L`OSSERVATORE ROMANO

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GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLV n. 73 (46.911)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
lunedì-martedì 30-31 marzo 2015
.
Nella domenica delle Palme il Pontefice ricorda i cristiani perseguitati e invita a seguire Gesù sulla strada dell’umiltà
Le elezioni segnate da violenze e tensioni
Con i martiri di oggi
Nigeria nella paura
e nell’incertezza
E all’Angelus la preghiera per le vittime della sciagura aerea sulle Alpi francesi
Ai «martiri di oggi», quelli che «per il loro comportamento fedele al Vangelo sono discriminati e
pagano di persona», è andato il pensiero di Francesco durante la celebrazione della domenica delle Palme. «Pensiamo ai nostri fratelli e sorelle perseguitati perché cristiani» ha detto all’omelia della
messa presieduta nella mattina del 29 marzo in
piazza San Pietro: sono loro, ha aggiunto, «i martiri di oggi» che «non rinnegano Gesù e sopportano con dignità insulti e oltraggi».
Nell’atteggiamento di questo «nugolo di testimoni» il Pontefice ha indicato un esempio per
tutti coloro che seguono Gesù sulla via dell’umiltà. «Questa parola — ha sottolineato — ci svela lo
stile di Dio e, di conseguenza, quello che deve essere del cristiano». Uno stile, ha notato, «che non
finirà mai di sorprenderci e di metterci in crisi: a
un Dio umile non ci si abitua mai!».
La «via dell’umiltà» è anche «la strada di Gesù», il quale la percorre «fino in fondo» assumendo «la forma di servo». In effetti, ha osservato il
Papa, «umiltà vuol dire anche servizio: vuol dire
lasciare spazio a Dio spogliandosi di sé stessi,
svuotandosi». E questa, ha assicurato, «è l’umiliazione più grande».
La tentazione per il cristiano è di percorrere la
«strada contraria a quella di Cristo: la mondanità» che apre le porte «della vanità, dell’orgoglio,
del successo». È la via proposta dal maligno a
Gesù durante i quaranta giorni trascorsi nel deserto. «E con lui — ha sottolineato Francesco — anche noi possiamo vincere questa tentazione, non
solo nelle grandi occasioni, ma nelle comuni circostanze della vita». Come fanno «tanti uomini e
donne che, nel silenzio e nel nascondimento, ogni
giorno rinunciano a sé stessi per servire gli altri:
un parente malato, un anziano solo, una persona
disabile, un senzatetto».
«Durante questa settimana santa — ha raccomandato il Pontefice in conclusione — mettiamoci
anche noi decisamente su questa strada dell’umiltà» con la certezza che «sarà l’amore a guidarci e
darci forza».
Al termine della celebrazione Francesco ha recitato la preghiera mariana dell’Angelus, salutando
in modo particolare i giovani riuniti in piazza e
nelle singole diocesi in occasione della trentesima
giornata mondiale della gioventù — che il prossimo anno farà tappa a Cracovia per il grande raduno internazionale — e rivolgendo un pensiero
alle vittime della tragedia aerea avvenuta martedì
scorso sulle Alpi francesi.
PAGINA 8
Nonostante i raid della coalizione guidata dall’Arabia Saudita
I ribelli sciiti avanzano verso Aden
SAN’A, 30. Non conoscono tregua le
violenze nello Yemen. Forze fedeli
all’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh e alleate con i ribelli
sciiti huthi si stanno avvicinando alla città di Aden e hanno bombardato case abitate da civili nel governatorato di Al Dalea. A riferirlo è oggi
la televisione panaraba Al Arabiya. I
ribelli sono a circa trenta chilometri
da Aden, la città meridionale da dove il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi è fuggito la settimana
scorsa. Decine di civili hanno lasciato le loro case ad Al Dalea. Sarebbero un centinaio i morti nei violenti
combattimenti in corso alle porte di
Aden.
Nel frattempo, per la quinta notte
consecutiva la coalizione araba a
guida saudita ha bombardato obiettivi dei ribelli huthi a San’a, nel sud
del Paese e nella provincia setten-
trionale di Saada, di cui gli stessi
huthi sono originari. Lo riferisce la
televisione panaraba Al Jazeera, secondo la quale Riad ha anche schierato migliaia di soldati lungo con il
confine con lo Yemen. Ma al momento, ha detto il portavoce militare
della coalizione, il generale Ahmed
Al Asiri, «non è prevista alcuna importante operazione di terra».
Intanto, Cina, India e Pakistan
hanno annunciato misure di emergenza per l’evacuazione dei propri
cittadini che si trovano nello Yemen,
in particolare ad Aden, che rischiano
di essere presi nel fuoco incrociato
tra i ribelli huthi e i fedeli del presidente Mansour Hadi. Pechino ha
notificato agli altri Paesi che partecipano al pattugliamento anti-pirateria
il ritiro temporaneo delle sue navi da
guerra dalla missione per permettere
loro di organizzare l’evacuazione.
Nel frattempo, la Lega araba ha
deciso di dotarsi di una propria forza di intervento rapido. Preannunciata a gennaio, la decisione di creare una Kowa (forza) panaraba è sta-
Alla stretta finale i negoziati
in corso a Losanna
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Accordo possibile
sul nucleare iraniano
ta presa nel summit dell’organizzazione dei 22 Paesi arabi svoltosi nel
fine settimana a Sharm El Sheikh, in
Egitto, proprio mentre erano in corso i raid aerei della coalizione a guida saudita nello Yemen.
L’annuncio dell’accordo di principio per creare una forza militare araba comune che fronteggi le sfide
nella regione è stato dato dal presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sissi. Il testo delle conclusioni del vertice della Lega araba precisa che la
forza si muoverà «su richiesta del
Paese minacciato per proteggere la
sua sovranità nazionale» e contrastare «formazioni terroristiche».
Dal canto suo, il presidente russo,
Vladimir Putin, in un messaggio al
vertice della Lega araba, ha affermato che «è impossibile lottare efficacemente contro il terrorismo» senza
la normalizzazione della situazione
regionale. «Sosteniamo la soluzione
di ogni problema che hanno i popoli
arabi attraverso mezzi pacifici, senza
intervento esterno» ha detto ancora
Putin. «Attribuiamo grande importanza alla soluzione urgente delle
crisi in Siria, Libia e Yemen sulla base dei principi del diritto internazionale attraverso un dialogo globale».
PAGINA 3
Affermazione dell’Ump al secondo
turno delle amministrative
In mostra a Torino la Via crucis
di Fernando Botero
Il centrodestra
riconquista la Francia
Se le favole
raccontano la realtà
PAGINA 2
Combattimenti intorno alla città di Aden (Afp)
GIULIANO ZANCHI
A PAGINA
5
ABUJA, 30. Incertezza e paura ac- trebbe consentire a Buhari — che
compagnano in Nigeria l’attesa dei nelle tre precedenti elezioni seguite
risultati delle lezioni presidenziali e al ripristino della democrazia è
legislative di sabato. Il voto è stato sempre stato sconfitto al primo tursegnato nel nord-est dalle violenze no — di andare stavolta al ballotdei miliziani di Boko Haram che taggio. Indipendentemente dai voti
hanno trucidato una quarantina di assoluti, infatti, appare difficile che
civili, mentre al sud ci sono state Buhari possa aver ottenuto un
tensioni, con le accuse di brogli da quarto dei consensi in venticinque
parte dell’opposizione alla maggio- Stati. Questo sebbene per la prima
ranza uscente che sostiene il presi- volta la vigilia abbia mostrato indente Goodluck Jonathan. Ciò no- crinature nel tradizionale schema
nostante, il Segretario generale che ha sempre visto il sud del Paedell’Onu, Ban Ki-moon, si è ralle- se votare per un cristiano, come è
grato con la Nigeria per le elezioni Jonathan, e un musulmano, appunsvoltesi in modo «per lo più pacifi- to Buhari.
co e ordinato», sia pure «a fronte
Altrettanto incerto appare il ridi violenze ingiustificabili».
sultato delle elezioni per rinnovare
La commissione elettorale ha annunciato già per
oggi i primi risultati, ma gli
osservatori segnalano ritardi
nello spoglio. Alle violenze
e alle accuse di irregolarità
si sono sommati, tra l’altro,
problemi tecnici legati alle
nuove tessere elettorali elettroniche che hanno imposto
di tenere aperti anche nella
giornata di domenica 348
dei circa centocinquantamila seggi, oltre a obbligare in
moltissimi altri a procedere
con il controllo manuale
dei votanti.
Per la presidenza sembra
comunque profilarsi un testa a testa — e un possibile
ballottaggio che si terrebbe
il 4 aprile — tra lo stesso
Jonathan, ricandidato dal
Un commissario elettorale a Port Harcourt (Afp)
People’s Democratic Party
(Pdp), e l’ex generale
Muhammadu Buhari, a suo tempo i trecentosessanta membri del Paralla guida della giunta militare dit- lamento, anche perché diversi diritatoriale rimasta al potere fino al genti del sud stavolta si sono schie1999 e oggi candidato dalla coali- rati con l’opposizione.
zione d’opposizione All Progressive
Al momento, comunque, sicuri
Congress (Apc).
della vittoria si dicono sia il Pdp
Per essere eletti alla presidenza sia l’Apc. Quest’ultima, peraltro,
al primo turno serve la maggioran- ha inscenato una manifestazione di
za assoluta dei voti espressi e alme- protesta a Port Harcourt, la capitano il 25 per cento dei consensi in le dello Stato meridionale del Ridue terzi dei trentasette Stati della vers, accusando Jonathan e il Pdp
Federazione nigeriana. Se nessuno di responsabilità nell’uccisione di
otterrà tali risultati, ci sarà appunto propri attivisti e di brogli elettorali
il ballottaggio il 4 aprile.
tanto massicci da rendere le elezioStando alle prime notizie, tutti ni una farsa. Analoghe accuse sono
gli altri dodici candidati alla presi- state mosse dall’Apc per quanto ridenza avrebbero conseguito risulta- guarda il voto in un altro Stato
ti irrilevanti. Proprio questo po- meridionale, l’Imo.
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza:
le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali:
— Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova (Italia), Presidente della Conferenza Episcopale Italiana;
— Angelo Comastri, Arciprete
della Basilica Papale di San
Pietro in Vaticano; Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano; Presidente della Fabbrica di San Pietro;
— Stanisław Ryłko, Presidente del Pontificio Consiglio per i
Laici;
le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori:
— Jean-Louis Bruguès, Archivista e Bibliotecario di Santa
Romana Chiesa;
— Vincenzo Paglia, Presidente
del Pontificio Consiglio per la
Famiglia;
— José Rodríguez Carballo,
Arcivescovo titolare di Belcastro, Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita
Consacrata e le Società di Vita
Apostolica.
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale
della Diocesi di Nagoya (Giappone), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Augustinus Jun-ichi Nomura, in conformità al canone
401 § 1 del Codice di Diritto
Canonico.
Il provvedimento è stato reso
noto in data 29 marzo.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo di Nagoya (Giappone)
Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Michael Gorō Matsuura, finora Vescovo titolare di
Sfasferia e Ausiliare di Osaka.
La nomina è stata resa nota
in data 29 marzo.
Nomina
di Vescovo Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato
Ausiliare della Diocesi di XaiXai (Mozambico) il Reverendo
Padre Alberto Vera Aréjula, O.
de M., Delegato del Superiore
Provinciale dei Mercedari in
Mozambico e Parroco a XaiXai. Gli è stata assegnata la Sede titolare vescovile di Novabarbara.
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pagina 2
lunedì-martedì 30-31 marzo 2015
Il conteggio dei voti
in un seggio a Valence (Afp)
PARIGI, 30. Ballottaggi per le elezioni amministrative francesi al centrodestra: l’Ump (Unione per un Movimento Popolare) di Nicolas Sarkozy ha conquistato 66 dipartimenti
su 101. In difficoltà il Front National di Marine Le Pen, che, stando
all’attuale spoglio dei risultati, non
sarebbe riuscito a ottenere nemmeno un dipartimento. I socialisti del
presidente François Hollande registrano una forte perdita: avrebbero
perso la metà dei 61 dipartimenti
che si erano invece aggiudicati nelle
precedenti elezioni.
Più di quaranta milioni di francesi sono stati chiamati alle urne.
L’Ump si era imposto al primo turno di domenica scorsa ottenendo il
29 per cento delle preferenze e bloccando così l’avanzata del Front National, fermo al 25 per cento. Solo
terzi i socialisti, che al primo turno
hanno registrato il 21,8 per cento.
Domenica scorsa è andata alle urne
la metà degli aventi diritto.
«Stasera, la destra ha nettamente
vinto le elezioni dipartimentali.
Mai, nella Quinta repubblica, la destra aveva raggiunto un risultato del
genere» ha dichiarato pochi minuti
dopo la diffusione dei primi exit
poll Sarkozy, presidente dell’Ump,
confermando la vittoria del centrodestra. «L’alternanza è ormai avviata e niente la fermerà». Sarkozy ha
dunque lanciato dure accuse all’Eliseo: «Mai una politica aveva incarnato tanto la sconfitta a ogni livello.
Dal Governo agli Esecutivi di dipartimento, menzogna, cecità e impotenza sono stati sanzionati».
Secondo Manuel Valls, premier
socialista, «questa sera la destra repubblicana ha conquistato una vittoria incontestabile». Valls ha riconosciuto che la sinistra, troppo dispersa, troppo divisa al primo turno, ha visto un netto arretramento,
nonostante un buon bilancio dei
Governi dei dipartimenti. L’estrema
destra del Front National ha totalizzato «un punteggio troppo elevato», e le forze repubblicane devono
ora «contrastare le soluzioni pericolose» che il partito di Marine Le
Pen propone per il Paese, ha aggiunto Valls.
Le Pen, dal canto suo, ha parlato
di «un risultato storico» che «pone
il Front National come grande forza
politica e che «è la base per le vittorie di domani». Tuttavia, Le Pen ha
anche sottolineato che «questi sistemi elettorali fabbricati contro di noi
ci privano della maggioranza che
avrebbe dovuto essere nostra». Secondo il vicepresidente del Front
National, Florian Philippot, «conquistare un dipartimento, sapevamo
Intervento della Santa Sede al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite
Dialogo e responsabilità
contro la piaga dei bambini soldato
Pubblichiamo la traduzione italiana
dell’intervento pronunciato dall’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico, osservatore permanente della Santa Sede, il 25 marzo 2015 al Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite a New
York.
