Gesù dolcissimo raccomanda / per se [sic] lo prega / perché
sempre meno indegno rendendosi /
dell’altissimo divino favore / torna
(sic; una mano ha corretto a penna:
“torni”) a bene di molti / il suo sacerdozio / S. C.».
Buonaiuti, che nel 1903 — come ricorderà egli stesso nella propria autobiografia, Pellegrino di Roma — aveva
cominciato a insegnare filosofia «nelle
scuole di Propaganda Fide» e «a tenere lezioni di storia dei dogmi nelle
scuole dell’Apollinare» dov’era succeduto a Umberto Benigni, ormai vicino al suo trapasso ricorderà quel momento tanto importante della sua vita
sacerdotale con ancora palpabile emozione: «Fu giornata — scrisse — di
inenarrabile ed indelebile trepidazione interiore. Tutta la mia preparazione intellettuale, tutta la complessa
macerazione delle mie esperienze,
dalle aspre durezze della mia adolescenza, al paziente e silenzioso tirocinio seminaristico, alle ultime sorprendenti acquisizioni della cultura e della
conoscenza del mondo nell’ultimo
biennio, sembravano traboccare in
una consapevolezza mistica e tagliente del grande compito del sacerdozio,
in un mondo che, sotto le forme di
un ordinamento saldo e normale, nascondeva già elementi di inquietudine
e di sconvolgimento, che non avrebbero tardato molto a fruttificare».
Il documento è interessante anche
perché consente di chiarire un dubbio
relativo alla cronologia di quei giorni,
insinuato da Mario Niccoli, cui si deve un’ottima edizione del testo autobiografico. Buonaiuti, infatti, scrisse
correttamente: «Il cardinal Respighi,
successo al Parocchi nel Vicariato di
Roma, mi consacrava sacerdote il 19
dicembre del 1903 nella Basilica Lateranense, e il giorno successivo io celebravo la mia prima messa nella cappella di San Filippo, alla Chiesa
Nuova». Niccoli, tuttavia, nutrì qualche perplessità su quel «giorno successivo», scrivendo in nota: «Mi pare
di ricordare che la data della prima
messa di Buonaiuti sia il 21 e non il
20 dicembre. Almeno così egli diceva». Ora il documento trasmessomi
da padre Lucio Fabbroni chiude la
questione.
Ernesto Buonaiuti, più tardi colpito
da ripetuti provvedimenti disciplinari
fino alla scomunica maggiore, era na-
La storia di Guglielmina e Peter
Così lontani, così vicini
di SILVIA GUIDI
l tempo, rifletteva tra sé in quelle settimane
prima di partire per l’Italia, precipita accadimenti e coincidenze con l’esattezza di un
cronometro. E le sue lancette sembrano quasi scandire una dimensione parallela, capace
di sorprendere oltre ogni aspettativa e immaginazione. Ciò
che per sessant’anni tra muri e reticenze non si era voluto o
potuto sapere apprendere o approfondire stava rivelandosi
nel giro di qualche settimana con l’incedere di una slavina».
Complicati arabeschi di circostanze portano Guglielmina
e Peter, i protagonisti del libro Nel segno dei padri di Giacomo Marinelli Andreoli (Venezia, Marsilio, 2017, pagine 188,
euro 16,50), a incontrarsi. Guglielmina è la figlia di Vittorio,
uno dei quaranta civili fucilati nella rappresaglia che la Wermacht mise in atto a Gubbio il 22 giugno 1944, dopo l’uccisione di un ufficiale medico tedesco, Kurt Staudacher, da
parte di un gruppo di giovani armati del Gap locale. Peter è
il figlio di Kurt. Guglielmina e Peter si riconoscono nella
comune fatica di essere cresciuti senza un padre, e si scrivono, a lungo. Sentono il bisogno di raccontarsi tante cose, e
la responsabilità di ricucire storie lacerate dal conflitto, di riparare brecce e restaurare sentieri, come dice la Scrittura
(Isaia, 58, 12)
Un incontro tanto fortuito, quanto segretamente desiderato. Ursula, la moglie di Peter, sapendo che da tempo suo
marito desiderava visitare l’Italia «aveva organizzato ogni
dettaglio. La meta non rientrava nei canonici tour lungo la
penisola, Roma, Firenze, Venezia o costiera amalfitana. La
destinazione, quel cimitero militare a Pomezia, non si trovava nelle guide turistiche, ma era tristemente nota a tante famiglie tedesche». Per Peter la vita non è mai stata facile. Per
trent’anni non è potuto uscire dalla Germania dell’est. Caduto il muro, ha già 46 anni, ma a quel punto erano stati i
postumi della poliomielite che lo ha colpito da bambino a
frenare qualsiasi progetto o desiderio di recuperare il tempo
perduto. Poi la decisione, improvvisa, di vedere i luoghi dove è morto suo padre. Nonostante la tristezza del tema trattato, il libro è pieno di fotogrammi vivaci, allegri, che spiccano sullo sfondo plumbeo testimoniando un tenace amore
per la vita: come le ultime lettere di Kurt alla moglie, in cui
l’ufficiale, per non angosciarla, glissa sulle atrocità della
«I
guerra, soffermandosi a descrivere le deliziose ciliegie che ha
trovato lungo la strada, o la grande bellezza della campagna
umbra nella luce calda del tramonto. O dettagli teneri e
commoventi, come Guglielmina adolescente, che si intrufola
alle feste e ai veglioni di carnevale col cappotto, perché un
vestito lungo elegante proprio non se lo potevano permettere. In esergo al libro, i versi accorati di Francesco Petrarca:
«E se cosa di qua del ciel si cura / le anime che di lassù son
cittadine / e hanno i corpi abbandonati in terra / del lungo
odio civil ti pregan fine», malinconico contrappunto alla
confessione di Peter: «Siamo come due bambini persi, diventati vecchi, che si incontrano dopo una lunga vita per riconciliarsi. Pur non avendo commesso niente che meriti una
riconciliazione».