Affermazione dell’Ump al secondo turno delle amministrative
Il centrodestra
riconquista la Francia
che sarebbe stato molto difficile»,
ma «non era il nostro obiettivo, era
l’obiettivo che ci hanno attribuito alcuni osservatori». Secondo il ministero dell’Interno, in questo secondo
Visita
di Mattarella
a Parigi
ROMA, 30. Con la visita di oggi a
Parigi si aprono due mesi di impegni diplomatici per il presidente
della Repubblica italiana, Sergio
Mattarella. Nella capitale francese,
il capo dello Stato italiano incontrerà in serata il suo omologo francese,
François Hollande, per discutere
principalmente di terrorismo e temi
economici. Un bilaterale che si colloca nel solco delle missioni di inizio mandato a Berlino e Bruxelles,
per rimarcare la necessità di un rilancio della costruzione europea sul
piano politico e della ricerca di un
equilibrio tra austerità e crescita. La
tappa parigina è la prima in
un’agenda internazionale particolarmente fitta nei prossimi due mesi. Il
22 e 23 aprile il capo dello Stato sarà in Slovenia e Croazia. In maggio
sono previste una visita in Spagna e
una in Tunisia. Ultimo appuntamento in agenda, il 28 maggio, una
visita a Londra. E intanto, ieri, il
presidente Mattarella ha assistito al
Concerto per L’Aquila, che si è
svolto nella Cappella Paolina del
Quirinale, in occasione del sesto anniversario del terremoto.
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turno l’affluenza alle urne ha toccato
il 15,63 per cento, contro il 18,02 di
sette giorni fa. Alla fine della giornata, l’astensione aveva fatto segnare il
49,83 per cento degli elettori.
Slitta la presentazione della lista di riforme
Clima teso
tra Bruxelles e Atene
ATENE, 30. Tensione crescente tra
Bruxelles e Atene. La lista delle riforme promesse dalla Grecia non è
arrivata sulle scrivanie della Commissione Ue, se non in forma vaga
e non verificabile. Un primo
esborso di aiuti pari a circa due
miliardi di euro — su un pacchetto
complessivo di oltre sette miliardi
— rischia di slittare di qualche settimana. Atene assicura che pagherà in tempo stipendi e pensioni,
ma i mercati restano scettici.
Sul terreno, il lavoro degli
esperti europei e greci continua
senza sosta, con qualche passo
avanti che potrebbe portare mercoledì a una riunione in teleconferenza dell’Eurogruppo. Lo scrive
l’agenzia Ana-Mpa, spiegando che,
secondo fonti vicine al gruppo di
lavoro congiunto, le trattative tra i
rappresentanti di Atene e i creditori greci sono «costruttive». Ma in
ambito Ue la situazione viene descritta in modo diverso: le bozze
di riforme presentate finora non
sarebbero credibili.
Da queste riforme il Governo
Tsipras — che lo stesso premier sta
convocando per analizzare la situazione — stimerebbe di ricavare
entrate per circa tre miliardi di euro, ma intanto i parametri minimi
fissati dalla Banca centrale europea, dalla Commissione europea e
dal Fondo monetario internazionale non sono certo raggiunti e i
fondi da 7,2 miliardi per la Grecia
restano bloccati.
Atene — dicono gli esperti — si
trova in una situazione molto difficile. Il via libera alla prima tranche da 1,9 miliardi è ormai indispensabile per risanare una situazione allo sbando. Dal ministero
delle Finanze greco assicurano che
il Governo pagherà in tempo salari
e pensioni, ma hanno anche annunciato di essere pronti a valutare
offerte per la ricerca di petrolio e
gas nell’ovest del Paese. E intanto
si avvicina la vendita della quota
del porto del Pireo (cioè il 67 per
cento della Piraeus Port Authority), dalla quale l’Esecutivo greco
stima di raccogliere almeno 500
milioni di euro. Come afferma il
«Wall Street Journal», Atene sarebbe disponibile anche a cedere
la quota pubblica di 14 aeroporti
locali. Ma il quotidiano statunitense sottolinea anche che la Piraeus
Port Authority dallo scorso 24 febbraio — e cioè da quando si è capito che il Governo era pronto a
vendere — ha ceduto in Borsa il 33
per cento del suo valore.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Nelle prossime ore — dicono gli
analisti — si vedrà cosa ne pensano
i mercati, che riaprono dopo la
nuova, pesante retrocessione di
Atene da parte delle agenzie di rating.
Il tutto su un listino greco che
nell’ultimo mese ha perso il 18 per
cento, con i titoli di Stato già sotto pressione: il bond ellenico a
dieci anni ha fatto segnare un rendimento superiore all’11 per cento,
quello a cinque anni oltre il 16.
Missione a Kiev dell’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea
Ucraina e ribelli filorussi
si accusano di violare la tregua
KIEV, 30. Le forze armate ucraine e i ribelli separatisti
filorussi continuano ad accusarsi a vicenda di violare
la tregua sancita il mese scorso nella capitale bielorussa. Andrii Lisenko, portavoce delle truppe governative, ha denunciato ieri che nelle ultime 24 ore tre soldati ucraini sono rimasti feriti. A loro volta, i rappresentanti dei separatisti filorussi nella regione di Donetsk puntano il dito contro i militari di Kiev sostenendo che hanno aperto il fuoco 27 volte contro le
postazioni dei ribelli locali.
Nel frattempo, mentre oggi dovrebbe giungere in
missione a Kiev l’alto rappresentante per la Politica
estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, impegnata da questa mattina a Losanna nei
negoziati ministeriali sul nucleare iraniano, il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker,
ha rimandato la sua visita nella capitale ucraina per
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Signor Presidente,
Prima di tutto vorrei congratularmi
con lei per la sua presidenza in questo mese e per aver organizzato questo dibattito aperto sui bambini nei
conflitti armati.
Il dibattito odierno giunge in un
momento in cui il consenso internazionale sui mali dell’uso dei bambini come soldati nei conflitti armati
non solo ha portato a condannare
tali mali moralmente, ma ha anche
indotto i vari attori in tutto il mondo ad affrontarli più vigorosamente
sul terreno. Il crescente uso da parte
di gruppi terroristi, e di altri attori
non statali, di bambini nei conflitti
armati dimostra l’urgente bisogno di
un nuovo consenso internazionale
per fronteggiare questo crimine e
per rinnovare la volontà della Comunità Internazionale di affrontare
tale piaga.
Il 2014 è stato l’anno peggiore
nell’era moderna per l’uso dei bambini come soldati nei conflitti armati. Solo in Siria e in Iraq abbiamo
visto più di 10.000 bambini obbligati e forzati a diventare bambini soldato. Mentre il mondo cerca soluzioni, dobbiamo tutti fare il primo
passo e affermare uniformemente
che il reclutamento e l’uso di bambini nei conflitti armati non è solo
una grave violazione dei diritti internazionali umanitari e umani, ma
è anche un male abominevole che
va condannato. Questa affermazione
non deve essere fatta solo dai Governi, ma da tutti i leader sociali,
politici e religiosi.
Signor Presidente,
La crescente influenza degli attori
non statali in regioni del mondo costituisce per questo Consiglio e la
comunità mondiale una sfida sempre più grande, che richiede nuovi
strumenti e nuovi sforzi per essere
affrontata. È per questo motivo che
i fondatori delle Nazioni Unite hanno dato a questo Consiglio la «responsabilità del mantenimento della
pace e della sicurezza internazionali» (Carta delle Nazioni Unite, art.
24.1). Questa missione fondamentale
non permette e non deve permettere
alla comunità internazionale di voltare le spalle ai conflitti in nome di
interessi politici nazionali o di dissensi geopolitici con altri Paesi. Tale
responsabilità è affidata a questo
Consiglio da tutti i membri delle
Nazioni Unite, affinché si preservi
la nozione fondativa di governance
e si sostenga la responsabilità di
proteggere.
Tale responsabilità non solo chiede ai Governi nazionali di proteggere i loro cittadini, ma sollecita anche
la comunità internazionale a intervenire quando i Governi nazionali sono incapaci o non sono disposti a
proteggere le loro popolazioni. Nel
caso di attori non statali che reclutano con la forza e usano bambini
soldato in tutto il mondo o che
commettono brutali violenze contro
minoranze religiose ed etniche,
quando lo Stato non è disposto o è
incapace di affrontare tali atrocità, è
responsabilità di questo organismo
fornire, una volta esauriti tutti gli
altri strumenti e mezzi, gli strumenti
militari necessari a proteggere i cittadini da simili aggressori disumani.
In ogni modo, le soluzioni all’utilizzo dei bambini nei conflitti armati non si possono limitare all’uso
della sola forza. Piuttosto il primo
passo consiste in un rinnovato im-
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motivi di salute. Il vertice Ue-Ucraina è comunque
previsto a Kiev per il 27 aprile, ha confermato il portavoce della Commissione Ue Margaritis Schinas.
«Una parziale riduzione delle sanzioni» dell’Unione europea alla Russia «è possibile, se la situazione
nella crisi ucraina migliorerà significativamente» ha
detto il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni,
al «Financial Times», aggiungendo che potrebbe essere un «gesto simbolico». Gentiloni si è invece detto
scettico su una totale eliminazione delle sanzioni a
giugno.
Dal canto suo, Putin ha concesso decorazioni a tre
unità militari alimentando le ipotesi secondo cui soldati russi stanno combattendo in Ucraina al fianco
dei separatisti del sud-est. Mosca ha però negato che
le onorificenze abbiano a che fare con il conflitto in
Ucraina.
Operazioni delle forze ucraine nella regione di Lugansk (Afp)
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pegno
nell’affrontare
situazioni
umanitarie, sociali, politiche ed economiche che portano ai conflitti in
cui vengono usati i bambini soldato.
A tale riguardo, le comunità religiose possono svolgere un ruolo fondamentale nel servire le comunità colpite, reintegrando gli ex bambini
soldato e offrendo uno strumento
per il dialogo. Le comunità religiose
hanno anche la responsabilità di garantire che quelle organizzazioni che
cercano di giustificare l’uso dei
bambini soldato per perseguire
obiettivi ideologici motivati da visioni distorte della fede e della ragione siano giustamente condannate
e denunciate.
Mentre la comunità internazionale svolge un ruolo importante nel
sostenere gli Stati in questa fondamentale responsabilità di proteggere
i propri cittadini, deve altresì essere
certa di interagire con la comunità
locale affinché le soluzioni ai bambini soldato e ai conflitti possano
anche emergere in modo organico e
si promuova la partecipazione locale. Costruire la pace richiede disponibilità al dialogo anche quando il
conflitto ha seminato odio e
sfiducia.
La soluzione alla piaga dei bambini soldato esige anche sensibilità,
al fine di trovare modi per reintegrare questi bambini nelle loro comunità. Quando siamo testimoni di
atti barbarici che vanno al di là di
ogni immaginazione, commessi anche da soldati bambini, dobbiamo
ricordarci che quei bambini vengono sfruttati e manipolati fino a diventare quello che sono. Perciò,
mentre il loro reinserimento nella
società esige che riconosciamo che
hanno commesso atrocità, dobbiamo allo stesso tempo creare percorsi
di assistenza e di riconciliazione al
fine di compiere pienamente tale
reintegrazione.
Signor Presidente,
La comunità internazionale ha già
molti degli strumenti necessari per
affrontare l’uso dei bambini soldato.
Mancano però la volontà politica e
il coraggio morale per compiere i
passi necessari per far fronte a questa sfida. Poiché i bambini vengono
sequestrati fin dalla scuola per essere schiavizzati, poiché sono costretti
a diventare attentatori suicidi e poiché vengono drogati e torturati per
fare di loro dei bambini soldato,
quanto tempo dovrà passare prima
che smetteremo di distogliere il nostro sguardo?
Grazie, signor Presidente.
Tra Ue e Serbia
Quando
l’integrazione
fa bene al dialogo
BELGRAD O, 30. La prospettiva dell'integrazione
della
Serbia
nell’Unione europea sta favorendo
la cooperazione regionale nei Balcani: questo il messaggio lanciato dal
ministro degli Esteri serbo, Ivica
Dačić, intervenuto a Spalato, in
Croazia, al terzo summit Ue-Europa
sudorientale. Dačić ha sottolineato
che l'integrazione sta favorendo anche il dialogo, peraltro tuttora a rischio, tra Belgrado e la maggioranza albanese del Kosovo che ha dichiarato l’indipendenza della regione sulla quale la Serbia rivendica
sovranità. Dačić ha quindi messo in
guardia da un’interruzione del processo di allargamento dell’Ue ai
Balcani occidentali: una scelta di
questo tipo — a suo giudizio — porterebbe conseguenze negative in termini di sviluppo economico e stabilità regionale.
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pagina 3
Partecipanti alla grande manifestazione
di Tunisi (Afp)
Alla stretta finale i negoziati in corso a Losanna
Accordo possibile
sul nucleare iraniano
LOSANNA, 30. Ore cruciali per raggiungere un’intesa sul nucleare iraniano. I rappresentanti di Teheran
e quelli del gruppo cinque più uno
sono riuniti a Losanna per arrivare
a un accordo quadro entro la scadenza ufficiale di domani 31 marzo.
Nella prima sessione plenaria, il segretario di Stato americano, John
Kerry, e i ministri degli Esteri della
Germania, Frank-Walter Steinmeier,
della Francia, Laurent Fabius, della
Gran Bretagna, Philip Hammond,
della Russia, Serghiei Lavrov, e della Cina, Wang Yi, oltre all’alto rap-
La rappresentanza iraniana
a Losanna (Afp)
presentante per la Politica estera e
di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, tenteranno oggi di
completare il complesso puzzle
dell’intesa con il ministro degli
Esteri iraniano, Mohammad Javad
Zarif.
«Stiamo negoziando da oltre un
anno — ha dichiarato il portavoce
della Casa Bianca, Josh Earnest —
ed è arrivato il momento che gli
iraniani inviino un chiaro messaggio alla comunità internazionale se
siano disposti a prendere i seri impegni richiesti». Gli iraniani, ha aggiunto, «devono fondamentalmente
far seguire alle parole i fatti, e dimostrare che non stanno cercando
di dotarsi della bomba atomica. Se
possono prendere questo impegno,
dovrebbero farlo entro la fine di
marzo».
Al suo arrivo ieri sera a Losanna,
il ministro degli Esteri britannico,
Philip Hammond, ha dichiarato:
«Siamo qui perché crediamo che
un accordo possa essere raggiunto»
e «affinché questo sia possibile nelle prossime ore l’Iran dovrà prendere decisioni difficili».
Il capo negoziatore iraniano, Abbas Araqchi, ha però escluso che
Teheran possa accettare di immagazzinare le sue scorte di uranio arricchito all’estero, come richiesto
dagli occidentali. «L’invio all’estero
di uranio arricchito non è nel no-
stro programma, questo è fuori questione», ha affermato ancora Abbas
Araqchi riferendosi alla possibilità
di trasferirlo in Russia. L’accordo,
ha aggiunto, resta «fattibile, anche
se complesso».
E mentre i negoziatori lottano
contro il tempo, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ribadito le sue critiche, parlando di un
«pericoloso accordo» che «conferma le preoccupazioni israeliane».
Sono dunque a un punto cruciale
le trattative in corso a Losanna. Su
molti aspetti è stata raggiunta
un’intesa, ma su altri punti si sta
ancora negoziando intensamente,
nel tentativo di chiudere entro domani, come impongono gli accordi
provvisori. In particolare, secondo
quanto trapela da Losanna, rimangono sensibili divergenze per quanto riguarda i tempi, ovvero il ritmo
della revoca delle sanzioni imposte
all’Iran da Onu, Stati Uniti e
Unione europea, e la durata dell’accordo.
In linea di massima si profila
un’intesa tra le parti in base alla
quale l’Iran per dieci anni potrà
utilizzare solo 6.000 delle circa
10.000 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio di cui dispone.
Allo stesso tempo, i suoi impianti
saranno sottoposti a controlli e verifiche costanti da parte degli ispettori internazionali.
L’Iran otterrebbe d’altro canto di
poter continuare a utilizzare alcune
centinaia di centrifughe nel sito di
Fordow, con elementi come zinco,
xenon o germanio; utili dunque solo a fini medici, industriali e legati
alla ricerca scientifica. Ma dovrebbe
in questo caso accettare ulteriori restrizioni in altri siti in cui porta
avanti le attività di ricerca e sviluppo del suo programma nucleare. E
in questo quadro si inserisce la questione della centrale ad acqua pesante di Arak, che in base all’intesa
dovrebbe produrre meno plutonio
rispetto ai progetti originari.
Migliaia in marcia a Tunisi mentre le forze di sicurezza uccidono il capo del principale gruppo jihadista
Uniti nella lotta contro il terrorismo
TUNISI, 30. Decine di migliaia di
persone sono scese ieri nelle strade
della capitale tunisina in segno di
solidarietà per le vittime del sanguinoso attentato al museo del Bardo e
contro il jihadismo internazionale.
Poche ore prima era stata annunciata l’uccisione del capo del gruppo
jihadista ritenuto dal Governo responsabile dell’attacco.
Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, e i ministri degli Esteri di
Germania e Spagna, Frank-Walter
Steinmeier, e José García Margallo)
hanno sfilato sotto lo slogan «il
Mondo è il Bardo».
Queste presenze hanno voluto testimoniare il sostegno internazionale
alla fragile transizione democratica
nel Paese nordafricano, pioniere del-
Dialogo politico con la mediazione dell’Onu per superare la crisi
Liberati in Libia tre ostaggi egiziani
TRIPOLI, 30. Le forze armate libiche sotto il comando
del generale Khalifa Haftar hanno liberato ieri tre cittadini egiziani rapiti da miliziani islamisti a Bengasi,
nell’est della Libia. Lo riferisce l’agenzia di Stato egiziana «Mena», secondo cui i tre ostaggi erano impiegati in un panificio locale. Nell’area sono tuttora in
corso duri scontri tra le forze di Haftar, nominato comandante in capo delle forze armate del Parlamento di
Tobruk, e le milizie che fanno capo al Consiglio della
Shura dei rivoluzionari di Bengasi, tra le quali spicca il
ramo locale dei fondamentalisti di Ansar Al Sharia.
Nel frattempo, dopo che il Consiglio di sicurezza ha
prorogato il mandato della missione di supporto
dell’Onu in Libia (Unsmil), l’inviato speciale Bernardino León torna questa settimana in Marocco per rilanciare il tavolo negoziale tra le varie fazioni libiche.
D’altra parte, non esiste alcuna soluzione militare al
conflitto in Libia. Lo ha dichiarato anche l’emiro del
Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, nel corso del suo
intervento al vertice dei capi di Stato della Lega araba
che si è tenuto nel fine settimana a Sharm El Sheikh.
Secondo il monarca, il dialogo politico è l’unico strumento a disposizione per superare la crisi nel Paese e
rispettare le ambizioni democratiche dei libici senza
escludere o emarginare nessuna fazione.
Dopo una riunione del Consiglio del popolo di Paktia
Al centro dei colloqui la minaccia dell’Is
Attentato suicida
nella capitale afghana
Ban Ki-moon
in missione a Baghdad
BAGHDAD, 30. Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, è arrivato oggi a Baghdad per incontrare il primo ministro iracheno
Haider Al Abadi e altri dirigenti
del Paese. Fonti dell’Onu citate
dalle agenzie di stampa internazionali hanno riferito che argomento
principale dei colloqui è «discutere gli sviluppi politici e di sicurezza del Paese». Il riferimento è in
particolare alla sfida portata in
Iraq, oltre che in Siria, dal cosiddetto Stato islamico (Is), e al quale hanno dichiarato adesione altre
Alta affluenza
nelle presidenziali
in Uzbekistan
TASKENT, 30. È stata del 91 per cento l’affluenza alle urne alle elezioni
presidenziali di ieri in Uzbekistan:
questo il dato ufficiale annunciato
dalla Commissione elettorale centrale. Sono circa 20,8 milioni gli
uzbeki aventi diritto di voto.
La rielezione del presidente
Islam Karimov, 77 anni, al potere
dalla fine degli anni Ottanta, appare scontata. Basti pensare che alle
legislative dello scorso dicembre
tutti i quattro partiti in lizza sostenevano il presidente, che nel 2007 è
stato rieletto con una maggioranza
del 91 per cento.
Gli altri tre candidati appaiono
quindi — secondo gli osservatori internazionali — solo rivali formali.
L’Uzbekistan conta circa trenta milioni di abitanti.
Una marea di bandiere nazionali
ha colorato il più importante viale
della capitale tunisina, dove insieme
con i leader locali diversi capi di
Stato e di Governo (tra gli altri, il
presidente francese, François Hollande, e il premier, Manuel Valls, il
presidente polacco, Bronisław Komorowski, il premier algerino, Abdelmalek Sellah, il presidente del
formazioni jihadiste non solo nel
Vicino oriente, ma anche in Africa.
Fonti dell’opposizione siriana,
intanto, denunciano nuove atrocità
fatte commettere dall’Is a minori
reclutati nelle sue file. È stato diffuso un video nel quale si vedono
nove minori trucidare altrettanti
musulmani sciiti, tutti adulti, fatti
prigionieri dal gruppo jihadista.
Questo, come noto, rivendica appartenenza al sunnismo, sebbene
molte autorità religiose di tale
confessione abbiano sempre ribadito la sua estraneità all’islam.
la primavera araba, ma che oggi rischia di essere destabilizzato dalla
minaccia jihadista.
Convocati dal Governo e dagli
imam delle moschee, i manifestanti
sono partiti dalla storica porta di
Bab Saadum, in direzione del museo teatro dell’attentato del 18 marzo, che ha provocato la morte di
ventidue persone, compresi ventuno
turisti stranieri.
Una volta conclusa la manifestazione, il presidente tunisino, Beji
Caïd Essebsi, ha scoperto una targa
commemorativa sulla porta del museo, con i nomi delle vittime, mentre
centinaia di persone gridavano slogan come «via il terrorismo», «libertà per Tunisi». Anche se l’attentato
è stato rivendicato dal cosiddetto
Stato islamico, le autorità tunisine
ne hanno attribuito la paternità a
una cellula del gruppo Okba ibn
Nafaa, una formazione affiliata ad
Al Qaeda nel Maghreb islamico, la
cui roccaforte è Kasserine, la zona
montagnosa vicina alla frontiera con
l’Algeria.
Proprio in questa zona, e in particolare nella regione mineraria di
Gafsa, la polizia tunisina ha compiuto un’operazione contro Okba
ibn Nafaa nella notte tra sabato e
domenica, uccidendo nove sospettati
di terrorismo, tra i quali Khaled
Chaib, meglio noto come Lokmane
Abou Sakhr, ritenuto il capo del
gruppo e responsabile della morte
di decine di poliziotti e militari dopo il dicembre 2012.
L’operazione condotta dalle Brigate antiterrorismo a Sidi Aich, nel
governatorato di Gafsa, è stata un
autentico successo e rappresenta un
duro colpo per Okba ibn Nafaa, ha
affermato oggi il ministro dell’Interno tunisino, Najem Gharsalli. Oltre
al capo della cellula terroristica
Chaib, un altro algerino conosciuto
con il nome di battaglia di Mimoun,
Nasreddine Mansouri e Anas El Atbi, due elementi considerati molto
pericolosi sono stati uccisi, insieme
ad altri la cui identità non è stata rivelata per non compromettere le indagini in corso. Sequestrati nell’operazione sette kalashnikov, due mitragliatori, bombe a mano, visori evoluti, e una mitragliatrice rubata a un
militare di guardia alla casa dell’ex
ministro dell’Interno tunisino, Lotfi
Ben Jeddou, durante un recente attacco alla sua abitazione.
Vertice a Singapore a margine dei funerali del leader Lee Kwan Yew
Disgelo tra Giappone e Corea del Sud
Agenti della sicurezza afghani sul luogo dell’attentato a Kabul (Afp)
KABUL, 30. Ancora sangue nella
capitale afghana. Un attentatore
suicida si è fatto esplodere ieri dopo un incontro di anziani e responsabili politici della provincia
orientale afghana di Paktia, con un
bilancio di tre morti e il ferimento
di otto persone, fra cui il deputato
Gul Pacha Majidi. Il capo della
polizia della capitale, Abdul
Rahman Rahimi, ha indicato
all’agenzia Pajhwok che l’attacco è
avvenuto nel pomeriggio nell’area
di Shah Shaheed durante un incontro del Consiglio del popolo di
Paktia, e che fra le vittime vi è an-
che un bambino. Secondo testimoni oculari, l’attentatore suicida è
entrato in azione quando la riunione era praticamente finita e gli anziani stavano abbandonando il luogo. Majidi, che è stato eletto alla
Wolesi Jirga di Paktia, è rimasto
ferito ed è ricoverato in ospedale
senza che le sue condizioni destino
preoccupazione. Nel frattempo, un
gruppo di detenute afghane sono
da tre giorni in sciopero della fame
nella provincia centrale di Parwan,
con lo scopo di ottenere un miglioramento delle condizioni carcerarie e una riduzione delle pene.
SINGAPORE, 30. Il premier giapponese, Shinzo Abe, e la presidente
sudcoreana, Park Geun Hye, hanno
avuto ieri un inatteso colloquio a
Singapore, a margine dei funerali di
Stato di Lee Kuan Yew, il primo
ministro fondatore della città-Stato.
Il faccia a faccia del “disgelo”, riferisce l’agenzia Yonhap, ha visto
Park proporre l’adozione da parte di
Giappone, Corea del Sud e Cina
delle misure utili ad attuare l’accordo raggiunto dai ministri degli Esteri dei tre Paesi, riunitisi a Seoul il 21
marzo scorso, finalizzato a «creare
le condizioni il prima possibile per
un summit dei tre leader».
L’incontro, un «segnale positivo
nelle relazioni bilaterali, inasprite da
questioni sul passato bellico e contenziosi territoriali», è avvenuto in
occasione del ricevimento offerto
dal presidente di Singapore, Tony
Tan, in onore dei leader mondiali
che hanno partecipato al funerale di
Lee, scomparso il 23 marzo.
Secondo la ricostruzione, il “disgelo” sarebbe maturato dopo che
Abe, avvicinandosi a Park, avrebbe
espresso l’apprezzamento per il successo «della riunione trilaterale dei
ministri degli Esteri di Seoul».
E, come detto, decine di migliaia
di persone hanno dato ieri l’addio a
Singapore a Lee Kuan Yew, lo storico leader della città-Stato spentosi
una settimana fa a 91 anni, in una
giornata iniziata con una lunga processione sotto una pioggia intensa, e
che si è conclusa con la cremazione
in una cerimonia privata dell’ex premier. «I cieli si sono aperti e hanno
pianto per lui», ha detto il figlio e
attuale primo ministro, Lee Hsien
Loong, nel discorso tenuto durante
il funerale, alla presenza di circa
2.000 persone tra cui capi di Stato
di decine di Paesi.
In precedenza, il convoglio con la
salma di Lee aveva attraversato la
città seguendo un percorso di 15
chilometri, lungo i quali la folla —
con molte persone in composte lacrime — si era radunata fin dalle prime ore della mattina.
Il solenne corteo, partito dal Parlamento per concludersi al centro
culturale dove si è tenuto il funerale, è stato salutato dai colpi di quattro cannoni, mentre dei jet militari
hanno sorvolato i cieli della cittàStato e le navi della Marina hanno
suonato le sirene. Durante i sette
giorni di lutto nazionale, si calcola
che oltre mezzo milione di persone
— più di un decimo della popolazione di Singapore — abbiano visitato
la sala del Parlamento dove era
esposta la salma di Lee.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 30-31 marzo 2015
Superare la memoria
della guerra civile
e riconoscere gli errori commessi
da entrambe le parti
Questo l’obiettivo che ne segnò la vita
Giovanni Francesco Romanelli,
«Allegoria del Trattato dei Pirenei»
(1655-1658, particolare)
In memoria di José María Martín Patino che fu tra gli artefici della transizione spagnola
La mano sinistra
del cardinale Tarancón
di PEDRO MIGUEL LAMET
ggi avrebbe compiuto
novant’anni e proprio
sabato ci ha lasciati
José María Martín Patino, il gesuita artefice
della transizione ecclesiale, assieme a
colui che fu il suo alter ego e il suo
amico del cuore, il cardinale Vicente
Enrique y Tarancón. Un paio di
giorno fa, mentre ero al suo capezzale, senza nascondere la sua emozione, mi ha detto: «È stato l’uomo
della mia vita, un grande cardinale e
un eccellente amico». L’allora presidente dei vescovi ripose la sua fiducia proprio in Martín Patino, tanto
che i giornalisti lo chiamavano la
“mano sinistra” di Tarancón.
Ancora ieri, tra terribili sofferenze,
José María ha dimostrato il suo vigore di castigliano sobrio e sicuro
delle proprie convinzioni. La vita lo
aveva temprato fin da bambino.
Figlio di maestri che gli fecero amare la lettura, era orgoglioso di loro e
di essere salmantino di Lumbrales,
paese dove visse le sue prime e dure
esperienze, come la morte del brillante fratello a soli ventidue anni e
una ferita al braccio sinistro provocata da due pallottole sparate da
mezzo metro di distanza da un
miliziano falangista con il fucile
carico, che gli distrussero la clavicola
e la testa dell’omero.