Dalla copertina del libro di Giacomo Marinelli Andreoli «Nel segno dei padri»
(archivio della Fondazione Ranieri di Sorbello)
to nel quartiere romano di Ripetta; rimasto, ancora fanciullo, orfano del
padre, entrò in seminario a quattordici anni. Dotato di straordinario ingegno, lettore onnivoro e insaziabile (in
Pellegrino di Roma rivelerà di aver let-
gramma dei modernisti e le Lettere di
un prete modernista — queste ultime da
lui stesso giudicate «Peccatum iuventutis meae!» e sulle quali sorvolò nella sua autobiografia — egli sarebbe
approdato alla fase più radicale del
L’immaginetta a ricordo della prima messa di don Ernesto Buonaiuti
celebrata alla Chiesa Nuova il 20 dicembre 1903
to il De Germania di Tacito scendendo e salendo gli scaloni dell’Apollinare, incolonnato in fila silenziosa con
gli altri seminaristi), dimostrò sempre
una «innata tendenza — come scrisse
Raffaello Morghen, il quale ben lo
conobbe e intensamente l’amò — a
posizioni di pensiero arrischiate e sottili». È incredibile la quantità di saggi
e discussioni a cui ha dato adito la
triste vicenda di quest’uomo che lo
stesso Morghen qualificò come «un
isolato». E tale, di fatto, egli fu, anche all’interno di quel variegato gruppo modernista che certo non costituì
un blocco compatto, al pari, peraltro,
di quella parte del mondo ecclesiastico che non ne condivise mai le idee e
che, in taluni casi, vi si oppose aspramente: nulla avevano ad esempio in
comune personaggi del calibro di
Enrico Rosa, gesuita scrittore e poi
direttore della Civiltà Cattolica, con
figure anche squallide quali Alberto
Cavallanti o i fratelli Scotton, e del
tutto diverso dall’uno e dagli altri fu
il più giovane Giuseppe De Luca, che
pure con Buonaiuti ebbe rapporti anche molto tesi.
Certamente, secondo quanto riconobbe ancora Morghen, «egli andò
qualche volta oltre il segno, e perse il
senso della misura e il controllo della
sua penna». È il caso del famoso convegno dell’estate 1907 a Molveno, dove nel fresco delle Dolomiti si radunarono in gran segreto alla presenza
del barone Friedrich von Hügel e di
letterati come Antonio Fogazzaro, gli
esponenti di maggior spicco del “modernismo” italiano. «Per parecchi
giorni, mattina e sera, noi ci trovammo riuniti all’ombra degli abeti e dei
larici — così ricordava Buonaiuti quasi
quarant’anni più tardi — a ragionare
di quei problemi di critica neo testamentaria e di storia dei dogmi, su cui
ci sembrava dovesse convergere ormai
più imperiosamente tutta la polemica
religiosa». Benché riluttante a parlare,
Buonaiuti prese tuttavia la parola nella «discussione animatissima» «sulla
celebrazione dell’agape cristiana e le
origini della liturgia eucaristica». «Ricordo ancora — scriverà in Pellegrino
di Roma — che mi infervorai nel dire
e che per quanto le mie enunciazioni
suonassero forti e sconcertanti, lasciarono una scia di impressioni sorprese
e leggermente scandalizzate, che
dovettero pesare da allora per sempre
sul giudizio che i miei compagni di
convegno finirono col formarsi su di
me». L’anno seguente, con il Pro-
suo pensiero; ciononostante, poté
continuare per molti anni ancora nel
proprio lavoro, dal momento che le
più forti sanzioni disciplinari nei suoi
confronti non risalgono a Pio X, ma
furono prese sotto i pontificati di Benedetto XV e Pio XI.
Eppure, a differenza di gran parte
dei modernisti che ruppero con la
Chiesa, gettando alle ortiche — oltre
alla tonaca — anche la loro fede, in
Buonaiuti non venne meno l’ardente
desiderio della comunione sacramentaria che tiene uniti i fedeli del Cristo
e sempre egli si mantenne fedele agli
obblighi dello stato sacerdotale. Ne è
una prova il fatto che quando per potergli assegnare una cattedra la facoltà
teologica di Losanna gli chiese di
aderire al protestantesimo, egli — malgrado fosse in evidenti ristrettezze
economiche — declinò senz’altro l’invito. Allo stesso modo va letto anche
il suo rifiuto, nel 1931, di prestare giuramento al partito fascista (solo una
dozzina fra tutti i docenti universitari
italiani ebbe quell’ardire): la formula
proposta, scrisse infatti a riguardo,
«mi apparve subito radicalmente
inaccettabile. Nel mio caso personale
essa poi mi parve suonasse offensivo
oltraggio a tutti i miei più saldi propositi di restar fedele, specialmente
nella mia qualità di scomunicato vitando, alle basilari prescrizioni della
professione cristiana».
La vicenda di Buonaiuti resta emblematica di quel doloroso travaglio,
nel corso del quale furono più volte
superati i limiti: dell’ortodossia come
pure della carità! Il salesiano don Domenico Ercolini, in un’ancora inedita,
accorata e struggente lettera a Giovanni Mercati, il 12 giugno 1909 esclamava: «Oh che angoscia mi han fatto
tutte queste miserande cadute! e gli
abusi e le malvagità che lì attorno si
son dette e fatte!». Molte cadute indubbiamente vi furono, ma quanta e
quale incidenza ebbero su di esse atteggiamenti inflessibili e perfino persecutori — come scriveva nel gennaio
1909 padre Giovanni Genocchi a
monsignor Mignot, vescovo di Albi —
non è dato sapere. Mentre molto lavoro lascia ancora agli storici, quella
dolorosa esperienza insegna che una
grande umiltà è sempre necessaria,
anche alle menti più vive. E una sana
duttilità e un’invincibile carità sono
sempre auspicabili in tutti, anche alle
anime più appassionatamente attaccate alle verità della fede.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 5 marzo 2017
Gli anglicani e l’eredità della Riforma
BRUXELLES, 4. «La politica dell’avanzare a tentoni che da tempo
rappresenta la strategia» dell’Unione
europea «non è più sufficiente». Infatti, «se si vuole rianimare il progetto europeo, bisogna avere una visione chiara sui suoi benefici principali e un discorso pubblico che
chiarisca l’identità e l’avvenire oltre
che i valori che essa incarna». È
quanto sostiene la Conferenza delle
commissioni europee Iustitia et Pax,
che a conclusione di un incontro
che si è tenuto nei giorni scorsi in
Slovenia, a Lubiana, ha lanciato
l’annuale campagna intitolata «Europa al crocevia».
La Conferenza delle commissioni
europee Iustitia et Pax è una rete
composta da 31 commissioni nazionali che ha tra i suoi principali
obiettivi quello di contribuire a diffondere la dottrina sociale della
Chiesa nelle società europee e nelle
istituzioni continentali. In questa
prospettiva, ogni anno, solitamente
all’inizio della quaresima, viene lanciata una Concerted Actions, cioè un
contributo alla costruzione della ca-
Dalle radici
alle prospettive
Documento della Conferenza delle commissioni Iustitia et Pax
Europa al crocevia
sa comune europea. Nel 2017 l’accento viene posto, e non potrebbe
essere altrimenti, sulla fase assai delicata che si trovano a vivere le istituzioni comunitarie. Il dato di partenza è la constatazione che l’Unione europea sta attraversando non
una ma diverse crisi contemporaneamente. Infatti, dopo la crisi del debito sovrano nella zona euro che
non sembra ancora del tutto risolta,
gli stati membri non trovano l’accor-
Negli Stati Uniti
apprezzamento per ebrei e cattolici
WASHINGTON, 4. Gli americani
guardano con sempre maggiore
positività e simpatia alle religioni.
In particolare, e a dispetto dei gravi episodi di cronaca delle ultime
settimane, sono gli ebrei, insieme
ai cattolici, a raccogliere il maggiore consenso tra la popolazione statunitense. È quanto emerge da uno
studio condotto dal Pew Research
Center al termine di un anno elettorale in cui la politica è risultata
particolarmente divisiva. Dal sondaggio, condotto dal 9 al 23 gennaio, viene dunque fuori che gli
americani esprimono nei confronti
delle religioni sentimenti più positivi oggi, rispetto a pochi anni fa.
Solo il giudizio sui cristiani evangelici resta sostanzialmente invaria-
Con i battisti
un mese
al femminile
LAND OVER, 4. Trentuno preghiere,
una per ogni giorno del mese di
marzo, per dare voce alle sofferenze
delle donne di tutto il mondo. È
l’iniziativa lanciata in questi giorni
dalla Lott Carey Global Christian
Missional Community, una rete missionaria fondata nel 1897 da battisti
afroamericani. L’organizzazione, che
si ispira all’opera del reverendo Lott
Carey, ha pubblicato per il quinto
anno consecutivo una guida in cui
sono pubblicate le intenzioni di preghiera scritte da pastori che vivono
in paesi dei diversi continenti e che
evidenziano le particolari problematicità cui è soggetto l’universo femminile. Il fenomeno delle spose
bambine, la violenza di genere, la
disparità sanitaria, la povertà, la
tratta umana, il dramma delle rifugiate sono infatti alcuni dei temi intorno a cui si sviluppano le intenzioni di preghiera.
La Lott Carey, impegnata a diffondere la testimonianza cristiana
nel mondo, fornisce sostegno finanziario e assistenza tecnica alle comunità evangeliche a essa collegate, lavorando su quattro aree specifiche:
risposta alle calamità naturali; lotta
alla tratta di esseri umani; iniziative
di promozione sanitaria; emancipazione delle donne. Una decina di
anni fa l’Unione cristiana evangelica
battista d’Italia ha stretto una collaborazione con la Lott Carey, all’interno della quale è nata una partnership che lega i battisti italiani a
quelli dello Zimbabwe.
to al 61 per cento rispetto all’analogo sondaggio del 2014. Mentre la
valutazione per musulmani e atei,
pur restando bassa, comunque sale
rispettivamente dal 40 al 48 e dal
41 al 50 per cento. Gli americani
esprimono invece maggiore apprezzamento verso i cattolici ed
ebrei che si attesta attorno al 67
per cento. Intanto, da un altro studio effettuato dal Pew Research
Center, risulta che, secondo proiezioni effettuate a partire dalla crescita prevista della popolazione soprattutto nei paesi asiatici, gli islamici sono destinati a diventare, nel
2070, il gruppo religioso più esteso. In quell’anno, il paese con il
maggior
numero
di
fedeli
dell’islam sarebbe l’India.