Quell’evento segnò tutta
la sua esistenza. Visse
con profonda preoccupazione e angoscia le fucilazioni eseguite dai picchetti della Falange nei
primi mesi della guerra.
Pensò di diventare medico, ma poi lo attirò di
più la Compagnia di Gesù.
Studiò
filologia
all’università civile di Salamanca. Di quel periodo
ricordava sempre l’influenza di Tovar che gli
aveva insegnato a lavorare in gruppo. E dei suoi
studi di teologia nella
Francoforte post-bellica,
e il suo lavoro con gli
emigranti spagnoli. In
Germania, mentre faceva
gli esercizi spirituali prima di essere ordinato sacerdote, avrebbe sentito
la grande chiamata della
sua vita, che lo toccò nel
profondo. «Nella città tedesca di Ulm, mentre
contemplavo la cattedrale
illuminata come una torcia di fuoco posta sul vicino monte
che dominava tutta la città, sentii
come una sferzata che fece sussultare
tutto il mio spirito. Fu una fitta che
mi segnò per tutta la vita (…), una
chiamata chiara a prendere sul serio
la divisione tra vincitori e vinti ancora viva nella coscienza collettiva degli spagnoli. Compresi che avrei dovuto aiutare, con tutte le mie forze,
a superare la memoria della guerra
civile e a riconoscere gli errori commessi da entrambe le parti».
Questo obiettivo segnerà tutta la
sua vita. Tarancón lo ingaggiò,
quando era arcivescovo di Oviedo,
come esperto di liturgia per aggiornare i testi del messale alla luce della
riforma del concilio e per introdurre
la lingua vernacola con l’aiuto del
famoso biblista Alonso Schökel e di
Jimena Menéndez Pidal, figlia del
medievalista.
Tarancón, alla morte del suo predecessore Morcillo, pensò nuovamente a Patino come suo più importante appoggio, il che suscitò diffidenza nello stesso ministro degli
Esteri, López Bravo, e anche in alcuni settori del clero. Ma il nuovo
arcivescovo di Madrid non solo non
fece loro caso, ma lo elevò anche a
provicario dell’arcidiocesi, che era
come dire suo factotum per undici
undici anni. «Vivevamo in conflitto
O
costante», lo udii una volta dire a
José María. Era l’epoca delle omelie
multate, del caso Añoveros, dell’Assemblea Congiunta, delle riunioni a
El Paular tra teologi e politici, animate da Patino. Ma efficaci furono
soprattutto i pranzi che gli preparava una comunità di benedettine, per
facilitare l’incontro del cardinale con
politici come Suárez, Felipe González, Carrillo e altri rappresentanti sia
della sinistra sia della destra.
Decisivo fu in particolare il suo
intervento nella redazione della famosa omelia della corona, dove
coordinò il lavoro di vari teologi famosi. Un momento che Patino considerava provvidenziale nella sua vita. Tra le altre cose, diceva di
quell’omelia: «La Chiesa non patrocina nessuna forma né ideologia politica, e se qualcuno utilizza il suo
nome per coprire le proprie cause, lo
sta chiaramente usurpando. Ho potuto anche intervenire con un certo
successo», confessava l’influente gesuita, «nella redazione di alcuni articoli della nuova Costituzione, specialmente nel numero sei, che regola
le relazioni dello Stato con le confessioni religiose, come istituzioni
autonome che continueranno a mantenere rapporti di cooperazione. Già
a El Paular avevamo discusso a lungo su questa importante questione e
avevamo persino delineato la formula che in seguito avrebbero proposto
i relatori cattolici della conferenza
costituzionale. Non ci risultò tanto
facile redigere l’articolo 32, che regola la libertà di insegnamento. Qui i
socialisti si erano già mostrati molto
duri nel sottoporre al Parlamento i
Cultura
e dialogo
Pubblichiamo l’articolo dello scrittore e giornalista gesuita Pedro Miguel Lamet uscito sul quotidiano «El País» di oggi, 30 marzo, in memoria
del confratello José María Martín Patino, morto
il 28 marzo a Madrid. Nato nel 1925 a Lumbrales
(Salamanca), Martín Patino si era laureato in filosofia alla Pontificia università di Comillas, in filologia all’università di Salamanca e in teologia
alla
Philosophisch-Theologische
Hochschule
Sankt Georgen di Francoforte e alla Gregoriana.
Era stato ordinato sacerdote nel 1957 e nel 1960
era entrato nella Compagnia di Gesù. Stretto collaboratore del cardinale Enrique y Tarancón, dal
1973 al 1984 era stato pro-vicario generale dell’arcidiocesi di Madrid. Autore di numerosi libri, fra
i quali La Iglesia en la sociedad española, aveva ricoperto numerosi incarichi, e tra questi quello di
direttore del Segretariato nazionale di liturgia e
della rivista «Sal Terrae», ed era stato consultore
della Sacra Congregazione per il Culto divino.
Nel 1985 aveva istituito la Fundación Encuentro
con l’obiettivo di analizzare da diverse angolazioni i vari problemi legati alla società spagnola e di
favorirne la soluzione attraverso il dialogo. Nel
2009 gli era stata conferita la Cruz de Oro del
Orden Civil y de la Solidaridad e nel 2010 gli era
stato assegnato il premio Castilla y León de los
Valores Humanos. In una lettera a padre Francisco José Pérez, provinciale dei gesuiti in Spagna,
il segretario generale della Conferenza episcopale
spagnola José María Gil Tamayo, esprime gratitudine per «l’importante servizio» reso da Martín
Patino «alla Chiesa in Spagna» insieme al cardinale Tarancón.
cosiddetti Accordi Parziali. La que- l’immenso abbraccio del Padre e di
stione dell’insegnamento religioso tanti gesuiti e amici di tutte le tennella scuola pubblica non è stata an- denze culturali e politiche che qui
cora risolta, a tanti anni di distanza mi hanno generosamente offerto la
dall’approvazione della Carta Fon- loro amicizia. L’idea della morte
amica mi accompagna quasi costandamentale».
Dopo aver raggiunto l’obiettivo temente, e i miei collaboratori si medella sua vita, ossia compiere passi ravigliano che la menzioni con tanta
verso la riconciliazione, e una volta frequenza».
Persino nelle ultime settimane anlibero dal suo incarico ecclesiastico,
pensò di fondare qualcosa per il dava in ufficio, tra intense sofferenconsenso sociale e la pacificazione ze. Non si arrese mai, fino all’ultimo
della società spagnola.
Nacque così la Fundación Encuentro, un forum per il dialogo sui
Diceva che lavorare
temi più scottanti della
nostra democrazia: dai
per gli altri
nazionalismi alla poera la sua scelta fondamentale
vertà, passando per
l’educazione, la corruE considerava l’amicizia
zione e la modernizzauno dei beni più preziosi
zione della giustizia, temi raccolti in voluminose memorie annuali.
Dotato di un carattere
forte e di doti di comando, José Ma- momento. Diceva che la sua scelta
ría Martín Patino è morto come vo- fondamentale era lavorare per gli alleva, con le scarpe ai piedi. In uno tri. Lo fece anche e profusamente atdei suoi ultimi scritti dice: «La mia traverso i media, come la radio, la
vita continua a essere avvincente. televisione e soprattutto la stampa,
Non poche volte ho sentito la brez- in particolare «El País». Consideraza del mare immenso come se fossi va l’amicizia uno dei valori più pregià vicino alla foce del fiume della
ziosi. «Mi vedo come un figlio previta. Vorrei morire in piena attività e
diletto del Dio misericordioso, che
questo chiedo al Signore come grazia speciale. La prova di una malat- mi ha dato dei genitori santi il cui
tia terminale lunga mi terrorizza. Sa- esempio ha segnato la mia vita, e corà quello che Dio, che in ogni mo- me uno strumento debole scelto per
mento mi ha dimostrato la sua pa- portare avanti quelle opere che nella
ternità, mi offrirà come purificazione mia vita ho potuto concepire». Tutto
o come premio. Sono certo che sommato, forse è questo il suo autodall’altra parte della morte riceverò ritratto più preciso.
Il 2 aprile 1948 moriva Biagio Biagetti
Quei bozzetti
nel retro delle ricevute
José María Martín Patino
A Firenze una mostra sulla produzione artistica ispirata a san Francesco
Il corno e il sultano
Il corno, ritenuto secondo tradizione quello donato
da san Francesco al sultano d’Egitto Malik-al-Kamil nel 1219, in occasione del loro incontro e conservato ad Assisi, nella cappella delle reliquie della
Maestro di san Francesco
«San Francesco predica agli uccelli» (1260-1280)
basilica, è uno dei pezzi “forti” della mostra L’arte
di Francesco. Capolavori d’arte e terre d’Asia dal XII
al XV secolo che si apre oggi a Firenze (fino all’11
ottobre) presso la Galleria dell’Accademia. Organizzata dalla Galleria in collaborazione con l’O rdine dei Frati Minori, e ideata con la Commissio Sinica (Scuola superiore di studi medievali e francescani, Pontificia università Antonianum di Roma),
l’esposizione si propone di documentare la produzione artistica di diretta matrice francescana (pittura, scultura, arti suntuarie) dal Duecento al Quattrocento. Nello stesso tempo la mostra intende porre in evidenza la grande opera evangelizzatrice dei
francescani in Asia, dalla Terra Santa alla Cina, rievocandola anche con oggetti di importanza storica
e di indubbia suggestione. Per la pittura riveste
particolare rilievo l’opera di Giunta di Capitino, il
primo pittore ufficiale dell’Ordine francescano, la
cui influenza si estese, nella prima metà del Duecento, in vaste aree dell’Italia centrale. L’artista ricoprì il ruolo d’interprete della spiritualità francescana che poi sarà svolto da due «grandi», Cimabue e Giotto. Tra gli artisti presenti nella mostra figurano poi il Maestro di san Francesco e il Maestro
dei Crocifissi francescani, due protagonisti di primo
piano della pittura su tavola e in affresco nel corso
del XII secolo.
Di incarichi ne aveva ricevuti, sin da giovane, numerosi e importanti. Ma certamente il più prestigioso fu
quello affidatogli, nel 1931, da Pio XI: il restauro del
Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina. Fu con giusto orgoglio e con non poco timore
che Biagio Biagetti,
pittore, accolse la
commissione.
Dieci
anni prima, nel 1921,
era divenuto il primo
direttore dei Musei
vaticani e nel 1923
aveva fondato il primo Laboratorio vaticano per il restauro di
opere d'arte. Il 2 aprile ricorrono i sessantasette
anni
dalla
morte, avvenuta a
Macerata, di un artista che subito riconobbe nella tematica
religiosa il terreno
d’elezione per le sue
opere. Il suo itinerario artistico viene ripercorso da Paolo
Ondarza nel libro Verità e Bellezza. La via
pulchritudinis di Biagio
Biagetti (Ariccia, Editrice Aracne, 2014, pagine 152, euro 10,20).
Tra le opere pittoriche
di Biagetti l’ Apoteosi
di san Pio X nel duomo di Treviso; gli affreschi della Cappella
del Crocefisso nella
Michelangelo Buonarroti
basilica della Santa
«Giudizio Universale» (1536-1541)
Casa a Loreto; la pala
d’altare rappresentante la Regina Apostolorum nel seminario di Bologna, commissionatagli da
Papa Benedetto XV. Si potrebbe definire romantico il
modo in cui Biagetti, con il talento del disegnatore,
uscì dall’anonimato. I suoi primi bozzetti furono fatti
nel retro delle ricevute dei conti di suo padre, che gestiva una locanda nelle Marche. Un giorno passò di lì
un pittore, che li notò: quell’incontro gli avrebbe
aperto la carriera artistica. (gabriele nicolò)
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 30-31 marzo 2015
Quella sera di quaresima
un ronzare frenetico di tweet
accompagnò il rito
appena i fedeli in chiesa
riconobbero
il filosofo simbolo
dell’intelligentsia laicista
In mostra a Torino la Via crucis di Fernando Botero
Se le favole
raccontano la realtà
Fede ritrovata
di GIULIANO ZANCHI
La seconda vita
di Veronica
di SILVIA GUIDI
Suo fratello, il celebre intellettuale
engagé Bernard-Henri Lévy, all’inizio è rimasto sconcertato, irritato e
deluso; «che cosa avrebbero pensato i nostri genitori?» si è chiesto,
pensando al forte senso di appartenenza alla cultura e alla religione
ebraica che da secoli ha plasmato
l’identità della sua famiglia. Ma poi
vedere sua sorella Véronique più
forte, sicura, decisa, piena di energia e di voglia di vivere gli ha fatto
cambiare idea sull’autenticità e la
profondità della sua conversione al
cattolicesimo. E l’ha convinto perfino ad assistere al suo Battesimo, la
prima domenica di quaresima di tre
anni fa, nella cattedrale di Notre
Dame a Parigi.
Quella sera, un ronzare frenetico
di tweet accompagnò il rito appena
gli astanti riconobbero il filosofosimbolo dell’intelligentsia laicista
francese seduto su una della panche
riservate alle famiglie dei catecumeni. «Mi sono reso conto che non
era una cosa infantile, ma un’esperienza interiore autentica» ha spiegato Bernard-Henri Lévy alla giornalista Astrid de Larminat che ha
dedicato un reportage alla conversione di sua sorella uscito su «Le
Figaro» dell’11 marzo scorso. Che si
tratti di un cambiamento radicale lo
conferma, suo malgrado, suo fratello, ammettendo che adesso si trova
accanto una donna toccata dalla
«redenzione» e «da un livello di
conoscenza della teologia cristiana,
ma anche ebraica, di cui un tempo
non sapeva nulla». Una donna più
stabile e sicura, con una luce negli
occhi che prima non c’era, e quella
forza tranquilla che ha solo chi è
certo di essere amato.
Che cosa ha cambiato tanto Véronique? La sorella più piccola e
più fragile, l’adolescente ribelle che
si nascondeva dietro un trucco pesante e un’aggressività esibita —
«Che vuoi fare da grande?» «La
prostituta», diceva ai suoi da ragazzina, sprezzante verso la serenità
borghese che respirava in famiglia
— l’anticlericale militante che aveva
sempre accusato la Chiesa di essere
misogina e oscurantista, ha scoperto la dimensione nuziale dell’amore
di Dio.
E si è accorta che niente può essere più come prima. Con il passare
del tempo, ha capito anche che
un’esperienza tanto sorprendente e
liberante merita di essere raccontata
e condivisa, perché può essere
un’occasione di speranza per molti.