do nemmeno sull’ingresso e la distribuzione al loro interno di immigrati
e rifugiati. E questo, mentre il Regno Unito con un referendum popolare ha deciso di abbandonare
l’unione. In tali circostanze, rileva la
Conferenza delle commissioni europee Iustitia et Pax, la vecchia strategia del “tirare avanti” rischia di non
essere più sufficiente. E, viene sottolineato, nemmeno «un lungo processo di revisione dei trattati fondamentali servirà a risolvere i problemi
attuali». E questo perché «in un
mondo in rapido cambiamento, si
impongono una reinterpretazione
del ruolo e della responsabilità
dell’Europa, tanto più necessaria
perché si tratta di un insieme di stati
strettamente legati tra loro». Tenendo però sempre bene a mente, questo il monito, che «la politica non è
la ricerca dei propri interessi con
mezzi strategici e tattici».
Per questo, dall’organismo europeo presieduto dall’arcivescovo di
Luxembourg, Jean-Claude Hollerich, arrivano «dieci proposte concrete» per contribuire al dibattito su
«un modo pragmatico per il futuro
dell’Unione». Tra i temi affrontati: il
sistema europeo comune per l’asilo
e le migrazioni, la difesa dei diritti
sociali, le politiche di commercio e
l’impatto della digitalizzazione, il
futuro dell’eurozona e gli sforzi europei per combattere i cambiamenti
climatici. Nel corso dell’anno le singole commissioni si impegneranno a
sviluppare il lavoro su questi temi in
base alla specificità dei contesti.
In primo piano, come accennato,
la necessità di una riforma condivisa
del diritto d’asilo per le popolazioni
che fuggono da guerre e persecuzioni. Una riforma, viene rilevato, che
non può ignorare alcuni principi
fondamentali: il diritto illimitato di
richiedere asilo, senza preclusioni di
provenienza geografica o di appartenenza religiosa; l’obbligo di accoglienza per gli stati che hanno aderito al trattato di Schengen; la solidarietà nel condividere i costi amministrativi e gli sforzi umani per accogliere i richiedenti asilo.
Quello della necessità di governare i flussi migratori e di rivedere il
sistema di accoglienza nei paesi
dell’Unione è uno dei temi che
maggiormente negli ultimi tempi ha
interessato il lavoro delle commissioni nazionali Iustitia et Pax. Nel loro
ultimo incontro, tenutosi a ottobre
in Lussemburgo, era stato diffuso
un documento con una serie di appelli perché con riguardo alle migrazioni la questione della «sicurezza»
non sia mai disgiunta dal rispetto
dei diritti umani: «Diffidiamo
dell’idea che l’Europa possa raggiungere la sua sicurezza costruendo
muri» inefficaci di fronte «alla natura delle minacce alla sicurezza
dell’Europa così diversificate e complesse». Di qui gli appelli: all’Ue
per una «politica di pace basata sullo sviluppo umano integrale»; ai politici perché ogni loro scelta sia «nel
rispetto della dignità umana e del
principio dello stato di diritto»; alla
Chiesa perché sia «sacramento di
pace»; a ogni cittadino perché contribuisca a «costruire una comunità
sicura e pacifica con il dialogo e in
spirito di fraternità».
Appello del Consiglio delle Chiese
La voce dei cristiani per il Sud Sudan
JUBA, 4. Un appello alla comunità
internazionale affinché fornisca assistenza umanitaria immediata e intervenga nel contempo per fermare
i combattimenti che stanno devastando il paese è stato lanciato, nei
giorni scorsi, dal Consiglio delle
Chiese del Sud Sudan. «Il nostro
paese — sottolineano in un comunicato i leader religiosi dell’organismo ecumenico, che comprende
tutte le confessioni cristiane — è in
preda a una crisi umanitaria drammatica, e la carestia è stata ufficialmente dichiarata».
L’appello è stato firmato dal sacerdote cattolico James Oyet Latansio, segretario generale del consiglio delle Chiese, e dal reverendo
Peter Gai Lual Marrow, moderatore
della Chiesa presbiteriana del Sud
Sudan. «Questa — ha detto padre
Latansio — è un’esortazione a pregare per sostenere una leadership
forte e responsabile e per un’assistenza umanitaria efficace. Questi
elementi, che ci hanno reso una nazione, sono necessari per salvare in
questo momento il nostro paese».
Il Consiglio delle Chiese sottolinea che «milioni di persone sono
coinvolte dal conflitto, con un gran
numero di sfollati e centinaia di
migliaia in fuga nei paesi vicini, in
particolare l’Uganda, dove si trovano ad affrontare terribili disagi nei
campi profughi». Le Nazioni Unite
hanno denunciato che gli stupri, le
uccisioni di civili e la paura di essere arrestati sono tra le principali ragioni che spingono migliaia di persone a fuggire dal paese. Si tratta
dell’emergenza umanitaria più grave di tutta l’Africa. Il Sud Sudan,
oltre a essere dilaniato dalla guerra
civile scoppiata nel 2013 è colpito
da una grave crisi alimentare. Il
conflitto ha pregiudicato i raccolti e
la produzione agricola. Di qui,
l’appello dei leader religiosi: «Ci
appelliamo alla comunità internazionale e agli amici del popolo del
Sud Sudan affinché ci venga fornita un’assistenza su larga scala. Ma
facciamo appello anche alle parti in
conflitto per fermare la guerra, per
porre fine alle violenze contro il
nostro popolo, per fermare il saccheggio di cibo e aprire corridoi
umanitari affidabili per permettere
alla popolazione di raggiungere le
aree sicure e alle merci di giungere
a destinazione. La nostra gente —
conclude il comunicato del Consiglio delle Chiese — sta lottando
semplicemente per sopravvivere».
Cosa dice la Riforma oggi agli
anglicani che vogliono vivere
la fede cristiana in una prospettiva ecumenica? Questa
domanda è stata alla base del
convegno «Anglicanism Catholic and Reformed: Revisiting the Reformation Legacy
1517-2017», che si è svolto a
Savannah, in Georgia. Il convegno è stato organizzato dalla Prayer Book Society, un’organizzazione
internazionale
impegnata nella promozione
della conoscenza della dimensione ecumenica della tradizione anglicana, a partire pro-
frontarsi proprio per comprendere le radici comuni che per
secoli sono state sepolte dalle
difficoltà di dialogo tra cristiani. In questo orizzonte si collocano anche gli interventi
sulla «percezione» del Prayer
Book nei secoli XIX e XX da
parte di liturgisti di Chiese diverse: questa «percezione» ha
avuto
conseguenze
«sulla
identità, sull’unità e sulla missione» della Comunione anglicana.
Durante i lavori, si è riflettuto sull’autorità della Scrittura e sulle modalità di lettura
Thomas Cranmer
prio dalla conoscenza del
Common Prayer Book, considerato una fonte preziosa per il
superamento delle divisioni
tra cristiani. In questa prospettiva, si colloca il convegno
che ha raccolto studiosi di diverse tradizioni cristiane che si
sono incontrati, sotto la presidenza del reverendo Gavin
Dunbar, presidente della Prayer Book Society degli Stati
Uniti e del canonico Alistair
Macdonald-Radcliff, che fa
parte del comitato direttivo
internazionale della Prayer
Book Society.
Il convegno si è aperto con
un intervento di Giller Harp,
docente di storia al Grove City College, che ha affrontato il
tema dell’identità anglicana
alla luce del recupero del suo
rapporto con la Riforma del
XVI secolo, grazie ai numerosi
studi che hanno aiutato a conoscere meglio il contesto storico-teologico nel quale vennero maturando le scelte che
portarono alla nascita della
Comunione anglicana; per
Harp in occasione del cinquecentesimo anniversario dell’inizio della Riforma appare
particolarmente opportuno, e
per certi versi necessario, l’inizio di un nuovo processo con
il quale fare i conti con la sua
origine, tanto più in un tempo
nel quale vivo è il dibattito al
suo interno sul futuro della
Comunione anglicana. Proprio il rapporto della tradizione anglicana con la Riforma
protestante del XVI secolo ha
costituito il filo conduttore di
diversi interventi: si è discusso
di come la liturgia inglese abbia parlato della trasformazione della vita morale in assenza
di un linguaggio che descriva
la «santificazione», delineando un cammino che ha plasmato la vita di tante comunità. La natura della liturgia anglicana, così come si è venuta
formando nel XVI secolo, rappresenta un aspetto centrale
nella vita della comunità sul
quale, come è stato detto, non
solo gli anglicani, ma tutti i
cristiani sono chiamati a con-
in grado di promuovere l’unità della Chiesa così come era
stato pensato, in parte, anche
nel corso del XVI secolo, per
comprendere cosa i cristiani
potevano fare e cosa devono
realizzare per la promozione
della comunione visibile tra
cristiani. Il tema dell’autorità
della Scrittura, anche alla luce
delle proposte formulate nei
primi secoli del cristianesimo,
è stato poi ripreso nell’orizzonte di come gli anglicani si
sono interrogati nel corso dei
secoli, ponendo una particolare attenzione all’esperienza del
movimento di Oxford nel
quale era evidente «l’eco dei
riformatori inglesi» che avevano a cuore la dimensione
evangelica e il rispetto della
tradizione nella vita della
Chiesa.
Sullo stato del dialogo ecumenico tra anglicani, cattolici
e riformati, soprattutto su
quali devono essere gli obiettivi comuni, ci si è interrogati
in varie occasioni, soprattutto
nei momenti di dibattito, dove
è emerso, con chiarezza, come
il cinquecentesimo anniversario della nascita della Riforma
deve essere un tempo privilegiato per riscoprire quanto in
comune hanno i cristiani per
rendere più efficace l’annuncio
di Cristo nel mondo. (riccardo
burigana)
†
Il Preside, Monsignor Pierangelo Sequeri, e
la comunità accademica del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II partecipano con
profonda commozione al lutto per la scomparsa di
GINA CICCHINELLI
madre della Dottoressa Marinella Federici. I
docenti, i colleghi e gli studenti si raccolgono nella preghiera di suffragio nella comune
speranza nel Signore Risorto, affinché accolga la cara defunta nella Sua pace e doni
consolazione ai suoi familiari.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 5 marzo 2017
pagina 7
Marc Chagall
«La scala di Giacobbe» (1950)
Il Papa invita a coniugare tradizione e attualità nella musica sacra
Parola
tradotta in armonia
Un invito a coniugare tradizione e
attualità è stato rivolto dal Papa ai
partecipanti a un convegno
internazionale di musica sacra
ricevuti in udienza sabato mattina,
4 marzo, nella Sala Clementina.
Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di incontrare tutti voi,
convenuti a Roma da diversi Paesi
per partecipare al Convegno su
«Musica e Chiesa: culto e cultura
a 50 anni dalla Musicam sacram»,
organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura e dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, in collaborazione con il Pontificio Istituto di Musica Sacra e il
Pontificio
Istituto
Liturgico
dell’Ateneo Sant’Anselmo. Vi saluto tutti cordialmente, ad iniziare
dal Cardinale Gianfranco Ravasi,
che ringrazio per la sua introduzione. Auspico che l’esperienza di
incontro e di dialogo vissuta in
questi giorni, nella riflessione comune sulla musica sacra e partico-
larmente sui suoi aspetti culturali
e artistici, risulti fruttuosa per le
comunità ecclesiali.
Mezzo secolo dopo l’Istruzione
Musicam sacram, il convegno ha
voluto approfondire, in un’ottica
interdisciplinare ed ecumenica, il
rapporto attuale tra la musica sacra e la cultura contemporanea,
tra il repertorio musicale adottato
e usato dalla comunità cristiana e
le tendenze musicali prevalenti. Di
grande rilievo è stata anche la riflessione sulla formazione estetica
e musicale sia del clero e dei religiosi sia dei laici impegnati nella
vita pastorale, e più direttamente
nelle scholae cantorum.
Il primo documento emanato
dal Concilio Vaticano II fu proprio la Costituzione sulla liturgia
Sacrosanctum Concilium. I Padri
Conciliari ben avvertivano la difficoltà dei fedeli nel partecipare a
una liturgia di cui non comprendevano più pienamente il linguaggio, le parole e i segni. Per concretizzare le linee fondamentali
tracciate dalla Costituzione, furono emanate delle Istruzioni, tra
cui, appunto, quella sulla musica
sacra. Da allora, pur non essendo
stati prodotti nuovi documenti del
Magistero sull’argomento, vi sono
stati diversi e significativi interventi pontifici che hanno orientato la riflessione e l’impegno pastorale.
È tuttora di grande attualità la
premessa della menzionata Istruzione: «L’azione liturgica riveste
una forma più nobile quando è
celebrata in canto, con i ministri
di ogni grado che svolgono il proprio ufficio, e con la partecipazione del popolo. In questa forma,
infatti, la celebrazione acquista
un’espressione più gioiosa, il mi-
stero della sacra Liturgia e la sua
natura gerarchica e comunitaria
vengono manifestati più chiaramente, l’unità dei cuori è resa più
profonda dall’unità delle voci, gli
animi si innalzano più facilmente
alle cose celesti per mezzo dello
splendore delle cose sacre, e tutta
la celebrazione prefigura più chiaramente la liturgia che si svolge
nella Gerusalemme celeste» (n. 5).
Più volte il Documento, seguendo le indicazioni conciliari,
evidenzia l’importanza della partecipazione di tutta l’assemblea dei
fedeli, definita «attiva, consapevole, piena», e sottolinea anche molto chiaramente che la «vera solennità di un’azione liturgica non dipende tanto dalla forma più ricca
del canto e dall’apparato più fa-
stoso delle cerimonie, quanto
piuttosto dal modo degno e religioso della celebrazione» (n. 11).
Si tratta, perciò, innanzitutto, di
partecipare intensamente al Mistero di Dio, alla “teofania” che si
compie in ogni celebrazione eucaristica, in cui il Signore si fa presente in mezzo al suo popolo,
chiamato a partecipare realmente
alla salvezza attuata da Cristo
morto e risorto. La partecipazione
attiva e consapevole consiste, dunque, nel saper entrare profondamente in tale mistero, nel saperlo
contemplare, adorare e accogliere,
nel percepirne il senso, grazie in
particolare al religioso silenzio e
alla «musicalità del linguaggio
con cui il Signore ci parla» (Omelia a S. Marta, 12 dicembre 2013).
È in questa prospettiva che si
muove la riflessione sul rinnovamento della musica sacra e sul suo
prezioso apporto.
Al riguardo, emerge una duplice missione che la Chiesa è chiamata a perseguire, specialmente
attraverso quanti a vario titolo
operano in questo settore. Si tratta, per un verso, di salvaguardare
e valorizzare il ricco e multiforme
patrimonio ereditato dal passato,
utilizzandolo con equilibrio nel
presente ed evitando il rischio di
una visione nostalgica o “archeologica”. D’altra parte, è necessario
fare in modo che la musica sacra e
il canto liturgico siano pienamente
“inculturati” nei linguaggi artistici
e musicali dell’attualità; sappiano,
cioè, incarnare e tradurre la Parola
di Dio in canti, suoni, armonie
che facciano vibrare il cuore dei
nostri contemporanei, creando anche un opportuno clima emotivo,
che disponga alla fede e susciti
l’accoglienza e la piena partecipazione al mistero che si celebra.
Certamente l’incontro con la
modernità e l’introduzione delle
lingue parlate nella Liturgia ha
sollecitato tanti problemi: di linguaggi, di forme e di generi musicali. Talvolta è prevalsa una certa
mediocrità, superficialità e banalità, a scapito della bellezza e intensità delle celebrazioni liturgiche.