Questo le ha fatto superare le tante
resistenze e perplessità iniziali
sull’opportunità di parlare di
un’esperienza intima come il dialogo interiore con Gesù eucaristia;
grazie all’aiuto di François Dabezies, ha scritto il libro Montre-moi
ton visage (Paris, Cerf, 2015, pagine
368, euro 20), introdotto da una
prefazione di Éric de Moulins-Beaufort, vescovo ausiliare di Parigi.
«Vivere la fede è come innamorarsi — ribadisce Véronique —
Quando si ama qualcuno incondizionatamente, si sacrifica tutto per
quell’amore, non ci si cura del giudizio altrui, si pensa solo a gioire
della presenza dell’altro».
La parola esperienza ricorre spesso nel libro, e non è un caso. Mille
volte nella nostra vita sentiamo ripetere la frase «Dio è amore» ma
finché non diventa esperienza reale,
concreta, personale queste parole
restano lettera morta, suonano come uno slogan vuoto, privo di senso. È quando Dio mostra davvero il
suo volto — da qui il titolo del libro, Montre-moi ton visage — il suo
«amore dolce e tenero, incondizionato e assoluto, personalizzato, “su
misura” per ognuno di noi» che
tutto può davvero cambiare.
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Quel mondo di tribù di cui spesso parla Michel Maffessoli, all’interno del quale gli esseri umani
del nostro tempo sembrano aggregarsi, secondo variabili criteri
prossemici, in raccolte nicchie di
elezione, sembra riflettersi perfettamente nel perimetro dell’odierna cultura artistica, che ha preso
la forma di una sorta di costellazione di pratiche anche molto
eterogenee tenute insieme dal
semplice fatto di essere contemporanee.
La linea evolutiva della storia
dell’arte, lungo la quale uno stile
prendeva il posto dell’altro dentro un chiaro criterio di progres-
Per Véronique il primo incontro
col cristianesimo è avvenuto quasi
per gioco, da piccolissima, su una
spiaggia rumorosa e affollata di Antibes. Un giorno Coralie, una bimba poco più grande di lei, le regala
un crocifisso di smalto insegnandole l’Ave Maria e la preghiera
dell’Angelus. Coralie è figlia di una
catechista, e sta imitando i gesti
della madre che ha visto tante volte
durante la sua attività in parrocchia. Véronique ascolta le preghiere
e decide subito di impararle a memoria, ripetendole come una ninna
nanna tutte le sere, prima di addormentarsi. Ripone nel cofanetto dei
suoi tesori segreti il piccolo crocifisso di smalto, colpita «da quell’uomo con i capelli lunghi e con le
braccia aperte sulla croce che non
evocavano dolore, ma amore». Coralie la mette in guardia: solo le
preghiere hanno il potere di tenere
lontana l’armata dei robot che un
giorno salirà dal mare per aggredire
e rendere schiavi tutti gli uomini.
Véronique guarda angosciata la linea dell’orizzonte e prova a immaginare chi siano i mostri che minacciano la sua vita, che tanto spaventano la piccola Coralie. Un semplice gioco da bambini sulla spiaggia,
che negli anni si rivela profetico.
I tanti castelli di sabbia costruiti
durante i primi anni della giovinezza — le tante relazioni di breve respiro, i tanti progetti di lavoro iniziati con entusiasmo e mai portati a
termine — non resistono alle ondate
del tempo e rivelano presto la loro
natura provvisoria. E il rischio di
trasformarsi in robot — schiavi di
desideri compulsivi, “meccanizzati”
dai ritmi ossessivi di una vita che
sembra fatta apposta per dimenticare il proprio desiderio di felicità e
l’anelito dell’anima verso Dio — è
sempre più reale. Dopo tanto dolore e tanti anni alla deriva, l’incontro
con padre Pierre-Marie Delfieux,
fondatore della fraternità monastica
di Gerusalemme, insediata a SaintGervais, e la scoperta dell’amore
“ricostituente” di Dio, capace di sanare ogni ferita e di aprire dovunque nuovi percorsi di libertà. Ora
Véronique riconosce che quella
Chiesa che prima accusava di oscurantismo ha «ricostruito la sua femminilità danneggiata», ed è la sua
casa. Ora c’è spazio solo per Lui,
«unica promessa mantenuta».
sione, si è, almeno per ora, improvvisamente interrotta e attorcigliata attorno a un eterno presente dove tutti gli stili convivono e
tutte le contaminazioni sono possibili. È come se il fiume dell’arte
si fosse gettato dentro un vasto
lago in cui può nuotare ogni genere di essere acquatico. A dominare le acque è ovviamente quella
cultura estetica che ci siamo abituati a chiamare “arte contemporanea”, i cui confini di appartenenza e le cui graduatorie di successo sono determinate da una
neanche troppo complessa alchimia fatta di mercanti, galleristi,
musei e critici che contano. Nel
bene e nel male essa è diventata
l’estetica del nostro tempo. La
sua egemonia però non impedisce l’esistenza, l’affermazione e il
successo di altre tribù dell’arte,
aggregate attorno a predilezioni
formali non allineate, spesso debitrici di un passato figurativo tenuto a lungo ai margini dell’ortodossia artistica ufficiale. Nell’orbita di questi vasti cerchi concentrici hanno così cominciato a ruo-
tare esperienze anche molto singolari, capaci di vasto consenso
pubblico, anche quando non
sempre fornite di un regolare permesso di soggiorno nella piena
cittadinanza contemporanea dell’arte.
Questo è il caso di Fernando
Botero di cui è sbarcata a Palermo, nelle Sale di Duca di Montalto del Palazzo Reale, un’esposizione di opere a soggetto religioso intitolata «Via Crucis. La
Pasiòn de Cristo», dopo aver fatto tappa a New York, Medellin,
Lisbona e Panama. Assai sospetto
alla critica di avanguardia, Fernando Botero, nato a Medellin
nel 1932, si è conquistato una fama planetaria grazie all’invenzione di un universo
iconografico abitato
da figure più che
grasse
“espanse”,
come preferirebbe
definirle lo stesso
artista, in cui uomini e cose acquistano dimensioni deformate e insolite,
mettendo in scena
situazioni sospese e
quasi prive di tensione psicologica.
La piacevolezza e
in qualche caso
l’evidente ironia di
questi squarci di un
mondo
fantastico
hanno decretato la
fortuna di questo
genere di pittura
presso il largo pubblico, conquistato
da una immediatezza quasi naive.
Il primo sguardo corre subito alla
citazione del realismo magico di
Gabriel Garcia Marquez, benché
Botero spergiuri di aver cominciato a lavorare secondo questo
stile ben dieci anni prima che il
grande scrittore colombiano scrivesse Cent’anni di solitudine. Diffi-
Fernando Botero, «Cabeza de Cristo» e «Deposizione» (2010)
cile però non percepire un analo- avendo pretese di profondità non
go profumo di incantesimi in per questo muove una parte mequesta sorta di placido e sornione no vera di noi.
Il prezzo che il tema della passortilegio di obesità sotto gli effetti del quale i suoi quadri ci in- sione paga all’ospitalità di questa
vitano a osservare il mondo. pittura fantasmatica, debitrice
Questa levità senza complessi tanto dei muralisti messicani
nella quale galleggiano i suoi per- quanto dei classici italiani, è
sonaggi ha fatto delle opere di quello di evaporare nell’aneddoBotero un emblematico esempio to, riallacciandosi ai sensi di una
devozione che ha certamente sedi fortunato brand artistico.
Cimentandosi con il tema della gnato molta della nostra tradizioPassione, la cifra drammatica per ne religiosa e che non smette
eccellenza della storia dell’arte, nemmeno ora di reclamare le sue
Fernando Botero sfida a duello i prerogative. Non è certamente di
detrattori della sua “pittura faci- fronte a questa addomesticata
le”, dei suoi soggetti privi di pro- memoria narrativa che il principe
fondità, quasi intrisi di
una inesorabile serena
inesistenza. Non è la
Cimentandosi col tema della Passione
prima volta che prova
a ospitare il dramma
l’artista crea un equilibrio
nella sua cifra stilistica.
fra la paciosità delle forme
Nel 2005 una serie di
e la crudezza del contenuto
dipinti mettevano in
scena gli orrori di Abu
Graib,
camminando
sul filo di un sottile
equilibrio fra la residua paciosità Myškin, quello de L’idiota di Dodelle forme e la nota crudezza stojevski, rinnoverebbe i suoi
del contenuto. Sullo stesso filo atroci dubbi di fede. Ma forse è a
cammina anche questa Via crucis, logiche e ad affetti meno elitari
intrisa dei sensi eccitati della reli- che queste opere si rivolgono.
giosità popolare sudamericana e Così confessa Fernando Botero in
al suo immaginario eclettico e va- una intervista: «Bisogna descriveriopinto. La tensione esistenziali- re qualcosa di molto locale, di
stica e tragica della tradizione eu- molto circoscritto, qualcosa che si
ropea del tema sembra stempera- conosce benissimo, per poter esta nel tono novellistico di un ri- sere capiti da tutti. Io mi sono
cordo che non genera più dolore, convinto che devo essere parrocil racconto attorno al fuoco di chiale, nel senso di profondamenuna vicenda divenuta favola, ca- te, religiosamente legato alla realpace di parlare alla residua infan- tà, per poter essere universale».
zia dell’adulto, quel tasto elemen- Spesso non esiste niente di più
tare delle emozioni che pur non reale delle favole.
Una Napoli dai colori accesi
L’accoglienza di Carmen
di GIUSEPPE FIORENTINO
Come un piatto fortemente speziato, Carmen in scena al teatro Argentina di Roma
sorprende per la varietà e gli accostamenti
di sapori. Allo stesso modo di una pietanza dal gusto mediorientale, accosta aromi
alla cui coesistenza il palato dello spetta-
A Roma prima assoluta di Salvatore Sciarrino
di MARCELLO FILOTEI
Non ci sono più gli estremisti di una
volta. Se anche Salvatore Sciarrino,
che per decenni ci ha negato il sollievo
di un solo intervallo consonante si
mette a scrivere unisoni e ottave significa che qualcosa sta cambiando sul serio. Il compositore siciliano, che sabato
scorso ha presentato in prima assoluta
all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia La nuova Euridice secondo Rilke,
sui versi dell’Orpheus, Eurydike, Hermes, di certo non ha cambiato linguaggio, ma, almeno in questo lavoro, particolarmente riuscito, a tratti l’ha reso
più eufonico del solito.
Certo se parti da un testo che Josif
Brodskij considerava la più grande
opera del Novecento sicuramente costruisci su fondamenta molto solide.
Sul lavoro di Rilke Sciarrino rifletteva
da molto tempo. Lui stesso ha tradotto
e adattato i versi che ha usato e ne è
scaturito un pezzo che ruota interamente intorno alla scrittura vocale. Lo
scopo è quello di ottenere una drammaturgia scattante fatta di scene concepite quasi come fossero inquadrature
cinematografiche dal montaggio molto
Euridice
tra Orfeo ed Hermes
serrato. Un continuo mutamento di
immagine drammatica sostenuto da
una parte orchestrale fatta di ricerca
timbrica, lunghi silenzi, e processi
compositivi che scaturiscono dalle potenzialità degli stessi materiali sonori.
Quando Antonio Pappano presenta
il brano dal podio, come encomiabilmente fa sempre prima di un’opera
contemporanea, il pubblico trema alla
prospettiva di non trovare «un solo
suono tradizionale» dall’inizio alla fine. Poi invece qualche nota si sente, e
soprattutto la tensione è alta proprio
perché costruita su multifonici degli
archi, suoni multipli dei legni, campane percosse con tale forza da perdere
l’intonazione, soffi, ruggiti gravissimi.
È proprio questo, del resto, che rende
Sciarrino quello che è: uno dei compositori più eseguiti al mondo.
Ma il grosso, nel lavoro commissionato dall’Accademia di Santa Cecilia,
lo fa la voce. Barbara Hanningan è
una musicista eccezionale, dirige e can-
ta come poche, soprattutto nel repertorio contemporaneo. Però è un soprano
e se la parte scende in regioni molto
gravi perde necessariamente di agilità.
Il personalissimo atteggiamento vocale
di Sciarrino, un marchio di fabbrica
che lo rende inconfondibile, è fatto di
portamenti tra una nota e l’altra: un
glissato continuo, perfettamente coerente con la scrittura orchestrale.
Quando, quasi sempre, canto e strumenti camminano assieme sul filo di
intensi crescendo e diminuendo la tensione è altissima. Se, al grave, i movimenti vocali diventano meno fluidi, il
canto vira verso un recitativo, quasi
Sprechgesang, che rischia di allontanarlo
dal resto.
Pappano è preciso è dettagliato, entra dentro il lavoro e ne restituisce una
lettura analitica. L’orchestra ha fatto
grandi passi in avanti con lui e ora pare a proprio agio anche con il repertorio contemporaneo, sorretta da prime
parti estremamente solide. Buona l’accoglienza del pubblico.
Nella seconda parte successo per il
Magnificat di Bach che ha visto impegnati anche il Coro e il Coro delle Voci Bianche preparati da Ciro Visco.
tore non è abituato. Dolce e amaro e una
punta di acido si alternano nella Napoli
in cui lo spettacolo — basato sul testo di
Enzo Moscato per la regia di Mario Martone e con la direzione musicale di Mario
Tronco — è ambientato. Una Napoli dai
colori accesi, come una qualunque metropoli mediterranea, dove la storia di Carmèn (secondo la pronuncia partenopea) è
solo un pretesto per una riflessione che,
partendo dalla denuncia delle violenze
contro le donne, si allarga fino a divenire
un apologo dell’accoglienza.
E con queste premesse a chi poteva essere affidato il commento musicale — tratto molto liberamente dall’Opera di Bizet
— se non all’Orchestra di Piazza Vittorio?
L’ensemble multietnico, nato proprio per
favorire l’integrazione culturale nel quartiere romano dell’Esquilino, è anzi un vero protagonista dello spettacolo. Come
Iaia Forte la quale, nei panni di Carmèn,
suggerisce al pubblico le tante letture
possibili del testo. È lei infatti che denuncia l’ottusa violenza di José, sottolineandone l’incapacità di intendere il diverso.
Di José — caratterizzato in questa Napoli
levantina da una forte pronuncia veneta —
la protagonista dice: «Viene dall’altra Italia» e non dall’alta Italia, come sarebbe
lecito aspettarsi. Una definizione a suo
modo illuminante, che spiega il distacco
dalla realtà di quanti rifiutano la principale qualità di un mondo ogni giorno più
piccolo, in cui sono destinate a coesistere
persone, culture e religioni diverse.