Per questo i vari protagonisti di
questo ambito, musicisti e compositori, direttori e coristi di scholae
cantorum, animatori della liturgia,
possono dare un prezioso contributo al rinnovamento, soprattutto
qualitativo, della musica sacra e
del canto liturgico. Per favorire
questo percorso, occorre promuovere un’adeguata formazione musicale, anche in quanti si preparano a diventare sacerdoti, nel dialogo con le correnti musicali del nostro tempo, con le istanze delle diverse aree culturali, e in atteggiamento ecumenico.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio ancora per il vostro impegno
nell’ambito della musica sacra. Vi
accompagni la Vergine Maria, che
nel Magnificat ha cantato la santità
misericordiosa di Dio. Vi incoraggio a non perdere di vista questo
importante obiettivo: aiutare l’assemblea liturgica e il popolo di
Dio a percepire e partecipare, con
tutti i sensi, fisici e spirituali, al
mistero di Dio. La musica sacra e
il canto liturgico hanno il compito
di donarci il senso della gloria di
Dio, della sua bellezza, della sua
santità che ci avvolge come una
“nube luminosa”.
Vi chiedo per favore di pregare
per me e vi imparto di cuore la
Benedizione Apostolica.
Nel saluto del cardinale Ravasi
La scala
dimenticata dagli angeli
Donde hay musica, no puede haber cosa mala: con questa citazione di Miguel Cervantes nel Don Quijote il
cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio
Consiglio della cultura, ha presentato al Papa i contenuti e gli obiettivi dell’incontro promosso a cinquant’anni dall’istruzione post-conciliare Musicam sacram. «È evidente — ha affermato il porporato — che
“culto” e “cultura” hanno la stessa matrice etimologica
che invita alla comune “coltivazione” del bello, del
buono e del vero». E «una delle epifanie supreme del
legame tra culto e cultura si rivela», ha proseguito il
cardinale, proprio «nella musica che per secoli è stata
sorella della liturgia e, quindi, della fede». Infatti
«non per nulla la tradizione giudaica immaginava che,
nella visione biblica di Giacobbe narrata dal capitolo
28 del libro della Genesi, gli angeli si fossero dimenticati di ritirare la scala sulla quale erano discesi ed erano poi risaliti dopo aver annunciato la promessa divina». Quella scala «è rimasta così sulla terra ed è la
scala musicale le cui note sono come gli angeli di Dio
che permettono agli uomini e alle donne di ascendere
fino al mistero di Dio».
«Non per nulla Bach — ha fatto presente il cardinale Ravasi — non esitava a insegnare ai suoi allievi che
“il finis e la causa finale della musica dovrebbe essere
la gloria di Dio e la ricreazione della mente umana”».
Dunque, «culto e cultura sono intrecciati insieme, fede
ed estetica, soli Deo gloria, come il sommo musicista
scriveva in capo alle sue partiture, ma anche la “ricreazione della mente umana”, cioè la bellezza armonica,
il “cantare Dio con arte”, come ribadiva già il salmista». In questa riflessione si inserisce, appunto, il convegno a cinquant’anni dalla Musicam sacram che ha
visto riuniti insieme «un forte gruppo di liturgisti,
operatori pastorali, musicisti e studiosi», provenienti
da quaranta paesi. È emblematico il titolo dell’incontro — «Musica e Chiesa: culto e cultura» — che è stato
convocato, ha ricordato il porporato, dal Pontificio
Consiglio della cultura e dalla Congregazione per
l’educazione cattolica, in collaborazione col Pontificio
Quarant’anni di relazioni diplomatiche con il Ghana
Decisione profetica
Quarant’anni fa, «in tempi politicamente turbolenti per il Ghana» e nella non
facile fase finale del pontificato di Paolo
VI, il paese africano e la Santa Sede hanno preso la «decisione profetica di aprire le porte alla novità e alla freschezza
di un rapporto che è diventato eccellente non solo in senso diplomatico». Così
il nunzio apostolico Jean-Marie Speich,
nella sera del 3 marzo, ha ricordato l’anniversario delle relazioni diplomatiche
nel corso di un ricevimento svoltosi nella rappresentanza pontificia di Accra.
Per sottolineare l’importanza dell’avvenimento, le celebrazioni sono state abbinate a quelle per il sessantesimo
dell’indipendenza della nazione, la prima dell’Africa nera — come veniva chiamata allora — a emanciparsi dal colonialismo. E per la circostanza il Pontefice
ha nominato suo inviato alla duplice
commemorazione il cardinale Giuseppe
Bertello, presidente del Governatorato
dello Stato della Città del Vaticano. Il
porporato, che è stato pronunzio apostolico ad Accra dalla fine del 1987 al
1991, era presente anche alla cerimonia
di venerdì sera, insieme con quasi cinquecento ospiti in rappresentanza della
società pluriculturale e plurireligiosa
ghanese: autorità politiche — come il ministro Kofi Dzamesi, in rappresentanza
del capo dello Stato, Nana Akufo-Addo
— e ambasciatori; vescovi cattolici del
paese e del Simposio delle conferenze
episcopali di Africa e Madagascar (Secam); rappresentanti delle altre Chiese e
confessioni cristiane e delle religioni tradizionali e, per la prima volta, l’imam a
capo dei musulmani della nazione.
L’arcivescovo Speich ha ripercorso nel
suo intervento la storia delle relazioni
diplomatiche tra Ghana e Santa Sede,
illustrando il ruolo della Chiesa cattolica
nel territorio della Costa d’Oro, com’era
chiamato in epoca coloniale. Impegnata
soprattutto nei campi dello sviluppo
umano, dell’istruzione e della salute, la
Chiesa gestisce oggi 4600 scuole di ogni
ordine e grado, frequentate solo per il
25 per cento da studenti cattolici, e possiede oltre il 27 per cento delle strutture
sanitarie. Ma — ha spiegato il nunzio —
«il contributo della Chiesa cattolica in
Ghana non può essere ridotto ai numeri
e alle statistiche, perché abbiamo a che
fare con le persone, persone che hanno
una meravigliosa dignità indipendente-
mente da origini, tribù e religioni di appartenenza».