Imporre con la forza e la violenza la
propria identità — sia di genere, sia politica o religiosa — conduce solo a disastri,
genera sofferenza e risentimento. Lo impara a sue spese José, il quale, dopo avere
accecato l’oggetto — e non la persona —
dei suoi desideri, termina i suoi giorni nel
carcere di Procida. Lo comunica alla fine
dello spettacolo la stessa Carmèn, la quale, benché priva di vista, “vede” con chiarezza che la chiave per aprirsi al futuro è
proprio l’accoglienza.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 30-31 marzo 2015
Visita dei vescovi statunitensi al centro di detenzione texano per immigrati
Il dramma delle famiglie
nel carcere di Dilley
A Brasilia una settimana dedicata al dialogo con i giovani
Missione
per le nuove vocazioni
BRASILIA, 30. Missione, gioventù e
vita consacrata sono i temi affrontati
nel corso della quarta Settimana vocazionale, appena conclusasi a Brasilia. Il tema di quest’anno è stato:
«Chiamati a risvegliare il mondo:
Vangelo, profezia e speranza».
L’iniziativa è stata promossa dal
Centro culturale missionario (Ccm)
in collaborazione con la Conferenza
dei religiosi del Brasile (Crb) e la
commissione episcopale per i ministeri ordinati e la vita religiosa.
Alla settimana vocazionale hanno
preso parte una quarantina di rappresentanti provenienti da tutto il
Brasile, fra sacerdoti, religiosi, religiose e laici, con l’obiettivo di qualificare il servizio di animazione missionaria. Padre Stephen Raschietti,
direttore del Ccm, e padre Jaime
Carlos Patias, segretario nazionale
della Pontificia unione missionaria,
hanno invitato i partecipanti a riflettere in particolare sul tema: «Missione e cooperazione missionaria: linee guida per l’animazione missionaria nella Chiesa in Brasile». Nella
sua presentazione, padre Raschietti
ha sottolineato l’importanza della
dimensione missionaria come fondazione intrinseca della vocazione.
«L’animatore vocazionale — ha sottolineato il sacerdote — è il missionario per eccellenza: perché Gesù
ha inviato i suoi fratelli non per fare
opere, ma per fare discepoli».
Padre Patias ha invece puntato
l’attenzione
sull’importanza
del
coordinamento tra animazione vocazionale e animazione missionaria.
Nel presentare il quadro delle istituzioni missionarie in Brasile, riunite
nei consigli missionari in ambito
diocesano, regionale e nazionale, il
religioso ha chiesto che anche le
agenzie di promozione vocazionale
facciano parte di queste importanti
realtà: «L’animazione missionaria e
vocazionale devono andare insieme:
arricchirsi l’uno con l’altro, guardare
nella stessa direzione, proporre prospettive di impegno e di coinvolgimento concreto per la generosa gioventù di oggi».
Durante i lavori, padre Valdecir
Ferreira, presidente della commissione episcopale per il ministero ordinato e la vita consacrata, e don Antonio Ramos Prado, consigliere del
settore giovanile della Conferenza
episcopale brasiliana, hanno focalizzato la loro attenzione sul dialogo
costante tra pastorale giovanile e
animazione vocazionale. «Non ci
sono più vocazioni tra i giovani. È
perché non sono più interessati?» si
è chiesto padre Valdecir. «Noi — ha
detto il religioso — lavoriamo per
cambiare la mentalità, la sensibilità,
per avviare una nuova pratica e una
nuova pedagogia vocazionale. Percepiamo che al momento la missione è collocata come fine e non come
processo. Dobbiamo recuperare la
missione come itinerario».
Dalle religiose presenti è arrivato
il contributo di suor Zenilda Petry,
consigliera del Crb nazionale, che
ha parlato della vocazione missionaria profetica nella vita religiosa nella
Chiesa e nel mondo di oggi. Per
suor Maria Dolores Silva, invece,
questa settimana di lavoro è stata
un’importante opportunità di condivisione, che ha aiutato a crescere e
ad ampliare gli orizzonti dell’animazione vocazionale. «La sfida più
grande — ha sottolineato la religiosa
— è quella di scoprire che cosa cercano e cosa vogliono i giovani di
oggi. Abbiamo delle proposte, ma
non è quello che i giovani vogliono
da noi. Quindi, dobbiamo cambiare
la nostra mentalità e sperimentare
una nuova cultura per capire il linguaggio di oggi». I partecipanti si
sono trovati d’accordo nell’affermare
che la vita consacrata è chiamata
oggi a risvegliare il mondo e non
deve rassegnarsi al pessimismo. «La
sfida più grande — ha concluso Rafaeli Gonçalves de Meira, dell’Istituto secolare Sacro cuore di Gesù di
Tapaborã — è quella di raggiungere
i giovani. O meglio, permettere ai
giovani di venire da noi».
SAN ANTONIO, 30. Una testimonianza importante. Perché si accendano i riflettori sul dramma di intere famiglie di immigrati irregolari
detenute in carcere. Per dimostrare
ancora una volta come il tema
dell’immigrazione deve essere affrontato presto e con efficacia. Per
ricordare che la Chiesa è pronta a
ogni sforzo per dare dignità alle
persone in fuga dalla povertà e
dalla violenza. È questo il significato della visita di una delegazione
della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (Usccb) presso
il centro di detenzione di Dilley, in
Texas.
L’episcopato da tempo sta sollecitando il Congresso a porre mano
a una riforma seria delle norme attualmente in vigore. Uno sforzo
che si è intensificato lo scorso anno
a seguito della crescita esponenziale degli arresti di minori non accompagnati provenienti dall’America centrale. «Dopo questa visita —
ha detto monsignor Gustavo Garcia-Siller, arcivescovo di San Antonio — la mia domanda principale è:
perché? Perché mettere in stato di
detenzione queste persone vulnerabili, madri giovani e traumatizzate
che, con i loro figli, sono fuggite
dalla persecuzione nei loro Paesi di
origine? Una grande nazione come
la nostra non può incarcerare le
persone più vulnerabili in nome
della deterrenza. Il carattere morale
di una società si giudica da come
tratta i più vulnerabili. La politica
che autorizza la detenzione di intere famiglie è per il nostro Paese
una vergogna e dunque imploro le
nostre autorità elette dal popolo di
porvi fine subito».
Già in diverse occasioni i vescovi
degli Stati Uniti hanno chiesto alle
autorità del loro Paese di proteggere i minorenni che viaggiano da soli verso la frontiera del Messico,
per lo più senza documenti legali.
I pericoli che affrontano nel lungo
viaggio configurano una vera e
Messaggio pasquale dei vescovi argentini della Patagonia
Bisogna aprire gli occhi alla giustizia
BUENOS AIRES, 30. Un invito a
guardare alla vita con occhi nuovi,
aperti alla verità e alla giustizia viene dai vescovi argentini della regione Patagonia-Comahue, Che hanno
diffuso nei giorni scorsi il messaggio pasquale dal titolo «Guarda le
mie mani e i miei piedi. Sono proprio io». L’esortazione è a vivere
«con la forza e l’audacia dello Spirito, per renderlo presente nel fango
della nostra vita e nel nostro mondo». Consapevoli della realtà di
violenza, egoismo, indifferenza, negligenza ed esclusione nella quale
spesso ci si trova a vivere, i vescovi
propongono «la rivoluzione della
tenerezza, per decidere del bene comune e costruire una società che si
occupi e preoccupi della felicità di
tutti». Con l’invito a «non rimanere
indifferenti», i presuli spiegano nel
loro messaggio che il mondo sarebbe migliore se tutti, a seconda del
luogo e della responsabilità che
compete a ognuno, lavorassero per
il bene e la felicità di ognuno. Nel
messaggio, inoltre, ricordano che
chi segue Gesù «non può restare indifferente», occupato solo del suo
proprio benessere.
La Patagonia argentina è una zona che presenta problematiche complesse. La popolazione indigena,
che vi abita, si trova a dover affrontare la minaccia di progetti minerari
i cui effetti sociali sono pesanti. La
stessa conformazione geografica del
territorio, ostacolando gli spostamenti, rende le condizioni di vita
più severe. La Chiesa in questa regione ha sempre incoraggiato e sostenuto l’impegno della popolazione per uno sviluppo integrale e per
la difesa dei diritti umani.
Anche lo scorso anno, in occasione della Pasqua, i presuli della Patagonia avevano sottolineato che «l'istruzione pubblica deve promuovere
il valore e la cura per la vita, lo sviluppo integrale delle persone e la
convivenza sociale». Secondo i presuli, la pace sociale si raggiunge in
particolare «con il lavoro per tutti,
dignitosamente pagato, e la partecipazione di tutti nelle decisioni che
quotidianamente possono indirizzare al bene comune».
In generale, i vescovi argentini
hanno esortato la popolazione a
«costruire insieme un Paese più fraterno e a rinnovare l’impegno per la
pace», ricordando che questo dono
è «sempre una sfida per tutti gli uomini e le donne di buona volontà».
Inoltre, i presuli hanno più volte
sottolineato che «ciò che mette a rischio la pace è radicato nel cuore
dell’uomo ferito dal peccato e le sue
conseguenze si vedono negli squilibri economici e sociali che richiedono un ordine mondiale più giusto;
nel disprezzo della vita, che è il diritto fondamentale dell’individuo;
nel reato del traffico di droga e nella tratta delle persone». Anche la
tossicodipendenza e il commercio
egli stupefacenti è infatti una piaga
che la Chiesa è da tempo impegnata a combattere.
propria
emergenza
umanitaria.
«Sono
bambini
estremamente
esposti ai trafficanti di persone senza scrupoli — ha dichiarato il presidente del Comitato per le migrazioni della Conferenza episcopale e
vescovo ausiliare di Seattle, monsignor Eusebio L. Elizondo — e devono essere protetti».
A sostegno delle migliaia di giovani migranti disperati c’è sempre
la Chiesa cattolica. Il gesuita Pedro
Pantoja Arreola, direttore della Posada Belén di Saltillo, nello Stato
messicano di Coahuila, da diversi
anni gestisce un rifugio che offre
ricovero a giovani emigranti centroamericani che intraprendono la
cosiddetta rotta del Golfo, a differenza di altri che preferiscono quella del Pacifico o delle zone montagnose della Sierra Madre.
Da quando è stato aperto, nel
2000, l’ostello ha ospitato più di
cinquantamila persone. Racconta il
religioso: «Sono sempre di più i
minorenni che si uniscono al flusso
dei migranti e anche il crimine organizzato è sempre più attivo nel
reclutare emigranti adolescenti». Il
sacerdote e il suo gruppo, tra cui
alcune religiose, furono tra i primi
a denunciare il sequestro e l’assassinio dei migranti, nel 2010: settantadue barbaramente uccisi nella località di San Fernando. Poi i fatti del
2011 a Tamaulipas, quasi duecento
cadaveri ritrovati in una fossa comune, e quelli di Cadereyta, quarantanove corpi disseppelliti nello
Stato di Nuevo León il 13 maggio
2012.
Secondo la portavoce della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, Norma Montenegro Flyn, la vi-
sita a Dilley «ci aiuterà a fare proposte al Congresso, anche se diversi vescovi hanno già fornito le loro
testimonianze in passato». La delegazione era composta, oltre che
dall’arcivescovo Garcia-Siller e dal
vescovo Eusebio Elizondo, dal vescovo di Laredo, monsignor James
Anthony Tamayo, e da due vescovi
luterani, Julian Gordy e Michael
Rinehart.
Secondo la Conferenza episcopale statunitense, circa sessantottomila famiglie del Centroamerica sono
fuggite dalla violenza e dalla povertà dei loro Paesi. «Il Governo —
ha detto il vescovo Tamayo — dovrebbe considerare vie alternative
alla detenzione di queste famiglie,
luoghi dove possano vivere in comunità e avere accesso ai servizi di
cui necessitano, compresa l’assistenza legale. La Chiesa è pronta a
sostenere questo sforzo».
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 30-31 marzo 2015
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Messaggio per l’anniversario della nascita di Mahavir Jayanti
Chiesta dai fedeli indiani
Una Pasqua
senza violenze
Nelle celebrazioni da Gerusalemme al Libano il pressante bisogno di pace
Le palme
del Medio oriente
GERUSALEMME, 30. La persecuzione
dei cristiani nel mondo, le loro particolari sofferenze in Medio oriente,
l’odio religioso che ha animato gli
atti terroristici in Europa attribuiscono alla celebrazione della settimana che precede la Pasqua in Terra santa un significato ancora più
profondo. L’invito alla pace, al dialogo e alla riconciliazione viene così
lanciato da Gerusalemme a Beirut a
ogni parte del pianeta dove si hanno a cuore quanti sono perseguitati
per la loro fede.
Sono state molte le persone che
hanno partecipato al rito della domenica delle Palme a Gerusalemme.
Il patriarca latino, monsignor Fouad
Twal, ha preso parte alla processione che si è svolta dal villaggio di
Betfage (Monte degli Ulivi) alla
chiesa di Sant’Anna. Un rito che —
come ricorda il sito del patriarcato
— antichi manoscritti testimoniano
avvenire nella città santa sin dal IV
secolo dell’era cristiana. Diciassette
secoli dopo, la tradizione è più viva
che mai e la comunità cristiana —
soprattutto quella cattolica di rito
latino — ne ha fatto un appuntamento irrinunciabile per entrare nella settimana che prelude alla Pasqua
di risurrezione. Accanto a Twal c’era
il custode di Terra Santa, padre
Pierbattista Pizzaballa, e numerose
personalità politiche.
La memoria dell’ingresso di Gesù
a Gerusalemme è particolarmente
sentita dalle comunità cristiane palestinesi e da quelle in Israele. Secondo alcune stime sono state circa cinquemila le persone, di diversa nazionalità, che hanno partecipato alla
processione. Le autorità israeliane
hanno concesso il permesso a circa
il 70 per cento dei richiedenti nei
territori palestinesi. Molti, secondo
quanto riferito da padre Mario Cornioli, del patriarcato latino di Gerusalemme, anche i cristiani palestinesi
provenienti da Nazareth e i cristiani
di lingua ebraica israeliani. «Questa
processione — ha detto padre Cor-
nioli — è un messaggio di speranza
e di convivenza soprattutto per i cristiani palestinesi che ripercorrono i
passi di nostro Signore ed entrano
senza limitazioni nella città santa».
Per molti fedeli, il clima della
processione è stato “impressionante”
per la gioia dei partecipanti e per
l’intensità spirituale che l’ha circondata. La chiesa di Sant’Anna — nel
quartiere musulmano di Gerusalemme, dove secondo il Vangelo Gesù
compì il suo primo miracolo — è
stata raggiunta attraverso la porta
dei leoni, uno dei principali ingressi
alla città vecchia di Gerusalemme.
Anche a Beirut, così come in altre
città libanesi, la comunità cristiana
ha preso parte numerosa alla tradizionale processione e alle celebrazioni della domenica delle palme.