Successivamente il nunzio ha illustrato alcune iniziative promosse dalla Santa
Sede a favore delle popolazioni africane,
soprattutto attraverso la Caritas e il Dicastero per il servizio dello sviluppo
umano integrale, presieduto dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson. Infine
ha richiamato il ruolo della comunità
cattolica all’interno della Conferenza
ghanese delle religioni per la pace e del
Consiglio nazionale per la pace, che a livello locale hanno favorito la riconciliazione tra comunità rivali come gli Nyonka e gli Alavanyo nella regione del Volta, e i Kukumbas e i Namumbas
nell’Upper East.
Le celebrazioni proseguono nel pomeriggio del 4 marzo, quando il cardinale
Bertello presiede i vespri nella cattedrale
della capitale con l’atto di riconsacrazione del Ghana al Sacro Cuore di Gesù.
Domenica l’inviato papale celebra la
messa in cattedrale con i vescovi del
paese e il 6 partecipa alle celebrazioni
nazionali per l’anniversario dell’indipendenza.
Il rendiconto 2015
della Santa Sede
La Santa Sede ha registrato nel 2015 un disavanzo di 12,4 milioni di euro: è quanto
emerge dal rendiconto annuale consolidato
della Santa Sede, dello Stato della Città del
Vaticano e degli enti a essi collegati. Lo ha
reso noto il 4 marzo un comunicato della
Segreteria per l’economia, in cui si evidenzia
che le principali voci di entrata per il 2015,
in aggiunta ai rendimenti degli investimenti,
si riferiscono ai contributi relativi al canone
1271 del Codice di diritto canonico (24 milioni di euro) e ai contributi dall’Istituto per
le opere di religione (50 milioni). Come negli anni precedenti la voce di spesa più significativa della Santa Sede si riferisce al costo del personale. E il Governatorato della
Città del Vaticano ha registrato, sempre per
il 2015, un surplus di 59,9 milioni di euro,
principalmente dovuto alle ricorrenti entrate
derivanti dalle attività culturali, in particolar
modo quelle collegate ai Musei. Questo
rendiconto rappresenta la prima informativa
finanziaria predisposta in conformità con le
politiche vaticane di financial management
(Vfmp), approvate da Papa Francesco il 24
ottobre 2014, che si basano sui principi
contabili internazionali per il settore pubblico.
ateneo Sant’Anselmo e col Pontificio istituto di musica sacra, «dopo un ampio sondaggio presso le Conferenze episcopali».
Durante i lavori, ha spiegato il cardinale Ravasi, «si
è valutata la situazione contemporanea, i limiti e le
criticità attuali, ma anche la possibilità di ritessere tale
legame secondo i nuovi linguaggi musicali, tenendo
conto sempre della specificità dell’atto liturgico». E
così sono stati «affrontati temi come la figura del musicista ecclesiale, il confronto interculturale ed ecumenico con le diversità delle tradizioni musicali e liturgiche, la formazione per i vari ministeri della musica, il
coinvolgimento dell’assemblea».
Nomina episcopale
in Costa Rica
La nomina di oggi riguarda il Costa Rica.
Mario Enrique Quirós Quirós
vescovo di Cartago
Nato il 19 gennaio 1967 a Paraíso, diocesi di
Cartago, ha frequentato le scuole primarie e
secondarie nel paese natale, proseguendo poi
gli studi filosofici e teologici nel seminario
maggiore nazionale. Ha ottenuto la licenza in
teologia, con specializzazione in formazione
sacerdotale, presso la Pontificia università bolivariana di Medellín in Colombia. Dal settembre 2013 ha svolto gli studi per il dottorato
in teologia presso la Pontificia università di
Salamanca in Spagna. Ordinato sacerdote l’8
dicembre 1994 per il clero di San José de Costa Rica, con l’erezione della diocesi di Cartago il 24 maggio 2005 si è incardinato nella
nuova sede. Ha svolto il ministero come viceparroco di Barbacoas de Puriscal e nell’attuale
cattedrale di Cartago e come formatore e direttore spirituale nel seminario maggiore nazionale.
Nuovo assistente
per l’Azione cattolica italiana
«“Qualsiasi cosa vi dica, fatela”: queste parole che
la Madre di Gesù dice ai servitori, a Cana di
Galilea, mi aiutano ad accogliere senz’indugio la
chiamata del Signore, ricevuta mediante la mediazione della Chiesa, a servire l’Azione cattolica italiana». Così il vescovo Gualtiero Sigismondi ha
commentato la nomina ad assistente ecclesiastico
generale dell’associazione, ringraziando il Papa
«che mi affida questa responsabilità, senza sciogliere il vincolo sponsale che mi lega alla diocesi di Foligno».
Nato nel 1961 a Ospedalicchio di Bastia Umbra,
nell’arcidiocesi di Perugia - Città della Pieve, monsignor Sigismondi è stato ordinato sacerdote nel
1986 nel capoluogo umbro. È stato, tra l’altro, vicario generale dell’arcidiocesi perugina dal 2005 al
2008, anno in cui è stato eletto vescovo di Foligno.
La nomina avviene alla vigilia di due importanti
appuntamenti: i lavori della sedicesima assemblea
nazionale e le celebrazioni per i centocinquant’anni
dell’associazione.