L’arcivescovo di Beirut dei Maroniti, monsignor Paul Youssef Matar,
ha invitato i leader religiosi e i fedeli di tutte le comunità ecclesiali a riconciliarsi l’uno con l’altro nel rispetto della loro dignità e dei loro
diritti, al fine di vivere in un mondo
armonioso, in un clima di pace, e
lontano da guerre e conflitti. In particolare, ha espresso l’auspicio che il
Medio oriente possa al più presto
vivere riconciliato. Anche il vescovo
di Sidone dei Maroniti, monsignor
Elias Nassar, durante l’omelia che
ha preceduto la processione, ha sottolineato «l’importanza dell’amore e
dell’umiltà per accedere al regno di
Dio». Secondo il presule, riuscire a
stare insieme in queste occasioni è
molto importante perché è come se
si costruisse uno schermo a protezione di tutti i libanesi.
La necessità di preservare l’unità
dei libanesi e di un dialogo sincero
tra tutte le parti in campo per uscire
dalla crisi politica e poter eleggere il
capo di Stato in Libano, è stata sottolineata dai presuli durante le cele-
brazioni eucaristiche nelle chiese di
San Giovanni e di Mar Saba. Inoltre, il vescovo ausiliare di Joubbé,
Sarba e Jounieh dei Maroniti, monsignor Maroun Ammar, ha evidenziato i valori veicolati dal rito delle
palme, fra i quali la semplicità e
l’accettazione degli altri: le due condizioni per rafforzare, secondo il
presule, l’unità sociale e nazionale.
Tutta la Chiesa si stringe attorno
ai fedeli del Medio oriente: un appello affinché «i cristiani non siano
costretti a lasciare quella che da
sempre è la loro patria» è stato rivolto dai vescovi e dagli abati territoriali della Chiesa in Svizzera a
tutti gli uomini e le donne di buona
volontà. «È con il cuore gonfio di
tristezza — si legge nel documento
diffuso dai presuli — che guardiamo
al Medio oriente. Non possiamo
non vedere l’emergenza degli sfollati, le violenze e le sofferenze di un
numero troppo grande di persone.
Ed è con grande preoccupazione
che assistiamo al protrarsi dei conflitti; siamo profondamente delusi
dal fatto che la disponibilità a trovare una soluzione dipenda fortemente dagli interessi di parte e da
fattori politico economici. Il senso
di umanità, di responsabilità per la
collettività, l’amore del prossimo, la
libertà e la giustizia — si legge ancora nel testo dei presuli elvetici — sono valori da rispettare anche e soprattutto in Medio oriente, culla
della nostra fede».
In particolare, i vescovi richiamano l’importanza di sostenere le istituzioni ecclesiali che spesso rappresentano «un barlume di speranza
anche nei momenti bui». Infine,
l'invito ai fedeli a essere «solidali e
uniti ai fratelli e alle sorelle dei Paesi in cui è nato il cristianesimo» e a
mostrarsi generosi con loro attraverso offerte e preghiere.
MUMBAI, 30. «Chiediamo che
alle indifese comunità cristiane
sia garantita incolumità e sicurezza mentre partecipiamo alle
cerimonie della passione, morte
e risurrezione di nostro Signore
Gesù Cristo». È quanto chiede
Sajan K. George, presidente
del Global Council of Indian
Christians (Gcic) alla Commissione nazionale per le minoranze in India, dopo gli ultimi
episodi di violenza contro chiese e persone da parte di radicali indù. «I cristiani in India —
ha dichiarato ad AsiaNews il
presidente del Gcic — sono in
apprensione per la lentezza con
cui si muove il sistema della
giustizia criminale davanti agli
attacchi contro le minoranze.
Ciò ha reso i fedeli insicuri e timorosi».
L’ultimo inquietante episodio in ordine di tempo si è verificato, domenica, a Sringar,
dove il reverendo Paul Augustine, coordinatore per il Kashmir
del Gcic, è stato arrestato mentre stava partecipando a un servizio religioso. Augustine è ora
in prigione con l’accusa di «fomentare scontri interreligiosi».
La famiglia e la comunità cristiana sono preoccupate per la
sua vita. «In India la minuscola popolazione cristiana si trova
fra l’incudine e il martello. La
legge della maggioranza — ha
detto il presidente del Gcic —
prevale e, laddove chi è più numeroso impone il suo credo e
le sue pratiche, le minoranze
sono in pericolo».
Contro le cosche mafiose
In Calabria
nuove regole
per le processioni
TROPEA, 30. Per porre fine alla
strumentalizzazione dei riti religiosi da parte delle cosche mafiose, il vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, monsignor Luigi
Renzo, ha disposto un nuovo
regolamento stabilendo che le
effigi sacre saranno portate in
processione da persone scelte a
sorte. Dall’elenco di chi si prenota saranno esclusi le associazioni sospette di infiltrazoni e
persone che siano «sotto processo per associazione mafiosa
o che siano incorsi in condanna
per mafia».
Cristiani e giainisti
insieme per gli anziani
«Cristiani e giainisti insieme per
promuovere la cura degli anziani» è
il tema del messaggio inviato dal
Pontificio consiglio per il Dialogo
Interreligioso ai giainisti nella festa
di Mahavir Jayanti 2015 Pubblichiamo una nostra traduzione italiana del testo firmato dal cardinale
presidente Jean-Louis Tauran e dal
segretario, il comboniano Miguel Ángel Ayuso Guixot.
Cari amici giainisti,
1. Il Pontificio Consiglio per il
Dialogo Interreligioso con grande
gioia vi porge i suoi saluti nell’anniversario della nascita del Tirthankar (esploratore) Vardahaman
Mahavir, che quest’anno si celebra
in tutto il mondo il 2 aprile. Possano le celebrazioni di questa festa
rafforzare e rinnovare l’amicizia e
la vicinanza tra gli individui e le
famiglie, nonché consolidare il vostro impegno a promuovere la cura per tutti gli esseri viventi, in
particolare gli anziani nelle famiglie e nelle comunità, per una
maggiore pace, armonia e felicità
nel mondo.
2. Portando avanti una onorata
tradizione, quest’anno riflettiamo
su come noi, cristiani e giainisti,
possiamo promuovere insieme la
cura per gli anziani. In molte società nel mondo la gente tende a
rifiutare gli anziani. Altrettanto
preoccupante e deplorevole è il
fatto che molti anziani, specialmente quelli malati e soli, vengono abbandonati dalle famiglie e
dai parenti perché percepiti come
un problema, un peso e uno scarto, o che vengono trattati come i
nuovi fuoricasta del mondo contemporaneo, serviti con pochissimo contatto e cure. Questa tendenza sta crescendo e causando
preoccupazione nella nostra società. Papa Francesco giustamente
sottolinea che ogni società in cui
«gli anziani o sono scartati [...]
porta con sé il virus della morte»
(Udienza generale, 4 marzo 2015)
e un popolo che «non custodisce i
suoi anziani [...] è un popolo senza futuro, un popolo senza speranza» (Discorso alla Comunità di
Sant’Egidio, 15 giugno 2014). Il
compito di garantire le cure dovute agli anziani diventa dunque
una nobile priorità per tutti, nonché un imperativo etico vincolante
per tutti i Governi e le comunità
politiche.
3. Gli anziani sono i principali
pilastri delle nostre famiglie multigenerazionali. Vivono con noi come nostro tesoro e nostra benedizione, poiché ci trasmettono non
soltanto le loro ricche esperienze
di vita e di fede, ma anche la storia delle nostre famiglie e comunità. Questi “tesori” vanno protetti
con affetto e assistiti con gratitudine, di modo che possano continuare a ispirare e a guidare le persone con la loro saggezza, frutto
di tutta una vita. È innegabile che
nel mondo c’è ancora un numero
consistente di famiglie che, fedeli
alle loro tradizioni, ai loro valori e
alle loro convinzioni, si prendono
cura in modo esemplare degli anziani: i bambini in queste famiglie, e perfino i parenti e gli amici, spesso fanno grandi sacrifici e
compiono uno sforzo in più per
servire gli anziani. È una cosa lodevole, poiché fanno ciò che è bene e giusto nel rispetto dei loro
genitori, nonni e parenti anziani e
bisognosi di cure, attenzione e assistenza. Mentre prendersi cura
degli anziani è un dovere morale e
sacro vincolante per gli individui e
la società, l’assistenza professionale e medica offerta da operatori
sanitari competenti e caritatevoli
va considerata come la misura che
la società adotta per assicurare cure agli anziani.
4. Tutte le religioni spiegano gli
obblighi morali che i figli hanno
verso i propri genitori e anziani,
specialmente quello di prendersi
cura di loro, con rispetto e amore,
sino al termine della loro vita terrena. La Sacra Bibbia dice: «Onora tuo padre e tua madre, perché
si prolunghino i tuoi giorni nel
paese che ti dà il Signore, tuo
Dio» (Esodo 20, 12). E dice anche:
«Se poi qualcuno non si prende
cura dei suoi cari, soprattutto di
quelli della sua famiglia, costui ha
rinnegato la fede ed è peggiore di
un infedele» (1 Tm 5, 8). Il giainismo pone grande enfasi sul rispetto della vita; per quanto riguarda
gli esseri umani, tale rispetto significa promuovere la dignità di
ogni persona e di tutto ciò che
questo comporta.
5. La crescente incuria verso gli
anziani da parte dei giovani e la
tendenza a sottrarsi alla responsabilità filiale verso i genitori e i
nonni, pertanto, invitano tutti noi,
credenti e altri, a risvegliare in
noi, a livello sia personale sia collettivo, un senso di gratitudine, di
affetto e di responsabilità verso i
nostri genitori, nonni o altre persone anziane. Fare loro sentire di
essere parte viva delle nostre famiglie, comunità e società e che siamo sempre in debito con loro è
un modo certo per sfidare la cultura dello “scarto”. Ciò è possibile
solo «con la gioia traboccante di
un nuovo abbraccio tra i giovani e
gli anziani» (Papa Francesco,
Udienza generale, 11 marzo 2015).
Che noi cristiani e giainisti, come
persone radicate nelle nostre rispettive tradizioni religiose e consapevoli della nostra comune responsabilità verso la società, unendo le nostre mani a quelle di altri,
possiamo promuovere una cultura
in cui gli anziani siano amati, rispettati e in cui ci si prenda cura
di loro!
Auguro a tutti voi un felice
Mahavir Jayanti!
La settimana santa nella tradizione bizantina
Lutto nell’episcopato
Monsignor Juan Carlos Maccarone, vescovo emerito di Santiago
del Estero, in Argentina, è morto
la mattina di domenica 29 marzo,
alle ore 7.
Il compianto presule era nato in
Buenos Aires il 19 ottobre 1940 ed
era stato ordinato sacerdote il 7
dicembre 1968. Eletto alla Chiesa
titolare di Mauriana e nel contempo nominato ausiliare di Lomas
de Zamora il 30 gennaio 1993, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 21 aprile. Trasferito
alla sede residenziale di Chascomús il 3 luglio 1996, era stato nominato poi vescovo di Santiago
del Estero il 18 febbraio 1999.
Aveva rinunciato al governo pastorale il 19 agosto 2005.
Oggi, lunedì 30, si celebra la
messa di suffragio nel Cottolengo
di Don Orione a Claypole, in diocesi di Lomas de Zamora, dove
monsignor Maccarone ha vissuto
gli ultimi anni.
Ecco lo sposo arriva nel mezzo della notte
La liturgia della settimana santa nella tradizione bizantina scandisce tutto il mistero della
passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, celebrazione che inizia già il
sabato della risurrezione di Lazzaro e la domenica delle Palme con l’ingresso regale di Cristo
a Gerusalemme. Da lunedì a mercoledì santo
si celebra l’ufficiatura mattutina e quindi nelle
ore serali la liturgia dei Doni presantificati, in
tre giorni che contemplano la figura di Cristo
sposo della Chiesa che le viene incontro nella
sua croce, il vero talamo nuziale.
Nel giorno di giovedì santo si celebra la Divina liturgia di san Basilio, dove si contemplano i misteri di Cristo che lava i piedi ai discepoli, che si dà come pane di vita, che è tradito
e portato alla passione. Il venerdì santo raduna la Chiesa attorno alla croce di Cristo, luogo
di sofferenza, di sconfitta, ma anche di vittoria
di colui che vi è appeso.
Il sabato santo invece raccoglie la comunità
dei fedeli attorno alla tomba di Cristo, una
tomba bella, adorna di fiori, vero luogo della
celebrazione di questo sabato benedetto; nel
mattutino, celebrato la sera di venerdì, si cantano gli enkòmia, canto sì di lamento, ma soprattutto di speranza attorno al sepolcro di co-
lui che è la vita. Nel mattino del sabato viene
celebrata di nuovo la Divina liturgia di san
Basilio, con le letture veterotestamentarie che
introducono i fedeli alla celebrazione di colui
che risorge per giudicare la terra.
A notte fonda inizia l’ufficiatura del mattutino di Pasqua, con la proclamazione del
vangelo della risurrezione, il canto delle bellissime odi di san Giovanni Damasceno e la
Divina liturgia di san Giovanni Crisostomo.
Al vespro della domenica di Pasqua si proclama la pericope evangelica in diverse lingue,
quelle dei fedeli presenti nella celebrazione.
Le celebrazioni nella tradizione bizantina
si tengono a Roma in alcune chiese che seguono questa liturgia, come in quella di
Sant’Atanasio a via del Babuino, dove viene
celebrata dalla comunità del Pontificio collegio greco. Fondato da Gregorio XIII il 13
gennaio 1576, il collegio è il più antico tra
quelli orientali di Roma e nel 1591 venne affidato ai gesuiti. Dal 1586 Sisto V riservò agli
alunni del collegio il privilegio di cantare
l’epistola e il vangelo in greco nelle messe
papali solenni. Nel 1897 Leone XIII decise di
affidare ai monaci benedettini, nella persona
dell’abate primate di Sant’Anselmo, la re-
sponsabilità del Pontificio collegio greco, esercitata oggi in piena collaborazione con la Congregazione per le Chiese orientali.
Nella chiesa di Sant’Atanasio
quest’anno la liturgia dei Presantificati si tiene lunedì, martedì e
mercoledì santo alle 18.45. Giovedì il vespro e la liturgia di san
Basilio iniziano alle 10.30, mentre
l’ufficio della Passione, con la
lettura dei Dodici vangeli è alle
18. Venerdì santo alle 10 si celebrano l’ora nona, il vespro e la
deposizione dalla croce, mentre
alle 18 si tiene l’Epitàphios thrìnos, seguito dal canto degli enkòmia e dalla suggestiva processione che esce dalla chiesa, arriva al
Collegio greco percorrendo un
brevissimo tratto di via del Babuino per rientrare a San’Atanasio. Sabato alle 10 vengono celebrati il vespro e la liturgia di san Basilio e alle 23 inizia la celebrazione del Mesonyktikòn,
seguita dall’Anàstasis, dal mattutino e dalla
liturgia di san Giovanni Crisostomo. Questa
viene celebrata anche la mattina di Pasqua alle 10.30, mentre alle 19 iniziano il vespro e la
proclamazione del vangelo in diverse lingue.
(manuel nin)
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 30-31 marzo 2015
Nella domenica delle Palme il Pontefice ricorda i cristiani perseguitati e invita a seguire Gesù sulla strada dell’umiltà
Con i martiri di oggi
Nomine
episcopali
I «martiri di oggi» sono coloro che seguono la via di Dio e «pagano
di persona» per «il loro comportamento fedele al Vangelo». Lo ha ricordato
Papa Francesco all’omelia della messa celebrata in piazza San Pietro
nella mattina del 29 marzo, domenica delle Palme.
Al centro di questa celebrazione, che
appare tanto festosa, c’è la parola
che abbiamo ascoltato nell’inno della Lettera ai Filippesi: «Umiliò sé
stesso» (2, 8). L’umiliazione di Gesù.
Questa parola ci svela lo stile di
Dio e, di conseguenza, quello che deve
essere del cristiano: l’umiltà. Uno stile
che non finirà mai di sorprenderci e
di metterci in crisi: a un Dio umile
non ci si abitua mai!
Umiliarsi è prima di tutto lo stile
di Dio: Dio si umilia per camminare
con il suo popolo, per sopportare le
sue infedeltà. Lo si vede bene leggendo la storia dell’Esodo: che umiliazione per il Signore ascoltare tutte
quelle mormorazioni, quelle lamentele! Erano rivolte contro Mosè, ma
in fondo andavano contro di Lui, il
loro Padre, che li aveva fatti uscire
dalla condizione di schiavitù e li
guidava nel cammino attraverso il
deserto fino alla terra della libertà.
In questa Settimana, la Settimana
Santa, che ci conduce alla Pasqua,
noi andremo su questa strada
dell’umiliazione di Gesù. E solo così
sarà “santa” anche per noi!
Sentiremo il disprezzo dei capi
del suo popolo e i loro inganni per
farlo cadere. Assisteremo al tradimento di Giuda, uno dei Dodici,
che lo venderà per trenta denari. Vedremo il Signore arrestato e portato
via come un malfattore; abbandonato dai discepoli; trascinato davanti al
sinedrio, condannato a morte, percosso e oltraggiato. Sentiremo che
Pietro, la “roccia” dei discepoli, lo
rinnegherà per tre volte. Sentiremo
le urla della folla, sobillata dai capi,
che chiede libero Barabba, e Lui
crocifisso. Lo vedremo schernito dai
soldati, coperto con un mantello di
porpora, coronato di spine. E poi,
lungo la via dolorosa e sotto la croce, sentiremo gli insulti della gente e
dei capi, che deridono il suo essere
Re e Figlio di Dio.
Questa è la via di Dio, la via
dell’umiltà. È la strada di Gesù, non
ce n’è un’altra. E non esiste umiltà
senza umiliazione.
Percorrendo fino in fondo questa
strada, il Figlio di Dio ha assunto la
“forma di servo” (cfr. Fil 2, 7). In ef-
Le nomine di ieri e di oggi
riguardano le Chiese in
Giappone e in Mozambico.
Michael Gorō
Matsuura, vescovo di
Nagoya (Giappone)
fetti, umiltà vuol dire anche servizio,
vuol dire lasciare spazio a Dio spogliandosi di sé stessi, “svuotandosi”,
come dice la Scrittura (v. 7). Questa
— svuotarsi — è l’umiliazione più
grande.
C’è una strada contraria a quella
di Cristo: la mondanità. La mondanità ci offre la via della vanità,
dell’orgoglio, del successo... È l’altra
via. Il maligno l’ha proposta anche a
Gesù, durante i quaranta giorni nel
deserto. Ma Gesù l’ha respinta senza
esitazione. E con Lui, con la sua
grazia soltanto, col suo aiuto, anche
noi possiamo vincere questa tentazione della vanità, della mondanità,
non solo nelle grandi occasioni, ma
nelle comuni circostanze della vita.
Ci aiuta e ci conforta in questo
l’esempio di tanti uomini e donne
che, nel silenzio e nel nascondimento, ogni giorno rinunciano a sé stessi
per servire gli altri: un parente malato, un anziano solo, una persona disabile, un senzatetto...
Pensiamo anche all’umiliazione di
quanti per il loro comportamento fedele al Vangelo sono discriminati e
pagano di persona. E pensiamo ai
nostri fratelli e sorelle perseguitati
perché cristiani, i martiri di oggi — ce
ne sono tanti — non rinnegano Gesù
e sopportano con dignità insulti e
oltraggi. Lo seguono sulla sua via.
Possiamo parlare in verità di “un
nugolo di testimoni”: i martiri di oggi (cfr. Eb 12, 1).
Durante questa Settimana, mettiamoci anche noi decisamente su questa strada dell’umiltà, con tanto
amore per Lui, il nostro Signore e
Salvatore. Sarà l’amore a guidarci e a
darci forza. E dove è Lui, saremo anche noi (cfr. Gv 12, 26).
All’Angelus il saluto ai giovani riuniti per la trentesima giornata mondiale
Verso Cracovia
Durante la preghiera dell’Angelus,
recitato al termine della messa di
domenica delle Palme, Papa
Francesco ha salutato in particolare i
giovani riuniti in occasione della
trentesima giornata mondiale della
gioventù invitandoli a lasciarsi
«riempire dalla tenerezza del Padre».
«Ingresso di Gesù
in Gerusalemme»
(XIII secolo, pontificale,
biblioteca
della cattedrale di Toledo)
Al termine di questa celebrazione, saluto con affetto tutti voi qui
presenti, in particolare i giovani.
Cari giovani, vi esorto a proseguire
il vostro cammino sia nelle diocesi,
sia nel pellegrinaggio attraverso i
continenti, che vi porterà l’anno
prossimo a Cracovia, patria di san
Giovanni Paolo II, iniziatore delle
Giornate Mondiali della Gioventù.
Il tema di quel grande Incontro:
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7), si
intona bene con l’Anno Santo della
Misericordia. Lasciatevi riempire
dalla tenerezza del Padre, per diffonderla intorno a voi!
E ora ci rivolgiamo in preghiera
a Maria la nostra Madre, perché ci
aiuti a vivere con fede la Settimana
Santa. Anche Lei era presente
quando Gesù entrò in Gerusalemme acclamato dalla folla; ma il suo
cuore, come quello del Figlio, era
pronto al sacrificio. Impariamo da
Lei, Vergine fedele, a seguire il Signore anche quando la sua via porta alla croce.
Affido alla sua intercessione le
vittime della sciagura aerea di martedì scorso, tra le quali vi era anche
un gruppo di studenti tedeschi.
Dopo la recita della preghiera
mariana e la benedizione, il Pontefice
ha aggiunto:
Vi auguro una Santa Settimana
in contemplazione del Mistero di
Gesù Cristo.
Nel ricordo delle vittime della sciagura aerea
Nel giorno in cui in tutto il mondo si è celebrata la
trentesima giornata mondiale della gioventù, il pensiero e la
preghiera di Papa Francesco sono andati alle giovani vittime
della sciagura aerea di martedì scorso, il gruppo di studenti
tedeschi che hanno perso la vita nello schianto avvenuto
sulle Alpi francesi. Il Pontefice li ha affidati alla Vergine
Maria durante l’Angelus pronunciato sul sagrato della
Convegno dei formatori a Roma
Laboratori
di vita consacrata
Un convegno di formatori e formatrici alla vita religiosa si
svolgerà a Roma dall’8 all’11 aprile, nell’ambito delle iniziative organizzate per l’Anno dei consacrati. Provenienti da ogni
parte del mondo, in 1.200 si confronteranno sui fondamenti
dell’identità del consacrato e sulle esigenze formative
nell’epoca contemporanea. Oltre alle relazioni sono in programma più di cinquanta laboratori su tematiche di attualità.
Chiuderà i lavori un forum sulla formazione nella visione interdicasteriale, con la partecipazione del cardinale Stella, prefetto della Congregazione per il clero, e degli arcivescovi Rodríguez Carballo e Zani, segretari rispettivamente delle Congregazioni per la vita consacrata e per l’educazione cattolica.
Alla vigilia, martedì 7 aprile, si terrà una veglia di preghiera
nella parrocchia di San Gregorio VII. Sabato mattina, 11 aprile, il cardinale Braz de Aviz, prefetto del dicastero organizzatore, celebrerà la messa in San Pietro.
basilica di San Pietro, domenica mattina,
29 marzo, a conclusione della
concelebrazione eucaristica nella
domenica delle Palme e della Passione del
Signore, alla quale hanno partecipato
settantamila fedeli.
Il Papa, vestito con il piviale rosso, è
giunto intorno alle 9.30 e dal Braccio di
Costantino ha raggiunto a piedi l’obelisco
al centro della piazza, dove ha avuto
inizio il rito con la commemorazione
dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. A
precederlo in processione i cardinali e i
vescovi concelebranti, un gruppo di
sacerdoti e prelati, numerosi giovani
provenienti da varie parti del mondo (in
particolare della diocesi di Roma, del
Pontificio Consiglio per i laici e del
centro San Lorenzo), i ministranti, tra i
quali quelli del preseminario
San Pio X, e i diaconi.
Ai piedi dell’obelisco Francesco ha
benedetto i rami di ulivo, dono della direzione delle Ville
pontificie di Castel Gandolfo, e i rami di palme, offerti dal
Cammino neocatecumenale. Quindi in processione ha
raggiunto l’altare sul sagrato della basilica — addobbato con
piante e rami di ulivo donati dalla regione Puglia — dove si
è svolta la celebrazione eucaristica. Da Sanremo e da
Bordighera, dal consorzio Il Cammino e dal Centro studi e
ricerche per le palme, sono venuti anche i “palmurelli”,
foglie di palma intrecciate artisticamente.
Il passo del vangelo di Marco che narra la passione di Cristo
è stato letto a più voci da tre diaconi, Paolo D’Argenio,
Giovanni Lo Giudice e Domenico Simari, con brani cantati
dalla Cappella Sistina diretta dal maestro Palombella. A
eseguire i canti anche il coro e l’orchestra diretti dal maestro
Frisina, con il coro guida Mater Ecclesiae. Alle intenzioni
universali, sono state elevate intenzioni in polacco per la
Chiesa, in francese per i cristiani perseguitati, in indonesiano
per i giovani, in cinese per quanti cercano la verità, in
swahili per i poveri e i sofferenti.
Con il Papa hanno concelebrato trentatré cardinali, fra i
quali Sodano, decano del Collegio cardinalizio, Parolin,
segretario di Stato, Vallini, vicario generale di Roma, e
Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici (questi
ultimi due sono saliti all’altare al momento della
consacrazione insieme all’arcivescovo vicegerente Iannone e
al vescovo segretario del dicastero per i laici Clemens);
ventisette arcivescovi e vescovi, fra i quali il sostituto Becciu
e il segretario per i Rapporti con gli Stati Gallagher; alcuni
prelati della Curia romana. Erano presenti, tra gli altri, i
cardinali Brandmüller, Ruini e Castrillón Hoyos, e il
direttore del nostro giornale. Ad accompagnare il Pontefice
l’arcivescovo Gänswein, prefetto della Casa Pontificia.
Nato a Nagoya il 28 settembre 1952, è entrato nel
seminario minore di Osaka e
ha compiuto gli studi secondari presso la Meisei school
a Osaka. Passato poi al seminario maggiore interdiocesano di Tokyo, ha compiuto
gli studi filosofici e teologici
presso l’Università Sophia,
dove ha ottenuto un master
in ambedue le discipline.
Ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Osaka il 21 marzo 1981, è stato viceparroco
di Koori (1981-1984), di Shukugawa (1984-1986) e di Albeno (1986-1988), poi rettore
del seminario minore di
Osaka. Ha quindi studiato
l’inglese negli Stati Uniti
d’America
(1993-1994)
e
compiuto ulteriori studi di
formazione nelle Filippine
(1994-1995), dopodiché è stato incaricato del Sakai-Semoku parish team Ministry
(1995-1997) e vicario generale
dell’arcidiocesi (1997-1999).
Eletto alla sede titolare di
Sfasferia e nel contempo nominato ausiliare di Osaka il
19 aprile 1999, ha ricevuto
l’ordinazione episcopale il
successivo 17 luglio.
Alberto Vera Aréjula
ausiliare di Xai-Xai
(Mozambico)
Nato l’8 aprile 1957 ad
Aguilar del Río Alhama,
nella diocesi spagnola di Calahorra y La Calzada - Logroño, dopo gli studi secondari nel 1967, è entrato nel
seminario mercedario di
Reus (Tarragona) e ha proseguito, poi, con la formazione religiosa, emettendo la
prima professione nel 1975
nel monastero di San Ramon Nonato (Lérida) e
quella solenne, il 19 marzo
1981, nel monastero del Puig
(Valencia). Ha conseguito il
baccellierato in teologia, frequentando il primo anno di
licenza in teologia sistematica nel 1982, presso la facoltà
di teologia di Catalunya
(Barcellona). Terminato il
secondo anno di psicologia
all’Università di Valencia nel
1985, nel 1987 ha concluso il
corso per insegnanti di filosofia
di
scuola
media
nell’università
Francisco
Marroquín, in Guatemala.
Dopo aver ricevuto il 22
agosto 1981 l’ordinazione sacerdotale, ha svolto i seguenti incarichi: vicario della
parrocchia Nuestra Senora
de El Puig, Valencia (19821985); formatore dei postulanti e promotore vocazionale nella vicaria di America
Centrale a Città del Guatemala (1986-1994); vicario
della parrocchia San José
Obrero di Castellón, e al
contempo eletto consigliere
provinciale e responsabile
della pastorale giovanile e
vocazionale della provincia
di Aragón (1994-1997); formatore nella Comunità di
Reus (1997-2000); superiore
della comunità di MatolaMozambico, rettore degli
studi del seminario mercedario, parroco di Nossa Senhora do Livramento, direttore
della scuola primaria e secondaria della Parrocchia,
consigliere diocesano della
Caritas di Maputo (20002013). Dal 2000 è delegato
del provinciale dei padri
mercedari in Mozambico e
dal 2013 superiore della nuova comunità di Xai-Xai nella
nuova parrocchia di Nossa
Senhora das Mercès.